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Come polvere tra pagine e stelle
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Come polvere tra pagine e stelle

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Zoe decide di partire verso la Riviera Adriatica, lontana da Matteo, ormai ex fidanzato che l’ha tradita con Dorotea, un’amica comune. Ad accoglierla all’Hotel Margherita è un inconsueto biglietto che la invita a entrare, usufruire della struttura in assenza dei proprietari e attendere un’ospite. Irene, un’esile brunetta dallo sguardo vispo e allegro non tarda ad arrivare. Quest’ultima approda nello stesso albergo in cerca di tranquillità per riflettere sul rapporto con l’affascinante Samuele. Tra le due ragazze nasce subito una forte intesa facilitata dalla comune passione per l’arte. I giorni trascorrono tra bagni, sole, feste al chiaro di luna e nuove conoscenze che lasceranno il segno. Tutto ciò avverrà sotto l’occhio vigile dell’imponente faro che tutto sovrasta e avvolge di mistero. Inevitabile per le ragazze la voglia di varcare la soglia di questo custode di ricordi per soffiare la polvere del passato e giungere a verità fortemente legate al presente. Un racconto ricco di emozioni, misteri, colpi di scena e un pizzico d’ironia.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateOct 28, 2016
ISBN9788892634718
Come polvere tra pagine e stelle

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    Come polvere tra pagine e stelle - Federica Di Iesu

    davvero.

    Zoe

    In cerca di pace

    Non credo di essere mai stata così rapida nel fare la valigia. Di solito preparo tutto con giorni d’anticipo, controllo le previsioni del tempo per essere certa che l’abbigliamento scelto sia adatto alle condizioni climatiche, lavo e stiro maglie, abiti e qualsiasi cosa penso possa andar bene da portare. Ho l’abitudine di stendere sul letto gli indumenti, di preparare l’outfit giusto per ogni occasione infilandolo in buste trasparenti, di assegnare a ogni abbinamento il giorno della settimana in cui verrà utilizzato e di sistemare tutto accuratamente in valigia. Dimenticavo, sistemare tutto in valigia considerando che se dovesse durante il viaggio cambiare la condizione meteo, aprendo la cerniera del borsone, troverei subito quel che mi occorre.

    Invece no. Questa volta non è così.

    Ho buttato tutto dentro senza nemmeno guardare bene cosa, ho cercato nel reparto dell’armadio dove sistemo le cose per la mezza stagione, ho acciuffato qualcosa di bianco, forse era il maglioncino che avevo detto di voler gettare. Bene! Tornerò a casa senza di quello, con un carico più leggero. La piastra per i capelli però, proprio non posso dimenticarla. Eccola lì, sul ripiano del mobile a fianco degli asciugamani, sempre pronta all’uso. Mia complice salva immagine! Le schiocco un bacio e ho premura di metterla al riparo dagli urti.

    Incubo. Sento ancora quel maledetto campanello suonare.

    In punta di piedi, come se qualcuno potesse sentirmi, mi avvicino alla finestra e scosto la tenda. No! E’ un venditore di qualcosa, forse di materassi o probabilmente di aspirapolveri. Lo capisco dal vestito elegante e dalla cartellina che ha sottobraccio. Mi ha vista! Faccio un rapido movimento per nascondermi, ma poi ci ripenso. Sono costretta ad affacciarmi per sentire cosa vuole. E’ come pensavo, vuole rifilarmi l’ultimo modello di un aspirapolvere costruito con materiali di pregio, usati anche dalla nasa, e a questo punto mi chiedo perplessa da quando abbiano iniziato a pulire anche sulla luna. Mi assicura che non vuole vendermi nulla, che vuole solo un appuntamento per pulirmi gratuitamente casa. Sì, certo, e io sono la fata turchina! Chiudo nervosamente la finestra. Ammetto di avergli risposto in modo molto sgarbato, mi allontano di qualche passo giustificandomi. Se fosse arrivato un’altra mattina, avrei anche potuto rispondere in un altro modo, ma stamattina non ce n’è per nessuno. No, per nessuno! Ribadisco con fermezza. Smetto di parlare da sola e sono già pentita ripensando al mio inconsueto gesto ineducato, riapro la finestra e lo vedo ancora lì, fermo dove l’avevo lasciato a segnare qualcosa sull’agenda. Credo mi stia depennando dai potenziali clienti, o meglio, boccaloni.

