Il giardino dell'eterna primavera: gli stipiti delle porte del Battistero di Firenze
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Book preview
Il giardino dell'eterna primavera - Lorna Bianchi
Ghiberti
Introduzione
Sen. Riccardo Nencini (Scrittore, Viceministro alle Infrastrutture e Trasporti)
Un saggio che si legge come un romanzo. Dotto, curioso, scritto con la passione dello storico dell'arte e con la perizia di chi è innamorato delle radici universali della nostra identità, la memoria dello spirito che ogni giorno infiliamo nel bagaglio infisso tra la ragione e il sentimento.
Occidente e Oriente, paganesimo multiforme e cristianesimo si alternano nel lavoro di Lorna Bianchi senza soluzione di continuità, gli uni figli degli altri, in una relazione entusiasmante e spesso sorprendente.
A partire dai testi che hanno formato l'umanità nel divenire dei secoli, Genesi
in testa, con le ripetute assonanze con culture sorte all'inizio della storia di ogni civiltà. I tanti paradisi, i giardini monastici e mesopotamici, la scienza medica tratta dalla conoscenza delle piante, i miti e il culto religioso fino all'approdo alla Firenze medievale e al Battistero.
Lorna manipola le materie con sapienza di un abile ceramista e prepara la narrazione delle porte del Battistero – e delle tante piante che le danno vita – come in un romanzo in cui il lettore si aspetta il colpo di scena finale. Arte e storia, botanica, medicina e mitologia cooperano nella realizzazione dell'opera. Una mappa floreale perfetta per comprendere complesse simbologie cui ancora oggi ci richiamiamo quando citiamo antichi detti, proverbi e profezie. A cominciare dal fagiolo con l'occhio
che mia nonna, a ragione, riteneva rappresentasse la lussuria.
Riccardo Nencini
Il Giardino dell'eterna primavera
Prefazione
Didascalia...
Il Paradiso come giardino dell'eterna primavera
Allora il Signore Iddio con la polvere del suolo modellò l’uomo, gli soffiò nelle narici un alito di vita e l’uomo divenne essere vivente. Poi il Signore Iddio piantò un giardino in Eden, ad oriente, e vi collocò l’uomo che aveva modellato. Il Signore Iddio fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi piacevoli all’aspetto e buoni a mangiare, e l’Albero della vita in mezzo al giardino e l’Albero della conoscenza del bene e del male. Dall’Eden usciva un fiume che irrigava il giardino, e da lì si divideva in quattro rami.
Ogni religione del mondo, antica o moderna, possiede un suo proprio concetto di Paradiso
, o meglio di un luogo di felicità, innocenza e giustizia di cui gli uomini avrebbero goduto all'inizio dei tempi.
Un luogo di beatitudine che, nonostante il nome che ogni cultura o tradizione gli ha assegnato, trova la sua testimonianza nella descrizione del Libro per eccellenza
: la Sacra Bibbia. Nel testo citato in apertura di questo capitolo troviamo la descrizione biblica del Giardino dell’Eden, in cui si evince la volontà di configurare il Paradiso come un luogo di vita e di bellezza dove si materializza l’aspirazione archetipa dell’uomo per una terra in cui non vi siano sofferenze, morte, vecchiaia, fame, ma solo alberi e piante belli a vedersi e che producono frutti buoni a mangiare, fiori profumati e dai colori brillanti; piante dalle virtù eccezionali ed acqua dolce e pura.
Tale luogo, però, e tale descrizione soprattutto, non appartiene solamente a quel libro, ma è parte saldissima della spontanea credenza umana; lo si ritrova ovunque nel mondo, in India, in Egitto, in Iran, in Cina addirittura, ma anche e soprattutto fra i Semiti, i Greci, i Latini, i Celti, i Germani, e se ci avventuriamo oltre il vecchio mondo
ritroviamo anche in America o in Oceania il mito di un luogo di beatitudine
. Tutta l'antichità credette nell'esistenza di popoli remoti che vivevano in luoghi governati con senno e con virtù, luoghi dove la natura benevola rendeva la terra feconda ed il cielo sempre clemente; un luogo in cui non esistevano malattie, morte e tristezza, ma in cui regnava un'eterna felicità e longevità senza le pene che la fatica e le difficoltà ogni giorno ci riservano: una speranza comune, dunque, di tornare un giorno in quel luogo da cui proveniamo e di cui i nostri antenati hanno potuto godere.
