In gold we trust
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In un crescendo da thriller, tra i corridoi e le stanze segrete del Vaticano, si avvicina l’ora fatale.
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In gold we trust - Solomon Bloomberg
Vaticano
ORE 9.00 GMT, LONDRA
Lo sguardo passò, senza vederlo, sul dipinto di Rothko a tutta parete e sulla grande vetrata aperta sul cielo, senza curarsi della metropoli che, di là dal Tamigi, si stendeva sino all’orizzonte. Gli esperti sostenevano che la pittura di Rothko respira al ritmo dell’universo ma James Gibson, capo dell’ufficio tesoreria della HSBC di Londra, il respiro del mondo lo coglieva altrove.
L’indice sfiorò uno schermo nero, suscitando da lontananze misteriose la semestrale 2011 rilasciata in tempo reale. La pallida ombra di un sorriso increspò le labbra: + 45% rispetto al semestre precedente. Era vivo. Lui, James Gibson, era vivo.
L’indice passò a un altro schermo.
Comparve il volto di Allen Fitzsimmons, responsabile della trattazione di derivati finanziari, era composto e serio come se fosse in attesa di quel contatto.
«Che c’è di nuovo?» chiese Gibson.
«Nulla di troppo nuovo. Un supplemento di depressione, come ci si aspettava. La vicenda del pifferaio di Hamelin non è una favola. È una descrizione perfetta del mercato di questi giorni».
Nella voce di Fitzsimmons non c’era traccia di ironia.
«La Grimm Brothers Financial Advisers, allora».
Fitzsimmons rifletté un istante, prima di rispondere:
«Forse non sarà una cattiva idea leggere quel brano prima di ogni riunione dei nostri collaboratori. Come era d’uso un paio di secoli fa con i Salmi».
«Ci penseremo. Naturalmente sarò informato se ci fossero variazioni di rilievo».
«Naturalmente».
Senza salutare, sfiorò di nuovo lo schermo dove apparve il volto di Mary Atkins, la sua segretaria personale, la donna più potente della HSBC – secondo alcuni più potente della regina, seconda solo a quanto si ricordava della Thatcher. Oltre a questo, avrebbe potuto vincere il primo posto al concorso di bellezza Miss Thirty in the World. Competente ed efficiente al massimo livello, aveva un solo vero difetto. Era avara come Ebenezer Scrooge, ma senza alcuna possibilità di redenzione natalizia. Usava i vestiti, impeccabili, fino a un momento prima che qualcuno potesse notare un punto liso. Si metteva il rossetto con il pennellino, per non buttare via niente.
Però faceva un caffè eccellente.
«Una bella tazza, signor Gibson?».
«Grazie. Controlli a che ora il presidente ha deciso di comunicare alla stampa la semestrale».
«Già fatto. Alle 10.30, in tempo per il notiziario delle 11 e per il primo fixing dei bancari».
«Soddisfacente».
Mentre la ragazza misurava la quantità esatta di polvere di caffè da mettere nel filtro, lui cercò un segnale sullo schermo più a destra. C’era.
Un piccolo segno, tre punti disposti a triangolo, come di solito è rappresentato il Padre nella simbologia cristiana, o il Grande Architetto in quella massonica. .:.
Un modo per stabilire la massima autorità. Nella HSBC, il chairman, l’uomo della sedia. Il baluginare di quei tre puntini significava che il Grande Uomo era disponibile a conferire con il collaboratore – erano pochissimi i privilegiati – sul computer del quale compariva.
«Può chiedere udienza», disse nell’interfono a Mary Atkins.
«Di persona o telefonica?».
«Come gradisce. Anche telefonica va benissimo».
Dopo pochi istanti sentì la voce di Madame De Verin – la segretaria del capo proveniva da una grande famiglia francese e parlava perfettamente un numero imprecisato di lingue – che lo metteva in comunicazione con Lord Batten.
«Buon giorno Gibson», disse il lontano parente dei Battenberg e perciò della casa reale britannica, ora Windsor, ma in origine Sachsen-Coburg; tedeschi, come lui. Si faceva un punto d’onore di salutare per primo, per mettere a proprio agio gli interlocutori.