    Perdonami! Mi rivolgo dandogli del tu, come se fossimo amici. Ravvivo i capelli rendendomi conto di aver un aspetto orribile, da pazza appena fuggita da qualche centro di cura, e sicuramente le mie parole lo incoraggiano a pensarlo. Devi scusarmi, ma è tutta mattina che cerco di scrivere qualcosa di decente per un concorso, invece vengo continuamente interrotta da qualcuno che suona il campanello, inoltre ieri ho scoperto che il mio ragazzo con il quale ho convissuto per tre anni, mi ha tradita con quella che consideravo un’amica e stamattina, pesandomi, ho visto di essere ingrassata tre chili in un mese. Ti rendi conto? Tre chili! Sventolo le mani all’aria in maniera eccessivamente plateale. Mi ricompongo. Comprendi che della tua aspirapolvere poco m’importa? Dico tutto d’un fiato con un sorriso tirato e finto come la pianta di ortensie che mia madre ha messo sul davanzale della finestra. Il tizio con i capelli brizzolati se ne sta a bocca aperta. Infila la penna nel taschino della giacca, sistema gli occhiali rotondi sul naso e con mia sorpresa risponde: Ma sai che questa mattina anche la mia bilancia segnava tre chili in più?

    Resto in silenzio per alcuni secondi prima di richiudere la finestra e capisco che forse c’è chi sta peggio di me.

    Nel mese di agosto gli hotel della Riviera Adriatica sono quasi tutti al completo. Non avevo intenzione di spendere soldi, non era in programma. In realtà un programma l’avevo. Insieme al mio ex, ho versato un buon anticipo per Stintino, peccato che Matteo ci andrà con Dorotea.

    "Scusami", mi aveva detto prima che uscissi dalla porta, "Non avevo intenzione di ferirti, non volevo che venissi a saperlo in questo modo. Mi dispiace. Volevo chiederti, se per te va bene restituirti la quota per la Sardegna, ma non prima del mese prossimo… vorrei andarci con Dorotea."

    Si può essere più perfidi di così? Ed io? Potevo essere così stupida, così ingenua da non essermi accorta di nulla? Chi sono stata fino a oggi? Respiro profondamente. Non ho chiuso occhio, non ho nemmeno provato ad andare a dormire. Ho cercato di ricordare quali fossero i segnali dell’allontanamento di Matteo, insomma qualche gesto che potesse farmi intuire che avesse una relazione con Dorotea. La mia amica Dorotea. Calcio con forza un paio di calzini che sono rotolati fuori dalla valigia.

    La notte scorsa, ho camminato al buio per la città fino alle 4.00 di questa mattina. Lo faccio sempre quando sono nervosa. Passeggiare intendo. Cammino fino a che tutta l’adrenalina non si è esaurita, è un buon metodo.

    Ripercorro mentalmente per l’ennesima volta le ultime occasioni in cui io e Matteo ci siamo scambiati carezze e parole dolci sussurrate all’orecchio. Non riesco a togliere dalla testa quegli occhi nocciola, così dolci che credevo fossero solo per me. Quanto mi sbagliavo. Chissà quante volte mentre stringeva me, desiderava lei, quante volte le sue labbra avevano toccato quelle di Dorotea. Scuoto la testa come per cancellare quelle immagini. Vorrei fargli tante domande, ma sarei ridicola. Ormai so tutto quello che devo sapere. Mi sono ritrovata improvvisamente da sola. Eppure ieri mattina mi sono svegliata accanto a lui e abbiamo fatto anche l’amore. Al solo pensiero della sua bocca sul mio collo mi vengono i brividi. Mi ha coccolata come sempre prima di andare al lavoro. Gli è sempre piaciuto arrotolare i miei capelli, giocarci con le dita. Perché hai scelto lei? Cosa ti mancava nel nostro rapporto? Come hai fatto a tradirci? Dicevi di amarmi. Mentre mi dico di non mollare sento tutta la debolezza cadermi addosso. Mi siedo a terra con le spalle al muro. E’ da ieri sera che la rabbia non riesce a farmi scendere nemmeno una lacrima, ma ora, con la consapevolezza che non tornerai più, che non ci sarà più un risveglio accanto a te, che i tuoi occhi e la tua bocca non saranno per me, beh, adesso proprio non ce la faccio più. Affondo la faccia tra le mani e mi lascio andare a un pianto disperato, come quelli che solo i bambini sanno fare, dove essere infantili non è un difetto, ma un diritto. Nel momento in cui inizio a singhiozzare, capisco che sono giunta al capolinea. Devo tirarmi su prima che arrivi qualcuno in casa e mi veda, sì, perché ora che non ho più il mio appartamento con Matteo, sono tornata a casa dei miei genitori, e non ho nemmeno la libertà di piangere dove e quando voglio. Mi farebbero delle domande alle quali non voglio rispondere. Non ora.

