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I misteri dell'isola del silenzio
I misteri dell'isola del silenzio
I misteri dell'isola del silenzio
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I misteri dell'isola del silenzio

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About this ebook

Mentre Vania, viziata ragazzina di città, si trova con riluttanza a seguire la cugina Sara per delle stradine di campagna, viene attratta da una mela, una mela bella rotonda, lucida e cicciona, curiosamente rossa, l'unica in mezzo a tutti frutti gialli. Non può fare a meno di coglierla, ma scatena così una serie di eventi in grado di spezzare la serenità di Città dei racconti, mettendosi in serio pericolo. Starà a Sara cercare di salvarla, con l’aiuto dell’inseparabile asinello Trottolino e di tantissimi singolari amici trovati lungo il cammino.

“I misteri dell’isola del silenzio” è un testo per bambini e ragazzi che presenta i temi classici della fiaba premurandosi di esporli in maniera innovativa. Un libro che ha a cuore la natura e la naturale propensione dei più giovani a prendersene cura. Una storia di formazione che mette in primo piano la maturazione dei personaggi, il coraggio e l’amicizia. Un’avventura che non deluderà in nessun caso.
LanguageItaliano
Release dateOct 11, 2016
ISBN9788898585489
I misteri dell'isola del silenzio

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    I misteri dell'isola del silenzio - Aude Pinardi

    lacrime.

    Capitolo 2

    La malattia delle barbabietole

    Sara trascorreva il suo tempo pescando le ranocchie con una canna di legno, usando come esca un pezzettino di seta consunta che faceva svolazzare davanti ai loro occhi. Le ranocchie scambiandolo per un insetto lo divoravano, rimanendo impigliate con i loro dentini aguzzi, così la bambina riusciva a catturarle. Quando si avvicinò l’ora di pranzo, Sara rimise tutte le rane nel fosso e si avviò verso casa. Fin dal mattino aveva notato che il suo caro babbo era molto nervoso; gironzolava senza posa da un campo all’altro sospirando e scuotendo la testa, poi di tanto in tanto estirpava una barbabietola e la analizzava bene, ma a ogni esame sembrava più abbacchiato.

    L’agile bambina smontò dalla groppa di Trottolino con un salto e raggiunse velocemente il papà. Perché sei così triste? gli domandò. Il babbo si avvicinò e allungò una barbabietola al somarello, poi disse: Sono molto preoccupato. C’è qualcosa che non va in queste piante, non sono come dovrebbero essere, sembrano ammalate. Temo che quest’anno avremo un pessimo raccolto.

    Ma non puoi farle guarire? chiese Sara.

    Il fatto è che non riesco a capire dove stia il problema. L’acqua non manca, ho utilizzato i concimi migliori e ho tenuto i campi in ordine, privi di erbacce e liberi dai parassiti. Non c’è nessun motivo che io conosca per cui queste barbabietole tutt’a un tratto si siano ridotte in uno stato così malconcio, fino a ieri sembrava che crescessero bene, affermò il babbo sospirando; poi aggiunse: Ora vieni con me, ho un lavoretto da farti fare.

    , Disse Sara, e mentre si incamminava, notò che Trottolino aveva sputato la barbabietola che gli aveva dato il babbo poc'anzi, e il suo muso era schifato come quella volta che per sbaglio aveva addentato un pompelmo acerbo, scambiandolo per un caco maturo. Se quelle barbabietole non piacevano nemmeno al suo golosissimo somarello, la situazione doveva essere davvero grave.

    Ho un incarico per te e Trottolino, disse il babbo a Sara, varcando l’uscio di casa. Prendete questo cesto di uova delle nostre galline e portatele ad Antonio Bruciabaracche, lui vi darà un altro cesto col quale tornerete. Gli avevo promesso anche delle barbabietole, ma non posso certo dargli quelle malate, prendine un paio che gli mostrerai. Per questo lavoro tu avrai un pezzo di cioccolato e Trottolino una barbabietola di quelle buone, ne ho conservate un po’ per lui.

    Evviva! gioì Sara. Partiamo subito!.

    "Bene, imboccate la strada che va verso la città, a un certo punto vedrete un sentiero pieno di cartelli con sopra scritto vietatissimo entrare oppure fuori di qui o altre frasi di questo tipo, la vostra destinazione è in fondo a quel sentiero, ora andate".

