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Ecate: La signora del fuoco
Ecate: La signora del fuoco
Ecate: La signora del fuoco
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Ecate: La signora del fuoco

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About this ebook

"La Storia narra che moltissimi secoli or sono a quattro sorelle fu imposto l’ingrato compito di vegliare sull’equilibrio del mondo grazie alla magia degli elementi. A ognuna di loro fu donato il controllo di un unico potere e nacquero così le signore degli elementi: Aether, signora dell’aria; Ecate, signora del fuoco; Gea, signora della terra; e infine Urcla, signora dell’acqua. Ma la storia divenne leggenda e il ricordo delle quattro sorelle si perse tra le pagine del tempo… fino ad ora." Il generale Arco ha il compito di scortare un drappello di maghi nel cuore della foresta a nord del regno di Ecamero, dove si racconta che, nella profondità di una grotta, giaccia Ecate, addormentata da secoli. La missione è della massima importanza, in quanto si vocifera che Urcla, signora dell’acqua, sia già stata risvegliata e che, preda di antichi risentimenti, stia pianificando la sua vendetta contro le sorelle, al fine di diventare l’unica guardiana dell’equilibrio.
LanguageItaliano
Release dateNov 23, 2016
ISBN9788893690287
Ecate: La signora del fuoco

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    Ecate - Martina Nordio

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    Capitolo 1

    Una grotta dispersa nella foresta a nord del regno di Ecamero

    L’alba fredda e pungente delle prime miti giornate dopo il Grande Freddo si alzava lenta sulla rigogliosa foresta. Dagli alberi, immobili e silenziosi, appena coperti da piccoli germogli verdi, non proveniva un suono. Tutto sembrava ancora addormentato, in attesa della parola magica che l’avrebbe risvegliato.

    Solo un particolare turbava la pacata serenità della foresta: un drappello di uomini, alcuni vestiti di nero, altri di bianco, che si davano da fare per liberare l’ingresso a una cavità scavata in una delle tante sporgenze rocciose disseminate qua e là, nascosta alla vista da fronde e muschio.

    «Presto, entrate!» sussurrò Arco con il fiato corto per la fatica.

    A quell’ordine deciso una decina di uomini completamente vestiti di nero sgattaiolò il più velocemente possibile all’interno della grotta, con solo alcune lanterne a fronteggiare il buio impenetrabile.

    «Anche voi, Fratelli! Non abbiamo molto tempo, credo che siano riusciti a trovare le nostre tracce.»

    Una delle quattro figure, ricoperta da capo a piedi da una lunga tunica bianca e dal capo coperto, lo afferrò per un braccio sgarbatamente: «Quanto pensate siano vicini?»

    Arco alzò il capo verso il cielo limpido, poi tra gli alberi alle sue spalle. «Ci raggiungeranno in un paio d’ore» sentenziò, serio.

    L’uomo incappucciato si volse verso i suoi compagni. «Ce le faremo bastare!» Concesse a denti stretti e, detto ciò, s’incamminò nelle profondità della grotta.

    Il cunicolo era basso e stretto, tanto che era necessario procedere a testa china, oppure addirittura strisciando sulle ginocchia. Dopo un tempo che parve interminabile la comitiva sbucò in una vasta sala, scavata nelle profondità del terreno, ai cui lati svettavano alte colonne di pietra.

    Arco sollevò la lanterna e si avvicinò a una di quelle imponenti costruzioni. La superficie era totalmente ricoperta da dipinti perfettamente conservati, appena nascosti da uno strato di polvere vecchio di secoli. Tuttavia, a causa della scarsità di luce, non riuscì a metterne a fuoco i soggetti.

    «Generale! Venite a vedere!» Quel richiamo spezzò il silenzio che regnava in quel luogo, così spesso che fino a quel momento nessuno tra i suoi uomini si era permesso di romperlo. Arco si girò e, avvicinandosi al soldato sotto il suo comando, distinse i contorni di una piattaforma rotonda, sollevata a mezz’aria, e sorretta da un lungo tubo di vetro, contenente un liquido ignoto.

    «Annusate!»

    Arco, stupito, si chinò sulla struttura e percepì distintamente l’odore di alcol. Elogiando tra sé il suo sottoposto, estrasse dalla tasca l’acciarino e, dopo averlo acceso, lo lasciò cadere sulla superficie liscia, che immediatamente prese fuoco allo stesso modo di altre tre piattaforme agli angoli della sala.

