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Senza perdere il coraggio: Tunisi, viaggio in una società che cambia
Senza perdere il coraggio: Tunisi, viaggio in una società che cambia
Senza perdere il coraggio: Tunisi, viaggio in una società che cambia
Ebook354 pages4 hours

Senza perdere il coraggio: Tunisi, viaggio in una società che cambia

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A tre anni dalla prima edizione, il libro Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia viene aggiornato e ampliato nella nuova edizione dal titolo Senza perdere il coraggio. La Tunisia è l’unico Paese del mondo arabo nel quale il processo di transizione verso la democrazia è, almeno sotto il profilo istituzionale, compiuto, ed è un bersaglio del terrorismo perché è riuscita a conciliare tradizione e modernità, coesistenza tra diverse religioni e turismo. Il nuovo libro richiama gli eventi più rilevanti occorsi dal gennaio 2013: l’omicidio di Choukrī Belʿīd, l’assassinio di Mohamed Brahmi, gli attentati del 2014, l’approvazione della nuova Costituzione, l’attentato al museo del Bardo, l’incursione sulla spiaggia di Sousse del 2015, il conferimento del premio Nobel per la pace al “Quartetto di Tunisi”. La nuova edizione si arricchisce di voci di osservatori politici, economici e culturali, accanto all’analisi del post “rivoluzione dei Gelsomini” e alla parte descrittiva delle ricchezze culturali di Tunisi, con indirizzi e consigli per i viaggiatori.
LanguageItaliano
Release dateSep 10, 2016
ISBN9788898795369
Senza perdere il coraggio: Tunisi, viaggio in una società che cambia

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    Senza perdere il coraggio - Ilaria Guidantoni

    Ilaria Guidantoni

    SENZA PERDERE

    IL CORAGGIO

    Tunisi, viaggio in una società che cambia

    Titolo originale: Senza perdere il coraggio. Tunisi, viaggio in una società che cambia

    Seconda edizione. Titolo della prima edizione (2013): Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia.

    Autore: Ilaria Guidantoni

    Copertina e impaginazione: Chiara Bongiovanni

    Fotografie interne: Ilaria Guidantoni, immagini della Tunisia

    ISBN 9788898795369

    Stampato nel mese di aprile 2016

    © 2016 Albeggi Edizioni: i diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi.

    Albeggi Edizioni

    albeggi@libero.it

    www.albeggiedizioni.com

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    eBook by ePubMATIC.com

    Alla Tunisia, la mia patria del cuore.

    INDICE

    A cinque anni dalla scintilla

    Voci da Tunisi. Fermenti di un mondo in subbuglio. Cosa aspettarsi nel 2016

    2011-2012, parole e urla della protesta

    Ansia da partenza

    Le vent nous emportera

    Al Lac, tra affari e mondanità

    Hammamet? Il paradiso… almeno per ora

    I tassisti hanno perso la voce?

    Ramađan, digiuno, preghiera e feuilleton

    Un caos emozionale di nome transizione

    Se un Buddha offende il pudore

    Parole in libertà, pensieri incatenati

    A zonzo nella miscellanea dell’Avenue Boūrguiba

    Nel cuore nascosto di Tunisi

    Una birra all’aeroporto ingannando il ramađan

    Sulle terrazze del Concorde

    Un pezzo d’Italia nel centro di Tunisi

    Te li ricordi i gelsomini?

    Se Boūrguiba torna di moda

    Fahrenheit 451

    Se il velo svela

    Essere donna al tempo della transizione

    Nel cuore del Parlamento

    Se è la delusione ad avere la meglio

    Questa non è la mia rivoluzione

    Chiedilo a una ragazza

    Dietro una porta sbarrata

    A tentoni tra pietre, vicoli e democrazia

    Nel segno delle nostre madri

    Avanti tutta!

    La carica rivoluzionaria delle immagini

    Dalla Sicilia, viaggio di sola andata

    Sulle orme del pittore Gorgi

    Il tramonto prima di partire

    I piedi nella polvere

    L’ultima cena

    Pensando al ritorno

    Gli incontri della prima edizione

    La ‘prima’ Repubblica tappa per tappa

    I miei indirizzi a Tunisi

    Guida alla lettura

    A cinque anni dalla scintilla

    Paura, minacce, incertezze e qualche sogno

    Pronti per un bilancio?

