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Geopolitica del terrorismo. Quali minacce? Quali soluzioni?: Numero 1 di Diplomazia - Rivista di affari strategici e geopolitica, dedicato al terrorismo internazionale con un'analisi delle cause e delle possibili soluzioni per prevederne la minaccia.
Geopolitica del terrorismo. Quali minacce? Quali soluzioni?: Numero 1 di Diplomazia - Rivista di affari strategici e geopolitica, dedicato al terrorismo internazionale con un'analisi delle cause e delle possibili soluzioni per prevederne la minaccia.
Geopolitica del terrorismo. Quali minacce? Quali soluzioni?: Numero 1 di Diplomazia - Rivista di affari strategici e geopolitica, dedicato al terrorismo internazionale con un'analisi delle cause e delle possibili soluzioni per prevederne la minaccia.
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Geopolitica del terrorismo. Quali minacce? Quali soluzioni?: Numero 1 di Diplomazia - Rivista di affari strategici e geopolitica, dedicato al terrorismo internazionale con un'analisi delle cause e delle possibili soluzioni per prevederne la minaccia.

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About this ebook

DIPLOMAZIA è una rivista nata nel 2002 in Francia con il Gruppo Editoriale Areion intorno ad un progetto editoriale singolare: pubblicare la prima rivista francese importante dedicata alle relazioni internazionali ed ai conflitti contemporanei, economicamente e politicamente indipendente, dedicata ad un vasto pubblico, ma alla cui linea editoriale si accompagnino un’analisi rigorosa, l'apertura delle idee e l'imparzialità nei confronti delle principali questioni internazionali. Per raggiungere questo obiettivo, DIPLOMAZIA si avvale di ricercatori e analisti di fama internazionale, attraverso i quali riflettere sulle nuove realtà geopolitiche contemporanee con chiarezza e trasparenza, indipendenza di giudizio e curiosità intellettuale. Per allargare i suoi orizzonti e campi di competenza, la rivista ricorre ai servizi di un gran numero di esperti, francesi e stranieri, nelle relazioni internazionali, in settori diversi come complementari: geopolitica, geostrategia, economia internazionale, etnologia , storia e diritto internazionale. In alcuni casi, gli approfondimenti sono affidati anche a giornalisti specializzati su determinati temi la cui competenza sia però accompagnata da un’esperienza diretta sul campo. La qualità di questi autori e la ricchezza delle opinioni espresse oggi costituiscono l'identità stessa della rivista. DIPLOMAZIA intende offrire ai propri lettori una visione autonoma, realistica e ampliato sulle relazioni internazionali e per questo si avvale anche di varie partnership editoriali e scientifiche. A questo proposito è in corso una stretta collaborazione con l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), oltre ad avvalersi di analisti e ricercatori provenienti da trentadue istituti di ricerca internazionali.
LanguageItaliano
Release dateOct 10, 2016
ISBN9788899301439
Geopolitica del terrorismo. Quali minacce? Quali soluzioni?: Numero 1 di Diplomazia - Rivista di affari strategici e geopolitica, dedicato al terrorismo internazionale con un'analisi delle cause e delle possibili soluzioni per prevederne la minaccia.

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    Geopolitica del terrorismo. Quali minacce? Quali soluzioni? - Alexis Bautzmann

    terroristiche

    Editoriale

    di Alexis Bautzmann

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    Sebbene il terrorismo non rappresenti una novità politica, il suo significato è di solito oggetto di un difetto d’interpretazione. Diversi attori pubblici così come numerosi media troppo spesso riducono i suoi obiettivi alla semplice creazione di un clima di terrore: creare il panico attraverso la violenza armata al fine di destabilizzare l’opinione pubblica, portandola così a costringere i politici a soddisfare le rivendicazioni dei gruppi terroristici. Certamente questa dimensione esiste ed è centrale, ma non è l’unica e tende ad evolversi in modo significativo con l’emersione del terrorismo jihadista ora guidato da obiettivi più profondi. Poiché al di là del terrore, il Daesh rappresenta in realtà uno stile di vita, una forma di società i cui valori si incentrano in modo inequivocabile sull’introduzione di un Califfato. Pertanto, non è più semplicemente quello di terrorizzare la popolazione il suo scopo, ma scuotere l’economia di un paese* rovesciando i valori su cui è costruito. Un terrorismo dall’approccio sistematico quindi, che è stato in gran parte alimentato dall’effetto di amplificazione dei media e dal dilettantismo di un gran numero di governi fuorviati dai sondaggi su un’opinione pubblica disorientata. Attraverso la creazione di un clima di terrore al quale gli Stati sembrano rispondere solo con misure liberticide (militarizzazione della polizia, perdita delle libertà individuali, archiviazione diffusa, ecc.), sfruttando l’arma demografica (afflusso di rifugiati) e sfaldando le comunità etniche e religiose, questo terrorismo riesce senza grande difficoltà a raggiungere i suoi obiettivi: trasformare le democrazie in qualcosa d’altro, in cui il populismo, la disinformazione e l’estremismo religioso o etnico vengono inseriti in modo permanente nel panorama politico. Con, in ultima analisi, un potenziale caos sociale che aprirebbe la strada a tutte le possibilità. Una questione molto delicata, alla quale I Grandi Dossier di Diplomazia dedicano tutto questo numero.