    Sara si incamminò, immersa nel pensiero che le sfuggisse qualcosa, rimuginava sulla strada che gli era stata indicata dal padre e non riusciva a capire perché le sembrasse familiare. Per fortuna Trottolino evitava da solo e con grande cura le buche, allettato com’era dalla barbabietola che gli era stata promessa e che temeva di perdere se si fosse rotto qualche uovo. I due arrivarono al sentiero e lo riconobbero subito, in effetti era pieno di cartelli e nessuno era di benvenuto, si inerpicava per alcune decine di metri su di un’altura che impediva di vedere oltre. Quando furono in cima davanti a loro apparve la casa di Antonio Bruciabaracche: tutte le finestre erano sprangate, la porta chiusa, e attorno alla costruzione c’erano ben due recinti, il primo formato da pali aguzzi, il secondo da filo spinato. Oltre la casa, la pianura era ricoperta da un’enorme distesa di alberi carichi di meravigliose mele gialle.

    Sara gettò uno sguardo al frutteto, era quello dove era stata con sua cugina il giorno prima, e capì che Antonio Bruciabaracche era proprio il contadino che aveva imprigionato Vania nel pozzo. Rise sonoramente al ricordo di quell’avventura e si avviò verso la sua meta, bussò energicamente alla porta e senza aspettare che qualcuno rispondesse, cominciò a gridare: Signor Bruciabaraaaaccheeeeee, le ho portato le sue uovaaaa!.

    La porta si socchiuse scricchiolando e dall’interno giunse una voce cavernosa: Entra.

    Le enormi spalle dell’attempato contadino erano curve su un cesto che stava riempiendo di mele. Quell’uomo era più grosso di quanto Sara ricordasse.

    Ecco qua, disse mostrando il suo volto barbuto. Sono le mie mele, sono mele speciali, non le troverai da nessuna altra parte. Le ho create io. Ho incrociato le piante per anni, selezionato quelle migliori, queste sono le mie mele e sono uniche.

    Sono davvero mele super bellissime!, affermò Sara. …viene l’acquolina in bocca solo a guardarle.

    Figurati che proprio ieri una furfantella di città ha provato a rubarmele, l’ho presa e calata in un pozzo, solo per spaventarla un po’, ma quando sono tornato per liberarla, era già sparita. Sicuramente aveva un complice che l’ha aiutata a fuggire.

    Ooooh, ma cosa mi dice! Sono cose da orbi!, si finse scandalizzata Sara. Di questi cittadini proprio non ci si può fidare!.

    Ora dammi la mia roba! tagliò corto il contadino.

    Ho qui le uova, però le barbabietole non sono buone, il mio babbo dice che si sono ammalate, ma non sa perché, e che gli dispiace ma non può mica darti della roba cattiva. Però scommetto che se tu sei così bravo con le mele allora puoi far guarire anche le barbabietole e mentre lo diceva ne porse una ad Antonio Bruciabaracche; egli la tenne nella mano enorme e la osservò a lungo, senza muoversi, quasi senza respirare.

    È la carestia nera… disse piano. Divorerà tutto, come l’altra volta.

    Si scosse e stritolando la barbabietola rinsecchita corse alla finestra. Affacciandosi constatò che il frutteto dava già segni di sofferenza: Devo salvare le mie mele! Vattene da qui ragazzina gridò spintonando Sara fuori dalla porta, che chiuse subito a chiave.

    Devo salvare le mie mele!

    Capitolo 3

    L’amuleto

    Il padre di Sara era serio e perplesso, fissava quelle barbabietole avvizzite e sembrava perso nei ricordi. Rimase in silenzio per un po’, tormentandosi le dita, infine domandò alla figlia: Cos’altro ti ha detto Antonio Bruciabaracche? Cosa ti ha detto sulla carestia nera?.

    Niente, mi ha buttato fuori dalla porta. Rispose lei sgranocchiando il suo pezzo di cioccolato. Io però sono saltata sulla groppa di Trottolino e da lì mi sono arrampicata sul tetto della sua capanna, così ho potuto spiarlo da una fessura. Ho visto che tirava fuori una valigiona e la riempiva tutta di vestiti, senza nemmeno piegarli. Forse vuole andare in vacanza.

    Aveva appena finito la frase, quando Trottolino si affacciò alla finestra lanciando un raglio offeso e risentito. Papà, avevamo promesso una barbabietola buona a Trottolino! esclamò Sara mentre già si muoveva verso la dispensa. Prese una di quelle dolci radici e corse fuori, lestamente inseguita dal suo somarello.

    Il padre rimase seduto qualche secondo ancora prima di risolvere i suoi pensieri. Si alzò ed entrò nella propria camera da letto, aprì le ante dell’armadio e dopo aver rovistato sullo scaffale più alto ne estrasse una scatola vecchia, sgangherata e polverosa. Conteneva un amuleto, un doloroso ricordo.