    Osservò ammutolito la scena ma poi, scrollando le spalle e archiviando l’evento come un altro dei misteri che avvolgevano quella spedizione, lasciò cadere a terra la lanterna e s’incamminò per l’ampio salone.

    L’aria sapeva di chiuso; migliaia di granelli di polvere vi fluttuavano sospesi e, illuminati dalla luce del fuoco, davano vita a minacciose ombre tutto intorno.

    Finalmente Arco riuscì a vedere i dipinti sulle colonne: scene che ritraevano il fuoco, più e più volte, in tutte le sue forme. Un legnetto in fiamme, un camino, un falò... ma l’immagine che più lo colpì fu il disegno di un campo di girasoli, ognuno dei quali bruciato a metà. L’artista aveva immortalato i fiori nell’esatto momento precedente alla loro totale distruzione.

    I soldati trattennero bruscamente il respiro alla vista del dipinto ma Arco badò a mantenersi impassibile anche se pure lui, come tutti gli altri, avvertiva netta la sensazione che quello fosse un luogo destinato a non essere profanato. Conosceva solo a grandi linee la ragione per cui i Fratelli avevano voluto recarsi in quella grotta dimenticata: il Gran Fratello gli aveva rivelato soltanto che all’interno c’era qualcosa di cui la sua Confraternita aveva bisogno.

    Fu riscosso dai suoi pensieri quando uno degli incappucciati lo chiamò.

    «Seguitemi» gli ordinò, «abbiamo bisogno del vostro aiuto.»

    Il mago lo condusse a passo affrettato a una porta di pietra incassata nel muro. Gli altri erano già sul luogo e, con le mani sollevate, stavano recitando strane frasi per cercare di aprirla. «Abbiamo cercato di scostarla con la magia» spiegò la figura vestita di bianco, «ma un’antica maledizione ci impedisce di usare i nostri incantesimi per aprirla. Dovete pensarci voi!»

    Il generale chiamò a raccolta i suoi uomini e, con la forza bruta, riuscirono a muovere la spessa lastra quel tanto da permettere l’ingresso di un uomo per volta.

    Subito un Fratello spinse via i soldati e, impaziente, avanzò verso il passaggio ma non appena ebbe messo piede nell’apertura, un acuto gridò si levò nell’aria, seguito da altri altrettanto raccapriccianti. L’incappucciato, spaventato, si affrettò ad allontanarsi, tappandosi le orecchie e di colpo tornò a scendere il silenzio.

    Arco rimase in attesa per alcuni istanti, i muscoli in allerta, poi, estraendo la spada, decise: «Vado prima io...» E senza attendere risposta, s’insinuò nella fessura.

    L’interno della stanza era illuminato da un lieve bagliore fosforescente, proveniente da alcuni minerali incastonati nelle pareti, mentre al centro, sopra un alto altare di pietra, era adagiato il corpo immobile di una donna.

    Incapace di distogliere lo sguardo, Arco si avvicinò alla figura, un passo alla volta.

    Lei giaceva come addormentata, il corpo coperto da un lungo vestito azzurro decorato con delicati motivi color oro. Il lungo strascico pendeva da un lato dell’altare fino a toccare terra. Il suo petto si alzava e si abbassava lentamente, molto lentamente.

    Lo sguardo del generale percorse il suo corpo, fino a soffermarsi sul viso. L’incarnato pallido e le labbra bianche le conferivano un’aria irreale, quasi aliena. Il volto ovale era incorniciato da folti capelli castani.

    «Spostatevi da lì, sciocco!» gridò un Fratello alle sue spalle. «Solo noi Guardiani siamo a conoscenza delle procedure da seguire. Addossatevi al muro e rimanete in silenzio, abbiamo un rito da compiere!»

    Detto ciò lo spinse sgarbatamente lontano dall’altare e si mise a estrarre candele a forma di fiamma da una borsa, disponendole attorno al capo della donna mentre i compagni si misero attorno al suo corpo immobile e iniziarono a salmodiare lentamente.

    Il loro canto si levò sempre più alto, con maggiore intensità e un vento innaturale si sollevò, prepotente, investendo i presenti. Al soffio si mescolarono all’improvviso voci di donne, uomini e bambini, come provenienti dall’oltretomba. Sussurri e urla d’odio o d’amore che ripetevano la stessa altisonante parola, un nome: Ecate! Ecate!

