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La sfida CEDU - Dalla sentenza Torreggiani all'evoluzione del sistema penitenziario italiano
La sfida CEDU - Dalla sentenza Torreggiani all'evoluzione del sistema penitenziario italiano
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Ebook268 pages3 hours

La sfida CEDU - Dalla sentenza Torreggiani all'evoluzione del sistema penitenziario italiano

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Il presente elaborato ha lo scopo di analizzare gli effetti che ha avuto sull’ordinamento penitenziario italiano la nota sentenza Torreggiani, emanata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2013.
LanguageItaliano
PublisherEnrico Farina
Release dateDec 1, 2016
ISBN9788822872890
La sfida CEDU - Dalla sentenza Torreggiani all'evoluzione del sistema penitenziario italiano

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    La sfida CEDU - Dalla sentenza Torreggiani all'evoluzione del sistema penitenziario italiano - Enrico Farina

    Enrico Farina

    La sfida CEDU - Dalla sentenza Torreggiani all'evoluzione del sistema penitenziario italiano

    UUID: 2783154e-0a4a-11e7-a50d-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    INTRODUZIONE

    1. PENE E TRATTAMENTI INUMANI E DEGRADANTI

    Differenzazione dei concetti di pene e trattamenti inumani e degradanti

    2. Giurisprudenza della Corte di Strasburgo nell’applicazione dell’articolo 3 CEDU

    2.1 Le prime tendenze interpretative della Corte

    2.2 Evoluzione dell’approccio della Corte in merito alle condizioni detentive

    2.3 La nuova giurisprudenza CEDU

    2.3.1 Il sovraffollamento penitenziario alla luce delle sentenze pilota Ananyev c. Russia e Torreggiani e Altri c. Italia

    2.4 Funzione del CPT nell’ambito del sistema CEDU

    2.4.1 Il corpus degli standards elaborati dal CPT

    2.4.2 Evoluzione della relazione tra CPT e CEDU

    2.5 Regole Penitenziarie Europee

    2. EVOLUZIONE DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE

    2. Gli antefatti normativi, politici e giuridici all’emanazione della sentenza Torreggiani

    2.1 Il carattere di sentenza-pilota della sentenza Torreggiani

    2.2 Rimedi interni mediante i quali il detenuto può denunciare la lesione dei propri diritti

    3 L’obiettivo istituzionale della riduzione del sovraffollamento penitenziario

    3.1 Messaggio del Presidente Napolitano

    3.2 I primi passi sul versante preventivo della tutela, a seguito della sentenza Torreggiani

    3.2.1 La sentenza della Corte Costituzionale n. 279 del 2013

    3.2.2 La sentenza della Corte Costituzionale n. 135 del 2013

    4.1 Il riconoscimento dei diritti dei soggetti reclusi

    4.2 Le innovazioni normative conseguenti al decreto-legge n. 146 del 2013

    4.2.1 La riformulazione dell’articolo 35 della legge 354/75

    4.2.2 La riformulazione dell’articolo 35 bis della legge 354/75

    4.2.3 La riformulazione dell’articolo 69 della legge 354/75

    4.2.4 Impugnazione dell’articolo 35 della legge 354/75

    4.2.5 Il giudizio di ottemperanza

    4.2.6 Modifica dell’articolo 678 c.p.p.

    5.1 Gli antefatti giurisdizionali dei nuovi rimedi compensativi

    5.2 Intervento della Corte di Cassazione

    5.3 Introduzione dell'articolo 35 ter legge 354/75

    5.3.1 Analisi dei commi 1, 2 e 3 dell'articolo 35 ter. o.p.

    5.4 Osservazioni conclusive

    3. AZIONI DI CONTRASTO AL SOVRAFFOLLAMENTO PENITENZIARIO

    2. Antefatti e concause del sovraffollamento

    2.1 Il sovraffollamento come doppia pena

    3. Analisi del flusso di ingressi in carcere

    4 Relazione tra custodia cautelare in carcere e sovraffollamento

    5.1 Il piano-carceri

    5.2 Impatto della l. 199/2010 sul fenomeno del sovraffollamento

    5.3 Superamento degli OPG

    5.4 Modifiche al testo unico sugli stupefacenti

    6 Il Garante dei diritti delle persone detenute

    6.1 Funzioni e responsabilità dell’Ufficio del Garante

    7 Azioni integrative per contrastare il sovraffollamento

    7.2 Proposta della Commissione Giostra

    7.3.1 Legge 28 aprile 2014, n. 67

    7.3.3 Misure interdittive e prescrittive

    CONCLUSIONI

    BIBLIOGRAFIA

    BIOGRAFIA

    Note

    INTRODUZIONE

    Il presente elaborato ha lo scopo di analizzare gli effetti che ha avuto sull’ordinamento penitenziario italiano la nota sentenza Torreggiani , emanata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2013.