    *Che si tratti di un rallentamento degli investimenti o del consumo nei Paesi colpiti, del crollo del settore turistico (come nel Maghreb e in Egitto) o del costo sproporzionato della lotta contro il terrorismo (1,6 miliardi di dollari spesi dai soli Stati Uniti tra il 2001 e il 2014, secondo un rapporto del Congresso degli Stati Uniti nel mese di dicembre 2014).

    Alexis Bautzmann è geografo e politilogo, dirige il Centre d’Analyse et de Prévision des Risques Internationaux (CAPRI) ed il Gruppo editoriale Areion (riviste Carto, Diplomatie, Moyen-Orient, DSI, Histoire&Stratégie, etc.) che ha fondato nel 2003. Insegna relazioni internazionali e affari strategici in diverse università e istituti universitari francesi e esteri.

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    Che cos’è il terrorismo?

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    Il concetto di terrorismo è difficile da spiegare e suoi contorni sono piuttosto vaghi. Pur essendo la questione clou del XXI secolo, non se ne ha ancora una definizione chiara e universalmente accettata. Ma se ciò è vero, allora si pone la questione della violenza legittima e quella dell’etichetta «terrorista» che è sempre contestata da quelle organizzazioni designate come tali?

    Di Jean-Michel Dasque, ex diplomatico ed ex rappresentante permanente della Francia presso l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, autore di Géopolitique du terrorisme (Ellipses, 2013).

    Se la parola «terrore», dal latino «terror» («panico») è antica, il termine terrorismo è apparso per la prima volta nel 1793 negli scritti dei giornalisti e nei discorsi politici. Indicò il sistema che ha operato tra il 5 settembre 1793 e il 28 luglio 1794 (9 Termidoro) per reprimere senza pietà gli esponenti contro rivoluzionari e i federalisti. Sono stati qualificati come «terroristi» i sostenitori di questa forma di governo. Questa parola appare ancora con questo significato nel Supplemento al Dizionario dell’Accademia di Francia nel 1798. Nei primi anni del XIX secolo, il termine designato individuò i gruppi che volevano rovesciare violentemente i regimi monarchici. Successivamente è stato applicato indiscriminatamente agli insorti della Polonia, dell’Italia o dell’Irlanda, ai russi nichilisti, agli anarchici, ai nazionalisti in lotta contro il regime coloniale, all’estremismo di destra o sinistra. I leader politici hanno avuto la tendenza ad estendere all’infinito questo concetto e usarlo senza preoccuparsi se fosse davvero appropriato. E Silvio Berlusconi, all’epoca presidente del Consiglio dei Ministri italiano, non ha esitato a descrivere come «terroristi» i no-global che protestavano contro il Summit del G8 a Genova. Attualmente, anche Assad è definito terrorista, nonché i jihadisti del Daesh, come anche i sunniti salafiti e l’opposizione democratica in Siria.

    Una definizione è tanto più difficile se consideriamo che la parola è chiaramente connotata e porta una certa carica emotiva. Si è spesso, non a caso, sfruttata e usata per screditare gli avversari. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Resistenza in Francia è stato diffamato come terroristi da parte del regime di Vichy, prima di essere salutato come liberatori qualche tempo dopo. Più di recente, i guerriglieri dell’Esercito di liberazione del Kosovo sono stati accusati di terrorismo, anche da funzionari occidentali, prima di essere riconosciuti come autentici rappresentanti del popolo kosovaro. Come dice il proverbio, il terrorista di ieri è il partigiano di domani.

