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La Ragazza Strana
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La Ragazza Strana

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About this ebook

L'investigatore privato Sam Dyke viene assunto per trovare un uomo rilasciato di prigione e sparito subito dopo. Ma l’ex galeotto è un ex poliziotto che potrebbe essere stato incriminato per un crimine che non aveva mai commesso.

Lavorando per la figlia dell’uomo, Sam scopre rapidamente che non si tratta di un semplice caso di persona scomparsa: ci sono altre persone coinvolte, compreso il proprietario di un casinò di lusso e un ufficiale di polizia. E quando i brutali rappresentanti di un gruppo di asiatici compare con tutta la loro persuasione, Sam sa che deve scoprire la verità, prima che tutte le persone che ama diventino potenziali obiettivi….

LanguageItaliano
Release dateNov 28, 2016
ISBN9781507164464
La Ragazza Strana

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    La Ragazza Strana - Keith Dixon

    Sommario

    CAPITOLO UNO

    CAPITOLO DUE

    CAPITOLO TRE

    CAPITOLO QUATTRO

    CAPITOLO CINQUE

    CAPITOLO SESTO

    CAPITOLO SETTE

    CAPITOLO OTTO

    CAPITOLO NOVE

    CAPITOLO DIECI

    CAPITOLO UNDICI

    CAPITOLO DODICI

    CAPITOLO TREDICI

    CAPITOLO QUATTORDICI

    CAPITOLO QUINDICI

    CAPITOLO SEDICI

    CAPITOLO DICIASSETTE

    CAPITOLO DICIOTTO

    CAPITOLO DICIANNOVE

    CAPITOLO VENTI

    CAPITOLO VENTUNO

    CAPITOLO VENTIDUE

    CAPITOLO VENTITRÉ

    CAPITOLO VENTIQUATTRO

    CAPITOLO VENTICINQUE

    CAPITOLO VENTISEI

    CAPITOLO VENTISETTE

    CAPITOLO VENTOTTO

    CAPITOLO VENTINOVE

    CAPITOLO TRENTA

    CAPITOLO TRENTUNO

    CAPITOLO TRENTADUE

    CAPITOLO TRENTATRÉ

    CAPITOLO TRENTAQUATTRO

    CAPITOLO TRENTACINQUE

    CAPITOLO TRENTASEI

    CAPITOLO UNO

    Nonostante l’idea che le persone hanno di un detective privato, io non passo la maggior parte del mio tempo seduto nel mio studio in attesa che una bellissima bionda dagli occhi misteriosi e dalle gambe chilometriche entri nel mio studio, offrendomi denaro per trovare un parente scomparso.

    E la prima volta che mi è successo, ovviamente doveva essere accompagnata da un poliziotto.

    Il poliziotto si chiamava Howard e ci avevo avuto già a che fare un paio di volte negli anni. Se si cercasse il verbo arrancare sul dizionario, vi si troverebbe la sua foto accanto... Peccato che fosse magro, quasi ossuto, ma nonostante il suo aspetto, il suo atteggiamento era così greve che ti saresti aspettato che mettesse radici, se fosse rimasto fermo sufficientemente a lungo.

    Per questo quando mi resi conto che era stato lui a bussare al mio ufficio non mi aspettavo un miglioramento eclatante della mia giornata.

    Una volta entrato si guardò attorno e annuì.

    «Bene, è qui.»

    «Così sembra.»

    «Ho un lavoro per lei.»

    Probabilmente avrei dovuto scattare sulla sedia e mostrare un po’ di entusiasmo, ma ero decisamente a corto di voglia in quel periodo. Nei tre mesi precedenti  mio figlio Dan aveva gestito per me i miei Bitcoin online e in quei tre piccoli mesi aveva superato di gran lunga i miei guadagni da investigatore dei due anni precedenti.

    Non esattamente quella che si dice una buona motivazione per proseguire...

    L’ispettore Howard aprì la porta e si fece da parte. Una giovane donna entrò nello studio e nella mia vita.

    Troppo trito e stucchevole?

