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Marinaleda. Il villaggio contro il mondo
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Marinaleda. Il villaggio contro il mondo

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Nell’Europa della crisi finanziaria e dei possibili default, della disoccupazione giovanile e della Brexit può formarsi un modello sociale realmente alternativo e solidale? In altre parole, in un quadro dominato dall’insicurezza e dalle speculazioni finanziarie, in cui le popolazioni si sentono schiacciate dal peso dell’austerità delle politiche monetarie, può esistere (e resistere) una comunità che metta “la persona” e le sue reali esigenze quotidiane al centro del proprio modello di sviluppo?

La risposta arriva, con la stessa forza della dignità e della speranza, da un piccolo ma coraggioso paese nel cuore della Spagna, vicino Siviglia, che sta rivoluzionando il paradigma delle politiche economiche internazionali, Marinaleda. È qui che, a partire dagli anni Ottanta, è stata fondata una comunità basata sulla vita cooperativa, secondo un modello di città ideale.

Dan Hancox, giornalista del “The Guardian”, testimonia un’elevata qualità della vita a Marinaleda dove il mutuo costa 15 euro al mese, la disoccupazione è solo al 5% (contro il 34% dell’intera regione dell’Andalusia) e la criminalità sembrerebbe praticamente inesistente. Un luogo speciale dove una domenica al mese tutto il vicinato si attiva insieme per ripulire il quartiere.

Marinaleda è al centro dell’attenzione mediatica internazionale per l’incredibile risposta che questa comunità ha saputo attivare rispetto alla crisi che attraversa il nostro sistema economico e sociale.

In un’epoca in cui la vecchia contrapposizione tra conservatori e progressisti sembra essere sostituita da quella tra sistemici e populisti, Marinaleda dimostra come si possa andare “contro” in modo costruttivo e solidale, senza necessariamente perdersi negli egoismi e nella conflittualità che dominano il nostro tempo.
LanguageItaliano
Release dateNov 3, 2016
ISBN9788899706081
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    Marinaleda. Il villaggio contro il mondo - Dan Hancox

    riservati

    Lastaria Edizioni

    Viale Libia 167 - 00199 Roma

    info@lastaria.it

    www.lastaria.it

    I Edizione: novembre 2016

    Isbn: 978-88-99706-02-9

    I Edizione digitale: settembre 2016

    Isbn: 978-88-99706-08-1

    Traduzione dall’inglese di Alessandro Tonti

    Copertina realizzata da Marco Puci

    Titolo dell’opera originale: The Village Angainst the World by Dan Hancox

    © 2013 by Verso (THE IMPRINT OF NEW LEFT BOOKS)

    6 Meard Street, London W1F OEG, United Kingdom

    Nell’Europa della crisi finanziaria e dei possibili default, della disoccupazione giovanile e della Brexit può formarsi un modello sociale realmente alternativo e solidale? In altre parole, in un quadro dominato dall’insicurezza e dalle speculazioni finanziarie, in cui le popolazioni si sentono schiacciate dal peso dell’austerità delle politiche monetarie, può esistere (e resistere) una comunità che metta la persona e le sue reali esigenze quotidiane al centro del proprio modello di sviluppo?

    La risposta arriva, con la stessa forza della dignità e della speranza, da un piccolo ma coraggioso paese nel cuore della Spagna, vicino Siviglia, che sta rivoluzionando il paradigma delle politiche economiche internazionali, Marinaleda. È qui che, a partire dagli anni Ottanta, è stata fondata una comunità basata sulla vita cooperativa, secondo un modello di città ideale.

    Dan Hancox, giornalista del The Guardian, testimonia un’elevata qualità della vita a Marinaleda dove il mutuo costa 15 euro al mese, la disoccupazione è solo al 5% (contro il 34% dell’intera regione dell’Andalusia) e la criminalità sembrerebbe praticamente inesistente. Un luogo speciale dove una domenica al mese tutto il vicinato si attiva insieme per ripulire il quartiere.

    Marinaleda è al centro dell’attenzione mediatica internazionale per l’incredibile risposta che questa comunità ha saputo attivare rispetto alla crisi che attraversa il nostro sistema economico e sociale.

    In un’epoca in cui la vecchia contrapposizione tra conservatori e progressisti sembra essere sostituita da quella tra sistemici e populisti, Marinaleda dimostra come si possa andare contro in modo costruttivo e solidale, senza necessariamente perdersi negli egoismi e nella conflittualità che dominano il nostro tempo.