«Buon giorno, Milord», rispose compuntamente Gibson, che sperava in un titolo di baronetto entro cinque anni.
«Credo che abbia qualcosa da comunicarmi».
«Certamente. Sono stato informato che alle 10.30 saranno comunicati i risultati...».
«Non dimenticherò di attribuire la menzione che merita al dipartimento che conduce con tanta brillante competenza».
«Le sono grato, sebbene sia forse superiore ai miei meriti. Però...».
«Però?».
«Ecco, se posso permettermi, con il dovuto rispetto, penso che forse sarebbe opportuno sottolineare che il traguardo è stato reso possibile dallo spirito dell’istituto. Lei naturalmente capisce. Essere la banca vicino casa in ogni angolo del mondo. Tanto vicina ai propri clienti da mandare giornalmente un rapporto sulla situazione a chiunque lo desideri, con uno qualsiasi dei mezzi che la tecnologia attuale consente».
«Certo».
«Unito a qualche consiglio per investimenti e disinvestimenti, sempre nel massimo spirito di imparzialità».
«Sono d’accordo con lei, Gibson».
«Nel momento attuale in cui la liquidità è così importante, è opportuno che i clienti sappiano a chi possono affidare serenamente il loro denaro, quale che sia la somma».
«Il nostro punto di forza, direi, Gibson».
«Proprio così, la nostra leva di Archimede...».
ORE 9.15 GMT, FRANCOFORTE
«Il loro punto di debolezza!» disse Sauber, del Kredit für Wiederaufbau di Francoforte, senza fare nulla per nascondere la punta di ironia nella voce. «Quella lettera che mandano anche su Twitter è l’equivalente del virus della peste bubbonica. Un giorno o l’altro qualcuno ne approfitterà per mandare in giro notizie tendenziose, e allora sì succederanno cose spiacevoli!».
La sua banca non era la più grande, ma era considerata la più sicura del mondo. E grande, comunque, lo era abbastanza.
«Sono d’accordo con te» rispose Gellert, della Banca Cantonale di Zurigo, consorella per reputazione e modalità operative dell’Istituto tedesco, «ma gli inglesi hanno la mania di ficcare il naso in ogni angolo di mondo. Così, ogni tanto, qualcuno glielo taglia».
«Già. Peccato che il loro capo sia un tedesco» disse Sauber, con rammarico. «Ha succhiato la sua sapienza bancaria assieme al latte di una mucca dell’Assia, ma poi gli inglesi lo hanno imbastardito a forza di tè».
«Da noi e da voi, credo... se non sbaglio... quando qualcuno vuole consigli finanziari...».
«Non glieli diamo» lo interruppe Sauber. «Sarebbe come dargli il pretesto per lamentarsi se qualcosa non va per il verso giusto».
«Oppure viene nei nostri confortevoli salottini. Allora lì, con molta prudenza, possiamo lasciar cadere qualche suggerimento, con tutte le riserve del caso».
Sauber doveva essere di buon umore, dato che uscì per un attimo dall’ambito professionale:
«Sai, una settimana fa sono stato in Giappone. Brutto debito, fra parentesi. Mi sono venuti in mente i nostri salottini».
«Ci sono stato anch’io. Non mi pare che le banche abbiano qualcosa del genere».
«Non le banche. I bordelli. Nessun cliente in arrivo vede quelli che escono e viceversa. Percorsi totalmente separati, fin dai garage. Ci sono dieci entrate da strade diverse, per poter lasciare la macchina».
«Hai ragione, allora è proprio come da noi. Una cosa assolutamente indispensabile. Metà dei nostri clienti sparerebbe all’altra metà, se si incontrassero».
«Già. E sono qui tutti per lo stesso motivo: far fruttare a qualsiasi costo i loro quattrini. Per fare altri quattrini che fruttino altri quattrini».
«Che Dio, quale che sia il loro, li benedica» disse equanime Gellert. «Devo a loro la mia casa sul lago e la mia la villa per le vacanze a Nida, sul Baltico. È proprio accanto a quello di Thomas Mann. Sai, qualche volta i turisti mi chiedono di visitarla».
«Bravo. Se ti piace l’acqua