    Probabile, ma è esattamente come sono andate le cose. Lei era magra e slanciata, con quel modo di camminare così simile alle modelle, un piede di fronte all'altro, così diverso dalla camminata lenta e guardinga che le persone adottano quando entrano in uno spazio sconosciuto. Lei era entrata nella stanza come se fosse di sua proprietà, aveva individuato una sedia di suo gradimento e vi si era sistemata, appoggiando le mani filiformi su entrambi i braccioli. Era un piacere avere a che fare con lei.

    Scosse leggermente la testa per sciogliere i capelli, che saltellarono leggermente prima di sistemarsi. I capelli lunghi e del colore dell’ebano incorniciavano un pallido ovale al cui centro erano incastonati due occhi color nocciola. La donna accavallò le gambe, ma era seduta dal lato lungo della scrivania, quindi non ebbi modo di vederle. Non che avessi bisogno di farlo per immaginare quanto stupende fossero.

    Non mi resi conto di essermi alzato, finché non mi risedetti. Solo a quel punto anche Howard entrò nell’ufficio e si accomodò nell’altra sedia per i clienti, giusto accanto alla donna.

    Mi rivolsi alla mia ospite. «Lei non è bionda.»

    «Questo sarebbe un problema?»

    «Vedremo. Sam Dyke, piacere.»

    «Così mi è stato riferito. L’Ispettore Howard mi ha detto che, nonostante non si fidi di lei, probabilmente è l’uomo adatto allo scopo. Lei è una persona tenace, apparentemente. È così?»

    «Sì, non si fida mai di me.»

    «Ma lei è una persona ostinata?»

    «Faccio del mio meglio per esserlo, ma ammetto che ogni tanto può capitarmi di lasciar perdere.»

    La donna si girò verso Howard. «Probabilmente pensa di essere divertente. Lo aggiorno io oppure fai tu?»

    Approfittai del fatto che si era voltata per osservarla di profilo. Avevo visto di peggio. Naso dritto, delicata linea delle guance, lobi simili a conchiglie di porcellana. Ciglia lunghe, delicatamente delineate sotto sopracciglia leggermente arcuate. Ho già parlato dei capelli neri, ma mi sembra doveroso aggiungere il modo in cui le ricadevano ad onde sulle spalle, senza l’aiuto apparente di prodotti appositi o del parrucchiere.

    Howard si sporse in avanti e appoggiò una mano sulla mia scrivania.

    «Questa signorina ha bisogno del suo aiuto, Dyke. Le ho garantito che sarebbe stato in grado di portare a termine il lavoro. Non mi deluda.»

    «Oppure cosa? Non mi parlerai mai più? Sicuramente non morirò per questo.»

    Le labbra che si storcevano per l’irritazione fu l’unica risposta che mi diede, mentre continuava a fissarmi.

    Tornai ad osservare la donna. «Lei ha un vantaggio: conosce il mio nome. Io però non ho idea di chi lei sia.»

    «Prima lasci che le spieghi la situazione. Poi deciderà se vuole conoscere il mio nome.»

    «Sono tutto orecchi.»

    Lei si rilassò sulla sedia, scavallando le gambe e si sporse per raggiungere la sua borsetta. Howard si sedette più rilassato, guardando fuori dalla finestra alle mie spalle, osservando il centro di Crewe, come se dovesse far finta di non ascoltare. Quello, oppure trovava interessanti le persone intente a fare shopping.

    Nel frattempo la donna aveva aperto la sua borsetta. «Posso fumare?»

    «Preferirei di no, potrebbe far scattare l’antincendio. Non amo molto gli incendi.»

    La ragazza appoggiò la borsetta nuovamente a terra. Ogni azione era eseguita come se ci avesse riflettuto per ore prima di farla.

    «Mio padre si chiama Lorenzo Strano ed era un poliziotto. Qualche anno fa è stato giudicato colpevole di spaccio di steroidi e fu spedito in prigione. Ha scontato otto anni ed è stato rilasciato il mese scorso.»

    La ragazza fece una pausa e temetti che scoppiasse a piangere. Non che avesse mostrato qualche emozione fino a quel momento, ma il suo sguardo era talmente intenso che mi aveva portato a fare quel pensiero.

