L'Utopia come pratica: alla scoperta di Ecovillaggi e comunità intenzionali
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Book preview
L'Utopia come pratica - Domenico Villano
Domenico Villano
L'Utopia come pratica: alla scoperta di Ecovillaggi e comunità intenzionali
UUID: 59b3965a-da30-11e6-9c8d-0f7870795abd
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Indice dei contenuti
Prefazione a cura di Maria Rosaria Mariniello
Prologo
Introduzione
Nomadelfia
Urupia
Comunità di Taizé
Findhorn
Ritualità magia e natura
Il Kibbutz
Auroville a cura di Francesco Villano
Conclusione
Ringraziamenti
Alla mia Iga.
A Mario, Lorenzo e Tony che mi hanno accompagnato in quest'avventura.
E a mio padre che ha avuto la pazienza di correggere i miei strafalcioni.
Prefazione
a cura di Maria Rosaria Mariniello
Lei è all’orizzonte […] Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi.
Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là.
Per quanto cammini, non la raggiungerò mai.
A cosa serve l’Utopia ? Serve proprio a questo: a camminare.
Da Parole in cammino. Finestra sull’utopia
di Edoardo Galeano
E’ con un po’ di emozione che mi accingo a scrivere la mia prima
presentazione ad un lavoro scritto da altri, sento il peso di questa responsabilità perché sono le prime parole con cui approccia il lettore, la lettrice, e da questo poi la voglia di andare avanti in maniera curiosa o procedere con un margine di lentezza. Questa responsabilità mi viene data dal giovane scrittore stesso per i motivi che cercherò di inserire in modo lieve nelle parole che seguono, ma si sa talvolta le parole rischiano di essere logore ma intanto sono necessarie per raccontare. Sono la presidente in carico dell’Associazione CortoCircuito Flegreo, nata nell’aprile del 2011 ad opera di 27 soci fondatori, consumatori, contadini, artigiani che avevano in comune il desiderio di mettere in pratica il sogno diverso tra città e campagna, tra natura e cultura, tra agricoltura e terra, in maniera strutturata oltre la pratica già esistente, da qualche tempo andata avanti in maniera informale. Quest’esperienza può definirsi di comunità, anche se continuamente in evoluzione, perché chi vi aderisce a volte c’è a volte non c’è, la contiguità territoriale è segmentata, e non consente al meglio il confronto continuo. Comunque sia CortoCircuito Flegreo nasce con l’intenzionalità di creare un progetto dai principi condivisi che necessariamente vanno costruiti durante il processo di approfondimento delle relazioni, siano esse umane, economiche, culturali e solidali e mai date per scontate da un foglio chiamato statuto. Tra i tanti progetti messi in campo in questi anni molti hanno prodotto dei cambiamenti di stili di vita, che chiamiamo semplificando buone pratiche
e che ci hanno consentito di creare piccole economie solidali, con chi produce e con la Terra stessa, imparando da un chicco di grano che deve crescere in un terreno non sfruttato precedentemente o dalla macerazione di una povera negletta ortica che, irrorata sulle piante, può rinforzare la salute di un’insalata. Abbiamo messo in piedi un sistema di certificazione di produttori e prodotti, che definiamo partecipata, perché vive attraverso l’incontro e la conoscenza del ciclo produttivo, della vita concreta di chi produce, tenendo lontana la logica del bollino
a pagamento, che decide, per delega, se ciò che si produce e di cui ci cibiamo, è sano. Questo percorso è sempre stato ricco di spunti, di fermenti, di relazioni, talvolta anche esuberanti
ma sempre con il senso che vale la pena di essere vissuto magari imparando con umiltà a comprendere i cambiamenti che le dinamiche provenienti dall’esterno, e anche quelle che produciamo dentro noi stessi, ciò che chiamiamo comunemente crisi, vanno affrontate tutti i santi giorni, facendo i conti ed evitando le cadute rovinose. Un mercato genuino e clandestino insomma che contiene al suo interno tanti altri contenitori: filiere corte, prefinanziamenti alla fonte, sostegno di attività sociali, approfondimenti e formazione di nuovi sistemi agro-ecologici per curare la Terra e ricavarne da essa un sostentamento non intensivo. Un’orma più leggera insomma per attraversarla creando meno danni possibili. Ho conosciuto Domenico Villano poco più di un anno fa. Era venuto al Lago d’Averno durante lo svolgimento di uno dei nostri due incontri mensili in cui produttori e consumatori si scambiano esperienze, prodotti, idee, progetti e consolidano rapporti di amicizia. Ci sottopose una visita al giardino tropicale
di Licola, luogo in cui suo nonno Michele coltiva con passione kiwi e avocado, per poter partecipare con noi alla conoscenza e scambio di questi frutti della sua terra. Domenico stesso, con l’aiuto della famiglia, dà una mano al nonno per mantenere quel luogo in maniera direi quasi incantata. Infatti quando con un gruppo di soci siamo andati a visitare il giardino, siamo rimasti colpiti dall’armonia e dagli intrecci fra le varie piante che tra loro si sostenevano e dai cui rami pendevano grandi e lucidi avocado, piccoli e pelosi kiwi. Entravamo in una dimensione tropicale creata in piena area flegrea grazie all’ostinata passione di un uomo sostenuto dall’entusiasmo di un giovane! A Domenico piace parlare, sorridendo, e negli incontri successivi mi racconta la sua esperienza di giovane studente che sta per laurearsi in sociologia dell’ambiente e del territorio con una tesi dal titolo intrigante L’Utopia come pratica. Le comunità intenzionali e l’etica di Foucault
storie su alcune esperienze di comunità, italiane e non, andando di persona a vivere in alcune di queste per coglierne gli aspetti quotidiani da un lato e lo slancio progettuale dall’altro, fotografando la forza che ne sostiene l’impalcatura, interagendo con il lavoro, le persone e gli spazi. Come non provare interesse per questo lavoro, seguito anche un po’ a distanza mentre andava di qua e di là e via via arricchiva la sua esperienza e ne riempiva pagine su pagine? Poi infine qualche mese fa si è laureato con soddisfazione e ha inviato il suo lavoro ad alcuni suoi contatti vicini alla sua sensibilità. Sono stata tra questi ed ho letto il suo lavoro, fresco, autentico, coinvolta nelle tematiche sia di premessa sia quelle in campo aperto
, come si addice ad un sociologo ! Commentando con lui questa sua fatica sentivo una nota di delusione perché non avrebbe avuto la possibilità di pubblicarlo. Il sorriso diventava un po’ mesto, quasi si spegneva. Perché non realizzare questo suo desiderio con un sostegno dal basso ? lanciando l’idea tra i nostri soci ? Mi sembrava coerente con i nostri principi, con la pratica della sostenibilità e della resilienza. Ho condiviso l’idea con il gruppo territoriale di CortoCircuito Flegreo e lanciato l’iniziativa. E’ andata in porto ed ora il lavoro di Domenico è un piccolo, prezioso libro.
Buona lettura !
Prologo
Procolo non era un uomo primitivo, non era neanche un Aborigeno australiano, né veniva da terre lontane. Nella Linea 1 della Metro di Napoli, diretta alla Stazione Centrale, tutti i volti gli erano familiari. Forse non proprio tutti insomma, aveva notato dei forestieri dalla pelle nera, altri con gli occhi a mandorla, delle affettuose famigliole color caffèelatte, tutti loro parlavano lingue a lui sconosciute, ma nonostante ciò non attiravano la sua attenzione. Quando era