    Dan Hancox è un giornalista del The Guardian. Scrive di politica, cultura e musica.

    Commenti positivi a Marinaleda. Il villaggio contro il mondo

    Uno sguardo attento, che non dà niente per scontato… questo libro coinvolgente è allo stesso tempo uno studio sulla messa in pratica di una filosofia idealista e la descrizione della vita in un pueblo molto particolare. La narrazione, rispettosa e intelligente, pone gli abitanti del paese al centro della loro stessa storia. Ed è una storia affascinante. New Statesman

    Uno degli elementi di maggiore interesse, è che la cooperativa abbia trovato una risposta all’avvertimento di Slavoj Žižek’s in merito all’occupazione di Wall Street, secondo cui «ciò che conta è il giorno dopo, quando si torna alla vita quotidiana». Come chiarisce Hancox, la socialista Marinaleda è riuscita a dare forma alla vita quotidiana dei suoi residenti giorno dopo giorno, per trent’anni. David Edgar, The Guardian

    "Marinaleda. Il villaggio contro il mondo di Dan Hancox, non si potrebbe definire che stupendo… il libro di Hancox potrebbe tranquillamente trovarsi nella bestseller list del New York Times, se non fosse per l’argomento che tratta: le marachelle antiautoritarie di un paese comunista e del suo sindaco Robin Hood. È un must per chiunque sia interessato ai movimenti radicali come Occupy Wall Street o quello zapatista". Critical Theory

    Un affascinante resoconto della storia della regione, in parte diario di viaggio, in parte cronaca politica. Un piacevolissimo contrappunto ai racconti di disperazione emersi dalla crisi spagnola. La storia della strenua battaglia di Marinaleda per restare autosufficiente delizierà chiunque abbia un cuore rivoluzionario. EasyJet Traveller

    "Nel citare la riflessione di Orwell su «quella straordinaria e commuovente esperienza di credere in una rivoluzione» Hancox offre ai lettori la rara chance di credere, di rivivere i suoi incontri con gli abitanti del paese e con il loro sindaco, le cui parole «hanno prosciugato ogni goccia di disfattismo realista e capitalista» in lui e lo hanno «riportato all’adolescenza». Jacobin

    "E se un mondo diverso fosse possibile?... Nel suo nuovo, accattivante, libro, Marinaleda. Il villaggio contro il mondo, Dan Hancox dimostra, con una prosa appassionata e penetrante, non solo che potrebbe esserlo, ma che è «un fatto osservabile»". Truthdig

    Questa rappresentazione provocatoria della visione e della tenacia di tale esperimento sociale dovrebbe stuzzicare l’immaginazione e far riflettere in ugual misura progressisti e capitalisti convinti. Publishers Weekly

    "Ci porta oltre la solita, incerta voce dei media, offrendo una comprensione concreta delle azioni, della politica, della storia e della vita quotidiana dei marinaleños. Ciò che questo popolo fa, i suoi principi e la sua tenacia sono d’ispirazione… (il libro) saprà colpire tutti quelli in cerca di un’utopia". Red Pepper

    Con il malessere derivante dal tardo capitalismo così diffuso e cronico che la gente ha smesso di cercare una cura, questa dettagliata descrizione di un paese di 2.700 robusti abitanti che pensano e vivono in un modo alternativo, è un tonico. New Internationalist

    A Javi. Il prossimo giro lo offro io, sul serio.

    Nessuno può fermarci. Non c’è abbastanza sangue, né abbastanza muri, da evitare che un giorno la terra, i diritti e, ovviamente, la libertà, possano appartenere a tutti.

    Marinaleda: Andaluces, levantaos

    Juan Manuel Sánchez Gordillo, 1980

    1

    Scoprendo Marinaleda

    Sin da quando ha cominciato a sognare, l’uomo anela alla creazione di un mondo migliore. Nel 2016 ricorrerà il cinquecentesimo anniversario della pubblicazione de L’Utopia di Tommaso Moro, che descrive l’isola fittizia di Utopia, la cui comunità è disciplinata da regole ferree, ma che al tempo stesso rappresenta un modello da seguire. Il nome dell’isola deriva dal greco e significa non-luogo. Nell’immaginario contemporaneo la parola utopia ha spesso rappresentato proprio questo, un luogo del tutto fittizio, inesistente. Un’utopia è la proiezione della nostra insoddisfazione nei confronti del mondo che ci circonda, un negativo delle sue tante ingiustizie e delle debolezze della nostra specie. Siamo sempre insoddisfatti, per questo sogniamo qualcosa di migliore. Siamo abituati all’idea di utopia come luogo immaginario, spesso appartenente ad una realtà alternativa, irreale, terrestre o di un altro universo. Viviamo in un mondo di finzione, in cui spesso ci si sorprende ad accorgersi che, per quanto possa sembrare un paradiso, le sue fondamenta poggiano su bugie e orrori. Le storie che ci raccontiamo ci mettono in guardia: non solo creare un paradiso è impossibile, ma persino provare a farlo è troppo ambizioso e pericoloso. Più punti in alto, più rovinosa sarà la caduta.

