La dote del cielo
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La dote del cielo - Giovanni Pucci
Albatros
Nuove Voci
Ebook
© 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma
www.gruppoalbatrosilfilo.it
ISBN 978-88-567-8002-4
I edizione elettronica ottobre 2016
PREFAZIONE
Nella parola dei poeti è l’impalpabile e avvolgente forza della poesia. Il poeta, nella potenza evocativa della parola scavata, trovata, consegna al lettore il mistero in essa contenuta. E dal silenzio, dalla solitudine, nasce la parola con la quale Giovanni Pucci apre al mondo del ricordo e della nostalgia, tempi e luoghi rivelativi dell’anima universale degli uomini prima ancora che di tempi e luoghi particolari. Eppure, nelle sue tre raccolte di poesie edite da Albatros, per la collana Le Piume, Nuove Voci (Gocce di acqua sorgiva, 2012; Rimane sempre la speranza, 2013; Non si è mai soli, 2014), cui segue quest’ultima La Dote del cielo, l’autore non ha mai fatto mistero di quella Heimat reale che è Onano, vezzeggiata nei suoi versi e nelle foto, suo luogo nativo (così come il mio) e amabile non in quanto luogo famigliare di protezione e di sicurezza, quanto per il fatto che il piccolo centro altoviterbese è luogo mitizzato dell’anima al quale, come tutti gli ulissidi nel mondo, facciamo ritorno per immergerci fra le strade, gli orizzonti, le colline, i cieli, le genti, i ricordi. Un luogo del mondo dal nome palindromo, ipnotico, che diviene lo specchio di tutti i luoghi che ciascun uomo reca dentro di sé e ai quali il distacco, comune ai migranti di sempre, restituisce Uomini e uomini, Storia e storia, solo all’apparenza particolari. Luogo dell’anima prima ancora che geografico e dal quale l’ autore si è separato fin da ragazzo….. per i negozi della vita, recandone in sé le voci.
Prima ancora dei suoi studi superiori nella capitale Giovanni Pucci ha lì conosciuto i poeti a braccio popolari, quelli delle rime improvvisate che nelle osterie, gonfie di odori di vino, gareggiavano in ottave, talvolta sapienti nei canti della Gerusalemme Liberata, più ancora nelle riverite terzine della Divina Commedia, talvolta negli strillati lazzi improvvisati. Modus vivendi dei cantori e poeti-pastori che l’autore ha ascoltato con piacere e rispetto, ha guardato con la più umana simpatia ed ammirazione sebbene, poi, i suoi studi lo abbiano avvicinato alle grandi voci della poesia a partire da Virgilio e Dante, fino a Carducci e a Pascoli de I canti di Castelvecchio. È a quest’ultimo poeta , più che allo stile roboante di Carducci, che il Nostro si avverte in comunità d’affetti e sensibilità per le carezze su quelle piccole ed umili cose alle quali Pucci apre il mondo. Sensibilità e riverenza al poeta romagnolo che Pucci gli aveva dichiarato in apertura della sua prima raccolta, Gocce di acqua sorgiva, allorché lo richiamava per i suoi componimenti poetici: Arbusta iuvant umilesque myricae. E così quella piccola ed umile umanità di genti e di cose non rappresentano il puro e semplice dato anagrafico di Giovanni Pucci quanto l’itinerario culturale e spirituale di chi, muovendo dal villaggio, si apre al mondo e agli uomini tutti, accarezzandone le tensioni, le paure, le felicità e che la poesia «quale espressione più elevata di sentimenti che assorbe la verità del pensiero nelle forme più diverse» eternamente accoglie e restituisce (intervista rilasciatami il 5 luglio 2016). Aperture, agli uomini, alle cose, alla storia, non prive di laceranti interrogativi che si uniscono ai versi e col gusto, talvolta, dello scontro dialettico al quale Pucci non piace sottrarsi perché: «l’uomo nel contrasto del confronto amplia l’orizzonte del sapere e ne riduce la miseria intellettuale, etica» (intervista del 5 luglio 2016). È dal contrasto e dalla solitudine che sorge poi la parola che dà voce (senso) al mondo; la solitudine è Silenzio eloquente, è dialogo di speranza