    A cinque anni da quel 17 dicembre 2010 che avrebbe cambiato il Mediterraneo – e non solo la Tunisia – si può azzardare una riflessione, non tanto un bilancio, anche perché la rinnovata allerta rischia di confondere gli animi. Cinque anni dopo, Lassaād Bouazzi, ex segretario generale del Centre euro-maghrébin de recherches et d’études stratégiques des pays 5+5 défense, scrive su Kapitalis parlando di un risultato mitigato della rivoluzione tunisina. Bouazzi conferma la riuscita della transizione politica, anche se si affretta a sottolineare la complessità di decriptare il fenomeno. A suo parere la difficoltà è legata anche al valore simbolico che la rivoluzione ha assunto, visto che è stata la Tunisia a innescare un terremoto che si è poi propagato in tutto il Mediterraneo e Medioriente. Guardando al futuro, Bouazzi sottolinea che due realizzazioni incitano alla speranza: l’elaborazione di una Costituzione unica nel mondo arabo-musulmano e l’instaurazione di una cultura di dialogo e consenso che ha permesso di evitare rotture brutali e guerre civili.

    Indubbiamente non è una meta di poco conto, quella raggiunta dalla Tunisia. Forse, come ho avuto modo di ribadire in diverse occasioni, le attese erano oltre ogni realismo e animate da un certo romanticismo.

    Orizzonte 2016, uno spartiacque

    Il 2016 rappresenta un momento cruciale per la Tunisia, l’unico Paese del mondo arabo nel quale, se non si può parlare di un’autentica rivoluzione, certamente si può affermare che la rivolta sia stata compiuta e che il processo di transizione verso la democrazia si sia espletato e, almeno sotto il profilo formale e istituzionale, compiuto. Al di là dei tragici episodi noti dalla cronaca, il perdurare della crisi economica, la fragilità del governo e una difficoltà occupazionale generazionale che interessa soprattutto i giovani, il Paese non ha abbassato la testa nemmeno nei periodi più bui. Il popolo, anzi, proprio nelle situazioni di emergenza, ha dimostrato di essere unito, maturo e fermo sulla difesa dei diritti umani. Il percorso di transizione intrapreso non si è interrotto: per riassumere con un titolo questi anni potrei dire mai più come prima della caduta del regime avvenuta il 14 gennaio 2011.

    L’anno 2016 è un anno di verifica della capacità di ripresa interna in termini di politica del lavoro e programmazione economica, oltre che un banco di prova importante per la garanzia della sicurezza, a seguito della rinnovata minaccia terroristica.

    Dal 2013 tra paure, colpi bassi e nuovi traguardi

    In queste pagine intendo ripercorrere brevemente la storia di questi anni, dalla transizione in corso che avevo lasciato nel gennaio 2013, ad oggi, provando ad immaginare il futuro.

    Quella scintilla – il venditore ambulante, Mohamed Bouazizi che si dette fuoco, storia arcinota – racconta l’avvio di una rivolta, anche se episodi simili si erano già verificati; i tempi però erano maturi e oggi la Tunisia si conferma come l’unico Paese del mondo arabo che ha compiuto un percorso di transizione verso la democrazia con autonomia e originalità cercando, a fasi alterne, di recuperare la propria identità – quella di essere un chiasmo tra popoli e religioni nonché un laboratorio di culture mediterranee – e armonizzandola con il desiderio di un recupero della tradizione arabo-musulmana, sebbene non sia mancato qualche deragliamento, alternato a passi avanti significativi. Il suicidio di Bouazizi non era, come ho accennato, il primo episodio del genere ma, evidentemente, come in ogni rivoluzione che si rispetti, c’è un momento nel quale una scintilla diventa incendio, così intorno a quell’evento si è costruito un quadro simbolico di denuncia dello stato del Paese sotto la dittatura: il ragazzo con un lavoro precario malgrado l’istruzione; l’ambientazione della vicenda nel sud del Paese che era maggiormente sofferente rispetto al resto; l’affronto di un poliziotto, simbolo per eccellenza del vecchio regime il cui leader era un ex poliziotto assurto a Ministro degli Interni. Per giunta, il rappresentante delle forze dell’ordine, in questo caso incarnato da una donna che sembra abbia dato uno schiaffo a Bouazizi, rende ancora più insopportabile l’arroganza del potere che aveva reso i propri cittadini sudditi. Infine, quel ragazzo pare avesse consumato alcol e, dandosi fuoco, ha sovvertito l’ordine morale di impianto religioso che, considerando la vita sacra, giudica il suicidio un peccato, soprattutto se compiuto con il fuoco. Intorno a Bouazizi si è discusso molto se si possa considerare un martire, o un eroe, o semplicemente una vittima e in quale misura.

