Potere & Poteri. Il backstage della politica calabrese
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Potere & Poteri. Il backstage della politica calabrese - Attilio Sabato
Collana
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ATTILIO SABATO
POTERE
&
POTERI
Il backstage
della politica calabrese
Proprietà letteraria riservata
© by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy
Edizione eBook 2016
Isbn: 978-88-6822-797-4
Via Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza
Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672
Siti internet: www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it
E-mail: info@pellegrinieditore.it
I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
Questo libro è dedicato ai miei genitori,
a loro va il mio ringraziamento per la curiosità
che sempre mi hanno saputo trasmettere
e per tutto il resto, che è moltissimo.
Presentazione
È il backstage della politica calabrese degli ultimi trent’anni.
Attilio Sabato rende vero il verosimile, provato il sospetto, posto il supposto. S’infrange il cristallo tra il popolo e i suoi rappresentanti e si percepisce l’ossificazione del nulla, le idee svaniscono su gambe che rincorrono un potere senza funzione, senza perché, che non sia quello del risultato personale. Non una frase che ricordi vagamente il bene comune o una lotta per l’interesse generale, nulla di nulla. Il re è nudo. Ma ciò che è nudo non è il politico, è la politica nella sua crisi conclamata. Dietro enunciati roboanti che scomodano le categorie più elevate dello spirito, il vuoto. Le azioni, i riscatti, le rivendicazione cedono agli intrighi, alle astuzie, camarille, miserie umane, trionfi e sconfitte di cartapesta. Sullo sfondo il popolo. Osservatore ignaro persino dei suoi bisogni, aspettative, desideri, affetti. L’apoteosi dell’egoismo. Un sistema individuocratico in luogo del democratico annunciato. Qualche esempio, insegnamento o parvenza di probità e un’interminabile replica di indifferenza che sospinge il popolo nella sfiducia verso il prossimo e lo fa ripiegare nella ricerca dell’ego più istintuale. Il substrato sempre più emergente del «fatti li cazzi tua» di razziana memoria, volgarità elevata a filosofia di vita che mette al riparo l’individuo dalla responsabilità sociale, negata nella sua ragion d’essere.
Il racconto, un affresco drammatico e comico insieme. È il tramonto dell’homo politicus aristotelico e il tripudio di quello machiavellico. Il protagonismo politico alla ricerca di onore e potere che emerge dalla narrazione di Attilio Sabato pone alla ribalta l’inganno, la rivalità, l’insidia tra le persone e i gruppi. Eppure la nostra è una repubblica democratica fondata sul lavoro e il partito politico è lo strumento offerto al cittadino per concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale.
Ma proprio in questi ultimi trent’anni sono accaduti due fatti degni di nota. Il mutamento di leggi elettorali. La «liquidazione» dei partiti storici. La forma di governo parlamentare voluta dal costituente è stata svuotata. Il graduale superamento del proporzionale e la marginalizzazione della selezione partitica del personale politico ha affidato a pochi «saggi» la composizione degli organi costituzionali elettivi. La sovranità è soltanto nominalmente del popolo. Nomina si nescis, perit et cognitio rerum, è soltanto un ricordo sbiadito. Non che nella c.d. prima repubblica il sistema partito abbia dato ottima prova di sé, ma almeno esisteva e agiva. Liquidato questo si sono ricercati surrogati idonei a rappresentare una sovranità popolare soltanto formale. Ed ecco la comparsa delle primarie o il ritorno alle investiture mediatiche. Le une e le altre di ossequio alla democrazia-procedimento ma in spregio alla democrazia di merito. Dopo la riforma del titolo V le regioni sono state erette a vere competitor dello Stato, senza la previsione di uno strumento a garanzia dell’unità e dell’indivisibilità nazionale. L’enorme rimessa di fondi europei ha comportato una mutazione genetica delle regioni. Da enti politici a sovranità concorrente a enti economici. Privi di risorse umane competenti e con un personale politico dibattuto tra la ricerca del consenso e la riscrittura dell’ordinamento giuridico su basi aziendali. Risultato: da soggetto ricettore ed elaboratore della domanda politica locale a dispensatore finanziario secondo idee di sviluppo prive di basi democratiche.
Si staglia un governo dei governanti e non dei governati. Si comprova l’antidemocratismo platonico e il rischio della tirannide ma senza il governo dei filosofi
. La sovranità è in cerca di appartenenza perché la politica ha voltato le spalle al popolo e ha ammiccato alla ricchezza. Ha posto le basi della propria condanna. Ha ceduto troppo terreno e lasciato alimentare contropoteri sovrastanti.
