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Anni ’60 Un amore lungo, passionale, sofferto, vincente
Anni ’60 Un amore lungo, passionale, sofferto, vincente
Anni ’60 Un amore lungo, passionale, sofferto, vincente
Ebook184 pages2 hours

Anni ’60 Un amore lungo, passionale, sofferto, vincente

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Lettere colme di amore, sono quelle che due giovani innamorati si scrivono a causa della loro distanza. Una lontananza incolmabile che solo la forza e il valore delle loro parole riescono in parte a consolare nelle oltre millecinquecento lettere che i due giovani si scrivono. Alcune volte si spediscono anche tre lettere al giorno, parole semplici, profonde, sincere. Un’armonia di anima, spirito e corpi che, giorno dopo giorno, rafforza questa grande storia d’amore. Non possono fare a meno di scriversi e raccontarsi la loro vita quotidiana e così ogni singola parola diventa una sorta di magico scrigno dove è custodito uno dei valori più grandi della vita: l’amore. 

LanguageItaliano
Release dateJan 5, 2017
ISBN9788856781229
Anni ’60 Un amore lungo, passionale, sofferto, vincente

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    Anni ’60 Un amore lungo, passionale, sofferto, vincente - Fabrizio de Prophetis

    Prophetis

    Anni ’60 Un amore lungo, passionale, sofferto, vincente

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-8122-9

    I edizione elettronica novembre 2016

    Questo libro è dedicato alla persona

    più cara della mia vita:

    mia moglie.

    "Se non sei felice prova ad amare.

    Se vuoi coltivare l’amore,

    custodisci sempre il passato."

    Considerazioni iniziali

    Come avveniva, molti anni fa, una comunicazione? Unico mezzo era la lettera scritta, la cartolina, raro il telefono.

    Si dava luogo alla corrispondenza, relazione tra realtà spirituale e fisica, tra due o più persone che, tramite vera e propria conversazione scritta, poteva arrivare anche ad uno scambio di reciprocità di sentimenti ed affetti.

    Non bisognava però tenere scissa la corrispondenza da un altro fattore molto importante che era il tempo: quello che si voleva comunicare oggi, veniva ricevuto e quindi recepito dopo alcuni giorni. Per combattere il tempo, per farlo trascorrere con minore lentezza, si poteva erogare una tassa postale maggiore; chi può dimenticare il francobollo espresso, permetteva di fare arrivare missive a destinazione nel più breve tempo possibile.

    La corrispondenza, la lettera scritta, aveva però un vantaggio, attenuava, leniva la distanza tal che, fra due persone lontane, la comunicazione scritta era un toccasana, ovviava alla mancanza di altri mezzi di contatto. Rari erano i telegrammi, altrettanto rare le telefonate, chi non ricorda la signorina dei telefoni chiedere perentoriamente raddoppia? e con quanto dolore si doveva dire di no, senza avere il tempo, alcune volte, di salutare.

    Oggi come avviene questo scambio di notizie? Non ci sono problemi, ne di supporto, ne di tempo, ne di spazio: fax, sms, mms, telefonini con reciproche immagini, Facebook, Twitter, e-mail, magnetismo elettronico, vari social network nell’area del web, puoi dire, fare e inviare quello che vuoi a chi vuoi, come vuoi, nell’immediato: invia 1000 sms, scrivi a tutti i telefonini, libera la tua voglia di comunicare, recita una attuale pubblicità, così per affetti, per sentimenti, per non dimenticare, ma anche per non conservare. Si è giunti ad un numero di sms al giorno che supera di gran lunga molti milioni.

    È il progresso; ci domandiamo se sia una guerra vinta o persa irrimediabilmente per sempre! Devo convenire che l’uomo è una gran brutta bestia, prima desidera tanto una cosa, quando finalmente sembra averla raggiunta, pensa al passato con una nota di malcelata tristezza.

    Queste mie considerazioni, che traggono spunto proprio dal conflitto tra ciò che era in passato e ciò che è presente, in termini di comunicazione, mi spingono a narrare una vicenda che scaturisce da documenti scritti, lettere e cartoline da me recuperate e lette; documentazione molto ampia, completa, dalla quale mi è stato possibile ricostruire, attraverso pensieri, frasi, allocuzioni originali, una vera storia d’amore, vissuta e sofferta, negli anni ’60, tra due giovanissimi ragazzi.