    Si affacciò alla finestra della cucina. Sara saltellava ancora qua e là, mostrando la barbabietola a Trottolino, il quale stava alle sue calcagna con l’acquolina in bocca. Pensò che sua figlia era incredibilmente simile alla madre: gli stessi capelli rossi, la stessa incontenibile vitalità, l’ingenuità che sconfinava a volte nell’incapacità di distinguere tra il bene e il male. Sentì la mancanza della moglie: proprio nel giorno della sua morte, sua suocera Flora si era avvicinata a lui porgendogli quella scatola e con un tono stranamente impassibile gli aveva detto: Volevo dare questo amuleto a mia figlia, ma il destino ha altri programmi per lei. Quando la carestia nera colpirà, lo consegnerai a Sara. Promettilo.

    L’uomo chiamò la bambina, era talmente serio che lei abbandonò il suo gioco senza farselo ripetere, con grande soddisfazione del suo amico asinello che finalmente riuscì ad addentare la sua ricompensa.

    Bambina mia, le disse. Fatti il bagno e vai a riposarti, domani partirai. Andrai a far visita a tua nonna Flora.

    Davvero?! esclamò lei. Che bello! Evviva!.

    Sì, conosci già la strada per la città, è un percorso sicuro, quindi non ti accompagnerò. E c’è un’altra cosa: indossa questo, è un regalo di tua nonna. Le porse l'amuleto. Era un piccolo disco di legno, sopra c’era incisa una spirale.

    Capitolo 4

    Due strani bambini

    Vania dormiva. Le pareva di sentire un insistente fruscio di foglie, un odore selvaggio di erba e fiori, il canto acuto e festoso di molti uccelli. Era un sogno strano per una bambina di città, che a quei suoni e odori non era abituata. Improvvisamente nel suo sogno apparì una grossa ape che svolazzando qua e là tentava di pungerla, e nonostante lei tentasse di scacciarla dimenando le braccia, quel fastidioso insettaccio non se ne voleva proprio andare.

    Si svegliò di soprassalto, seduta sopra un prato, circondata da alberi e cespugli, i capelli annodati fra di loro e pieni di erba secca e ragnatele. Davanti a lei c’era un bambino completamente rasato, con indosso un lungo saio bianco, ricamato di rosso attorno al collo e lungo le maniche. La fissava con grandi occhi celesti e la pungolava con un ramoscello. Più lontano un altro bambino perfettamente identico osservava un albero il cui tronco era insolitamente curvo.

    Vania lanciò un urlo fortissimo. Era molto spaventata e continuando a gridare domandò: Chi siete? Che posto è questo? Mi avete rapita!?.

    Il bimbo, con una calma vicina all'indifferenza, rispose: Io sono Anassimene, dietro di me c'è mio fratello Anassimandro. Ci troviamo nella Foresta dei Sentieri, e sei venuta qui da sola.

    Da sola? No! Io non verrei mai in un posto così orribile! gridò Vania piangendo. Siete due bugiardi! Riportatemi subito a casa! tentò di alzarsi, ma un dolore terribile la fece cadere di nuovo a terra. Solo in quel momento si accorse che le sue scarpe erano quasi completamente distrutte e i suoi piedi erano coperti di vesciche e ferite sanguinanti.

    Il secondo bambino si era avvicinato: Sei arrivata qui correndo come una pazza. È stata una scena incredibile: le piante si spostavano quando arrivavi tu. Quell'albero laggiù aveva il tronco dritto prima che tu gli passassi accanto.

    Vania non aveva più la forza di parlare, si guardava attorno e piangeva, non ricordava nulla di quello che le era successo, persa in un luogo che non conosceva, in balia di gente che non aveva mai visto, incapace di camminare, completamente sopraffatta.

    Anassimene e Anassimandro la sollevarono da terra: Ti porteremo dalla nostra Maestra, disse il primo. Lei saprà come curare le tue ferite e come rispondere alle tue domande.

    Anassimandro, dopo un attimo di riflessione, si rivolse a suo fratello: Secondo te, le piante si spostavano per aiutarla o perché avevano paura di lei?.

    Capitolo 5

    Nel cortile di Ipazia

    I due gemelli arrancavano ansimanti lungo il sentiero, portando a braccia Vania, che intanto si era ripresa dallo sgomento e pareva una papessa in portantina; testa alta e braccia conserte, sgridava i due gemelli a ogni scossone che prendeva. Insomma, non siete capaci di andare dritti? Non vorrete farmi cadere, io sono già infortunata! E cercate di camminare nelle zone all’ombra, fa un gran caldo e non voglio sudare! Però state lontani dagli arbusti, che mi si impigliano i capelli.