    Al momento dell’entusiasmo e dell’ebbrezza post rivoluzionaria è seguita la transizione che oggi pare, almeno formalmente, conclusa. Il percorso è stato però costellato di ostacoli, di discese ripide e di risalite.

    Immaginiamo di continuare la nostra passeggiata dove l’avevamo interrotta il 13 gennaio 2013, quando uscì il mio libro Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia, ora in una versione aggiornata.

    All’indomani della pubblicazione apparve chiaro che il terreno era accidentato.

    Il 6 febbraio 2013 viene freddato Choukrī Belʿīd. I giornali internazionali parlano di rischio di guerra civile ma io già allora, in diretta da Radio Rai 3 durante il funerale, mi espressi pubblicamente in modo moderatamente ottimista sul futuro del Paese, contro ogni evidenza, che per me però era soltanto una lettura superficiale. Un’esecuzione in stile mafioso: il bersaglio era un avvocato e politico tunisino di opposizione nel primo governo transitorio a maggioranza religiosa, con una formazione universitaria francese e da sempre impegnato nel sociale. Il 12 marzo del 2011 era stato tra i fondatori del Movimento dei Patrioti Democratici (MPD), partito politico che si richiama al marxismo e al panarabismo. Nell’aprile dello stesso anno, guidava l’unificazione del MPD con il Partito del Lavoro Patriottico e Democratico (PLPD), socialista. Infine, il 7 ottobre 2012, i due partiti entravano a far parte del Fronte Popolare Tunisino, insieme con altri partiti d’ispirazione marxista, panarabista ed ecologista. Parallelamente, Choukrī Belʿīd continuava l’attività di avvocato difensore e si rendeva protagonista, nel maggio 2012, della difesa della catena televisiva Nessma, accusata di aver diffuso il film Persepolis tratto dall’omonimo fumetto di Marjane Satrapi.

    La prova di fermezza e di equilibrio del popolo tunisino per me è stata illuminante e un particolare mi ha fatto propendere per una considerazione rassicurante. Secondo quanto prescrive il Corano le donne non seguono il corteo funebre e non presiedono all’interramento del corpo. È un modo non per escluderle, come potrebbe apparire a una lettura superficiale, quanto per risparmiare loro la commozione. Inoltre normalmente le donne, come avveniva tradizionalmente anche nelle zone rurali e nel sud d’Italia, tornano a casa per preparare il pasto rituale. Per i funerali di Choukrī Belʿīd le donne azzardano, sfidano la tradizione e nessuno osa protestare. È il primo, significativo episodio di una serie, che conferma che il popolo tunisino nell’emergenza è unito e non intende farsi calpestare sul piano dei diritti umani.

    Dopo sei mesi la situazione è stagnante, tra tensioni e preoccupazioni, soprattutto sotto il profilo economico, perché il lavoro non riprende – ma ci vuole tempo – mentre cominciano i primi rigurgiti di radicalismo religioso che personalmente ho sempre letto come un bisogno di presa di distanza dal vecchio regime. L’era Bin ‘Ali infatti ha dimostrato come la laicità non sia la panacea di tutti i mali e oggi vi è la necessità di recuperare un’identità tunisina lontana dal consumismo filo-occidentale.

    È il 25 luglio, il giorno della festa della Repubblica tunisina, quando un altro fulmine colpisce il Paese: viene assassinato Mohamed Brahmi, dirigente del Fronte Popolare e membro dell’Assemblea costituente, raggiunto da una raffica di 11 colpi d’arma da fuoco davanti alla sua abitazione e sotto gli occhi dei familiari. Sconcerto e rabbia, con una caccia alla ricerca di responsabilità che non saranno mai attribuite in modo preciso, anche se si accusa in modo indiretto il partito di governo e le frange più radicali dell’islām, come già era avvenuto per l’altro assassinio.

    La situazione del Paese è in bilico perché l’economia non riprende, anzi la disoccupazione sale, complice la situazione congiunturale internazionale e l’incertezza, legata purtroppo anche alla disinformazione, che semina paura e diffidenza verso i paesi arabi accomunati sotto un unico destino nell’immaginario collettivo.

    Su questo terreno accidentato, vari episodi di violenza nel sud – come un attentato militare nel luglio del 2014 che provoca 13 morti e tre giorni di coprifuoco – non contribuiscono a rasserenare gli animi, né a favorire investimenti stranieri. Anzi, la Tunisia non riceve interamente i contributi promessi dall’Unione europea all’indomani della rivolta.

