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Il Pianeta dei Senza Morte
Il Pianeta dei Senza Morte
Il Pianeta dei Senza Morte
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Il Pianeta dei Senza Morte

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Anno 360 dell’era colonica: una oscura minaccia grava sulla catena dei pianeti esterni che viene evacuata per sottrarre gli abitanti allo sterminio. Sul pianeta Dahoner il geniale professor Zantris convoca Neila, sua brillante allieva, per coinvolgerla nelle ricerche sugli inquietanti mutamenti genetici che hanno innescato la devastazione. Ella rifiuta seccamente, ma il giorno successivo torna dal professore trovandolo riverso a terra nel suo studio, il ventre squarciato. Sospettata del delitto, fugge aiutata dal capitano Kion, un amico del Professore di stanza sulla spazionave “Cometa Invisibile”. Quando i sospetti la raggiungono sul vascello, Kion si vede costretto a sbarcare insieme a lei sul primo pianeta disponibile: il caotico Tantros.

Solo attraverso incredibili incontri e sconcertanti rivelazioni i due ragazzi potranno sopravvivere al viaggio che li porterà sul Pianeta Nascosto, il cuore della devastante metamorfosi che potrebbe ridisegnare il destino della galassia.

Fino all'incontro con Uno, la creatura multimente, e con i Padri della Vita, supremi tutori dell’esistenza.

Basterà per salvare la galassia?

LanguageItaliano
Release dateDec 1, 2016
ISBN9788822873071
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    Book preview

    Il Pianeta dei Senza Morte - Isabella Vismara

    quarantanove

    Prologo

    Fu nell’anno 360 dell’era colonica che l’umanità scoprì il suo limite. Dopo aver colonizzato migliaia di pianeti, giunse ai confini della galassia conosciuta e fu respinta. Per quanto si sia reso onore a questa specie, alla sua capacità di combattere per espandersi e sopravvivere, poco si è detto su come si svolsero gli eventi e su quanto accadde a chi ne fu protagonista. Poco si è detto e poco si vuole sapere: abbiamo forse timore di sentirci colpevoli?.

    Estratto dalla relazione del Professor Zantris durante il convegno sulla fine della specie umana.

    Capitolo uno

    La Colonia Legale

    Le ultime parole del Generale Ultris sono inequivocabili: la Colonia Legale è giunta all’obiettivo per cui è nata e la sperimentazione dove essere tentata immediatamente.

    Maledico il giorno in cui mi sono arruolato dieci anni fa, nell’anno 350 dell’era colonica. Come dimenticarlo? Ero molto giovane e maledettamente stupido.

    Seguo uno sperimentatore che, stretto nella tuta bianca, scivola come un fantasma verso il laboratorio centrale. Non ricordo neppure uno dei motivi per cui ho accettato l’incarico. O forse sì. Devo fermare la catastrofe, salvare il progetto trasformativo: è la chiave di tutto.

    La porta della sala antropica si dischiude e mi investe l’odore di fluidi corporei che aleggia nel blocco di sperimentazione. Il capo sezione, alto e allampanato, sorride. Le lunghe labbra sottili si intersecano con le rughe degli occhi.

    Abbiamo poco tempo, capitano Kion sussurra, loro hanno poco tempo sottolinea indicando la capsula trasparente che si erge al centro della sala.

    Tutto intorno, una dozzina di tecnici in tuta bianca sospendono la loro frenetica attività e mi fissano in silenzio.

    Non hanno mai visto una cavia? chiedo con un sogghigno mentre cerco di imporre alle gambe, improvvisamente rigide, di andare avanti.

    Non hanno mai visto un volontario replica l’altro abbassando gli occhi.

    Un brivido mi scuote la schiena. Respiro profondamente ed entro nella capsula.