    Uno dei Fratelli levò la sua voce sopra il frastuono delle grida. «Ecate! Svegliati, noi t’invochiamo! Svegliati!» e dalle sue mani scaturirono scintille di fuoco che, come attratte da una calamita, si depositarono sul petto della donna e lì divamparono, avvolgendola completamente. Ma invece di bruciarla, le fiamme le davano vita! Il vestito le ondeggiava leggero appena sopra le gambe snelle, i capelli infuocati sembravano danzare attorno al suo viso, le guance persero il pallore spettrale e si colorarono dei bagliori delle fiamme.

    La mano, che fino a qualche istante prima giaceva immobile lungo il fianco, si mosse e lei aprì gli occhi. Il vento ancora soffiava impetuoso e ancora le voci potenti dei maghi si mescolavano a quelle portate dal soffio spettrale, mentre la donna fissava distante di fronte a sé. Poi socchiuse le labbra, come per prendere un respiro profondo, e assorbì tutto il fuoco che le danzava attorno e solo allora, improvviso com’era venuto, il vento si quietò e le voci si spensero.

    I Fratelli tacquero. Tutta la stanza cadde preda di un silenzio assoluto, gli occhi di tutti puntati sulla figura distesa sull’altare.

    Ed ecco che lentamente si sollevò a sedere, portandosi una mano al viso. Poi sollevò lo sguardo, posandolo su Arco, che era rimasto immobile per tutto il tempo, quasi paralizzato dallo stupore. Mai nella vita aveva assistito a un prodigio simile. Gli occhi della giovane erano fuoco puro, ma pian piano le fiamme scomparvero, rivelando penetranti pupille marroni, anche se erano ancora visibili lievi lampi rossi che le attraversavano l’iride.

    Ecate si voltò verso uno dei Fratelli. «Dre estriann ca mo iudass?» sussurrò con tono roco.

    L’incappucciato si piegò su un ginocchio, chinando il capo con reverenza. «Herai, Ecate! Ca ne mo vada, ellenin se rastori tor nu qua.» La voce gli tremava per l’apprensione.

    La donna sporse le gambe giù dall’altare, l’espressione indecifrabile sul volto. Se provasse gratitudine, felicità, commozione o semplicemente pietà, nessuno avrebbe potuto dirlo. Quel magnifico volto senza imperfezioni non rivelava traccia di sentimenti. «Far no duin te le lestat?»

    Arco dedusse dal tono che aveva posto una domanda alla quale però i maghi non sapevano rispondere. Infatti si voltarono l’uno verso l’altro e, sebbene non fosse possibile scorgere la loro espressione, sembravano imbarazzati.

    Per nulla interessata, la donna scrollò le spalle e sollevò con circospezione una mano davanti al viso. La studiò per alcuni istanti, quasi non la sentisse totalmente sua. Chiuse gli occhi e quando li riaprì, una piccola fiammella comparve al centro del palmo. Sospirò di piacere, come se la sensazione di calore sulla pelle fosse ciò che più agognava. Le scintille aumentarono fino a raggiungere il polso, salirono lungo il braccio fino ad avvolgerla completamente e, infine, Ecate protese entrambe le mani e scatenò un inferno di fuoco. Le fiamme lambirono il pavimento, il soffitto, corsero lungo i muri in un vortice senza fine che polverizzava tutto quel che trovava sulla sua strada.

    I Fratelli lanciarono striduli urli e si accalcarono contro l’altare per allontanarsi il più possibile dai muri infuocati. Arco, che si trovava quasi a ridosso delle pareti laterali, non ebbe il tempo di allontanarsi. Già si stava preparando a essere toccato dalle mortali mani delle fiamme quando si accorse che qualcosa non quadrava: il caldo insostenibile che avrebbe dovuto soffocarlo non c’era, le scintille che gli schizzavano sulle vesti non le bruciavano. La sua mano, che si trovava a pochi centimetri dal muro, non percepiva calore.

    Rimase immobile, incapace di giustificare un simile fenomeno quando, improvvise com’erano arrivate, le fiamme si estinsero. Arco si voltò verso la donna che, oltre a un leggero rossore sulle guance, non manifestava emozioni evidenti.