    Nonostante le difficoltà sulla questione, molte definizioni di terrorismo sono state avanzate, tra cui nei seguenti testi ufficiali: il codice penale federale (Criminal Federal Code, titolo 18, sezione 2331) e il Patriot Act degli Stati Uniti, il Terrorism Act 2000 del Regno Unito, il codice penale tedesco (sezione 129) e il codice penale francese (articoli 421 e seguenti). A livello multilaterale, le Nazioni Unite non sono state in grado di adottare una definizione universalmente accettata. Il comitato speciale sul terrorismo istituito nel 1996 dall’Assemblea Generale non ha finora raggiunto un accordo. Di contro, si trovano degli schizzi di definizione negli strumenti diplomatici adottati presso le sedi europee in particolare la Convenzione del Consiglio d’Europa per la prevenzione del terrorismo del 16 maggio 2005.

    La maggior parte dei testi si concentra su due elementi dell’azione terroristica. Il primo è l’uso di mezzi violenti per creare un clima di terrore, attaccare l’ordine pubblico, per impressionare la gente e per fare pressione sui responsabili delle decisioni. Il secondo è quello di cambiare il processo decisionale e di costringere un governo o istituzione multilaterale ad agire nella direzione desiderata. L’obiettivo può essere un cambiamento di regime, un cambiamento nella linea politica, la liberazione degli attivisti imprigionati, l’indipendenza di un territorio. Alcune definizioni, come ad esempio quella del codice statunitense (US Code, Titolo 22, 2.656 sezione (d) e quella avanzata dal politologo Jean-Marc Balencie (1) precisano che gli atti terroristici devono indirizzarsi verso degli obiettivi non militari e sono perpetrati da gruppi non statali o agenti da clandestini.

    Jean-Michel Dasque

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    Terrorismo quali trasformazioni nel corso della storia?

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    Il terrorismo è un fenomeno antico e probabilmente si può sostenere che esso esiste da quando gli uomini vivono in società. Esso è legato all’istinto di violenza che rappresenta una caratteristica costante del comportamento umano. Ma esso si è comunque evoluto nel corso delle epoche. Ha rivestito forme e metodi diversi oltre ad essere stato motivato da vari fattori. Ha sperimentato fasi di maggiore o minore intensità. Una cosa è certa, il terrorismo moderno come lo conosciamo, è un fenomeno recente, è apparso solo nella seconda metà del XIX secolo.

    Di Jean-Michel Dasque, ex diplomatico ed ex rappresentante permanente della Francia presso l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, autore di Géopolitique du terrorisme (Ellipses, 2013).

    La preistoria del terrorismo

    L’antichità greco-romana ci ha dato i primi esempi storici di terrorismo. Nel VI secolo a.C., due giovani ateniesi, Armodio e Aristogitone, uccisero Ipparco, uno dei Pisistratidi. Diversi re e tiranni della Grecia e la Sicilia subirono la stessa sorte. Giulio Cesare morì durante le Idi di marzo, accoltellato da un gruppo di senatori che lo accusavano di volersi incoronare re. Altre forme di terrorismo sono apparse nell’antichità. Lo storico romano (di origine giudea) Flavio Giuseppe riporta come dei fanatici ebrei mossero una feroce resistenza alle legioni romane e crearono un regime di terrore su una parte della Giudea. Ritiratisi nel 70 d. C. nella fortezza di Masada, preferirono uccidersi in un suicidio di massa piuttosto che arrendersi.

    La tradizione del terrorismo si perpetuò anche durante l’era cristiana. Dalla loro base di Alamud nel nord-est della Siria, gli «Haschischin» o Assassini, una fanatica setta sciita, terrorizzò nel corso dell’XI secolo le popolazioni dei paesi vicini e combattè ferocemente il potere dei sultani selgiuchidi. Essi commisero molti omicidi uccidendo le loro vittime con un pugnale. Intorno allo stesso periodo, i Thug, adoratori di Kali, la dea della morte, cominciarono a terrorizzare gli abitanti della valle del Gange. Essi rapivano i viaggiatori strangolandoli come sacrificio per il loro idolo. Le autorità Moghul non riuscirono a debellare questo culto sanguinario e solo l’amministrazione britannica riuscì a sbarazzarsene.

    Nonostante i progressi della civiltà e lo sviluppo delle arti, anche il XVI secolo fu caratterizzato dalla violenza. Il 6 Gennaio 1537, il duca Alessandro de ‘Medici fu ucciso dal cugino Lorenzino (il Lorenzaccio di Musset), il quale intendeva ripristinare le istituzioni repubblicane. Le guerre di religione in Francia furono costellate da crimini commessi sia dagli Ugonotti che dai «papisti». Incoraggiati dagli scritti degli anti-monarchici, fanatici cattolici assassinarono Enrico III ed Enrico IV e nei Paesi Bassi, il Statolder, Guglielmo d’Orange.