    «La prigione deve essere stata difficile per un poliziotto.» commentai.

    «Probabilmente. Non ne ho idea. Da quando è stato rilasciato non l’ho ancora visto.»

    Howard si inserì nel discorso. «Che poi è il motivo per cui siamo qui.»

    La ragazza lo squadrò gelida per poi tornare a concentrarsi su di me. «Quando mio padre è stato mandato in prigione, mia madre mi ha portato via da lui. Avevo diciassette anni e non protestai. Ero arrabbiata con lui, ma ero anche arrabbiata con lei. Mi può capire?»

    «Ovviamente.»

    «Dopo un anno lasciai casa per andare all’università e sono rimasta lontana da casa fino a qualche anno fa. Ora sono tornata da queste parti e sono diventata qualcosa che non avrei mai immaginato: una donna d’affari. Mi piace la mia vita, ho dei buoni amici e un ufficio di lusso.»

    «Tagliando corto: lei vuole che io ritrovi suo padre.» la interruppi.

    «La sua prima deduzione. Sono quasi impressionata.»

    «E cosa vuole che io faccia quando lo ritroverò?»

    «Voglio che mi dica dove si trova.»

    «E poi che cosa farà?»

    La ragazza mi fissò. «Quello dipende da me, il cliente, non crede?»

    «Non esattamente se per vendicarsi dall’aver abbandonato lei e sua madre, lei gli mettesse a soqquadro la sua casa con un fucile a canne mozze. Non se lo fa massacrare da una gang. Capisce cosa intendo?»

    «Non esattamente. In fondo questi sono affari, no?»

    «Voglio dire che se non vuole farle sapere dove si trova, magari ha tutte le ragioni di questo mondo per farlo, no?»

    La ragazza si girò nuovamente verso Howard. «Non ci stiamo capendo. Nella tua lista di investigatori ci sono altri nomi?»

    «Senta, io ritroverò suo padre, se è questo che desidera» mi intromisi, non dando tempo ad Howard di rispondere. «Ma deve prendere in considerazione la possibilità che potrebbe non voler essere trovato. Potrebbe scambiarci due parole e poi lui potrebbe scomparire di nuovo. Per quale altra ragione pensa che non si sia ancora messo in contatto con lei?»

    La ragazza strinse le labbra, mentre gli occhi coloro nocciola si indurirono, aumentando l’elettricità della stanza.

    «Non che siano fatti suoi, ma i rapporti tra me e mia madre non sono mai stati molto buoni. Deve tenere a mente che avevo diciassette anni, quando tutto questo è successo. Potrei quasi dire che lo accusai di aver distrutto la nostra famiglia. E non lo feci esattamente alle sue spalle.»

    «Cosa ne pensa sua madre?»

    Howard tornò ad interessarsi a quanto accadeva nella stanza, come se avesse sentito la parolina magica per rompere le sue osservazioni.

    «Maria è morta un paio di anni fa. Anjelica si è occupata di lei, ma alla fine il cancro ha avuto la meglio.»

    La ragazza osservò grata il poliziotto per aver detto qualcosa che evidentemente lei non era in grado di dire. Senza contare che ora conoscevo il suo nome: Anjelica Strano. Non male, anche se la proprietaria si stava dimostrando una ragazza tutto pepe.

    «Quindi suo padre è uscito di prigione e lei pensa che le stia alla larga perché non andavate d’accordo.» interruppi quello scambio di sguardi senza remore. «Non le ha sfiorato l’idea che potrebbe essere imbarazzato o che si vergogni? Forse non vuole vederla dopo aver scontato otto anni di prigione. Magari si è fatto un tatuaggio o è stato massacrato di botte. Magari vuole decidere lui i tempi del vostro ricongiungimento.»

    «Questo lo capisco, ma non lo posso sapere con certezza, no?» La ragazza tentennò prima di riprendere a parlare. «Non voglio che lui creda che gli porto rancore. Sono cresciuta. Ho perso mia madre... Non voglio perdere anche mio padre.»