    Abbassò lentamente le mani e con una spinta si alzò. Inizialmente le gambe le tremarono, tanto che dovette appoggiarsi pesantemente alla pietra dell’altare per non cadere, ma dopo pochi istanti sembrò ritrovare il controllo del corpo e si erse in tutta la sua gloriosa bellezza. Arco osservò attentamente la luce brillante che illuminava i suoi occhi, la linea aggraziata del collo, le curve generose e seppe, senza ombra di dubbio, che quella era la donna più bella che avesse mai visto.

    «Hun ge fallans, cas ne do?» chiese Ecate, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.

    Uno dei monaci si alzò rapidamente in piedi e si mise di fronte alla donna. «Este vo la maring fe, Mo Sefer?»

    Lei lo squadrò, dubbiosa, per qualche secondo poi lentamente annuì. A questo punto il Fratello fece un cenno e un suo compagno si avvicinò reggendo un libro tra le mani. Lo tenne sospeso a mezz’aria indicando alla donna di appoggiarvi la mano sopra e di chiudere gli occhi. Inizialmente Arco pensò che lei non l’avrebbe fatto ma alla fine si dispose come richiesto. Il mago intonò quindi una lieve melodia e le pagine del libro presero a brillare intensamente e, come un serpente, un fascio di luce strisciò lungo il braccio scoperto di Ecate, fino a raggiungerle le tempie.

    Scosse la testa, come per schiarirsela, ritirando velocemente la mano.

    L’incappucciato che fungeva da interprete parlò di nuovo. «Mi capite, Mia Signora?»

    Lei allora sorrise appena, stupita, e per la prima volta manifestò una qualche emozione. «Sì!» Sussurrò con voce un po’ incerta. «Capisco perfettamente!»

    «Ottimo, Mia Signora! In questo modo ora potrete porre tutte le vostre domande a uno dei miei compagni.» A quelle parole un altro membro della setta si staccò dal gruppo avanzando di un passo e rivolgendole un inchino profondo. «È noto all’interno della confraternita per la sua vasta conoscenza della storia del nostro paese e per la purezza del suo linguaggio. Sono certo che saprà servirvi meglio di quanto potrei fare io, Mia Signora.» Detto ciò si ritirò all’interno del gruppo, confondendosi e mescolandosi con gli altri.

    Ecate rimase in silenzio, pensierosa. «Confraternita avete detto? C’entrate qualcosa con la Setta dei Guardiani?»

    Il cappuccio del Fratello ondeggiò celermente su e giù. «Sì, Mia Signora. La Setta che vi servì secoli fa si è mantenuta attiva fino a noi.»

    Un’ombra d’impazienza, o forse di rabbia, offuscò lo sguardo della giovane. «Mi sembrava che fossimo state chiare all’epoca, io e le mie sorelle. Non avremmo mai, mai dovuto essere risvegliate!»

    Il mago balbettò incerto: «Ehm... ecco... Mia Signora. Vedete alcuni recenti avvenimenti hanno reso necessario questo provvedim...»

    Un rumore sordo, proveniente dall’esterno, lo costrinse a fermarsi. Arco, improvvisamente vigile, corse alla porta e parlò al tenente di guardia, ordinandogli di andare a controllare la situazione all’esterno. Dopo che l’ufficiale si fu allontanato, il generale si volse e si sentì addosso lo sguardo tempestoso della donna ma lo ignorò. Rivolgendosi ai Fratelli disse: «Presumo che i nostri inseguitori siano alle porte. Possiamo sperare che siano in pochi e quindi aprirci una via combattendo. In caso contrario... pensate a una qualche magia che possa aiutarci perché, a meno che non ci sia un’altra via d’uscita, siamo in trappola.»

    Gli incappucciati si consultarono a bassa voce, agitati. Il generale poté udire solo alcuni stralci di conservazione: L’incantesimo del pentacolo potrebbe abbattere il muro a est e consentirci una via d’accesso alle gallerie di Barhiem, Quello ci porterebbe in pieno territorio nemico, non possiamo rischiare, Il nostro primo obiettivo è proteggere Ecate!, Mandiamo le guardie per guadagnare tempo!... insieme a molte altre possibili soluzioni, anche se nessuna poteva garantire la salvezza dell’intero gruppo o la sicurezza dei suoi soldati.