    Se non una proiezione in un mondo immaginario, l’utopia rappresenta una visione idealizzata del futuro, la manifestazione di un progetto politico o religioso che forse un giorno tutti abbracceremo, una serie di linee guida su come ciascuno di noi dovrebbe condurre la propria vita. Queste utopie, come quelle letterarie, sono solitamente esercizi intellettivi astratti, piuttosto che tentativi concreti di dare vita a nuove comunità. Che succederebbe, però, se si provasse davvero a realizzare un’utopia? Come si trasforma concretamente una fantasia onirica, un progetto ambizioso, in realtà?

    Nel 2004 mi recai in vacanza a Siviglia. Sfogliando la mia guida dell’Andalusia lessi di un piccolo, sperduto paese chiamato Marinaleda. Era descritto come un posto unico, un’utopia comunista di braccianti agricoli rivoluzionari. Ne fui subito affascinato, ma la guida conteneva solo pochi dettagli al riguardo, non sufficienti a soddisfare la mia curiosità. Al di là delle poche righe che avevo letto, non riuscii a trovare molte informazioni sul paese, né sui libri, né su internet. Neanche le persone che incontravo a Siviglia erano in grado di fornirmi molti dettagli. Ah, sì, l’utopia. È un paesino comunista, piuttosto strano, mi disse qualcuno. Nessuno lo aveva mai visitato o conosceva altri che lo avessero fatto, né sapeva se si trattasse davvero di un’utopia. Il massimo che riuscii a scoprire fu che il sindaco era molto carismatico ed eccentrico, che godeva di un ampio consenso, che portava una barba che lo faceva somigliare a un profeta e che si chiamava Juan Manuel Sánchez Gordillo.

    Alla fine scoprii qualcos’altro. La prima caratteristica del miracolo di Marinaleda è che, quando i suoi abitanti intrapresero la loro battaglia per creare l’utopia, alla fine degli anni Settanta, nel paese c’era una povertà assoluta. Il 60% della popolazione era senza lavoro, non esisteva terreno pubblico, i lavoratori erano spesso costretti a non mangiare per giorni; tutto ciò in un momento di grande incertezza per la Spagna, dopo la morte del dittatore fascista Franco. La seconda caratteristica del miracolo di Marinaleda è che il successo è giunto dopo trent’anni di intense battaglie. Nel 1985, nel mezzo di quell’incredibile viaggio fatto di lotte e sacrifici, Sánchez Gordillo dichiarò al quotidiano El País:

    "Abbiamo imparato che definire l’utopia non è sufficiente, né lo è lottare contro le forze reazionarie. L’utopia deve essere costruita, qui e ora, mattone dopo mattone, con pazienza e perseveranza, finché non trasformeremo il vecchio sogno in realtà; il sogno che ci sia pane per tutti, libertà per i cittadini, istruzione, e che la parola pace possa essere pronunciata degnamente. Siamo fermamente convinti che non ci possa essere un futuro, se non lo si costruisce nel presente".

    Da vera icona rivoluzionaria, a Sánchez Gordillo piace molto citare Che Guevara, in particolare la massima secondo cui soltanto chi sogna vedrà un giorno i suoi sogni diventare realtà. Come avrei scoperto, in un piccolo paese della Spagna meridionale questo non è solo uno slogan da stampare su una maglietta.

    Il cuore dell’Andalusia è una terra selvaggia. Per molti anni il centro di questa regione è stato la culla del brigantaggio, dove imperversavano i famosi bandoleros. Questi erano le celebrità della loro epoca, gli eroi della gente, che rubavano ai ricchi per dare, sporadicamente, ai poveri. L’area, che si estende attorno alle montagne della Sierra Sur, è storicamente caratterizzata da estesi terreni agricoli, da umili contadini costretti a coltivare la terra di qualcun altro e da banditi, molto popolari fra gli abitanti del posto. Schierati contro di loro ci sono i proprietari terrieri aristocratici, la classe politica borghese e il braccio armato dei potenti, l’odiata polizia militare: la Guardia Civil. La Spagna, scriveva Albert Camus, è la terra natia dei ribelli, dove i più grandi capolavori sono grida lanciate verso l’impossibile, e quelle grida, in Andalusia, riecheggiano più forte che altrove.