    Non c’erano dubbio che il caso mi interessasse. Mi sarebbe piaciuto avere Anjelica Strano come cliente. Mi sarei accertato che avessimo regolari incontri di aggiornamento, magari in un ambiente più rilassato del mio scomodo ufficio.

    Ma suo padre era un ex poliziotto. Il che implicava che se avessi voluto saperne di più, avrei dovuto parlare con altri poliziotti, idea che non entusiasmava né me, né tanto meno loro. La ricerca però aveva tutta l’aria di un combattimento contro i mulini a vento. Se l’uomo avesse voluto parlare con sua figlia, era suo diritto decidere le modalità. Non c’era una vera ragione per me di venirne coinvolto, niente che potessi usare per autoconvincermi che avesse un senso accettare questo caso. Sempre che ci fosse un vero caso.

    «Mi rendo conto della sua situazione, signorina Strano. Ma non credo che ci sia qualcosa che posso fare per lei. Se posso darle un consiglio, le direi di parlare con i suoi vecchi amici, per vedere se hanno un’idea su dove possa essere finito.»

    Howard ci interruppe nuovamente. «Ci abbiamo già provato. Nessuno ha la minima idea. Per questo abbiamo deciso di rivolgerci ad un professionista. Ma siamo venuti prima da lei.»

    Non diedi peso alla frecciatina e lo stesso fece Anjelica, che intervenne. «Non vuole sapere la vera ragione per cui è finito in prigione?»

    «Non capisco che differenza possa fare.»

    «Si è arreso.»

    «Si è dichiarato colpevole?»

    «È stato un processo importante, molta pressione. I media vennero coinvolti. È stato accusato di comprare e rivendere steroidi da uno che lavorava in una palestra. Trovarono la merce in una valigia in casa sua e c’erano dei testimoni che lo avevano visto parlare con il suo fornitore, e altri testimoni che apparentemente avevano comprato da lui.»

    «Mi sembra un caso semplicissimo.»

    «Mio padre però non si difese in alcun modo. Per la prima volta nella sua vita, non aveva nulla da dire. Si limitò a sedersi in tribunale e lasciare che le cose seguissero il loro corso. Non si difese.»

    La tensione del momento le aveva affilato i lineamenti e le aveva acceso gli occhi. La ragazza aveva allungato una mano sulla scrivania tra di noi. Le sue dita erano lunghe e filiformi, le unghie laccate di rosa.

    «Per quale motivo pensa che non si sia difeso?»

    «Non le pare ovvio?»

    «Me lo spieghi lo stesso.»

    «O era davvero colpevole o stava proteggendo qualcuno.»

    «E quindi è finito in prigione? Difficile da credere per un poliziotto. Come si sono comportati i suoi avvocati?»

    «A malapena hanno interrogato i testimoni e sembravano per lo più annoiati.»

    «È andata in aula durante il processo?»

    «Un paio di volte. Però non riuscivo a sopportarlo. Aveva rinunciato, quindi alla fine perfino io pensavo fosse davvero colpevole. Ero giovane, non avevo nessuna esperienza.»

    «Perché ha cambiato idea?»

    «Perché sono figlia di mio padre, non rinuncio mai. Come lei, sono una persona testarda.»

    Venti minuti più tardi avevo accettato il caso di Lorenzo Strano. Non volevo e non avevo bisogno di lavorare, ma non ero stato in grado di obiettare alla forza delle convinzioni della ragazza, soprattutto perché Howard sembrava d’accordo con lei. Era una persona difficile da circuire, quindi se aveva intravisto qualcosa in questo caso tanto da portarla da me, probabilmente c’era qualcosa nel caso.

    Dopo che ci accordammo sui dettagli e la ragazza mi diede qualche foto del padre, si alzarono in contemporanea per andarsene.

    «Come ha trovato questo ispettore? Perché proprio lui?» le domandai.

    «Conosceva mio padre ed era l’unico che ci mandava gli auguri di Natale ogni anno. Sembra assurdo, ma era importante per noi, visto che chiunque altro preferiva fare finta che fossimo svanite dalla faccia della terra.»