    Dalla lettura di queste missive, emerge tutta una vita, il momento della conoscenza, i primi palpiti d’amore, la sofferenza per la lontananza, le crisi, i perdoni, gli studi con le bocciature e le promozioni, gli interventi dei genitori, la scomparsa dei parenti più intimi, la cerimonia del fidanzamento ed alla fine, dopo sofferenze e gioie, peraltro ben delineate da questo epistolario, il coronamento di un lungo amore, vissuto e sofferto in modo del tutto inedito, rispetto a come oggi si concepisce questo rapporto.

    Un paragone con i tempi moderni, sarebbe assurdo, forse grottesco, ma è proprio in questo confronto che trae più forza la storia che mi accingo a narrare come si fa con una favola e cercando di interpretare io, in prima persona, il ruolo del ragazzo.

    Capitolo 1

    Storia di un incontro

    Era una mattina gelida, domenica 1 marzo 1959; spesso le date importanti, proprio perché importanti, tendono a dileguarsi nella mente, forse per non farti riflettere, ragionare, perché rispetto a certi avvenimenti in fieri, riflettere e ragionare sarebbe deleterio per non dire impossibile, hai la sensazione di essere radiocomandato, io però questa data la ricordo molto bene, la ricorderò per tutta la vita.

    Dopo avere salutato i miei, raccolto con estrema tranquillità e consapevolezza le loro giuste raccomandazioni, dettate da preoccupazioni percepite, per così dire, in zona Cesarini, raggiunsi nella notte, erano le tre, come da regola congeniata per la buona riuscita del viaggio, la casa di Renato in via Andrea Bafile.

    Carolina, una 600 Fiat grigia, con vetri scorrevoli, targata Roma 24..., bella fiammante, già con il motore acceso, attendeva quasi impaziente, caricai il mio bagaglio e con Renato al volante ci avviammo con destinazione Udine per raggiungere Claudia, la sua fidanzata. Eravamo, nonostante tutto, felici, faceva freddo, ma attraverso il mio naso percepivo uno strano odore di primavera incipiente.

    Circondati da un profondo silenzio, attraverso le luci dei lampioni che si accavallavano ad intervalli regolari, potevamo scorgere, a tratti, i nostri visi radiosi, gioiosi e pieni di impegno per l’avventura condivisa dai nostri genitori, segno di fiducia, di maturità, di consapevolezza in entrambi.

    Viale Mazzini, Ponte Risorgimento, Viale Tiziano, a destra il cavalcavia che superava il nascente Palazzetto dello Sport, Ponte Flaminio e finalmente la Via Flaminia.

    Il motore della seicento era per noi un concerto si andava lisci come il vento senza ostacoli, ma... liberi... liberi... liberi di andare nel porto dove i nostri destini avevano già deciso di farci approdare. Dopo cinquanta chilometri esatti, sempre come da regola, mi misi alla guida, mentre Renato iniziò la sua dieta. Sul sedile posteriore era stata sistemata una mia piccola valigetta, dove la mamma di Renato aveva, con grande cura ed amore, preparato 56, dico cinquantasei, rosette piccole con altrettante fettine di carne dorate e fritte, il pasto più ghiotto per Renato, così mentre io guidavo, lui mangiava. Passo Radicofani, della Scheggia, la Gola della Rossa, la Gola del Furlo, ci si avvicinava sempre di più a Fano e la media non era affatto male per una seicento, circa 300 km in poco meno di sei ore, senza autostrade o superstrade. Io guardavo la carta stradale puntavo il dito su Fano e su Udine, certo di strada se ne doveva ancora fare, ma tutto sommato se mantenevamo quella media verso le 16,00 / 17,00 saremmo potuti anche arrivare a destinazione. Renato con molta compostezza e serietà, come si addice a chi la sta per sparare grossa, mi comunica che era sua intenzione fermarsi un attimo a Pesaro per salutare alcuni suoi amici. E le regole da rispettare? La nostra pignoleria gettata alle ortiche. Potevamo risparmiarci tutta quella organizzazione, la fatica fisica e mentale, per preparare nei minimi dettagli questo viaggio!