    Rigurgiti di islamismo creano disordini all’università, soprattutto alla Manouba, ateneo laico per eccellenza, provocando reazioni altrettanto violente da parte laica, come l’emergere del fenomeno delle Femen, mai del tutto chiaro. Emblematica al riguardo la vicenda di Amina Sbaoui Tyler, per la quale Rađia Našraoui, uno degli avvocati più illustri del Paese e moglie del leader comunista Hamma Hammami – numero uno del Fronte Popolare – numero uno del Fronte Popolare, uno degli avvocati più illustri del Paese – è entrata nel collegio di difesa. Non ho mai smesso di prendere le distanze da posizioni che mi sono sembrate fin dall’inizio strumentali e confuse, da entrambe le parti, sia religiose – o meglio cosiddette religiose – sia laiche, convinta che la logica del muro contro muro e della provocazione abbia solo ostacolato l’uscita dal tunnel. In particolare, il femminismo estetizzante e a mio parere inutilmente provocatorio, non mi ha mai convinta.

    La conquista della nuova Costituzione

    Nel frattempo il percorso istituzionale decolla con la votazione della legge elettorale e della nuova Costituzione, approvata il 26 gennaio del 2014 ed entrata in vigore il successivo 10 febbraio, dopo un rinvio continuo e molte polemiche, tante delle quali inutili e infondate. Quando viene approvata il plauso internazionale, soprattutto da parte statunitense, è grande, forse eccessivo. Come sempre accade quando è l’emotività a guidare i giudizi.

    La nuova carta è una struttura minimalista, redatta con spirito pratico e memoria storica. L’attenzione dell’articolato snello si è concentrata sulla natura dello Stato, il ruolo della religione, alcuni diritti legati alla libertà – cruciale in un Paese che esce dalla dittatura – e sul dilemma istituzionale tra presidenzialismo e parlamentarismo. La via sembra quella di un semi-presidenzialismo sbilanciato a favore del Primo Ministro, per temperare i rischi di qualsiasi personalismo con ampio decentramento amministrativo (comunità locali e regioni).

    Se l’opinione pubblica, soprattutto internazionale, ha puntato il dito sul partito di maggioranza del momento, Ennahđa, forte del 41% dei voti, vero è che il suo peso non è stato esclusivo. Lo stesso Iyadh Ben ‘Achour, uno dei massimi giuristi tunisini (del quale conosco e apprezzo alcune opere), ha recentemente espresso parole di lode in merito perché a suo parere il partito al governo ha compreso i vantaggi dell’edificare il nuovo Stato su basi civili, piuttosto che religiose. Così ad esempio sulla questione femminile. Non esiste un riferimento alla menzione della legge islamica, sebbene si chieda che il capo dello Stato, uomo o donna che sia, venga scelto tra un tunisino di fede e pratica musulmana. Qualcosa di molto simile esiste comunque nella Costituzione della Norvegia e nessuno ha mai sollevato il problema.

    Per cenni si possono rilevare: la posizione preminente della religione islamica rispetto alle altre religioni, pur rispettate; la sottolineatura dell’inviolabilità dei diritti della persona e della libertà, sebbene sussistano spazi interpretativi relativamente ampi; il ruolo dello Stato, al quale è affidata la protezione della famiglia, perno della società e che non è definito nel dettaglio di tutte le funzioni.

    In fatto di diritti mi pare doveroso sottolineare il diritto al lavoro (dignità), citato per primo, quindi alla sanità e all’educazione (obbligatoria e a carico dello Stato fino al 16° anno); infine la libertà di espressione risolta nel solo articolo 40. Un’attenzione specifica è dedicata ai diritti del fanciullo e della donna sia per gli aspetti di parità, sia per la difesa e tutela in caso di violenza.

    Altro elemento da evidenziare è la sottolineatura della divisione tra i tre poteri che regolano lo Stato, per non incorrere in pericolose e pregresse ‘contaminazioni’, con un focus sul potere giudiziario, anche se i casi di eventuali rimozioni non sono definiti appieno.

    Il buco nero del terrorismo

    Per la Tunisia il problema terrorismo è duplice se non triplice. La minaccia internazionale è condivisa con il resto del mondo, anche se la Libia è confinante e crea una pressione non facile da gestire sotto molteplici aspetti, dalla sicurezza, all’inquinamento del mercato economico. Inoltre l’Ifriqïa dei Romani è un bersaglio proprio perché è riuscita a conciliare, seppure ancora in modo imperfetto, tradizione e modernità, coesistenza tra diverse religioni, islām e turismo. Infine la Tunisia subisce la minaccia, soprattutto dal sud e dall’entroterra, di un movimento terroristico interno.