    Un uomo fece irruzione nella stanza, era il tenente che tutto agitato annunciò la terribile notizia: «Sono arrivati! Gli altri li stanno trattenendo fuori dalla caverna ma i nemici sono troppi e i nostri non resisteranno a lungo! Generale, cosa dobbiamo fare?» chiese, con sguardo implorante. Arco si sentì impotente di fronte all’inevitabilità della loro sorte: non potevano sconfiggere il nemico, non potevano scappare né nascondersi... erano spacciati!

    La donna inaspettatamente si fece avanti e la sua limpida voce ruppe il silenzio carico di tensione che si era creato. «Quale parete ostruisce l’entrata alle gallerie?»

    «Mia Signora» tentò di obiettare un Fratello, con tono sottomesso, «è troppo pericoloso inoltrarsi per quella via, dovete capire che noi prima di tutto pensiamo alla vostra sicurezza e che non possiamo permetterci di...»

    «Quale parete?» lo interruppe lei, imperterrita, gli occhi animati da una strana luce.

    Il mago si strofinò il braccio con fare impacciato. «Quella... quella fuori dalla stanza... a sinistra» balbettò infine.

    Ecate si diresse velocemente nel grande salone tallonata dal generale, così che al resto della comitiva non rimase altra scelta che seguirla. Arco la vide dirigersi verso il muro a est e fermarsi a un metro di distanza da esso. Lentamente appoggiò i palmi delle mani sulla dura pietra e una spirale di fuoco le attraversò le braccia per andare a colpire con forza la parete. Per alcuni istanti, il tempo che lei ci mise ad allontanarsi, tutto rimase immutato. Poi una crepa ne percorse la lunghezza e alla fine la roccia esplose, spargendo pezzi di muro per tutta la sala.

    «Chi fa strada?» chiese, fissando Arco dritto negli occhi.

    Un Fratello si fece avanti. «Io conosco la strada, Mia Signora.»

    «Ma io non l’ho chiesto a voi!» gli rispose, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. «Nessuno di voi Guardiani dovrebbe essere qui. Io dovrei essere addormentata, per sempre, questo era il patto! Quindi statemi alla larga! Voi» apostrofò nuovamente Arco, «conoscete la strada? Potete portarci fuori di qui?»

    Ammutolito dallo stupore, Arco scosse la testa. «Adesso vi spiego cosa accadrà» iniziò, freddo e deciso. «Voi per me non siete niente, solo un mistero imprigionato per chissà quale motivo secoli fa; gli uomini che stanno morendo là fuori sono miei compagni da anni e io non scapperò mentre stanno morendo per me. Ora voi andrete con i Fratelli dentro quelle grotte senza fare storie, mi avete capito?»

    Ecate aveva ascoltato il discorso di Arco con occhi sgranati poi sorrise, un sorriso aperto e sincero. «Così voi non sapete chi sono?» Volse lo sguardo verso i Fratelli. «Lui non sa chi sono?»

    Loro scossero i cappucci. «Abbiamo mantenuto il segreto, come avete chiesto ai nostri avi, Mia Signora.»

    Lei parve capire ciò che i maghi avevano tentato di rivelarle poco prima. «Qualcuno ha svegliato una delle mie sorelle, non è così?»

    «Urcla» rispose sommesso uno dei quattro.

    Lei alzò gli occhi al cielo. «Quindi gli uomini che ci stanno attaccando sanno chi sono e vengono da parte sua?»

    Un nuovo moto di assenso percorse i monaci. «Hanno protezioni adatte a respingere i vostri poteri.»

    «Maledizione!» imprecò Ecate.

    Arco, stanco di essere escluso da quella conversazione di cui non capiva nulla, sollevò la spada e, senza aggiungere altro, si diresse all’entrata della galleria a proteggere i suoi uomini o a morire con essi. Sentiva dietro di sé le voci concitate dei Fratelli e della donna ma non se ne curò. Che facessero pure come meglio credevano, lui aveva già atteso abbastanza.

    Capitolo 2

    Arco sbucò nella radura dopo aver faticosamente attraversato lo stretto cunicolo e si trovò di fronte una scena peggiore di quella che si era immaginato. I nemici, uomini di Barintum, li superavano di tre dozzine e stavano assalendo senza tregua la palizzata improvvisata che avevano innalzato i suoi uomini.

    Lodando mentalmente la loro idea si unì a loro, incoraggiandoli, prima di scavalcare i tronchi e affrontare il nemico faccia a faccia.

