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La fascinazione del potere
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La fascinazione del potere

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Lo sfondo ove si svolge la narrazione è denso di fumi e di contrasti. La concordia è virtù perdente. Più invasiva e prepotente invece la volontà di supremazia, diffusa in ogni dove: una reggia o uno scantinato, una caserma o un convento, una scuola o un condominio possono contenere giochi di relazione e rivalse sociali. Così come in un simbolico gioco di potere, in un caseggiato del retroterra veneziano si svolgono le vicende che vedono protagonisti alcuni particolari e vivaci personaggi, come Matelda, chiamata col diminutivo “Elda”, che raccoglie meriti al pari di un politico di “Palazzo” e riproduce in scala usi e costumi degli arraffoni seduti in seggio. Anche la sua postura sulla sedia assume quel certo sentore di arroganza placida che appartiene agli inetti. E in questa rete di rapporti entrano in contatto e in conflitto con lei altre figure come Ruffina, Carolina e Crizia e si scopre che l’odio del subalterno contro “il padrone” è storia interminabile e fa parte della storia dell’uomo: troppo lunga la carrellata su un capitolo che dura nel tempo e troppo lunga l’esplorazione sui guasti dell’animo, derivanti da tutte le scale gerarchiche, gli assetti piramidali, con l’alternanza di schiavi e di padroni, di uomini o caporali.
LanguageItaliano
Release dateOct 27, 2016
ISBN9788856779936
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    La fascinazione del potere - Maria Luisa Ciocci

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-7993-6

    I edizione elettronica ottobre 2016

    Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è puramente casuale.

    - illustrazione di Eva Baldan -

    Prologo

    Avrei voluto scrivere un’interessante biografia. Mi affascinano le biografie, soprattutto quelle di personaggi antichi ed importanti, come re e regine, ed ancor di più i loro cortigiani, quelli proprio cattivi, astuti e meschini, abbastanza veri, sì da svelarci le complicate astuzie degli intrighi di corte. Personaggi del passato, riconoscibili anche attraverso la narrazione pittorica dei loro ritratti che sembrano avere un che di umano e non-umano, affiorante da una patina ambigua nelle pose e nelle espressioni. Le facce da quadro antico insomma che oggi non ti aspetti di incontrare per strada. Facce un po’ livide ove il pittore vi ha spolverato un’aria morta, da cui l’umana passionalità affiora appena, ammorbidita e stagnante. Esse sono l’essenza di noi e la loro vita ripete la nostra. Ma per il comporsi di situazioni diverse sembra che gli impasti siano differenti. L’umanità dunque non è più quella. Ma è proprio così?

    Mi si consenta una fantasia semantica come un preludio ad un continuum spazio temporale ove l’homo sapiens si esprime in una costante comportamentale.

    Ad osservare bene il combinarsi delle umane vicende, il loro evolversi e complicarsi nella varietà delle situazioni, siamo rimasti i noi di sempre. È solo lo scenario che è cambiato: nella rappresentazione del nostro quotidiano, non ci sono le corti, non ci sono i duchi, i re, i castelli, i cortigiani. Ci sono i noi moderni, ma la nostra impronta caratteriale sembra rimasta immutata ed immutabile nel tempo; solo per un cambio di residenza, di trasmigrazione da un’epoca all’altra, dal mondo di ieri, ci ritroviamo catapultati nel mondo contemporaneo. Cambio svantaggioso per certi versi, ma la nostra essenza si rivela ovunque, con lo stesso comune denominatore, non solo negli ambienti dei ricchi e dei potenti, (che magari per essere ricchi e potenti si sono macinati l’anima), ma anche nel mondo dei meno fortunati la cui essenza macchinosa e scontenta raggrinzisce le idealità in uguale misura.

    C’è per tutti un elemento di disturbo che è la smania di prevalere, anche fra poveri diavoli, una smania di potere strazzarolo che disturba con tutta la sua nociva portata. Si tratta di potere tignoso e petulante se così vogliamo chiamare un istinto primitivo di prevaricazione, che comunque, fra i miseri, produce una capacità di intrigo, una sorta di macchinosa invenzione degna del più astuto dei cortigiani del tempo che fu.

    L’anima del cortigiano trasmigrata nel moderno oggi la si può trovare dovunque, fra gli arrampicatori di un consiglio di amministrazione, ad esempio, fra i politici, fra gli uscieri dei Ministeri, fra gli impiegati di Banca, fra le comparse di Cinecittà, fra i camerieri, fra gli operai, fra i religiosi dei conventi, e in tantissimi altri ambienti ove sgomitare per emergere significa intorcinare l’ingegno per produrre quella cosa che si chiama intrigo.

    Tale vocazione di complessa fattura si potrebbe annidare anche laddove manca la molla per il guadagno, o per la carriera: basta l’istinto alla prevaricazione per produrre fastidi. Dunque certo meccanismo dell’inventiva ha una forte presa anche fra sempliciotti che mai pensi possano covare velleità di un qualche tipo.

    Scavando in luoghi impensabili, persino fra gli abitanti delle case popolari, una qualche sorta di ambizione massacra il buon senso e il semplice sentimento del pudore. Per osservare meglio, basterebbe sostare nel luoghi dove nascono le ambizioni forti, infiltrarsi magari come invisibili spettatori fra i componenti di un’assemblea condominiale.