Il pericolo che le pagine di Attilio Sabato mettono a nudo è una politica «curtense» deprivata del coraggio delle grandi idee, che ha smarrito la forza del diritto alla ricerca della forza del patto. Ma quando nel patto si incontrano contropoteri forti si soccombe o si abbandona il campo. Ecco il prevalere della politica remissiva e ripiegata su se stessa, ove i tentativi di alzare la testa sono destinati a naufragare. Il Popolo, chi è costui? È la persona nella sua umanità universale. In quanto tale meritevole di ogni considerazione che ne sappia interpretare i bisogni e le angosce, i desideri e le aspettative. Occorre ripartire dalla centralità della persona nella comunità sociale ed economica per ricostruirne quella etica fondata sull’eguaglianza e la solidarietà. La politica deve riappropriarsi della centralità progettuale rivendicando la forza del pensiero critico ed elaborativo. Ma non può sottovalutare il ruolo delle istituzioni. Il pensatoio della politica deve iniziare dall’architettura istituzionale che conforma la stessa azione politica. Al variare della prima varierà la seconda. Le istituzioni di un paese sono lo specchio dell’agire politico che va ben oltre l’agire individuale. Non ha molto senso puntare il dito contro il singolo quando le regole sono inadeguate rispetto allo scopo e al contesto. Sminuire il ruolo della regola e della sua giustezza significa minare alle fondamenta il patto di una convivenza civile. Occorre ripartire dalle regole di organizzazione. È questa la fonte della crisi della politica.
In fondo il libro di Attilio Sabato punta i riflettori sulla medesima crisi che disgrega le istituzioni europee e quelle degli stati nazionali. Sarebbe analisi parziale e riduttiva farne una questione di uomini, che pure esiste, se non si prende atto che la cultura della deregulation ha prodotto danni sociali incalcolabili e aperto le porte ai tycoon mondiali. Nel microcosmo regionale calabrese v’è ciò che sta accadendo nel mondo, soprattutto occidentale.
Enrico Caterini
La politica è come un cantiere
Elezioni politiche del ’92. È l’ultima competizione in cui compare sulla scheda elettorale il simbolo della Democrazia Cristiana. Il partito che ha avuto un ruolo importante nella rinascita democratica italiana e nel processo di integrazione europea. Esponenti democristiani hanno fatto parte di tutti i governi italiani fino al 1994, esprimendo la maggior parte delle volte il Presidente del Consiglio dei Ministri. La Dc è sempre stata il primo partito nelle consultazioni politiche nazionali a cui ha partecipato.
Gino Pagliuso, politico cosentino di lungo corso, assessore regionale ai trasporti, uomo di punta in Calabria della corrente che fa capo al potente Riccardo Misasi, già ministro della pubblica istruzione e capo della segreteria politica di Ciriaco De Mita, è in forte apprensione.
Le notizie sullo stato di salute del partito non sono buone. L’arresto di Mario Chiesa, presidente di un grande ospizio milanese, avvenuto il 7 febbraio del ’92 per una tangente di sette milioni di lire, scuote il mondo politico italiano. Sono giorni di grande apprensione per le forze di governo, il clima è pesante, ma i massimi dirigenti della Dc invitano i responsabili locali del partito a non affrontare l’argomento nelle sezioni
. Le imminenti elezioni consigliano il profilo basso pensate a raccogliere consensi
in attesa che passi la bufera
. Gino Pagliuso è pronto a mobilitarsi per compà Riccardo
, è una vita che funziona così in campagna elettorale. Un rituale che l’assessore regionale conosce molto bene, sa cosa deve fare: contattare gli amici e prepararli per la mobilitazione. L’agenda è zeppa di nomi di gente che deve molto a Misasi
. Ci sono sindaci, segretari di sezione, presidenti di associazioni e un lungo elenco di professionisti che sanno muoversi in campagna elettorale per racimolare consensi
. Pagliuso comincia a macinare
telefonate e chilometri, consuma incontri e stabilisce nuovi contatti. Con il passare dei giorni la lista delle disponibilità cresce e si arricchisce di nuove esperienze. Il meccanismo funziona, almeno fino a quando l’uomo a cui Misasi ha conferito l’incarico di stimolare la partecipazione non si imbatte in un nutrito gruppo di fedelissimi che mostrano un’inaspettata riluttanza. Misasi? Con noi ha chiuso
. Pagliuso le tenta tutte per recuperare il malcontento pigiando finanche sulla leva delle promesse, ma niente. Il gruppo è inamovibile. La questione è seria perché in palio ci sono circa duemila voti, non una cosuccia da nulla. La corrente misasiana non può permettersi il lusso di mettere in libertà un pacchetto così cospicuo di voti. La concorrenza è spietata e bisogna intervenire, ma come? Pagliuso capisce che l’unico modo per ricondurre il gruppo alla base è far intervenire direttamente Misasi. Non intravede altre soluzioni se non questa. Decide di passare all’azione, non c’è tempo da perdere e pensa di contattare donna Titina Minasi, la mamma dell’onorevole. Una donna tosta, protettiva che ha molta influenza sul figlio. È lei che seleziona, vaglia e decide a chi fare del bene
. Quando Riccardo è a Cosenza gestisce il traffico
delle visite, stabilendo sia i tempi d’attesa che del colloquio. Nei giorni dei colloqui la piccola dimora, situata ad una manciata di metri da piazza Cappello, si riempie di varia umanità. È un via vai interminabile di gente che viene in città da ogni parte della Calabria per parlare con don Riccardo
. Pagliuso telefona a donna Titina per sapere se nel fine settimana Misasi sarà in città perché devo parlarci urgentemente
. L’anziana signora che tratta Gino come un figlio
lo informa del programma che il leader scudocrociato ha per il weekend, del resto c’è la campagna elettorale arriverà venerdì sera, ma tu vieni sabato mattina
.