    La porta si serra dietro di me con uno schiocco secco. Una pellicola biancastra mi avviluppa immobilizzandomi alla parete: dischiudo le labbra, annaspo in cerca di aria ma la presa si fa ancora più stretta. Le braccia, le gambe, tutto il corpo si contraggono in uno spasimo, ma nulla, la presa è implacabile. La capsula si inabissa sotto il pavimento della sala antropica ed ho la sensazione di precipitare nel cuore della terra.

    Nel silenzio assoluto, rotto solo dal palpito del cuore, una cannula penetra nelle narici e le inonda di aria vitale, poi un ronzio, come il volo di un insetto, incalza nel naso, su, sempre più su, penetrando il cranio in una fitta lancinante. Gli occhi si adattano velocemente all’oscurità, penetrano il buio e trovano altri occhi, altri mille e mille occhi dischiusi a fissarmi, piccole luci malate nel cuore della tenebra. Un’altra fitta lacerante mi scuote.

    E mentre i sensi mi abbandonano sento quei mille occhi malati avventarsi su di me.

    Capitolo due

    Esodo

    Neila entrò nel ventre dell’enorme spaziocargo e strizzò gli occhi tentando di adattarli all’oscurità. La tuta antisettica verde che le avvolgeva il corpo snello e forte nascondeva la lunga treccia di capelli che oscillava sulle spalle inquiete.

    E’ sola, dottoressa? aveva chiesto un ufficiale dalla barba spinosa e dalle mani unte quando era sbarcata dalla navicella di collegamento.

    Si, sono sola.

    Nel parlare aveva spalancato la bocca per un attimo e un’aria densa e maleodorante le era penetrata in gola facendola tossire. Si incamminarono lungo il corridoio di congiunzione tra la cabina di pilotaggio e la di zona carico.

    Non si può avere un po’ di luce, qua dentro? chiese procedendo a tentoni dietro il passo veloce dell’ufficiale.

    No, loro sono abituati alla penombra, la luce li spaventa e non voglio inquietarli. Sarebbe imprudente, dato il loro numero….

    Ma perché, quanti sono?.

    Un migliaio disse l’ufficiale grattandosi dietro l’orecchio, mille ominidi ammassati in una stiva da dieci giorni, senza servizi igienici e con viveri al minimo.

    ‘Ecco che sto per pentirmi di aver scelto questo mestiere’ pensò la ragazza.

    Aveva infatti con sé unicamente un mediscanner per analizzare lo stato di salute e un sintetron per la produzione di farmaci. Pochi passi e penetrarono in un locale immenso, semibuio, in cui aleggiava una umidità putrida e greve.

    Qui manca l’ossigeno! esclamò spalancando gli occhi.

    La fame d’aria la costringeva a inalare il fetore che avrebbe voluto respingere. Intorno a loro la zona di carico iniziava a prendere vita scricchiolando, gemendo, ansimando e strisciando. Strane pupille rettangolari si assiepavano a centinaia, sempre più fitte, circondandoli: piccole luci malate che brillavano di speranza.

    I suoi occhi, adattandosi all’oscurità, andavano svelando corpi pallidi e inquieti.

    Quando arrivano i rinforzi? chiese asciugando il fine sudore che iniziava ad imperlarle la fronte.

    Non si illuda: ci sono altre seicento navi come questa, anche più grandi, che hanno già attraccato su Dahoner o stanno per attraccare!.

    Uuuh, sarà divertente allora!.

    Faccia quello che può concluse il pilota dileguandosi tra le pieghe dell’oscurità.

    Neila respirò a pieni polmoni e si inginocchiò per estrarre il mediscanner dalla sacca.

    Al lavoro esclamò dimenandosi.

    Un piccolo di ominide dal viso tozzo si fece avanti.

    Loro non torneranno più? chiese sgranando gli occhi e agitando le mani a tre dita.

    Loro chi?.

    Il piccolo chiuse gli occhi e infilò le dita in bocca, mordicchiandole, poi prese a piagnucolare.

    No, non torneranno, replicò la ragazza carezzandolo, qui sei al sicuro.

    Lo disse con voce alta, per essere udita da tutti: centinaia di piccoli occhi sorrisero.

