Il Baule (Un Dialogo Perduto)
By Monica Rossi
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Il Baule (Un Dialogo Perduto) - Monica Rossi
633/1941.
PREMESSA
Ricorderai di avermi atteso tanto
E avrai negli occhi un rapido sospiro
(Giuseppe Ungaretti, La Madre,1930)
Questa è una storia breve, troppo breve, forse, per poterla davvero raccontare, perché nasce dall’incontro di un attimo, preceduto da nove mesi insieme. È la storia di mia madre e, di conseguenza, anche la mia. In realtà, più che un racconto di vita, è una narrazione di frammenti, di pensieri e di emozioni che la attraversano, ma, soprattutto, è un intreccio di silenzi, di non detti, una storia costruita su molte speranze bruciate e su un passato svanito, denso di rimpianti, di forse, di mai.
Si può scrivere una storia così? No, probabilmente. Ma voglio almeno provare ad abbozzarne la trama. Racconta di una giovane donna che, in un tempo lontano, a soli 17 anni, in un ospedale del nord Italia, ha dato in adozione la bambina che portava in grembo, separandosi da lei per sempre. Narra di mia madre, della sua sofferenza e della sua breve e faticosa vita in salita. E racconta, inevitabilmente, anche la mia storia, quella di una figlia, cresciuta lontana da lei, che non ha mai smesso di cercarla e che ha combattuto per ritrovarla, nonostante la legge italiana dei cento anni, che ha vietato, per così tanto tempo, al figlio non riconosciuto alla nascita, l’accesso al nome della madre. È la storia, in fondo, che mi accomuna a migliaia di altri figli non riconosciuti alla nascita, in Italia, alla ricerca delle loro origini.
La mia storia finisce quando, dopo battaglie e lunghi iter giuridici, ho ritrovato, infine, la verità. La storia di mia madre, invece, termina, purtroppo, molto tempo prima.
Il 2 agosto 2016, dopo 42 anni, ho ritrovato mia madre, ormai deceduta. Di lei, soltanto una lapide e qualche racconto dei compaesani e di chi l’ha conosciuta bene. Sembra che io fossi la sua unica figlia. Oggi so che lei non mi ha mai dimenticata.
Lentamente, ho potuto percorrere all’indietro il suo faticoso percorso di vita, raccogliendo frammenti che, solo in parte, mi hanno aiutata a ricostruire la sua storia. Per questo, oggi voglio parlare di noi, dei punti in cui le nostre storie si incrociano e di quelli in cui è la sua storia di vita a coinvolgermi e a farmi capire quanto siamo state e ancora siamo legate.
Ci sono legami che non si spezzano nemmeno davanti a un distacco così radicale. E noi, di distacchi, ne abbiamo avuti due, il primo, alla mia nascita, quando le nostre vite sembravano destinate a diventare due strade parallele, incapaci di incrociarsi; il secondo, quando lei ha lasciato per sempre questa vita. Eppure, averla ritrovata, mi restituisce, oggi, la forza e la convinzione di un legame indissolubile.
Inutile raccontare di me e del mio iter, è più importante lasciare spazio ai pensieri e alle emozioni che hanno accompagnato i nostri percorsi. Tuttavia, voglio aggiungere, di seguito, qualche riflessione sul giorno della verità, scrivendo il ricordo che ho condiviso con le persone che amo e voglio nuovamente condividere con i tanti figli adottivi, vicini a me per nascita e per sorte. Questo, perché nessuno dubiti mai del valore profondo della verità e nessun figlio sia più privato della linfa vitale che deriva dalla conoscenza delle proprie origini.
Il mio pensiero di quella giornata è dedicato alla verità e a chi lotta per lei.
~
La verità è stata un sogno, un miraggio, una chimera per così tanto tempo che quando finalmente ha smesso di essere falsa per diventare vera, come una verità dovrebbe essere, ha scelto un momento in cui non ero pronta. Finora era stata solo attesa, estenuante e insopportabile. Poi l’attesa è stata interrotta da un lampo di luce, finalmente, che avrebbe dovuto portare con sé anche il suono della verità. Ma il suono è stato preceduto ancora una volta dal silenzio ed ecco il ripiombare nell'attesa, non più senza fine ma indecifrabile e incalcolabile. E proprio quando la disperazione di una seconda attesa mi ha traghettato verso una strana rassegnazione, è arrivata la verità. Immediata, non preparata e curata come tante volte l’avevo immaginata, rapidissima, non c’è stata una vigilia ma solo una corsa in tribunale, senza osare nemmeno sperare per la paura di un fallimento. Il Tribunale per i minorenni era davanti a me, con la sua aria da aristocratico decaduto, l’ho guardato senza attenzione entrando, ricordando le due volte in cui vi ero entrata per lei. La prima, giovanissima, sperduta, per un colloquio, regalatomi da un giudice, che con aria comprensiva e con tono paternalistico mi aveva fatto la concessione di parlarmi, per spiegarmi la bontà di quella legge che avrebbe per cento anni custodito il suo nome e per comunicarmi empatia e comprensione, certo che l’eterno segreto che io chiedevo di svelare non sarebbe mai stato rivelato. Ricordo di essermi sentita in dovere di mostrargli educazione ed equilibrio e che lui stesso lo aveva ribadito, come se queste qualità fossero le cartine tornasole di quanto, non l’adozione, ma proprio il segreto avesse permesso a una figlia di crescere così equilibrata. Lui mi aveva regalato quell’ascolto empatico, reso semplice dall’imperturbabilità del segreto che avvolgeva le mie origini e io gli avevo regalato un atteggiamento cortese ed equilibrato, come se non mi turbasse troppo quel segreto che mi devastava. Così, lasciando al tribunale quegli inutili gusci vuoti di equilibrio e serenità che il giudice trovava così tranquillizzanti, ero uscita, per cercare, ancora e ancora, senza sosta.
La seconda volta che il Tribunale mi ha accolta per lei è stato