    Arco un tempo era stato generale del potente esercito del regno di Varsava e sapeva combattere bene quanto gli riusciva naturale camminare. Sguainò il coltello che portava appeso alla cintura e iniziò a menare fendenti ai nemici. Venne colpito alcune volte ma ignorò il dolore. Con la coda dell’occhio vide che i suoi uomini avevano abbandonato la loro posizione e si erano gettati nella mischia seguendo il suo esempio. Lottarono per un tempo che parve infinito ma, sebbene fossero tutti addestrati e capaci, si trattava pur sempre di tre dozzine contro appena una decina. Vide il suo vice cadere, colpito da una coltellata alla gola, così come una giovane recluta. Ma non mollò, deciso a rendere colpo su colpo ai bartumiani fino alla fine.

    Lo colpirono al braccio e perse la spada. Come al rallentatore vide il soldato nemico che l’aveva ferito sollevare una mazza e rotearla puntando alla sua testa. Arco si preparò a ricevere il colpo che non arrivò mai: una vampata di fuoco scagliò l’uomo lontano. Voltandosi verso la grotta, Arco vide Ecate avvicinarsi di corsa, i capelli ricci ondeggianti al vento, con spire di fuoco che danzavano assieme al lungo abito azzurro.

    Osservando l’uomo con la mazza rialzarsi e correre nuovamente verso di lui, Arco capì cosa intendevano i Fratelli quando avevano spiegato alla donna che i nemici avevano gli strumenti per resistere al suo potere: il bartumiano era stato colpito in pieno petto da una vampata di fuoco e non aveva riportato neppure una leggera bruciatura.

    Mettendo da parte quei ragionamenti inutili, raccolse la spada e continuò a dare battaglia. Se il potere di Ecate non poteva uccidere i nemici, quantomeno li poteva immobilizzare o atterrate, tanto che dopo pochi minuti Arco ebbe la meglio anche sull’ultimo bartumiano. Si lasciò cadere sulle ginocchia, stremato dalla fatica e dal rimorso per non essere riuscito a salvare i compagni caduti: sette in tutto.

    Si rialzò con un sospiro rassegnato e andò ad aiutare i sopravvissuti. Eiden, del regno di Lusitun, e Akan, suo fratello. I due erano imponenti guerrieri che si proteggevano le spalle a vicenda, erano tenaci e profondamente leali ad Arco. Dopo essersi accertato che avessero riportato ferite marginali, si voltò verso Ecate e la trovò intenta a osservare il paesaggio circostante.

    «Siete ferita?» le chiese per pura cortesia, giacché aveva un colorito sano e l’abito perfettamente in ordine. Anzi, si corresse Arco, evidentemente l’aver usato tutto quel potere le aveva giovato perché l’incarnato non era più pallido ma aveva assunto un caldo colore ambrato, come se fosse leggermente abbronzata. Gli occhi non erano più castano scuro ma molto più chiari e i capelli avevano delle sfumature rossastre che prima Arco non aveva notato. Era stupenda.

    «Sto benissimo» confermò infatti Ecate che si voltò a guardarlo. «Una volta questo territorio era coperto da una vasta palude...»

    «Si è prosciugata definitivamente qualche decennio fa. Dove avete lasciato i Fratelli?»

    Ecate sollevò le spalle, ignorando la sua scortesia. «Saranno ancora nella grotta, presumo.»

    «Benissimo, allora andate a chiamarli. Dobbiamo andarcene alla svelta.»

    La donna socchiuse gli occhi minacciosamente e gli si piazzò davanti quando Arco fece per andare a radunare le loro cose per la partenza. «Voi e io... così non funziona! Avevate ragione: non potevate abbandonare i vostri uomini e così vi sono venuta ad aiutare. Che altri problemi avete?»

    Arco indietreggiò di un passo. La morte dei suoi uomini era ancora troppo viva nella sua mente per essere gentile. Quei soldati, che avevano mogli e figli, erano morti perché i fratelli non erano stati onesti con lui fin dal principio, non l’avevano avvertito della pericolosità di quella missione né che vi centrasse in alcun modo la magia. «Io sono un guerriero e queste diavolerie magiche non fanno per me e questo è quanto. Non saremmo mai dovuti venire qua ai confini del mondo per risvegliarvi. Sono appena morti degli uomini per voi e voi parlate del paesaggio! Statemi lontana e andremo tutti d’accordo.»