    L’Andalusia è, per estensione, la seconda delle diciassette comunità autonome della Spagna, una regione che è ben più di un territorio geografico; chiamarla semplicemente la parte più a sud della Spagna è un peccato di omissione. Essa possiede una cultura e una politica proprie e, soprattutto, una personalità unica. La sua storia è caratterizzata da lotte di classe e guerre civili, invasioni, conquiste, rivolte e sommosse. Nonostante queste sporadiche, spesso violente, interruzioni, i ritmi dettati dalla vita rurale sono però rimasti pressoché invariati per migliaia di anni. Ultimamente, a disturbare la quiete degli andalusi, così come l’Inquisizione, la Reconquista e la Guerra Civile Spagnola, è stato qualcosa di cui loro non erano responsabili.

    Nella primavera del 2013 la disoccupazione in Andalusia ha raggiunto lo sconcertante tasso del 36%, mentre per i giovani fra i sedici e i ventiquattro anni ha toccato il 55%, percentuali più alte rispetto alla già pessima media nazionale. Il boom edilizio degli anni Duemila ha fatto sì che la costa fosse ingombrata da gru e ha incoraggiato un’intera generazione a lasciare la scuola per cominciare a lavorare nei vari cantieri per 40.000 euro all’anno. Ora quel lavoro non c’è più, e non ce ne saranno altri a sostituirlo. Con l’ombra della Banca Centrale Europea che incombeva minacciosa, il primo ministro Mariano Rajoy ha varato una riforma del lavoro che ha reso più facile, più veloce e meno dispendioso per le imprese licenziare i propri dipendenti. Questa riforma sta affliggendo i lavoratori spagnoli sia nel settore pubblico che in quello privato.

    Fra il 1996 e il 2008 il mercato immobiliare spagnolo ha vissuto un periodo di enorme crescita. Il prezzo per metro quadro, in quei dodici anni, è triplicato e ora che il mercato è in un periodo di crisi, gli effetti si ripercuotono tragicamente sulla popolazione. A livello nazionale sono 400.000 le famiglie ad aver subito uno sfratto dal 2008 e, di nuovo, è il sud del paese ad essere maggiormente colpito. In Andalusia ogni giorno quaranta famiglie vengono sbattute in mezzo alla strada dalle banche. A peggiorare le cose c’è la legge spagnola sugli alloggi, secondo cui chi viene sfrattato per non aver pagato il mutuo non solo perde la casa, ma è anche tenuto a continuare a pagarlo. Per questo motivo molte persone, prossime a vedersi pignorare la propria abitazione, ricorrono, in un atto di profonda disperazione, al suicidio, pratica diventata tristemente comune. In più di un’occasione la vittima di sfratto si è gettata dalla finestra proprio mentre l’ufficiale giudiziario stava salendo le scale per bussare alla sua porta.

    Quando la gente in Spagna parla de la crisis, si riferisce alla crisi dell’eurozona, una crisi economica; ma è un termine che racchiude un significato più ampio. È una crisi sistemica, un’ecologia politica incrinata trasversalmente, una crisi dovuta alla corruzione apparentemente endemica diffusa fra i potenti del Paese, fra cui politici, banchieri, membri della famiglia reale e burocrati, una crisi della fiducia nel sistema democratico affermatosi dopo la morte del generale Franco nel 1975. Un sondaggio condotto nel dicembre del 2012 dal centro spagnolo di studi sociologici (affiliato al governo) ha dimostrato che, all’epoca, il 67,5% degli spagnoli non si riteneva soddisfatto del sistema democratico nazionale. È stato proprio questo sdegno nei confronti dello Stato in generale, più che gli effetti della crisi economica, ad aver portato otto milioni di indignados a scendere in piazza nella primavera e nell’estate del 2011 al grido di ¡Democracia Real YA!, Vera democrazia, adesso.