    Insistetti fino allo spasimo per convincerlo a non fermarci, alzammo anche la voce, quasi litigammo per questa sua decisione affatto condivisa.

    Pesaro, il ponte sul fiume Foglia, il cavalcavia ferroviario, si proseguì lungo la SS 16 Nazionale Adriatica, si girò a sinistra e subito a destra, ci fermammo dinanzi ad una duplice aiuola limitata da archetti in ferro, da dove partivano due alte palme, dietro le aiuole un portone. Superata la soglia d’ingresso iniziammo a salire un’ampia scala alla nostra sinistra, che, attraverso due pianerottoli, terminava con un ballatoio sul quale si apriva una porta d’ingresso. Suonato il campanello udii lo scatto del tiro e la conseguente apertura della porta. Apparve un lunghissimo corridoio con porte su entrambi i lati, in fondo, attraverso la luce che filtrava dalle finestre si intravedevano le sagome di alcune figure in movimento, non ben delineate, una voce che in perfetto accento napoletano diceva: né Renato, vieni, vieni, come stai, accomodati, che bella sorpresa. Ci dirigemmo verso quella voce, quando scorsi le sembianze della persona che parlava, la mia sorpresa fu grande perché mi sembrò di trovarmi in presenza della signora Franca di Aversa, che avevo conosciuto andando con Renato a Napoli.

    Questa mia perplessità non passò inosservata, tutti e tre ci mettemmo a ridere sono la sorella di Franca, è vero, ci somigliamo molto mi chiamo Angela, sono la zia di Claudia, soggiunse la signora.

    Il persistere delle risa fece giungere altre persone, grande fu la mia sorpresa quando vidi Giulio, che già conoscevo, essendomi stato presentato in Viale Mazzini, quando venne ospite a casa di Renato a Roma; la mia sensazione fu quella di sentirmi in qualche modo già in famiglia!

    Poi all’improvviso apparve... un qualcosa che mi colpì in modo totale e, oserei dire, assassino. Proveniente dalla cucina, dove pensai avesse fatto colazione, vidi avvicinarsi, verso di me, una splendida figura di ragazza/bambina, dolcissima, con un modo di fare, di gesticolare, di dire che mi affascinò in modo totalmente irrecuperabile.

    Non so cosa all’improvviso si agitasse nel mio animo. Non avevo mai creduto all’amore a prima vista fino a quel giorno, domenica 1 marzo 1959.

    Questa bella ragazzina mi venne vicino, aveva un bel vestitino a quadretti scozzese rosso e verde, che la rendeva molto esile e delicata, scarpine con un piccolo tacco, curata nei capelli piuttosto corti, non un filo di trucco, con una voce gentile, accattivante ed affascinante. Dopo le presentazioni, con fare gentile, mi chiese se gradivo un uovo, non ricordo se da bere o a zabaione, rimasi perplesso da questa singolare offerta, non ricordo quello che risposi, ma sentii il mio cuore battere a mille, ero super agitato, la luce che filtrava dalle finestre della sala da pranzo, dove poco a poco il gruppo si era spostato, rendeva il tutto di una realtà evanescente, non riuscivo a rendermi conto se vivevo o sognavo, mi sentivo come se avessi superato un confine dal quale tornare indietro sarebbe stato impossibile, stavo portando a termine, ancora prima di iniziare, qual cosa di supremo, senza una mia precisa volontà di dire, di fare, di disporre, come fossi radiocomandato; stavo esaudendo una volontà superiore voluta chi sa da chi e chi sa da quando. Parlammo, le dissi dove abitavo, cosa facevo, quali erano i miei studi nel momento e come ero capitato, per puro caso, in questa città, anche il suo nome, era particolare ed anche questo rese per me, l’incontro ancora più affascinante. Con certezza le dissi che, al ritorno da Udine, ci saremmo di nuovo fermati, avrei potuto rivederla e seguitarle a parlare.

    Il mio desiderio era un altro, avrei voluto gridarle di essere stato dalla sua dolce beltà, affascinato senza speranza di ripensamenti, avrei voluto insomma comunicarle che mi ero pazzamente innamorato di lei a prima vista, che provavo una attrazione indicibile che a stento riuscivo a frenare.