Un'atavica speranza di una vita migliore dopo la morte a cui ogni cultura ha associato un luogo il cui nome corrisponde esattamente al nostro paradiso
, ovvero, l'esatto contrario delle pene e dei disagi subiti in vita, in funzione dell'ambiente, del clima e soprattutto della morte e delle malattie: una vita migliore per colui che ha fame, per colui che non avendo un riparo vive esposto alle intemperie, soffrendo del troppo freddo o del troppo caldo; ancora, migliore per colui che è malato, o per colui che soffre per la perdita di una persona cara. Se questi sono i tratti fondamentali dell'universale speranza di un mondo migliore, il metaforico disegno che ne deriva è un mondo in cui il clima è sempre mite, la vegetazione è lussureggiante ed offre cibo durante tutto l'arco dell'anno; un luogo dove non esistono ne' morte ne' malattie ed in cui ogni senso viene appagato dalla globale soavità di colori, suoni e profumi.
Ecco che questo luogo idilliaco inizia a prendere forma e, anche volendo, non possiamo fare a meno di immaginarcelo come un giardino in cui la primavera è eterna:
"Qui fu inocente l'umana radice;
qui primavera sempre ed ogni frutto;..."
Un giardino bellissimo pieno di fiori e di frutti, in cui non esistono ne' periodi di siccità e neppure piogge devastanti o inondazioni, ma nel quale scorrono ruscelli di acqua pura che irrigano nel giusto quantitativo i campi, i quali non hanno bisogno di essere coltivati con fatica, ma che producono quasi spontaneamente tutto ciò di cui gli uomini e gli animali hanno bisogno per il sostentamento. Un giardino la cui produttività non è scandita dalle stagioni, fiori e frutti crescono insieme, non cadono le foglie; è il giardino che rispecchia l'armonia della Creazione, secondo S. Ambrogio (Hexameròn), infatti, la terra è stata creata in primavera.
Un luogo di armonia
, dunque, intendendo con tale termine quella perfezione numerica attraverso la quale, secondo i filosofi dell'antichità, Dio ha messo ordine al caos, creando così l'universo, il quale a sua volta mantiene l'ordine attraverso l'armonica rotazione delle sfere celesti. Un'armonia che risiede in tutto ciò che i sensi e l'intelletto possono percepire, come la perfezione numerica visibile delle parti che compongono una pianta, un animale od un qualsiasi oggetto del Creato, o la perfezione numerica che contraddistingue il suono melodioso dei dolci cinguettii degli uccelli, accompagnati nel loro canto dalle voci degli altri animali e dal dolce rumore dell'acqua che scorrendo riveste quasi un ruolo di basso continuo in questa instancabile orchestra della natura.
Questa perfezione dunque, non è molto soggettiva, non si basa sul concetto umano di perfezione, ma su un concetto divino in cui Dio Somma Perfezione
diviene Egli stesso la mèta
poiché solo unendoci a Lui possiamo rivivere quella perfetta condizione di beatitudine.
Non potendo però pienamente conoscere Dio, a causa della nostra limitatezza terrena, noi esseri umani basiamo le nostre speranze sull'idealizzazione del mondo conosciuto, ed ecco che il mito pagano viene a narrare quasi esattamente ciò che narrano anche le Sacre Scritture, poiché il mondo, così come lo conosciamo noi esseri viventi, è un'emanazione di Dio, imperfetta perché terrena, ma pur sempre parte di Lui, in quanto da Lui è stato creato l'intero universo.
«Se costoro», cioè i filosofi, «hanno ammirato la virtù e gli effetti di queste cose», cioè del cielo, delle stelle e degli elementi del mondo, «capiscono quanto sia più forte di essi colui che le ha fatte» .
