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Seminario di autocoscienza estetica
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Seminario di autocoscienza estetica

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About this ebook

Due anni di attività intorno all’elusivo concetto di estetica. Ricerca intorno ad opere, autori, curatori lasciando da parte ogni atteggiamento di ricezione passiva e di contemplazione distaccata per confrontarsi ed agire in prima persona e scoprire, così facendo, strutture immaginative e connotazioni ludiche; cose che, per quanto riguarda l’arte, dovrebbero essere scontate ma di cui spesso ci si dimentica.
C’è una dimensione relazionale dell’estetica che si costruisce attraverso i rapporti interpersonali e che si deposita nei luoghi attraverso consuetudini, divenute rituali, che un certo gruppo sviluppa e consolida nel tempo.
Domande o provocazioni interrompono il rito portando in luce una trama nascosta, generando consapevolezza, autocoscienza estetica.
Il compito che gli autori si propongono è quello di restituire, sia a chi ha partecipato alle attività seminariali sia al più ampio insieme dei lettori, temperie e senso di questa coinvolgente sperimentazione ai fini di una presa di contatto con la propria personale conoscenza e sensibilità estetica.
LanguageItaliano
Release dateSep 20, 2016
ISBN9788898815890
Seminario di autocoscienza estetica

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    Seminario di autocoscienza estetica - Autori Vari

    Edizioni

    Prefazione

    Autocoscienza

    Vale ancora il voler lasciare a bocca aperta il visitatore d’una mostra? Tutto sembra essere stato fatto, sulla via iniziata nel 1917 da Duchamp, che sembrerebbe ormai una fonte esaurita. Ciò però non significa che si possa escludere lo stupore dall’arte, che nasce da esso come dall’ironia, dal mix di linguaggi diversi che intersecano immaginazione, percezioni e saperi. L’unità distilla un interesse attivo, che sa distogliersi a tempo dallo scandalo puro come dalla risata fredda dello humour. L’arte nasce dalla capacità di intravedere; è il regno del possibile positivo che nasce dal riso di Mercurio, crudele quanto si vuole nello squartare la tartaruga, ma anche avvinto al fascino del suono di una lira ancora inesistente. Il bambino divino quando è messaggero - pur conservando in sé la natura di ladro - porta la fragranza dell’innocenza nella banalità del mondo, ch’è il luogo dove nasce il male.

    È il senso profondo dell’arte, ma la sua realtà è di corpi in cui è scritto quel-che-so – che è una idea, ma piuttosto affine etimologicamente all’eidolon:¹ eidon-eidolon, ricordava Cassirer, sono etimologicamente connessi². Parlare di materie dell’arte è parlare del corpo glorioso³, di conoscenza attiva, non certo dell’ abbandono alla prepotenza di un desiderio in cui non ci si possiede ma si è posseduti, dove è un altro soffio a parlare, estraneo alla nostra volontà: la traboccante facilità della scrittura mostra l’anima che ignora l’inferno e cerca nuove scritture nei simboli, l’incrostazione della luce nelle tenebre fitte: E’ la verità dell’immagine, cui credere, cui non credere mai, con cui camminare sul limite del monte.

    La materia di Epicuro, l’idea di Platone, eidolon- eidos, in lingua greca svelano l’analogia, si può sottolineare il discreto o il continuo, il molteplice e l’uno, ma sono una percezione, una immagine, la stessa unità cognitiva, una memoria primaria che resta impressa negli anni. Sono, insieme, percezione e arte – l’idea ironica che sa che l’illusione più pericolosa è che esista soltanto un’unica realtà. In effetti esistono molte versioni diverse della realtà, alcune contraddittorie, ma tutte risultanti dalla comunicazione, e non riflessi di verità oggettive, eterne⁴. Quando Lomazzo parlava di abbozzo, usava il termine idea, ricorda Panofsky⁵.