Nel giorno stabilito, Pagliuso si presenta in casa Misasi, è uno di famiglia
, non fa anticamera, entra, saluta l’anziana donna e si infila dritto nella stanza dove il più potente della Dc calabrese riceve i clienti. Misasi non si scompone, è abituato al trambusto continuo di gente che entra ed esce dal suo studio, i colloqui durano pochi minuti per cui il ricambio è costante. Pagliuso attende con pazienza che termini l’ultimo dialogo in corso e, non appena l’ospite esce dalla stanza ringraziando l’onorevole per ciò che farà
, chiude la porta e comincia a raccontare l’accaduto a Riccardo. Un gruppo di nostri amici sindaci non vuole votarci, devi intervenire, incontrarli, parlarci. Non possiamo perdere questi voti
. Misasi scrive mentre Pagliuso parla. L’assessore regionale è agitato perché questa faccenda lo inquieta e non poco. Il deputato, al contrario, non sembra affatto turbato, continua ad annotare, sul blocco di fogli bianchi che ha davanti a sé sullo scrittoio, le istanze delle persone che ha ricevuto nel corso della mattinata. Ma il compare Gino non demorde, va avanti e prospetta a don Riccardo ciò che ha pensato di fare per favorire il contatto tra lui e gli amici: facciamo un pranzo a casa mia, sei d’accordo?
La proposta non dispiace al leader che, però, prima di dichiararsi disponibile, dà uno sguardo alla lista degli impegni elettorali previsti per quel giorno. A operazione completata si rivolge a Pagliuso con voce ferma: Alle 17.00 ho un comizio a Longobucco, pensi che ce la faremo?
L’amico Gino lo rassicura: Certo!
Ottenuto il consenso del capo, procede: chiama la moglie e avvisa che da lì a poco sarebbe tornato a casa per il pranzo con un gruppo di amici, alle perplessità palesate dalla donna per il poco tempo a disposizione per cucinare, la rassicura: basta un affettato di salame e qualche fetta di formaggio, tutto qui. Magari per Riccardo orientati per il solito menu: penne al sugo, cotoletta con contorno di patate lesse
. Gli ospiti siedono in tavola e cominciano a mangiare: pane, formaggio, salsiccia e soppressate, mentre discutono del partito, delle elezioni e del futuro della Calabria. Si argomenta amabilmente tra un bicchiere di vino e un brindisi per le elezioni che verranno. Pagliuso approfitta del clima disteso e conciliante che si è instaurato, complice il buon cibo e la disponibilità che intercetta da ambo le parti e si avventura nell’argomento. La prima sollecitazione
è per il sindaco di Lago, il capo, diciamo così, della comitiva dei dissidenti: Mi spieghi perché non sei d’accordo con le scelte di Misasi?
Cala il gelo, cessa di colpo il rumore di piatti, forchette e bicchieri, la tavola si fa silenziosa, tra i commensali il solo Misasi continua, imperturbabile, a degustare il cibo.