    Uno spudorato tipico potrebbe essere ad esempio un semplice capo-scala che, per eccesso di zelo e di arroganza, finisce per essere un capo-branco in ascesa verso uno status di preminenza arraffato a sgomitate. Uno così si afferma sugli altri e si rassicura quando in qualche modo si sente il capo di qualcosa.

    Tale delizia mentale è quella che poi lo porta ad osare oltre le sue reali possibilità.

    E ovviamente produce guai. Farebbe carte false, si muove nel territorio come su una scacchiera, e in qualche modo, pur con strategia maldestra, ricalca le orme di un antico monarca che inventa complicate manovre per non perdere il trono.

    E comunque scorticarsi l’anima per un trono è un motivo plausibile. Per il povero diavolo invece la posta in gioco è davvero misera; lui però non molla e regnare anche su un recinto grigio e stretto, lo compensa del cruccio per essere da sempre un perdente cronico. Non c’è cosa più nociva che questo tardivo recupero dell’irrecuperabile.

    Personaggi così, impegnati ad afferrare il vuoto, sembrano incolori e le loro storie insignificanti; si potrebbe ignorare il tutto, se non fosse per l’attrazione del disarmonico, dell’horror vacui ove si agitano certe carambole del non senso. E comunque tutto il reticolato di intrighi in cui si muove certo campionario di umanità attinge da cronaca vera condita magari con un po’ di fantasia. Ne viene fuori un dossiér, per non chiamarlo libro, fatto di tanti racconti, non proprio "Le mille e una notte" dato che la vena creativa vola bassa sotto un cielo che proprio non è stellato, e neppure concavo e neppure orientale come nei capolavori che si rispettino.

    * * *

    Ma anche in questi siti ci sono tanti personaggi: c’è una che si chiama Idelma, nata con quello strafalcione di nome che non riesci a pronunciare, e perciò non la chiami mai. C’è Bettina, veneziana verace, e anche lei... non la chiami affatto, guai bussare alla porta per via della privacy che occulta raccoglimenti profani da alcova e orazioni sacre da penitente. Poi c’è Agata, con quel nome di gemma che le cade di dosso, affatto nobile, affatto preziosa, nativa di Campocroce (come dire Croce a tutto campo su una disoccupazione cronica). C’è anche Matelda, detta Elda, biblica, che evoca i misteri dell’Oriente, e però altro che odalisca, è una palla di lardo di cento chili. E poi altro campionario coi nomi scaduti e passati in prescrizione dopo i disastri dell’ultima guerra: Vittoria, Italia, Edda, Clara... meglio lasciar perdere. E poi ancora una Ruffina con una assonanza dubbia, a mezzo tra un nome da spettinata o arruffata, e un nome che, per decenza, ha perso la terzultima vocale A. C’è anche Crizia, col nome strizzacchiato come una gonna plissè. Pochi i maschi: un Toni, un Benito, un Bepi, un Nane e qualche altro. Pochi davvero, confusi in un gineceo di donne anziane e vedove. E lì... c’è poco da stare allegri.

    Ma c’è di peggio: l’io narrante non conosce il dialetto veneto del retroterra veneziano dove la scena è ambientata, cerca di cogliere umori locali, ma racconta in lingua italiana e... insomma non è Camilleri.

    Capitolo 1

    Il potere logora chi non ce l’ha, l’aveva detto Andreotti che si muoveva fra complicati labirinti e manovre di Palazzo, virtualmente planando con le celebri orecchione nelle sfere alte. Nelle sfere basse invece, nel mondo dei poveracci, la guerra per il potere non dovrebbe logorare nessuno, dato che inseguire il quasi nulla non sarebbe affatto conveniente; e poi ogni cosa miseranda sa arrivare da sola e si attacca alla pelle gratuitamente prima ancora che venga evocata. Ciononostante è proprio rimestando i fondali del nulla che emergono guerre intestine dalle dinamiche assai curiose.

    Il fatto è che un condominio popolare offre porte aperte a chiunque e questo chiunque sale nel direttivo ideale senza sottostare alle regole, un po’ con la stessa facilità con cui nel Far West chi arriva primo in località non presidiate, si appunta la stelletta di sceriffo.

    Eppure siamo in epoca ultramoderna, in un Paese ove mille normative, commi, leggi e leggine invadono ogni dove, carte e carte, divieti e permessi che persino nelle anticamere dei gabinetti pubblici regolamentano le tue urgenze. (Prova ad entrare nella porta sbagliata senza guardare la figurina di indicazione e vedi che succede)...

    Anche nelle case popolari corrono mille scartoffie per mille regolamentazioni, e da lì nascono i grandi paradossi: se un inquilino ad esempio si mette in testa di occuparsi dei problemi condominiali, magari in qualità di coordinatore, o figura di riferimento, non deve presentare incartamenti di alcun tipo, neppure la pagella della prima elementare: lui c’è e basta, niente lo fermerà, serve solo l’attitudine alla prevaricazione. E purtroppo molte vicende che avvelenano la vita di relazione sono alimentate e complicate dalle ambizioni sbagliate di un qualche sprovveduto in fase di protagonismo.

    Ma vediamolo all’opera, nel bel mezzo di una assemblea, dove si agita

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