    Con la condanna inflitta dalla Corte di Strasburgo all’Italia, per trattamenti inumani e degradanti vissuti dai detenuti (costretti a subire gli effetti del sovraffollamento carcerario), il nostro Paese ha dovuto implementare innovazioni giuridiche, procedurali ed organizzative del sistema penitenziario, al fine di rispondere – nel breve termine di un anno – a quanto disposto dai giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo.

    Il presente elaborato si struttura in tre capitoli che illustrano le innovazioni che hanno portato a modificare il sistema penitenziario italiano, dal 2013 ad oggi.

    Il primo capitolo introduce il concetto di tutela dei diritti sanciti dall’art 3 CEDU, che pone quale obiettivo – ampio e generale – la prescrizione perentoria del divieto di tortura e di pene o trattamenti inumani e degradanti . In questo capitolo sono state analizzate le più rilevanti sentenze della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nell’applicazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, con particolare attenzione alla sentenza Ananyev e altri c. Russia , in cui la Corte di Strasburgo ha applicato il dispositivo dei " pilot judgments ", al fine di sintetizzare i principi giurisprudenziali elaborati in tema di condizioni carcerarie. Un ulteriore approfondimento è stato effettuato con riferimento alla sentenza Sulejmanovic c. Italia, che rappresenta il primo caso di contestazione al nostro Paese di una violazione dell’articolo 3 CEDU per sovraffollamento penitenziario. In questo capitolo si è illustrato quanto disposto dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene e trattamenti inumani o degradanti (da ora in poi CPT), per ciò che attiene la valutazione delle condizioni detentive, attraverso criteri per la determinazione del personal space (necessari al riconoscimento delle situazioni di sovraffollamento penitenziario ). Il capitolo si completa del contributo offerto dalla Convenzione per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti , dalla quale derivano le Regole penitenziarie europee, adottate mediante Raccomandazione R.(2006)2 dal Consiglio dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d’Europa; in tale capitolo si chiarisce che le Regole – se pur prive di valore coercitivo – fungono da linee guida per le Amministrazioni penitenziarie europee, poiché esprimono " principi fondamentali " a tutela della dignità umana dei detenuti.

    L’attenzione si è spostata (con il secondo capitolo) al contesto normativo nazionale, con specifico riferimento ai decreti legge che hanno implementato rimedi di tipo preventivo e compensativo (sulla base di quanto indicato dai giudici di Strasburgo), partendo dallo studio degli antefatti giurisprudenziali che hanno comportato l’applicazione della procedura pilota per la c.d. sentenza Torreggiani (da cui è nata la necessità di procedere, in tempi contingentati, al processo di riforma del settore penitenziario). Infatti, proprio in conseguenza della constatazione che la condizione di sovraffollamento nelle carceri italiane aveva assunto un carattere strutturale (comprovato dalle diverse centinaia di ricorsi proposti contro l’Italia e già allora pendenti innanzi alla Corte europea) la Corte di Strasburgo ha deciso di applicare la procedura della sentenza pilota per addivenire alla risoluzione definitiva del problema. Per comprendere le conseguenze di tale sentenza sul sistema istituzionale nazionale, il secondo capitolo evidenzia l’impatto avuto dal messaggio inviato alle Camere dal Presidente della Repubblica Napolitano (per la prima ed unica volta nel suo lungo mandato istituzionale) – potere conferitogli dall’articolo 87, comma 2, della Costituzione – allo scopo di trattare "con la massima determinazione e concretezza una "questione scottante ", da affrontare in tempi stretti nei suoi termini specifici e nella sua più complessiva valenza": la questione carceraria (con riferimento specifico alle criticità sollevate dalla Corte di Strasburgo). Il capitolo si sofferma sulle innovazioni normative conseguenti al decreto-legge n. 146 del 2013, intitolato " misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria " – atto convertito il 21 febbraio 2014 nella legge n. 10 – mediante il quale il Parlamento ha inteso dare un forte segnale per superare il fenomeno del sovraffollamento, ad esempio intervenendo sull’articolo 35 bis dell’ordinamento penitenziario (rubricato "reclamo giurisdizionale ), definito dalla dottrin a come un’autentica novità nel panorama esecutivo penale " [¹] ; nonché attraverso le modifiche apportate all’articolo 69 della legge 354/75 (rubricato " funzioni e provvedimenti del Magistrato di sorveglianza ), per l’introduzione di idonei strumenti esecutivi in modo da rendere certa l’ottemperanza dell’Amministrazione alle decisioni della Magistratura di Sorveglianza". Per quanto attiene al versante dei rimedi compensativi , il capitolo si sofferma sul nuovo articolo 35 ter della legge 354/75 (rubricato " rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nei confronti dei soggetti detenuti o internati "), che fa la sua comparsa nel sistema normativo italiano con il decreto-legge n. 92 del 26 giugno 2014 (in seguito convertito nella legge n. 117 dell’11 agosto 2014) – mediante tale articolo il Governo italiano modificherà in modo risolutivo la legge sull’ordinamento penitenziario.