    Il XVII secolo vide un consolidamento del potere dello Stato sotto forma della monarchia assoluta, che lasciò poco spazio per il terrorismo politico o religioso. La maggior parte dei tentativi, che si trattasse della Congiura delle polveri in Inghilterra del 1606 o le trame contro Richelieu in Francia, non è riuscirono e gli autori furono severamente puniti. Uno dei pochi esempi di atto terroristico nel Grand Siècle fu il linciaggio nel 1672 del Gran Pensionario d’Olanda Johan de Witt nei Paesi Bassi.

    Il periodo di quiete proseguì nel XVIII secolo, benché questo non fosse totalmente privo di violenza. Nel 1704, l’assassinio di padre François du Chayla, che si era distinto per le sue persecuzioni contro i riformatori, scatenò la guerra Camisardi, durata quasi dieci anni. L’attentato di Damiens nel 1757 e quello al re del Portogallo, Giuseppe I nel 1758, oltre all’omicidio nel 1792 di Gustavo III, re di Svezia, consolidarono la tradizione regicida.

    Insomma, durante il lungo periodo che abbiamo appena sorvolato, gli episodi terroristici furono in totale relativamente pochi. Si riscontrarono soprattutto in tempi di crisi, guerra o rivoluzione. Fatta eccezione per gli abusi da parte di gruppi settari ed etnici, le azioni terroristiche furono eseguite da individui o da piccoli gruppi marginali. I loro autori operarono in un’area geografica limitata e dispongono di pochi mezzi. Non avevano un’agenda politica o sociale specifica. I tirannicidi dell’Ancien Régime si proponevano di eliminare dei governanti dispotici e ritenuti ingiusti, o illegittimi o agirono per rancore personale.

    Il primo Ottocento dal regicidio al terrorismo politico

    La rivoluzione del 1789 vide una recrudescenza della violenza (complotto del Marchese di Favras, morte di Lepeletier di Saint-Fargeau e di Marat), per non parlare dei massacri di settembre e della politica del terrore perseguita dalla Convenzione fino al 9 Termidoro 1794. Le turbolenze continuarono sotto la Convenzione termidoriana e il Direttorio. Nel sud della Francia, bande composte da filo-monarchici e banditi comuni, i Compagni di Jéhu o Compagni del Sole, derubavano i viaggiatori, saccheggiavano le casse pubbliche, assassinavano i rappresentanti di governo, i repubblicani e i sacerdoti. La guerriglia degli Sciuani delle province ribelli della Vandea e della Bretagna. Il rapimento del senatore Clément de Ris il 22 settembre 1800 e l’assassinio del vescovo costituzionale di Quimper (il 19 novembre dello stesso anno) dimostrarono che i dipartimenti francesi occidentali erano ben lungi dall’essere completamente pacificati. Sotto il Consolato, l’episodio più clamoroso avvenne il 24 dicembre 1800 con l’attentato della Rue Saint-Nicaise. Questo venne perpetrato da Londra da un ex sciuano (nome che presero gli insorti anti-giacobini della zona nord-occidentale della Francia in contemporanea) di nome Georges Cadoudal, contro Napoleone Bonaparte. I congiurati fecero saltare un carro imbottito di esplosivo al passaggio del Primo Console. Quest’ultimo rimase illeso, ma ci furono una ventina di vittime. Diversi eccessi furono commessi dagli ultra-realisti nei primi mesi della Restaurazione, ma dopo il 1815, la maggior parte degli autori di attacchi terroristici vennero reclutati nei ranghi dei repubblicani, carbonari e nazionalisti scontenti per il nuovo ordine territoriale imposto dal Congresso Vienna.

    Diversi azioni terroristiche furono compiute in Francia sotto la Restaurazione e la monarchia di luglio. Il 13 febbraio 1820, il Duca di Berry, secondogenito del conte di Artois e presunto erede al trono, morì sotto i colpi di Louvel, un operaio repubblicano che odiava i Borboni. Questa azione determinò un cambiamento politico per l’ultra-destra e un cambio di governo, che vide sostituire Villèle al duca Decazes. Luigi Filippo fu oggetto di diversi attentati commessi dai repubblicani che lo accusavano di aver «dirottato» la rivoluzione del 1830. Il più noto fu quello di Fieschi nel 1835, che portò alla votazione di leggi piuttosto severe e repressive. La violenza politica non limitò alla Francia, altri paesi europei furono colpiti dall’onda terrorista. Infatti, uno studente bavarese uccise, il 23 marzo 1819, a Mannheim, il drammaturgo Kotzebue sospettato di essere un agente dello zar russo.