    Sul tema del terrorismo tunisino – alquanto spinoso – più che del rischio di radicalismo religioso, al quale non ho mai creduto, c’è sicuramente da fare una riflessione importante. È un fenomeno consistente che interessa soprattutto i giovani – non forse i giovanissimi come altrove – con una strategia che, a mio modesto avviso, ricorda tipicamente il sistema mafioso di reclutamento e gestione di personalità fragili, senza prospettive professionali concrete, alle quali non fa da sponda un sistema di valori, perché questi sono stati distrutti da decenni di una dittatura che ha formato un Paese di consumisti.

    Peraltro, occorre far attenzione a non cedere al senso comune, magari dando risposte di buon senso ma non sufficientemente calibrate.

    La direzione generale dell’Institut tunisien des études stratégiques (Istituto tunisino degli studi strategici) è categorica e parla di "stipendiati del jihad che percepiscono dai 1.500 ai 2.000 dollari al mese, una cifra molto alta per la Tunisia, soprattutto in tempi di magra. Nella maggior parte dei casi si tratta di giovani, con un’età compresa tra i 18 e i 35 anni, che hanno aderito in massa al jihadismo tra la fine del 2011 e il 2012 e che dal 2014 sono rientrati numerosi nel Paese, in seguito a dei contraccolpi militari ripetuti. Per un verso questo ha dato vita al fenomeno dei primi pentiti", per un altro ha avvicinato il pericolo al cuore del Paese.

    Secondo alcuni studi la variabile della povertà e dell’ambiente sociale, così come la motivazione politicoreligiosa, non sono determinanti, mentre l’argomento finanziario è decisivo: nei cantieri del suo Paese un giovane può arrivare a guadagnare al massimo 500 dollari. Confrontando gli stipendi tunisini con il salario dei siriani e degli iracheni del Da’ech (nome più corretto di quello comunemente usato di Isis), c’è un differenziale che va da tre fino a quattro volte. Il quotidiano tunisino La Presse alla domanda sul perché i tunisini sono più ricercati di altri, risponde perché sono affidabili e più istruiti.

    Guardando indietro al 2015

    Il 2015 si conclude, dopo una serie di incidenti, due gravi attentati contro civili e turisti della scorsa stagione e uno militare il 24 novembre scorso, senza che la volontà del popolo tunisino, tutto, di parte religiosa e non, sia compromessa nel procedere verso una moderna democrazia: così è sembrato simbolicamente il 9 ottobre scorso con il conferimento del premio Nobel per la pace al cosiddetto Quartetto, importante perché esprime la vittoria della società civile e della cooperazione trasversale. La fine d’anno è stata però in qualche modo ambivalente.

    Ricordiamo infatti che il 18 marzo 2015 c’è stato l’attentato al museo del Bardo di Tunisi, adiacente al Parlamento: probabilmente un ripiego rispetto all’obiettivo più ambizioso di attentare al cuore dello Stato. Per la prima volta il terrorismo in Tunisia colpisce i civili, mentre – guarda caso – è in corso una riunione sul tema della sicurezza rispetto alla minaccia di attentati. Il bersaglio sono stranieri, per l’esattezza turisti di una nave crociera italiana.

    Il 26 giugno è la volta di un’incursione macabra e agghiacciante in un resort turistico sulla spiaggia di Sousse, meta preferenziale di tedeschi e inglesi, che mira anche a colpire la proprietaria dell’hotel, una laica impegnata in prima linea.

    Nella capitale, infine, il 24 novembre 2014 è la volta di un attentato contro un autobus che trasporta agenti della guardia presidenziale nella centralissima avenue Mohamed V. Si è trattato di un attentato militare che cinicamente può essere considerato un colpo tecnico ma che l’escalation internazionale di violenza e i fatti recenti di Parigi con l’assalto al Bataclan, fanno percepire in modo amplificato: viene dichiarato il coprifuoco per un mese.

    I tunisini e gli stranieri nel Paese comunque in poco tempo si riorganizzano e non rinunciano ad esempio ad uscire la sera, cambiano solo gli orari. Viaggiando tra l’Italia e la Tunisia si nota che i controlli sono sempre più scrupolosi, perfino maniacali, gli aerei sempre più vuoti, gli stranieri – soprattutto se turisti e specialmente le donne – sempre meno.