    Infine, nell’ultima parte, si approfondiranno le innovazioni legislative finalizzate a contrastare le criticità del sistema carcerario – con particolare riferimento al fenomeno del sovraffollamento carcerario. Nel terzo capitolo si analizzano, inoltre, le correlazioni statistiche (tra variabili storiche, normative e organizzative del sistema penitenziario italiano) in raffronto al trend di presenze di detenuti nel corso degli ultimi decenni e sino al 30 giungo 2016 (data dell’ultimo aggiornamento semestrale elaborato dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria). In tale capitolo il tema del sovraffollamento , che ha interessato tutte le sfere dello Stato (dal piano politico a quello legislativo e da quello esecutivo a quello giudiziario) viene considerato come una pena integrativa – si parla a riguardo di doppia pena – per i soggetti condannati che, oltre a scontare la pena inflitta dalla legge, sono costretti a subire trattamenti non rispettosi della dignità umana – in dispregio all’art 3 CEDU; tale condizione appare ancora più penalizzante se patita da coloro (imputati, appellanti e ricorrenti) per i quali non è ancora intervenuta una condanna definitiva . L'analisi del trend di presenze negli Istituti penitenziari non può prescindere da una lettura che tenga conto dei fattori sociali, legislativi, economici e giudiziari degli ultimi decenni di storia del nostro Paese , per cui si analizzerà – la relazione tra il fenomeno del sovraffollamento e l’efficacia dei processi di rieducazione e reinserimento sociale del reo. Il capitolo, infine, si soffermerà sull’impatto delle azioni implementate dal nostro Paese , negli ultimi tre anni – al fine di intervenire sul fenomeno del sovraffollamento – sia da un punto di vista strutturale (c.d. piano-carceri ) e normativo (c.d. legge svuota carceri e modifiche al testo unico sugli stupefacenti etc. ), ma anche attraverso l’istituzione della figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (analizzandone funzioni, potenzialità e criticità). Infine, il testo si apre ad una serie di riflessioni sulla possibile esecuzione di azioni integrative che potrebbero favorire la risoluzione definitiva del problema del sovraffollamento, come: interventi di rimodulazione dell’assetto normativo (proposti nell’ambito delle Commissioni Giostra e Palazzo ) e forme di restorative justice (a cui si è ispirata la legge 28 aprile 2014, n. 67 "Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio . Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili").

    La tesi si conclude con una valutazione delle azioni adottate dall’Italia per ridurre il fenomeno del sovraffollamento carcerario, scaturite delle considerazioni effettuate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, rispetto alla natura e all’efficacia delle misure implementate dal nostro Paese – in esecuzione della sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti umani – che ha saputo generato profondi cambiamenti normativi, strutturali e organizzativi del sistema penitenziario italiano.

    1. PENE E TRATTAMENTI INUMANI E DEGRADANTI

    1 Definizione di pene e trattamenti inumani e degradanti nell’articolo 3 CEDU

    L’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani [2] sancisce il divieto di tortura e di trattamento inumano e degradante . A rafforzare la valenza inderogabile di tale disposizione vi è l’articolo 15, comma 2 , che garantisce l’inderogabilità della previsione anche relativamente al tempo di guerra [3] .

    Alla finalità ampia e generale della prescrizione perentoria del divieto di tortura e di pene o trattamenti inumani e degradanti, di cui l’articolo 3 si fa garante, non si accompagna, al contempo, una descrizione chiara ed esaustiva delle indicazioni in ordine al significato da attribuire a tali disposizioni, come invece avviene ad esempio nel caso del diritto alla libertà di espressione, sancito dall’articolo 10 CEDU che prescrive e chiarisce, al comma 1, che: ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione – tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera" [⁴] .

    La generalità del principio sancito dall’articolo 3 si esprime come un divieto assoluto , dall’applicazione ampia e variegata – " a very sweeping ban " [⁵] – tale da comprendere tutte le possibili manifestazioni di tortura e di trattamenti inumani. Emerge da ciò che la Convenzione si configura come di un testo vivente , ossia come uno strumento da interpretare, di volta in volta, a partire dagli orientamenti dei differenti Stati europei (al momento storico delle violazioni delle prescrizioni impartite dal testo). Tale approccio interpretativo, dinamico e flessibile , consente alla Convenzione di potersi adattare ai differenti ordinamenti nazionali alle nelle diverse epoche storiche.