    Fece nuovamente per andare a raccogliere le loro cose ma Ecate glielo impedì nuovamente. «Non sono una donna paziente, la scortesia riesce a tirare fuori il peggio di me e credetemi... voi non volete vedere il mio lato peggiore. Non so chi siate voi, non so che diavolo stia succedendo, non so nemmeno in quale maledetto anno ci troviamo. Quindi ora andate voi a chiamare i Guardiani e non osate mai più darmi un ordine.»

    Arco sollevo un sopracciglio. «Benissimo! Akan, vai nella caverna e porta fuori quei maledetti maghi, in fretta possibilmente e in quanto a voi... preparatevi!» E senza darle il tempo di fermarlo si mise a riordinare le loro cose e finalmente, dopo poco, furono pronti a partire.

    La fretta di allontanarsi da quel luogo di morte mise le ali ai piedi di Arco, che impose al gruppo una marcia serrata e senza soste finché il sole non fu completamente scomparso dietro le montagne a Ovest. Scovò una radura adatta e lì diede l’ordine di fermarsi. I due guerrieri, abituati al duro lavoro, si misero a disporre il campo mentre gli incappucciati collassarono a terra, stremati dal duro cammino. Anche Ecate appariva sfinita, tanto che i muscoli delle gambe le tremavano per la fatica. Nel guardarla Arco avvertì una punta di disagio, subito placata dal pensiero degli uomini morti nel tentativo di difenderla.

    «Voi vi occuperete del fuoco» le ordinò, aspettandosi totale obbedienza.

    Emettendo un sospiro stanco, Ecate si abbandonò a sedere su un tronco rotto. «Allora non siete solo un bestione privo di sentimenti ma anche senza cervello. Se usassi i miei poteri, così come se li usassero i Fratelli, mia sorella lo sentirebbe e identificherebbe la nostra posizione.»

    Un po’ spiazzato da quella risposta, Arco decise di accantonare momentaneamente tutti i pregiudizi che nutriva nei confronti di quella donna. Dopotutto forse era a causa della magia usata dai maghi nella caverna che gli uomini di Barintum li avevano trovati così in fretta. Lei inoltre aveva parlato di sua sorella... Un’altra maga del fuoco in circolazione?

    Dopo aver acceso il fuoco e messo a scaldare la carne, si sedette finalmente accanto ai suoi uomini e apostrofò uno dei Fratelli, ancora nascosti sotto i cappucci ormai macchiati di terra e sudore. «Penso sia ora che mi forniate qualche dettaglio in più sulla missione alla quale mi avete costretto a prendere parte.»

    Uno di loro fece per obiettare ma Arco lo zittì con uno sguardo fermo e deciso. «Ora!» ingiunse.

    Dopo essersi scambiati una breve occhiata, il compagno seduto nel mezzo si schiarì la voce. «Probabilmente avrete sentito la leggenda che narra della creazione del mondo e dei quattro elementi.»

    Arco annuì, impaziente. «Il mondo sarebbe stato creato dalla combinazione di quattro elementi, fuoco, acqua, terra e aria e, per farla breve, qualche millennio fa un mago desideroso di potere avrebbe legato i quattro elementi ad altrettante ragazze, sorelle, per poi rubarli a loro. Le quattro tuttavia si erano rivelate troppo forti, lo uccisero ma non riuscirono più a liberarsi del potere. Ma questa è leggenda, io voglio la verità!»

    «Ogni leggenda ha un fondo di verità» lo redarguì il Fratello. «E in questo caso le due cose coincidono. Le quattro ragazze si chiamavano Aether, signora dell’aria, Gea, signora della terra, Urcla, signora dell’acqua e Ecate... signora del fuoco.»

    Badando a mantenere l’espressione impassibile, Arco sospirò. «Non vi aspettate che io ci creda, vero?»

    Eiden, uno dei due guerrieri sopravvissuti, che fino a quel momento aveva mantenuto un perfetto silenzio, si schiarì la gola. «Signore, quando eravamo piccoli, nostra madre ci raccontava delle storie. Storie che parlavano di quattro ragazze che dominavano gli elementi, addormentate secoli fa da un incantesimo e sepolte ai quattro angoli del continente. Io e mio fratello ci abbiamo sempre creduto» concluse, fissando intensamente Ecate.