    In Andalusia il divario fra ricchi e poveri era enorme già prima che la Spagna fosse colpita dalla crisi. È sempre stato così. Si tratta di una regione dove il pauperismo delle zone rurali convive con la presenza di immense tenute aristocratiche, i latifundios, dei terreni sconfinati, molto diffusi anche in Sud America, di proprietà dei nobili spagnoli. Nelle campagne della Spagna meridionale si sente spesso parlare di come si possa viaggiare da Siviglia, il capoluogo dell’Andalusia, fino alla costa settentrionale del Paese, senza mai lasciare i territori della celebre Duchessa d’Alba, una nobildonna che si dice possieda più titoli di chiunque altro al mondo. Mentre il 22,5% dei suoi conterranei è costretto a sopravvivere con soli 500 euro al mese, la duquesa dispone di un patrimonio stimato 3,2 miliardi di euro e, come se non bastasse, riceve dall’UE 3 milioni di euro di sovvenzioni agricole all’anno. Ordine e stabilità si possono trovare in un piccolo paese nel cuore selvaggio dell’Andalusia. Così come il piccolo villaggio di Asterix resiste strenuamente ai Romani, in questo minuscolo pueblo, in un esercito messo insieme alla buona di indomabili contadini desiderosi di libertà, un grande impero ha trovato pane per i suoi denti. Sulla carta il confronto sembrerebbe senza storia (Marinaleda ha una popolazione di 2.700 abitanti, la Spagna di 47 milioni), eppure l’impero ha perso, più e più volte. 96 chilometri a est di Siviglia, il capoluogo della regione, 144 da Granada e dalla sua Alhambra, 104 da Malaga e dalla Costa del Sol, circondata da infinite distese di campi coltivati. È lì che si trova Marinaleda. La città più vicina, con supermercati, rotatorie e altre simili caratteristiche urbane, è Estepa, a circa dieci chilometri, la quale non supera i 12.000 abitanti. Da Marinaleda passano due autobus al giorno, uno che va verso Siviglia e l’altro diretto nella direzione opposta, e non ci sono linee ferroviarie nel raggio di diversi chilometri. Nonostante ciò, Marinaleda non è un posto del tutto sperduto.

    Non si hanno notizie riguardo a un’eventuale origine romana, cartaginese o araba, sebbene nel resto della regione queste popolazioni abbiano lasciato un segno del loro passaggio. Le prime prove dell’esistenza del paese risalgono all’inizio del XVII secolo, quando faceva parte delle terre del Marchese di Estepa. All’epoca Marinaleda era popolata da braccianti agricoli, stabilitisi lì per essere più vicini ai campi di grano, agli oliveti e all’acqua del Rio Salado.

    Attraversando il sud della Spagna è difficile notare i segni della crisi che lo sta danneggiando così pesantemente. L’Andalusia è disseminata di oliveti, simili a quelle grandi reti sotto le quali i soldati strisciano durante l’addestramento, e che insieme sembrano formare una coperta stesa sul sinuoso paesaggio. I filari di ulivi sono qua e là interrotti da campi di grano, mandorli, aranci o terreni che vengono lasciati incolti per quattro anni o più per restituire fertilità al suolo. Di tanto in tanto delle fattorie fanno capolino in questa cornice. Molte di esse sono soltanto ruderi di un’altra epoca, senza soffitto, con i muri semidistrutti dall’intonaco scrostato e ricoperti di graffiti.

    Sebbene Marinaleda si trovi in una parte dell’Andalusia chiamata Sierra Sur, altopiano meridionale, qui, nell’estesa pianura del Genil, si vedono solo poche colline nel raggio di chilometri. Estepa è arroccata su una di queste. Dal centro cittadino basta andare un po’ più in alto per godere di una vista panoramica su tutta la regione. La prima volta che mi recai a Estepa conobbi Robyn, una ragazza dell’Oregon che si era trasferita in Andalusia per un anno per insegnare l’inglese. Con alcuni amici spagnoli raggiungemmo il punto più alto della città per guardare i campi sottostanti e vedere se si riuscisse a scorgere Marinaleda.

    L’aria lassù era satura di polvere invisibile. Faceva formicolare la lingua e si attaccava alla pelle. La polvere, in questa parte del mondo, è difficile da ignorare, soprattutto se non ci si è abituati. Robyn lo era, ma era appena tornata da una breve vacanza nel Regno Unito e l’improvviso passaggio dall’umidità penetrante di Londra all’aridità dell’Andalusia aveva reso le sue labbra talmente secche e screpolate da farle sanguinare. Lei continuava ad asciugare il sangue, che subito ricompariva.

    Per trovare prove tangibili del fatto che questa terra fosse un tempo l’Al-Andalus dei califfi musulmani, bisogna andare più a sud della Sierra Sur, verso Granada e la costa, dove alcune indicazioni stradali sono

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