    Sebbene il divieto sia assoluto, affinché l’articolo 3 possa essere applicato, risulta indispensabile che la condizione di maltrattamento in esame raggiunga un livello di gravità tale per cui se ne possa dedurre una violazione del principio. A riguardo, è utile richiamare la formulazione originaria della Corte quando afferma, nella sentenza relativa alla causa Irlanda c. Regno Unito: Ill-treatment must attain a minimum level of severity if it is to fall within the scope of Article 3 [⁶] ; al contempo, è necessario evidenziare come la Corte abbia chiarito che ogni caso deve essere valutato in modo specifico, tenuto conto delle proprie peculiari caratteristiche [⁷] . Da ciò si evince che – sempre per la Corte – il criterio di valutazione per l’applicazione dell’articolo 3 è dinamico e relativo, in quanto fondato sulle circostanze della fattispecie, quali: la durata del trattamento , gli effetti fisici o psichici e, in talune condizioni, l’ età , il sesso e lo stato di salute del soggetto che ha subito i maltrattamenti [⁸] . La relatività del criterio di valutazione, così come emerge dalle disposizioni impartite dalla Corte di Strasburgo , conferma tale carattere dinamico delle prescrizioni sancite con l’articolo 3, che si applicano secondo un’interpretazione evolutiva rispondente alle mutevoli circostanze storiche e culturali del contesto di riferimento; tale approccio appare ancora più esplicito quando si prendono in esame i periodi di grave crisi economico-sociale, caratterizzati da bassi livelli di democraticità (es. regime dei Colonnelli [⁹] ), durante i quali è plausibile che i maltrattamenti possano configurarsi come una pratica sistematica e per nulla occasionale [¹⁰] . Nel caso greco (innanzi indicato) la Commissione europea dei diritti umani , in carica sino al 1998 (anno in cui fu soppressa), affermò che ogni forma di tortura costituisce di per sé un trattamento inumano e, al contempo, che ogni trattamento inumano è anche degradante [¹¹] ; versus, la Corte europea dei diritti umani evidenziò – nel caso Tyrer – che tutte le manifestazioni di pena o trattamento degradante non si configurano automaticamente come inumane. Si evince come la Corte e la Commissione abbiano inteso rimarcare il principio di gradazione e di relatività intrinseco all’articolo 3, stabilendo così la soglia più bassa di rigidità del trattamento in corrispondenza dei casi di pena o trattamento degradante; la Corte ha voluto attribuire alla Convenzione la funzione di strumento, flessibile e dinamico, capace di adattarsi alle evoluzioni ed ai mutamenti del progresso storico, sociale e culturale.

    Per favorire una migliore applicabilità dei criteri interpretativi dell’art 3, secondo principi di flessibilità ed adeguatezza, la Corte ha definito una gerarchia delle forme di maltrattamento: tortura (seuil suprieur), pene o trattamenti inumani (seuil intermediaire), e pene o trattamenti degradanti (seuil minimum de déclenchement de l'article 3) [¹²] ; in questo modo la Corte – come anche la Commissione – ha di fatto introdotto il principio di gradazione , fissando la soglia più bassa di severità del trattamento in corrispondenza proprio dei casi di pena o trattamento degradante. Si tratta tuttavia di una ripartizione fluida, che risponde a quella flessibilità interpretativa che la Corte ha voluto accordare alla Convenzione, quale strumento in grado di adattarsi al progresso sociale.

    Se da un lato si evince un approccio flessibile e dinamico accordato all’interpretazione ed applicazione dell’art 3, allo stesso tempo la Corte ha inteso rimarcare il carattere non derogatorio dei principi alla base del suddetto articolo e dei doveri erga omnes che ne conseguono, ribadendo l'importanza di tale divieto quale principio fondamentale delle società democratiche – espressione utilizzata dai giudici di Strasburgo (per la prima volta) nel caso Soering c. Regno Unito , proprio tenendo in conto quanto enunciato dall'articolo 3, definito principio fondamentale e standard accettato a livello internazionale [¹³] . Oggi il divieto sancito dall'articolo 3 della Convenzione si configura come principio ricorrente in tutti gli strumenti internazionali finalizzati alla tutela dei diritti umani e in gran parte nelle moderne Costituzioni.

    Differenzazione dei concetti di pene e trattamenti inumani e degradanti

    Quanto innanzi descritto ci porta ad individuare due condizioni imprescindibili e consequenziali per l’applicazione dell’articolo 3 CEDU: in primis, è necessario valutare se il maltrattamento denunciato è tale da configurarsi come una fattispecie che rientra nell’ambito di applicazione del divieto, di cui al suddetto articolo; una volta appurata tale condizione sarà necessario definire la collocazione della forma

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