    Mi alzo da terra e vado verso il bagno per cercare di riprendermi, ma quando guardo la mia immagine riflessa allo specchio, non mi riconosco. Gli occhi sono troppo gonfi e stanchi, troppo rossi, troppo spenti per una come me. Passo l’acqua fredda più volte sul viso, mi riguardo e cerco di abbozzare un leggero sorriso, come a voler consolare un’amica. Vedrai, passerà.

    Alla fine mi sono appoggiata sul letto e devo aver dormito a lungo. Guardo l’orologio. Scatto nel vedere che sono le tre del mattino. Ho dormito per più di dodici ore. Non è da me. Mia madre non mi ha svegliato nemmeno per andare a cenare, penso abbia capito che qualcosa non va. Mi sono addormentata con un fazzolettino di carta in mano e c’è una valigia che mi aspetta. Dicono che le mamme sentano certe cose, io ancora non lo so.

    Non ho resistito, a mente più riposata, ho svuotato la valigia e l’ho rifatta con più garbo, non come l’avrei fatta normalmente, ma sicuramente più dignitosa di prima.

    Prendo dei biscotti dalla dispensa, li metto in un sacchetto di carta per mangiarli durante il viaggio e prima di partire vado in camera dei miei genitori, stando attenta a non svegliare mio padre e saluto mia madre dicendole che l’avviserò una volta arrivata a destinazione. E’ sempre rassicurante sapere che loro sono lì. Un punto fisso che brilla sempre per te. Mia mamma è davvero una gran donna, mi sorride ancora non del tutto sveglia e mi dice: Vai a prendertela questa felicità. Sarò qui ad aspettarti. Un bacio sulla guancia, il primo contatto d’amore dopo tanto dolore. Vado in camera di Daniel. Dorme ancora, gli do un abbraccio e via.

    L’hotel che ho trovato su Booking è a conduzione famigliare. Era l’unico economico che ho trovato disponibile nell’immediato.

    Quando ero piccola, con i miei genitori andavamo in campeggio, ma non un campeggio a tre stelle, nemmeno a due, era un campeggio abusivo. Non che non potessimo permetterci di meglio, ma i miei genitori avevano una concezione di vacanza diversa da quella che ha la maggior parte della gente. Ricordo che io e Lara, la mia migliore amica, che veniva annualmente con noi, facevamo la doccia insieme con i gettoni. In pratica, l’acqua scendeva per un determinato numero di minuti, il tempo di bagnarci e toglierci la sabbia, finita l’acqua ci insaponavamo, poi inserivamo nuovamente il gettone per sciacquarci. Una volta ci siamo dilungate troppo, più del dovuto, e l’acqua è finita prima di aver tolto la schiuma dai capelli. Vi risparmio le peripezie per andare al bar a comprare un altro gettone.

    Ci spostavamo con un furgone, quello che mio padre usava per il lavoro, ma prima di partire diventava la Reggia di Caserta, pulito a lustro, con tanto di quadrettini sparsi qua e là per rendere tutto più accogliente. Mia madre cucinava usando un piccolo fornellino tutti i giorni e solo l’ultimo giorno prima di tornare a casa, era concesso il ristorante, rigorosamente: frittura di pesce per tutti. Era una festa. Non ho mai desiderato avere di più, io e Lara tutt’ora ricordiamo con affetto quegli anni fatti di bagni al chiaro di luna, pazze risate ballando a piedi nudi sulla sabbia e una serie di amicizie che non duravano più di un’estate a livello di contatto, ma che sarebbero rimaste per sempre nella nostra mente.

    Da quando ho iniziato ad avere il fidanzato e ad andare in vacanza da sola, le cose sono cambiate molto. Non so se riuscirei a tornare in un campeggio abusivo. A 39 anni, anche solo dormire in un letto scomodo, mi creerebbe dei problemi alla cervicale, ebbene sì: ho già un’ernia cervicale. Non ridete, è una cosa seria.

    Sono in viaggio da un’oretta, alla radio passano una canzone di Baccini dove dice che ha voglia di innamorarsi, ha voglia di stare male, come se soffrire fosse una conseguenza inevitabile dell’amare. In effetti, lo è. Vuoi venire al mio posto Baccini? Guardo dallo specchietto retrovisore, non c’è nemmeno un’auto, forse perché è davvero molto presto, sono appena le 5.00 del mattino e tra poco sarò già arrivata. Incrocio i miei occhi riflessi nello specchietto e mi complimento con me stessa per non aver ancora versato una lacrima. Se solo mi viene in mente Matteo, a quello che ho visto… non so se devo piangere, se devo tirare dei pugni o fare entrambe le cose contemporaneamente. Ecco, sento riempirsi gli occhi e la vista è annebbiata. Non ora, Zoe, avrai tempo. Certo che non era il momento più indicato per scoprire di Matteo e Dorotea, proprio adesso che… oppure sì. Potrebbe essere il momento giusto perché ho altro a cui pensare, qualcosa di più importante, il mio futuro. Un futuro nuovo, tutto da scoprire, senza di lui che non era nemmeno chi pensavo che fosse.