[1] La Sacra Bibbia Genesi 2, 7-10
[2] F. Cardini, M. Miglio; Nostalgia del Paradiso. Edizioni Laterza, Roma-Bari, 2002 . Introduzione, VII
[3] b Dante Alighieri, Divina Commedia. Fratelli Melita Editori. Varese, 1995. Purgatorio. XXVIII; 142-143.
[4] San Tommaso D'Aquino. Summa Contra Gentiles. Libro II. Cap. II, trad. it. Di Tito S. Centi. Utet. Torino 1978, p. 268
Paradiso e alimentazione
La bellezza, l'appagamento dei sensi, e il benessere sono dunque gli elementi portanti del Paradiso in ogni tradizione. Per ottenere questo stato di completa beatitudine sicuramente il cibo è, insieme al clima, alla salute ed alla bellezza, come abbiamo visto, un elemento fondamentale che ogni essere vivente in ogni epoca ed in ogni luogo ha sperato di poter trovare nella perfezione dell'Aldilà.
In tempi antichi, ma purtroppo, anche se non è piacevole affermarlo, anche al giorno d'oggi, la distinzione sociale era, ed è, dettata anche dalla possibilità di alimentarsi non solo bene, ma soprattutto ogni giorno; in ogni epoca infatti la differenziazione dei ceti sociali ha sempre comportato primariamente una differenza qualitativa e quantitativa riguardo l'alimentazione: il cibo di conseguenza diviene uno degli elementi, se non il primo, che contraddistingue il ricco
dal povero
.
Il Paradiso diviene dunque il luogo dove ogni distinzione sociale si annulla e chiunque si sia meritato l'accesso può godere delle delizie della terra promessa
senza fatica e senza sofferenze.
La descrizione più dettagliata di questo luogo di beatitudine è sicuramente quella che il Sacro Corano ci ha trasmesso. Nel Paradiso Islamico infatti le fonti e i ruscelli, che derivano dai quattro fiumi principali che escono dal trono divino, portano acqua purissima, latte, vino e miele. Il vino e le bevande sono servite in coppe candide e non danno alcun senso di ubriachezza
. Coloro che soggiorneranno in Paradiso avranno abbondanza di cibo e bevande
tra cui molte specie di frutta
di cui potranno saziarsi, e carne a seconda del loro gusto
. Nessuno dovrà faticare per ottenere cibo e bevande ma anzi staranno adagiati su tappeti ricamati di broccato e le frutta dei due giardini saranno a portata di mano
Ma alimentazione è anche sinonimo di salute, come spiegano tutte le religioni del mondo dettando regole alimentari che primariamente sono alla base di una vita salutare: si pensi all'islam che impone ai suoi fedeli di rispettare il concetto di halal e di haram, ossia di lecito e di proibito. Due sono i divieti fondamentali: il consumo di carne di maiale (più in generale la carne non macellata secondo le regole rituali) e di bevande alcoliche. Questi veti a ben guardare hanno tutte ragioni igieniche e sono molto simili ai precetti che prima la religione ebraica (cibi Kosher), poi la religione cristiana, nei secoli hanno dettato ai loro fedeli.
La cultura cattolica ha creato prescrizioni alimentari che, sotto la veste di regula salutis animae, indicavano misure di prevenzione che gli stessi medici a partire da Galeno e con lui numerosissimi medici fino almeno al XVIII secolo reputavano le migliori e le più efficaci: una dieta equilibrata avrebbe dunque evitato di sottoporre il corpo ad interventi artificiosi ed esterni, si pensi ad esempio alla Regola di San Benedetto che esentava solo i fratelli infermi
dal divieto di consumo di carne.
Ancora oggi la natura può offrirci tutto ciò di cui abbiamo bisogno, ma dobbiamo far in modo che ognuno possa goderne senza dover ricorrere ad un'alimentazione basata su cibi spazzatura
completamente innaturali e trattati con sostanze chimiche che non solo uccidono il gusto, ma minano la salute e il benessere di migliaia di persone. Possiamo quindi affermare che la ricchezza di delizie
che la natura da sempre ci offre era, ed ancora oggi è, facilmente assimilabile ad uno stato di grazia
che per alcuni ceti sociali pare possa essere raggiunta solo nell'Aldilà.