    Capitolo tre

    La minaccia

    I tre soli di Dahoner erano al tramonto quando Neila entrò nel discensore seminascosto dagli alberi carichi di bacche variopinte. Tutto intorno era il parco del campus universitario, uno dei più ricchi di biodiversità della galassia. Per antica tradizione, infatti, ogni studente che giungeva sul pianeta portava in dono una specie arborea tipica della sua zona di origine o una rara varietà animale.

    Ventottesimo sottolivello, dipartimento di bioscienze terapeutiche umane ed aliene ordinò mentre si chiedeva perché il vecchio l’avesse fatta convocare a quell’ora. Aveva dormito per sedici ore di fila per riprendersi dal servizio sul cargo carico di umanoidi e, al risveglio, aveva ricevuto una comunicazione dal Professore in persona, uno di quegli inviti colmi di cortesia che si possono rifiutare solo in punto di morte.

    Le porte del discensore si aprirono in un breve corridoio le cui pareti a specchio esaltavano la sua figura agile e ben modellata.

    Potrei anche sedurlo, se ne avessi lo stomaco pensò contorcendo le labbra.

    Una voce dall’accento metallico le chiese di identificarsi.

    Neila Antares, dottore in bioscienze terapeutiche umane ed aliene.

    L’accesso allo studio del Professor Zantris fu autorizzato e si trovò in un vasto soggiorno dalle pareti azzurrognole e cangianti, permeato dall’odore di salsedine e di pesce. Al centro, un enorme divano color sabbia ed un tavolino dal ripiano concavo, a conchiglia, su cui svettavano due piatti ricolmi di frutti di mare.

    Delizioso… mormorò, mentre un crampo allo stomaco le causava un rigurgito acido in bocca.

    Professore? chiese scrutando d'intorno.

    L’ambiente era permeato dall’estroso cattivo gusto tipico degli anfipedi.

    Già, gli anfipedi. Neila li conosceva come una specie umanoide di grande sagacia, il cui nome derivava all’unione delle due parole anfibio e bipede. Degli anfibi avevano il colore della cute e le branchie; per il resto, o meglio per il loro attaccamento al potere ed alla ricchezza, erano in tutto e per tutto umani.

    Oh, scussa, carra, ero intento ad un pisolino nell’idroforo aereo.

    La voce proveniva dall’alto, dalla capsula oblunga e piena d’acqua in cui Zantris era sdraiato. In un attimo questa discese appoggiandosi sul pavimento e ne uscì un umanoide alto e scattante, dalla pelle untuosa e verdastra. Le branchie a lato del collo si richiusero e il vestito in tessuto rax asciugò istantaneamente la pelle: quel tessuto era uno dei suoi brevetti, per l’esattezza quello che l’aveva reso enormemente ricco.

    Ero certo che saresti venutta, mia carra aggiunse sempre con tono leggermente sibilante.

    Quella era l’inflessione infelice per cui gli studenti lo irridevano di nascosto.

    è un piacere vederla, Professore, rispose tendendo la mano verso quella di lui che già si protendeva. Il saluto si fermò lì, perché gli anfipedi non amano il contatto con la pelle ruvida e secca dei terricoli.

    Posso offrirti qualcossa, carra? chiese mentre il quarto dito della mano palmata indicava con un lieve cenno il tavolino.

    Neila scosse la testa.

    Si accomodarono sul divano. Un garbato dondolio la informò che era seduta su cuscini ad acqua. La situazione del suo stomaco si aggravò e strinse i denti per respingere un conato.

    Ora che ssei a tuo aggio, carra disse con un ampio gesto della mano destra mentre la sinistra si tuffava nella ciotola dei frutti di mare, ecco, dimmi, cossa sai dei pianeti esterni?.

    "Attualmente la flotta spaziale li sta evacuando in massa, su due piedi e per di più con navi cargo. Sono pianeti di scarso rilievo ai confini della galassia conosciuta, popolati da umanoidi da miniera e da agricoltura. Il loro

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