    E quindi fare autocoscienza estetica ha un significato nell’arte, ma ne ha anche nella vita. Basta ricordare quel riandare nella memoria ai volti scomparsi, e capire per la prima volta, dopo anni, un’emozione che s’è stampata nella mente ma che rimase incompresa – svela l’inganno, o capisce un affetto profondo e inespresso – eppure mi amava. Noto, ma non conosciuto, rimasto nella memoria inciso in una icona di una fisionomia che stupì e s’incise. Un’esperienza comune che forse meglio di altre può far capire la differenza che la filosofia fa tra coscienza, scienza e autocoscienza, che può parere un gioco di parole mentre è un lento procedere, un camminare che non è fantasticare⁶, è l’esercizio corretto dell’immaginazione, la fantasia. Perciò, per imparare il come procedere, occorre l’arte e la storia dell’arte, ma anche l’estetica.

    Un seminario indica la volontà di costruire un viaggio in un territorio dell’immaginario che sappia coinvolgere e mettere in moto il personale panorama di cultura aprendo alla luce che disarticola il quadro. Il primo seminario de Il ramo d’oro costruisce un’architettura di piani intersecati per favorire l’incrocio tra l’artista che espone e quello che partecipa – perché la differenza tra i due, chiarì la lunga discussione novecentesca su arte e critica, va vista nella diversa competenza linguistica, che l’artista possiede al punto da saper dare una forma compiuta alla possibilità che la materia offre ma non realizza.

    Solo che oggi l’artista crea il suo linguaggio anche oltre l’appartarsi esoterico, che tende pur sempre alla condivisione. Mentre nel moderno ci si limita l’originalità all’idea e non si cerca il decoro per comunicare al gusto, per poter condividere, oltre che vendere – e arriva il tempo di crisi, in cui l’arte sopravvive solo sotto forma di una particolare cultura del fare e del ricercare (è Lista che ricorda Crispolti) e bisogna recuperare il valore d’uso contro quello di scambio dell’oggetto d’arte, pensare come Benjamin che la merce possa avere un significato democratico. Forse andrebbe ripreso il dibattito settecentesco che Kant risolse nella tesi del compiacimento ch’è del piacere estetico, ch’è riscontro di un accordo profondo; ne articolò la dialettica nel bello e nel sublime – indicando come l’idea della bellezza sia il percorso che va dall’armonia allo stupore e ritorno: il sublime è ciò che è grande, un termine che indica una personale-universale appercezione indeterminata.

    A fine agosto ho partecipato ad un convegno a Viareggio su Diritto e diritti, sottolineando che le Carte dei Diritti, ormai un fatto della cultura occidentale felicemente passato nei Trattati Europei, in realtà funzionano solo se c’è chi si batte per loro: portavo l’esempio della bellezza. Il Diritto alla Bellezza è solo apparentemente negato, l’uomo non se ne fa privare, e lo dimostra con i Writers, con le Watts Towers di Los Angeles⁷, o anche più banalmente con l’aspetto di un piatto immangiabile, l’estetica del cuoco. Il limite della cultura che si ferma alla superficie va contrastato, ma la superficie è, diceva Giordano Bruno, la via per andare nel profondo, come nel mare, come nell’acqua limpida – basta non scegliere lo specchio d’acqua opaco di Narciso, dove quel che compare è sempre solo se stesso – dove il play diventa display. Superficie non è superficialità, come la porta non è un muro: ma non è nemmeno la casa, ne è solo parte integrante.

    Divulgazione? ortocomunicazione

    Questo è il problema che affrontano i seminari, contrastare la volgarizzazione del gusto paventata dalla scuola di Francoforte, che ne identificavano la sorgente nei media. Ma nell’arte la questione è più complessa, come dimostra la tendenza a spostarsi fuori cornice cui accennavamo, per affermare la Bellezza. Fa parte del DNA dell’uomo, è la chiave della risposta allo sgomento dell’infinito – dicono i fenomenologi del 900, Hegel con l’arte primo momento dello Spirito Assoluto, o, dal fronte opposto, lo storicista-realista Toynbee con la risposta alla sfida come caratteristica dell’agire umano – ordine contro caos.

    Franco Lista, artista, architetto, critico e docente, unisce tali sensibilità nel partecipare all’organizzazione del primo seminario: mostre d’arte dedicate ad un genere guida, che corroborino quella che lui chiama strumentazione interpretativa. Vale

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