    La sua età era appena di sedici anni, io ne avevo quasi ventuno, saremmo veramente stati molto bene insieme.

    Con profondo, immenso dolore nel cuore, dovetti lasciarla, disse che sarebbe andata a Messa, altra notizia che mi sconvolse non poco, bastava infatti che avessimo ritardato, cosa dico, di un quarto d’ora, tutta la mia vita sarebbe stata chissà dove, come e con chi. Uscendo da quel portone, ripercorrendo tutte le sensazioni percepite, il fascino di quell’incontro, la seducente vaghezza, grazia, leggiadria di quella ragazza/bambina, mi diedero l’impressione di camminare, a di resa, con le braccia alzate; ebbi come l’impressione che in quell’edificio qualcosa di imprevedibile imprescindibile mi stesse aspettando da tempo. Ripensai al viaggio ad Aversa, anteprima di quello che sarebbe successo, ancora più incalzante la presentazione di Giulio in Viale Mazzini, suo fratello, la fidanzata di Renato, sua cugina a Udine, il viaggio da Roma con tappa più che forzata a Pesaro, avevo quasi litigato con il mio amico pur di non fermarmi, l’arrivo in tempo prima che si recasse a Messa, e poi quella dolcissima apparizione!

    Come non pensare a qualcosa di imponderabile, a prescindere dalla mia volontà, fortemente voluta non so da chi, ma voluta?

    Con il pensiero fisso a quella bella ragazzina, completammo il viaggio, rispettando come previsto, percorsi, tappe, scambi alla guida; giungemmo a Udine la sera accolti con tanto fervore e piacere dalla famiglia di Claudia: vidi Renato immensamente felice mentre il mio pensiero vagava incontrollato all’idea di rincontrare quella bella bambina. Insistetti tanto con Renato che decidemmo di fermarci, durante il viaggio di ritorno, di nuovo a Pesaro.

    Giungemmo nella mattinata inoltrata, appena in tempo per andarla a prendere a scuola.

    Come la vidi mi sentii quasi svenire, era veramente molto, molto carina aveva un sorriso dolcissimo un portamento attraente, provavo un senso di smarrimento, non riuscivo a concentrarmi su nulla se non osservarla ed intrattenerla nel parlare il più possibile. Giungemmo a piedi fino alla sua casa, dove salimmo per salutare la signora Angela ed i figlioli, per la prima volta incontrai la piccola Mariella che sapeva cantare molto bene la canzone vincitrice del festival di San Remo Piove, me la ricordo su uno sgabello mentre cantava in nostro onore e, ne fummo molto colpiti.

    La sera la trascorremmo insieme nel tinello ad ascoltare dischi e parlare, fu una cosa meravigliosa, per me al di fuori della realtà, di ogni più rosea previsione; la guardavo ero in contemplazione di questa esile figura che mi era vicino. Nella mia 51esima lettera, datata 26 maggio 1959, scrivo Quella sera poi che ritornai e sentimmo insieme tutti quei dischi avrei voluto stringerti a me e dirti che ti amavo tanto, era assurda la cosa ma non mi sarebbe importato e se avessi potuto, l’avrei fatto.

    Pernottammo a Pesaro. La partenza fu per me un dolore atroce, oserei dire lancinante, se avessi dato retta a me stesso sarei rimasto in eterno, tanto quella graziosa figura mi aveva affascinato, attratto, annientato in ogni mia più piccola volontà di fare e di decidere.

    Il rientro a Roma fu accolto dai festeggiamenti dei nostri genitori ormai spogliati da ogni preoccupazione e paura. La prima notte la passai in bianco; pensavo a quella ragazza, percepivo che in me stava succedendo qualcosa di imponderabile, di strano, incomprensibile, così, improvvisamente... nell’immediato.

    Capitolo 2

    Inizio di un amore folle e passionale

    Capii che mi ero innamorato follemente di quella splendida bambina e ciò che era incomprensibile piano, piano si andava delineando come una delle realtà più affascinanti, seducenti, incantevoli che potessero colpire un ragazzo di 21 anni.

    Nei giorni che seguirono non ero più io, vivevo in uno stato emozionale perenne, dire che ero frastornato è poco, non capivo più nulla, l’immagine

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