La risposta del primo cittadino non arriva, c’è grande imbarazzo e non accade nulla fino a quando il segretario della sezione della Democrazia Cristiana di Roggiano, che siede accanto all’onorevole deputato, non decide di osare: Caro onorevole, non so per quale ragione, ma ogni qualvolta entro in cabina elettorale convinto di non votare i nominativi dalla nostra corrente, poi, finisco sempre per attribuire le preferenze concordate. Non capisco cosa mi accade, non riesco a trovare una giustificazione logica, nell’attimo in cui devo scegliere apponendo la croce sul simbolo del partito e sui nomi indicati, mi comporto sempre nello stesso modo. Con questo voglio dire che il problema non siete voi, don Riccardo, mi scusi, ma questa cosa la devo dire perché ce l’ho sullo stomaco, ma gli uomini che scegliete, di volta in volta, imponendo a noi altri di sostenerli. Ebbene, le dico che non ci piacciono e non vogliamo votare per loro. Ecco, l’ho detto!
Misasi lo guarda, posa la forchetta con la quale aveva appena infilzato un pezzo di salsiccia dalla sperlunga sistemata al centro della tavola e con tono pacato risponde all’obiezione appena sollevata: Caro amico mio, la politica è simile a un cantiere e come tale deve rispettare le sue regole e la sua struttura organizzativa. Mi spiego meglio: c’è il responsabile del corpo di fabbrica, il direttore dei lavori, il capo cantiere, il capo squadra, il muratore, il ferraiolo, il manovale. Ognuno, cioè, ha un compito a cui assolvere, la stessa cosa deve avvenire in politica. Ora, spetta a voi scegliere il ruolo che intendete svolgere
.
La similitudine di Misasi è perfettamente calzante, i partiti di allora hanno costruito le loro fortune proprio grazie ad una organizzazione ben calibrata con una funzionale distribuzione di ruoli. Il partito locale poteva contare su una struttura di tipo piramidale con al vertice il capo-corrente, seguivano i luogotenenti, spesso sottosegretari o capi dei più importanti enti pubblici, più in basso nella gerarchia i grandi elettori che controllavano le reti clientelari locali: sindaci, consiglieri o segretari di sezione cittadine. A seguire la figura dei capi elettori, a cui spettava il controllo della rete sociale familiare, territoriale o professionale. Infine alla base della piramide i cosiddetti galoppini, i clienti veri e propri che ricambiano i favori e gli aiuti dei politici con il loro voto. Si cercava il consenso attraverso la continua soddisfazione di domande particolari provenienti dell’elettorato.
Il partito si mobilitava solo in vista delle competizioni elettorali. Di solito si procedeva con una riunione organizzativa presieduta dal capo corrente e allargata ai referenti territoriali che segnava l’inizio delle operazioni elettoralistiche. Nel corso della stessa si stabiliva la strategia e si procedeva nel distribuire i compiti per ognuno dei responsabili dei vari settori. Nelle correnti del più grande partito clientelare di massa, il capo elettore, livello intermedio della piramide organizzativa, aveva una responsabilità precisa: intercettare il consenso nel territorio. Il politico di riferimento, ma molto spesso i suoi sponsor, mettevano a disposizione una somma di denaro per finanziare la campagna elettorale: manifesti, santini, cene e spese varie. Le risorse servivano anche per gestire i centri di presidio territoriale attraverso i quali si organizzava la competizione. Un punto d’incontro (oggi si chiama così) temporaneo, allestito in alloggi messi a disposizione gratuitamente da imprenditori che per ragioni diverse investivano sulle fortune elettorali del politico a cui si legavano per ragioni diverse.
Questi avamposti del consenso organizzato
potevano contare non solo sull’opera di volontariato dei militanti, ma anche su altre figure di supporto e tra queste quelle degli datemi il materiale dell’Onorevole che ho degli appuntamenti
che si rendevano disponibili in cambio di piccole somme di denaro o buoni benzina per la mia macchina
. Nel gruppo anche i clienti che occupavano postazioni chiave: centralinisti, autisti, attacchini che prestavano la loro opera finalizzando l’impegno all’ottenimento di favori. Nelle correnti più ampie e meglio strutturate, i responsabili zonali non sempre riuscivano a rapportarsi con il capo
, anzi, quasi mai. Il contatto era sempre mediato dalle figure intermedie come previsto nella piattaforma organizzativa. Ma la trasmissione dei messaggi e le richieste non sempre avveniva nei tempi auspicati dal capo corrente.
A Riccardo Misasi, per esempio, è accaduto un fatto assai increscioso, proprio per un problema dovuto alla difficoltà di contatto tra il livello intermedio della struttura e il vertice della piramide.
L’aneddoto lo racconta un assiduo frequentatore di casa Misasi e confermato da Ernesto Funaro. La storia è questa: c’è una grande elettrice del leader democristiano che risiede a Fuscaldo, si chiama Assunta ed è il punto di riferimento della corrente misasiana per l’area del medio-alto Tirreno.
È un vero e proprio capo