    Sotto il Secondo Impero vi furono diversi tentativi di assassinare Napoleone III. Essi furono progettati nella maggior parte dei casi da immigrati italiani che intendevano punire il sostegno dell’imperatore ai leader clericali e reazionari al di là delle Alpi, tra cui Papa Pio IX. L’attacco più famoso, fu quello di Felice Orsini, 14 gennaio 1858, che ebbe conseguenze politiche di primaria importanza perché portò indirettamente Napoleone a sostenere il movimento per l’unificazione italiana.

    Il primo diciannovesimo secolo segnalò un cambiamento fondamentale nella storia del terrorismo. I terroristi di epoca romantica ritenevano compiere le loro azioni non solo per rimuovere un uomo, ma anche per cambiare radicalmente le istituzioni e l’ordine politico e sociale. Allo stesso tempo però queste azioni furono manipolate dal potere politico per intensificare l’applicazione di leggi repressive e limitare l’esercizio della libertà.

    Il terrorismo di fine secolo: il regno dei nichilisti, anarchici e nazionalisti

    Il terrorismo moderno è veramente apparso solo nell’ultimo terzo del XIX secolo. In Russia i nichilisti considerarono insufficienti le riforme introdotte dallo zar Alessandro II, in particolare l’abolizione della servitù della gleba. Influenzati dalle idee di Bakunin e Nechaev, volevano distruggere l’autocrazia, distribuire la terra ai contadini, promuovere l’educazione pubblica e liberare il popolo russo dal giogo dei sacerdoti e dei militari. Essi furono reclutati principalmente tra gli intellettuali, la borghesia e a volte la nobiltà. Una società segreta Narodnaia Wola («la volontà del popolo») assassinò il primo marzo 1881 Alessandro III. Venti anni più tardi, i socialisti rivoluzionari sembrarono aver adottato il programma nichilistico usando gli stessi metodi. Si resero responsabili di un’ondata di attacchi tra il 1902 e il 1906 e, soprattutto l’uccisione del ministro degli interni, Vyacheslav Plehve e del granduca Sergej, zio dello zar Nicola II. Pochi anni dopo, nel settembre del 1911, il primo ministro Stolypin cadde anch’egli sotto i loro proiettili.

    Nello stesso tempo, gli anarchici diffusero il terrore in gran parte dell’Europa e degli Stati Uniti. Essi ambivano alla distruzione dello stato borghese, al disarmo generale, all’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e alla creazione di una società di falansteri autogestita. Essi provenivano principalmente dalle classi inferiori e, talvolta, dalla malavita ed erano spesso stati attivi in associazioni sindacali, tra cui l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, a tendenza libertaria. Praticando quello che chiamavano la «propaganda mediante i fatti» organizzarono tra il 1890 e il 1914 una campagna di attentati contro capi di stato, membri delle famiglie reali, ministri, funzionari, ufficiali dell’esercito ed esponenti della magistratura. Ma perpetrarono anche attacchi indiscriminati con vittime passanti, curiosi, clienti di birrerie.

    Una terza categoria di azioni terroristiche in questo periodo fu quella portata avanti dai movimenti nazionalisti. Quest’ultimi affermavano di incarnare comunità etniche, culturali o religiose che volevano evitare il dominio degli imperi sovranazionali a cui erano integrate. Anche questi non esitarono a usare, se necessario, la violenza terroristica. Nel 1882, l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe fu il bersaglio di un attacco da parte di un irredentista della Trieste italiana, Guglielmo Oberdan. Anche i nazionalisti serbi in Bosnia commisero molti atti di violenza e l’assassinio, il 28 giugno 1914, dell’arciduca Francesco Ferdinando da parte dello studente Gavrilo Princip che divenne la scintilla che innescò la Prima Guerra Mondiale. Nell’Impero ottomano, anche la Federazione patriottica armena organizzò gruppi di autodifesa e preparò un attacco contro il sultano Abdul Hamid II. Questa agitazione è stata la causa del terribile genocidio del 1915. In Irlanda, i gruppi radicali come i Fenians e gli attivisti dell’Irish National Invincible Army insanguinarono l’isola già devastata dalla carestia del 1848-1861. I nazionalisti estremisti commisero, il 6 maggio 1882, l’attentato al Phoenix Park, in cui perirono i massimi rappresentanti del governo britannico in Irlanda, il Segretario capo Spencer e il Sottosegretario Burke. Essi saranno all’origine della Rivolta di Pasqua del 1917, che ha portò alla formazione della Repubblica di Eire.

    Gli attivisti della Belle Époque

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