    Arco non credeva alle sue orecchie. «Seriamente pensate che questa donna sia l’Ecate della leggenda?» chiese rivolto ai guerrieri.

    «Ma perché perdiamo tempo a spiegare a quest’uomo cose che non vuole sentire?» esclamò all’improvviso Ecate, lo sguardo acceso d’ira. «Se, come vedo, gli uomini si sono dimenticati della nostra esistenza, chi ha svegliato Urcla?»

    «Probabilmente ricorderete, Mia Signora» le rispose uno dei Fratelli, «che vostra sorella aveva raccolto un branco di seguaci a Barintum e che fu quella la ragione per cui voi e vostra sorella Gea decideste di farvi addormentare. Quella setta, anche dopo la scomparsa della sua creatrice, ha prosperato. I membri si fanno chiamare Setta dei Seguaci delle Acque e sono stati loro a risvegliarla.»

    «Ora vostra sorella controlla il re di Barintum, affiancata dalla Setta e non è tutto» proseguì un altro monaco. «Urcla ha risvegliato Gea e...»

    A quelle parole il fuoco al centro del campo prese vita e iniziò a risplendere e a emanare calore oltre il sopportabile. Il tutto durò pochi istanti, poi Ecate riprese il controllo di se stessa.

    «Urcla ha svegliato Gea?» chiese, il tono di voce basso e furioso.

    Il Fratello annuì. «Può controllare i suoi poteri ed è ciò che intendeva fare anche con voi e Aether. Per questo siamo intervenuti e abbiamo rotto la promessa fattavi quattro secoli fa.»

    Quelle parole fecero scomparire la rabbia dagli occhi di Ecate, che per tutta risposta annuì fissando le fiamme. «Capisco...»

    Sempre più incredulo, Arco si alzò e gettò una manciata di terra sul fuoco che, dopo qualche scintilla, si spense. Il che gli fece guadagnare un’occhiataccia da parte di Ecate, se quello era veramente il suo nome. «Ora siamo stanchi. Dormite e recuperate le forze, domani avremo molta strada da fare.»

    Tutti si stesero sulla nuda terra, provati da quella giornata, tranne Ecate e Arco. Entrambi rimasero svegli a lungo a fissare punti distanti davanti a loro. Arco stava per cedere anch’esso al sonno quando udì la donna alzarsi e con la coda dell’occhio la seguì. Aspettò che si fosse allontanata e, senza fare il minimo rumore, si apprestò ad andarle dietro, non fidandosi di lei.

    Cat, il diminutivo che le sue sorelle le avevano appioppato moltissimi anni prima, non riusciva a dormire. Non poteva dormire: la mente troppo in subbuglio per trovare pace. Ricordava ancora perfettamente il giorno in cui era scesa in quella grotta, per lei era come fosse accaduto solo il giorno prima, pronta per farsi addormentare, convinta che quella fosse l’unica cosa da fare per mettere un freno alle smanie di potere della sorella e consapevole che da quella grotta non sarebbe mai più uscita. Lei e Gaia, o Gea, l’avevano deciso: le tracce della loro esistenza avrebbero dovuto essere cancellate e il mondo avrebbe dovuto dimenticarsi della loro esistenza.

    Non era stato facile. Il suo carattere vibrante di energia aveva protestato fino all’ultimo ma Gaia era stata ferma e risoluta, pratica: non c’erano altre possibili soluzioni, o così o il mondo sarebbe andato incontro alla distruzione.

    Cat e Gaia avevano organizzato tutto in modo che le sorelle non avessero scampo. Avevano teso una trappola a Clove ed Erin, rispettivamente Urcla e Aether, e poi si erano dirette alle grotte, sicure che nulla avrebbe disturbato il loro sonno, fino a poche ore prima.

    Non sapeva bene cosa pensare di tutta quella vicenda. Si sentiva euforica per la rinnovata libertà, anche se sapeva che non avrebbe dovuto esserlo. Ma il fuoco che ardeva dentro di lei le faceva venire voglia di correre, saltare, ridere, piangere, recuperare tutto il tempo perduto in quei quattro secoli.

    Quattro secoli, pensò Cat con un sobbalzo. Quattrocento anni... ancora non riusciva a crederlo. Non aveva dubbi che Clove si fosse risvegliata furiosa. L’avevano ingannata nel peggior modo possibile, e proprio loro... le sue sorelle. Sperava solo di riuscire a farla

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