    Il primo gennaio del 2016 rientrando in Italia da Tunisi in aereo, unico volo della giornata, eravamo 31 passeggeri su un aereo da 180 posti. Il turismo è in ginocchio. I turisti interni e gli algerini, che hanno dimostrato una grande solidarietà, quasi lanciando uno slogan dopo il massacro di Sousse, non bastano più.

    Nondimeno l’eredità del Nobel per la pace resta, a testimonianza del lavoro delle tante associazioni – a cominciare dai movimenti femminili e non solo femministi – rimaste nell’ombra, che hanno portato avanti il lavoro di tessitura dietro le quinte ma in sintonia con il Quartetto che è stato premiato, rappresentato dalla Lega per i diritti dell’uomo, dal Sindacato dei lavoratori tunisini UGTT, dalla Confederazione dell’Industria e del Commercio e dell’Associazione degli avvocati sciolta negli anni del regime.

    Il Quartetto rispecchia nelle sue componenti gli slogan della rivolta "hurrïah, karāmah e demokratïah": libertà di espressione e pensiero; dignità quale possibilità di accesso al mercato del lavoro da cittadino e non da suddito del partito unico; separazione tra il potere politico e giudiziario.

    Il percorso non è concluso ma in fieri e procede, come ogni relazione umana, tra alti e bassi. Su questo scenario incombe la minaccia del terrorismo che, nel caso della Tunisia, è la rabbia di coloro che vedono la possibilità di un Paese a maggioranza arabo-musulmana accogliente verso le istanze della modernità, democrazia, e dell’economia di mercato.

    Il tasto dolente è il lavoro: la crisi congiunturale e la paura europea, unite all’incapacità o forse all’inadeguatezza della politica interna, hanno colpito fortemente la società, soprattutto la fascia giovanile, che in Tunisia rappresenta la maggior parte della popolazione. È così che la povertà rischia di diventare miseria, con il prevalere della solitudine, della rabbia e della fine della speranza. Nel disagio sociale interno, dove anche i valori vacillano, fa breccia il lato mafioso del terrorismo, con fenomeni analoghi a quelli di certe zone del nostro Paese, soprattutto in questi ultimi mesi, e la lettura delle cronache, con la loro violenza, sembra annunciare il riaffacciarsi della mentalità tribale, nel suo lato deteriore.

    Su questa componente si può e si deve intervenire. Il dramma dell’arruolamento dei terroristi soprattutto tra i giovanissimi è anche la garanzia della possibilità della cura; cura di un’infatuazione malata per il superuomo travestito da divino, perché è indubbio che il popolo tunisino sia alla ricerca di una guida forte, rimasto orfano di un padrone non ancora sostituito da un padre autentico.

    In questo interregno si annida il rischio di ogni pianta ancora acerba e non svezzata totalmente.

    Nella storia, d’altronde, all’indomani delle crisi, mai solamente economiche, si verifica puntualmente un tale delirio.

    La Tunisia è convinta – correttamente, a mio parere – che non si tratti di una guerra, ma di una forma globale di terrorismo – da combattere pertanto non con gli eserciti ma con l’intelligence e facendo rete sull’amministrazione della giustizia – che colpisce non uno o più bersagli, ma tutti coloro che non si schierano da quella parte e quindi, paradossalmente, che unisce tutti gli altri.

    Una grande prova e occasione per l’umanità di ritrovarsi. Da non perdere.

    La scommessa delle riforme

    Il 2016 è un anno cruciale per le sorti del Paese, dove, tra ottimismo e paura, prosegue il processo di transizione democratica scrive su Ansamed Paolo Paluzzi, da anni residente nel Paese maghrebino.

    Oggi il partito di governo ha dalla sua parte la Costituzione, il risultato delle elezioni libere e trasparenti per eleggere Parlamento e Presidente della Repubblica alla fine del 2014 e, nel 2015, la formazione del governo guidato da Ħabīb Essid, sotto la presidenza del laico Qaïd Essebsi, storica figura istituzionale, ma molte sono ancora le ombre che oscurano il cammino tunisino e l’anno in corso potrà stabilire se davvero il Paese abbia intrapreso un cammino non a rischio.

    "Per capire meglio cosa potrebbe succedere – sottolinea Paolo Paluzzi – occorre analizzare ciò che accade a livello politico in tutto il Paese, non solo nelle periferie disagiate, spesso fucina di giovani radicalizzati. Ciò che preoccupa,

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