    Una lamentela dietro l’altra, giunsero in una radura sulla quale si affacciava una capanna ben curata. In mezzo al prato, su di un tavolo di legno, una donna anziana stava pestando alcune erbe in un mortaio. Era vestita come i gemelli, se non per una borsa di pelle che portava a tracolla. Al contrario dei due bambini non era rasata, anzi, aveva lunghi capelli bianchi raccolti ordinatamente sulla testa. La donna si fermò per osservare l’arrivo di Anassimene e Anassimandro, affannati e sudati, intenti a sorreggere quell’altezzosa bambina che non smetteva di redarguirli. Vania fu fatta sedere sul tavolo, l’anziana la guardò a lungo negli occhi, poi esaminò i suoi piedi feriti, e fu solo allora che si rivolse ai due bambini: Ditemi di lei.

    Come desidera, Maestra Ipazia, iniziò Anassimandro. L’abbiamo vista correre nella foresta veloce come se fosse inseguita da un lupo, al suo passaggio le piante si ritiravano, come se la temessero.

    O come se la rispettassero continuò Anassimene. A un certo momento ha cominciato a rallentare, sembrava che avesse finito le forze, si è trascinata avanti ancora un poco, infine è crollata a terra svenuta. Abbiamo pensato di portarla qui, è una bambina come noi due.

    Non proprio uguale a noi due, aggiunse Anassimandro. Lei è molto più capricciosa.

    Ipazia guardò i gemelli affettuosamente: Avete ragione, questa bimba è molto diversa da voi, per molti motivi. Non è nemmeno una del Popolo, mi chiedo perché la Foresta l’abbia fatta arrivare qui, poi si voltò verso la sua piccola ospite e le domandò: Come ti chiami?.

    Sono Vania e vengo dalla Città dei Racconti. Non so come sono finita in questo posto buono solo per gli insetti, ma di certo ora mi riporterete a casa mia, senza indugio! profferì la fanciulla incrociando pomposamente le braccia.

    Non sarà certo con l’insolenza che riuscirai ad andartene da qui. Ti aspetta un lungo lavoro, ma prima dobbiamo occuparci di quei piedi, immagino che ti facciano molto male, e anche i tuoi capelli hanno bisogno di cure.

    La bimba viziata prese una ciocca della sua lunga chioma fra le dita e osservandola disse: In effetti la situazione è grave, ti concederò di occupartene, ma bada bene di non fare danni!.

    Stai tranquilla, quando avrò finito, in testa avrai l’acconciatura più bella che tu abbia mai visto.

    Davvero sarà così bella?

    Sarà meravigliosa. Divina, oserei dire.

    A Vania cominciava a piacere quella vecchia signora.

    Capitolo 6

    Cure naturali

    La piccola Vania si accarezzava la chioma con aria stupefatta.

    Maestra Ipazia aveva preparato un decotto che le aveva poi applicato in testa. Dopo pochi minuti aveva aggiunto una polvere di erbe essiccate a una bacinella d’acqua fresca e l’aveva usata per sciacquarle i capelli. La bambina passava le dita fra i suoi riccioli e pensava che non fossero mai stati tanto morbidi, lucenti e profumati.

    Come mai sai fare queste cose? domandò alla donna.

    Sono una druida.

    E cosa vuol dire?

    Sono una specie di medico che conosce tutte le proprietà delle erbe, e anche un po’ di magia.

    Perché mi hai detto che mi aspetta un lungo lavoro prima di tornare a casa? Io voglio andarci appena sarò guarita. Dirò alla mia mamma di assumerti fra la sua servitù, così potrai preparare i tuoi intrugli per me ogni volta che ne avrò voglia.

    Vania disse queste parole con l’impeto arrogante di chi è abituato a ottenere ogni cosa senza fatica alcuna, a vedere soddisfatto ogni capriccio. Non sapeva che questa volta le cose sarebbero andate diversamente, e che da quel momento in avanti, ogni conquista avrebbe dovuto sudarsela.

    Ipazia prese una manciata di erbe dalla sacca che teneva all’altezza del fianco e cominciò a schiacciarle nel mortaio. Devi sapere che nessuno può andarsene dalla Foresta dei Sentieri. O per meglio dire, nessuno ha mai trovato la strada per uscirne.

    Ma io so bene quale strada prendere: quella che porta A CASA MIA!.

    Non è così semplice, piccola, dicendo queste parole, Ipazia passò il mortaio sotto il naso di Vania, che cadde addormentata all’istante, poi si rivolse ai gemelli: "Andate a fare i vostri esercizi, d’ora in avanti dovrete studiare il doppio. Aiuteremo questa bambina a trovare la sua

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