[1] Secondo l'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura delle Nazioni Unite, 850 milioni di persone nel mondo erano denutrite fra il 1999 e il 2005
ed il numero ancora oggi è in continuo aumento.
[2] Il Corano, Introduzione, traduzione e commento di Federico Peirone Mondadori, Milano 2006. Sura XXXVII, 46
[3] Ivi, Sura XXXVIII, 51
[4] Ivi, Sura XLIII, 73
[5] Ivi, Sura LII, 22
[6] Ivi, Sura LV, 54
[7] De Cibis. Codice Cassinese 69 (IX secolo). Documenta Historica Medicina. Raccolta di antichi documenti medici. vol. II.Commento al Codice di Eugenio Randi. Trascrizione paleografica di Faustino Avagliano. Traduzione dal latino di Ide de Tura. As Medica Editrice. Milano 1990, p. 19.
Il Paradiso nelle diverse culture e tradizioni
Se analizziamo bene la Genesi del Testo biblico, troveremo notevoli assonanze con culture antichissime e non, riguardo la descrizione del luogo in cui soggiorneranno i beati dopo la morte: partendo dai Sumeri ad esempio ritroviamo, nella mitologia mesopotamica che ci è pervenuta soprattutto tramite i Babilonesi, incredibili parallelismi con la Genesi Biblica.
Dilmun, il paradiso creato dagli dèi Sumeri da un ambiente arido e senza vita, è un luogo in cui dal suolo sgorgano acque dolci e brilla il sole, un luogo in cui le piante e gli animali possono vivere e crescere andando a comporre un lussureggiante e vivace giardino, i cui abitanti saranno gli dèi stessi e la loro progenie a patto che i frutti delle otto piante fatte nascere dalla dea della terra non siano toccati. Fin qui l'assonanza con il testo biblico è molto forte, ma ancora di più lo è il rimedio con cui il dio delle acque Enki viene salvato dalla dea della terra Ninhursag che creò tante divinità quante erano le malattie contratte dal dio per aver mangiato i frutti proibiti: come notò il sumerologo Samuel Noah Kramer, la dèa, che Ninhursag crea per guarire una costola di Enki, è chiamata Ninti, nella lingua sumera la parola ti
indica sia costola
sia vita, far vivere
, i Sumeri, infatti, arrivarono ad identificare la dea Ninti, Signora della costola
, con colei cha fa vivere
, ossia, per traslazione, la madre, ed è interessante notare ciò poiché la Eva biblica, creata da Dio da una costola di Adamo, fu la prima madre degli uomini.
Il giardino, inteso come oasi di benessere, si ritrova anche in un altro mito sumero nel quale per altro si riscontra una notevole assonanza con la Cacciata dal Paradiso descritta nella Bibbia: il contadino Shukallituda, non riuscendo a coltivare la sua terra troppo arida, chiese aiuto alla déa Inanna che gli consigliò di piantare degli alberi per fare ombra, facendo così nascere la prima oasi, con una tecnica di coltivazione comune nei deserti intorno al golfo Persico. Il mito si conclude con una trasgressione sessuale in cui il contadino stupra la déa addormentata: come punizione per l'affronto Shukallituda è costretto ad abbandonare il suo giardino.
Nell'antico Egitto la vita dopo la morte rappresentava la diretta continuazione della vita terrena, una sorta di possibile ritorno al Regno di Ra in cui l'uomo poteva riunirsi agli dèi; ma i trapassati, si credeva, nell'aldilà sarebbero stati giudicati direttamente da Osiride assistito da 42 giudici che avrebbero ascoltato una sorta di dichiarazione di innocenza che il defunto sarebbe stato tenuto a dare per dimostrare che non ha commesso alcuno dei 42 peccati elencati nel Libro dei Morti (capitolo 125). Il cuore del defunto sarebbe stato