    Che delusione! Ecco che il pensiero torna da lui, inevitabile come il battito del cuore, anzi no, troppo poetico, inevitabile come il gas intestinale dopo una scorpacciata di legumi.

    Ha raggiunto la sua destinazione. La voce della signorina Gps, mi avvisa che ho raggiunto la meta.

    Mi guardo intorno in cerca di una struttura, di qualcosa che faccia pensare a un albergo, ma non vedo nulla se non una strada chiusa con un piccolo ingresso in una pineta. Controllo sulla piantina e scopro che devo attraversare la pineta e farmi un tratto di spiaggia a piedi per arrivare all’hotel. Spero che non sia troppo distante, visto che ho una valigia da portare a mano. Sbuffo scocciata. Immagino che ci sia un altro modo per arrivare, non credo che tutti i clienti debbano parcheggiare la macchina qui e portarsi tutto a mano. Ricontrollo sulla mappa, ma non trovo un percorso alternativo. Finisco l’ultimo biscotto, getto il sacchetto in un cestino e mi avvio verso l’ignoto.

    Devo ammettere che la pineta alle 5.30 del mattino è molto inquietante, non vorrei dirlo, però mi sembra di scorgere delle figure di tanto in tanto spuntare da dietro gli alberi. Uhh!!! Oddio cos’è? No, posso essere certa di aver visto qualcosa strisciare per terra. Sono terrorizzata. Accelero il passo verso l’uscita, sento il verso dei gabbiani, ormai ci sono. I raggi di luce filtrano deboli attraverso i pini marittimi, è ancora molto presto. Quando mi avvicino alla fine del viottolo della pineta vedo qualcosa di cui sentivo davvero il bisogno di contemplare, mi fermo e come sempre sono incantata da tanta immensità e meraviglia.

    Il mare, infinito, tranquillo, ma palesemente potente e invincibile quando è in tempesta. Lo invidio. Ora, la linea dell’orizzonte appiattisce i miei pensieri, mi sento così tranquillizzata ad osservarlo. Mi concedo il piacere di avvicinarmi a lui, lentamente, chiedendo il permesso tolgo le scarpe e rinfresco i piedi. Un gabbiano vola alto sulla mia testa e non posso fare a meno di respirare questa sensazione di profonda libertà.

    Dopo essermi rinfrancata dal viaggio, con la brezza fresca del mare, m’incammino a sinistra, sulla riva bagnata a piedi nudi, verso la direzione dell’albergo. Da lontano vedo arrivare delle ruspe, quelle che puliscono la spiaggia e qualche mattiniero che raccoglie delle conchiglie sulla battigia. Continuo a camminare e vedo che sulla mappa si sta a poco a poco accorciando la distanza tra me e l’albergo. Guardo l’orologio sono da poco passate le sei. L’alba si fa spazio davanti a me, rischiarando il cielo, è uno spettacolo a cui non voglio rinunciare. Mi siedo su un moscone da salvataggio, estraggo il cellulare per fermare l’attimo, ma vedo sul salvaschermo Matteo che mi bacia sulla fronte, un bacio pulito e caldo, almeno è quello che ho pensato fino ad oggi. Sospiro. Scatto la foto, la carico sul mio profilo facebook e a caratteri cubitali scrivo: Ogni giorno comincia con una nuova alba ed io son venuta fin qui, per prendere il mio nuovo inizio. Non mi piace scrivere le mie cose personali sui social, sono piuttosto riservata, soprattutto quando si tratta di cose che non sono positive, ma l’effetto di un post-abbandono prevale su di me e penso che mi sia concesso lasciarmi andare a qualche frase da #stomalecomeuncanemavincerò.

    Forse inconsciamente voglio attirare l’attenzione, voglio fargli sapere dove sono e che se non verrà a prendermi ci sarà un nuova vita per me. Lo voglio ancora? Do un’altra occhiata al telefono per vedere la foto, non riesco ancora ad odiarlo. E’ più di un anno che è l’immagine principale del mio telefono. Mi faccio coraggio e la sostituisco con la foto dell’alba.

    Quando le ruspe sono ormai lontane, sento il rumore del mare insieme a un altro suono, una melodia. Vado in cerca della sua provenienza camminando e quando capisco da dove arriva ne rimango stupita. Mi sembra di essere catapultata in una favola,

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