    Howard si girò nuovamente verso la finestra, ma avrei giurato che fosse leggermente arrossito.

    «Deve essere stata dura. Normalmente i poliziotti fanno gruppo. Non ho una buona sensazione al riguardo. Se i poliziotti non hanno parlato con voi, sicuramente non saranno più propensi a farlo con me.»

    Come risposta la ragazza si limitò a porgermi un biglietto da visita con scritti sopra due nomi e relativi numeri di telefono.

    «Provi a parlare con loro. Conoscevano mio padre. Non parlerebbero mai con un ispettore, ma con lei che è comunque uomo di legge potrebbe funzionare, come si suol dire. Non parlano con me, perché... beh, perché sanno chi sono. Probabilmente si vergognano.»

    «E lei pensa che possa obbligarli a parlare?»

    «Sono sicura che troverà il modo.»

    Mi girai verso Howard. «Cosa ne pensi? Perché si è dato alla macchia, secondo te?»

    «Non ne ho idea. Sono fatti tuoi da questo momento in avanti. Io ho già fatto abbastanza, solo perché mi sta a cuore la famiglia.»

    In fondo lo capivo. Probabilmente stava agendo contro il suo interesse anche solo dirottando la ragazza verso di me in primo luogo. A prescindere dal loro grado era sempre più complicato per i singoli poliziotti agire indipendentemente dal sistema. Quasi sicuramente Howard aveva le mani legate.

    Per un istante mi guardò come se dovesse aggiungere qualcos’altro, ma si limitò ad annuire, accompagnandola verso la porta. Prima di uscire, la ragazza rientrò nella stanza, mi strinse la mano e solo in seguito mi porse il suo biglietto da visita.

    «Per quanto riguarda il mio nome, non uso più il cognome Strano. Troppa pubblicità negativa, quindi l’ho cambiato.»

    «Come la devo chiamare?»

    Prima di rispondere la ragazza si avvicinò nuovamente alla porta, per poi girarsi verso di me in una nuvola di lunghi capelli neri. «Mi sono limitata a tradurre il mio cognome: Anjelica Strange. In fondo anche a scuola mi chiamavano la ragazza strana.»

    CAPITOLO DUE

    Dopo che uscirono dal mio studio mi risedetti sulla mia sedia osservando la porta. Poi passai al muro, per poi dedicarmi ad una sessione di osservazione della sedia in cui Anjelica Strange aveva riposato il suo proporzionato fondoschiena. L’osservazione prese il posto della riflessione per qualche minuto, ma alla fine tornai a pensare e mi domandai perché avessi accettato quel caso. Mi ci mancava solo la scocciatura di aver a che fare con poliziotti, presenti o passati che fossero, quindi mi stavo chiedendo se non avessi detto di sì solo perché ero attratto da Anjelica Strange.

    Ero anche rimasto colpito dal fatto che la storia mi era familiare per motivi che non comprendevo davvero. Dopo un lungo momento di riflessione capii che la relazione di Anjelica con suo padre era simile a quella che avevo con mio figlio, Dan. La prima volta che ci incontrammo mi accusò di non aver fatto nulla per salvarlo dagli orfanotrofi che aveva girato. Il fatto che non avessi la più pallida idea della sua esistenza non aveva assolutamente stemperato il suo risentimento. La forza di Anjelica Strange mentre parlava di suo padre mi ricordava il fuoco che avevo visto negli occhi di Dan all’inizio: il dolore di essere stato trascurato, di essere considerato insignificante. Avevo riconosciuto quello sguardo negli occhi di lei, perché l’avevo visto in quelli di lui.

    Alla fine recuperai il pezzo di carta che aveva lasciato sulla mia scrivania prima di andarsene. La ragazza aveva parlato di due uomini che conoscevano suo padre sul lavoro e in fondo doveva prevedere che avrei accettato il lavoro, perché lo aveva scritto prima ancora di entrare nel mio ufficio. La scrittura era chiara e arrotondata e aveva vergato i nomi di Gareth Leatherby e Arthur White, con un numero di cellulare accanto ad entrambi.

    Sollevai il telefono e composi il primo numero. Dopo una serie di squilli una voce tranquilla rispose.

    «Chi parla?»

    «Sto parlando con Gareth Leatherby?»

    «Prima lei. Chi è? Chi le ha dato questo numero?»

    Gli dissi il mio nome e gli spiegai come avevo avuto il suo numero.

    «Anjelica Strange? La figlia di Strano?» mi chiese.

    «Sì.»

    «Le ho già detto che non avrei parlato con lei o con quel viscido di Howard. Vai a farti un giro, amico.»

    «Sa perché voleva parlare con lei?»

    «Qualcosa riguardante suo padre. Ripetimi chi sei tu.»

    «Mi ha incaricato di trovarlo. Lei è il mio primo tentativo.»

    «Io? Sai dove puoi metterti il mio numero? In fondo lei è una specie di investigatore, no?»

    «Quello è ciò che è scritto sull’annuncio delle pagine gialle. Dove posso incontrarla?»

    «Non puoi.»

    «Non mi ha ancora chiuso il telefono in faccia. È interessato alla questione, lo ammetta.»

    «Simpaticone.»

    «Lei è in un pub o in un bar, vero? Sento il suono di un biliardo in sottofondo.»

    Il poliziotto non parlò per qualche secondo. «Quindi... Si tratta di suo padre?»

    «È uscito di prigione e non è ancora riuscita a contattarlo. Vuole solo sapere se sta bene.»

    Una nuova pausa.

    «The Regina, Shelton. Supera la chiesa di Saint Mary, è sull’angolo, accanto ad un concessionario Land Rover. Sono seduto sulla destra e vi rimarrò per un’altra ora.»

    «Indosserò un garofano sul taschino.»

    «Meglio di no, non supereresti la porta.»

    Mi ci volle mezz’ora per raggiungere la A500 fino alla deviazione per Shelton, un’indefinita anomalia nella conurbazione di Stoke-on-Trent. Sebbene fosse quasi l’ora di pranzo di lunedì, la strada era abbastanza tranquilla, anche se probabilmente era più dovuto al fatto che nessuno vi volesse davvero andare.

    Nel mezzo dei relitti di fabbricati commerciali in mattoni rossi che la strada principale di Shelton attraversava, la chiesa di Saint Mary svettava come un faro dell’era vittoriana, nel suo ricco giardino verde a bordo strada, slanciato verso il cielo come se promettesse rifugio dalla faticosa e noiosa esistenza che la circondava.

    Posso facilmente immaginare che, come me, la maggior parte delle persone la degnava a malapena di uno sguardo, mentre passavo accanto alla concessionaria della Land Rover e parcheggiavo vicino al The Regina. Si trattava di un vecchio pub, rinnovato qualche anno prima, ma rapidamente tornato al suo precedente livello di decrepitezza, come un vecchio barbone che continua a preferire il suo cappotto logoro e la cintura di corda ad un completo elegante.

    La sua pesante porta di legno era spessa a sufficienza da sopportare un’orda di assetati minatori del secolo scorso, ma quando entrai non mi stupii di vedere solo Leatherby. Era impossibile sbagliarsi, neanche avesse un neon luminoso sulla fronte. La posizione delle spalle, gli occhi vigili, perfino il suo stile nel vestire lo additavano immediatamente come poliziotto. Inoltre ovviamente era seduto da solo al tavolo, di fronte a sé una pinta di birra scura.

    Ordinai una birra dalla cameriera al bancone e mi sedetti di fronte.

    «Ho scordato il mio garofano.»

    «Ti avrei beccato come detective privato in un secondo. Senza contare che sei entrato come se fossi il proprietario del posto.»

    L’uomo aveva un discreto girovita ed era sulla buona strada per il sottomento, ma i suoi occhi si muovevano rapidi e la sua pelle era relativamente liscia. Doveva avere circa cinquant’anni, a giudicare dalla calvizie incipiente e dalle prime macchie dell’età sulle mani. Probabilmente si era tenuto in

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