Tutti buoni arriva Mommotti
By Tonino Oppes, Rossana Copez and Eva Rasano
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Se poi vogliamo mettere d’accordo tutti si può fare così: gli adulti possono leggere ai più piccoli le storielle, e i piccoli, di nascosto, possono leggere quelle riservate agli adulti.
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Book preview
Tutti buoni arriva Mommotti - Tonino Oppes
Rossana Copez – Tonino Oppes
Tutti buoni
arriva Mommotti
Illustrazioni di Eva Rasano
ISBN 978-88-7356-898-8
Condaghes
Indice
Nota dell'Autore
Chi ha paura di Mommotti?
Acqua benedetta. Non piove? Arriva il pupazzo d’erba
Acqua maledetta. Lo specchio d’acqua di Lucilla
La mamma del sole
Rapita dai raggi d’oro
Il tesoro con i lacci
Lu Zifaru
Una strega contro la fame
La prigione dei golosi
La paura arriva dal cielo
Santa Barbara e Santu Jacu
Su carru ‘e Nannai
Le sentinelle dei tesori
Il paese delle mosche
Il carro con le catene
Sulle ali della morte
L’incubo dei bambini
Incontro con Mommotti
Incontro con Mommotti Cantilena per Mommotti
Prima di salutarci
Gli Autori e l'Illustratrice
La collana Il Trenino verde
Colophon
Nota dell’Autore
Questo libro è diviso in due parti.
Una, vietata ai bambini, è riservata agli adulti che vi troveranno i sapori, le paure e le delizie dell’infanzia di una cultura antica.
L’altra, vietata agli adulti, è riservata ai giovanissimi che vi troveranno le proprie paure e le proprie delizie.
Paure e delizie cambiano nome, ma la paura soprattutto è sempre la stessa, sempre in agguato.
Se poi vogliamo mettere d’accordo tutti si può fare così: gli adulti possono leggere ai più piccoli le storielle, e i piccoli, di nascosto, possono leggere quelle riservate agli adulti.
La paura è gialla di colore, questo si sa, ma ogni pagina di questo libro la farà sparire come per incanto e tutto diventerà di mille colori: quelli che ognuno vorrà vederci.
Chi ha paura di Mommotti?
«Non timiri mancu a su dimoniu» dicevano spesso le mamme quando faticavano ad arginare l’irruenza dei propri figli. Ci voleva qualcosa di forte per fermarli. Il diavolo, probabilmente. Ma a volte, neppure quello bastava.
In effetti il demonio nella tradizione sarda non era così temibile o irriducibile. Certo si credeva nei suoi poteri malefici e al suo occulto potere, però ci si abbandonava con fiducia alla protezione benevola dei santi e del Padreterno e questo bastava a rassicurare ogni animo timoroso.
Il diavolo è la personificazione mitica del male propria della religione cristiana.
Quindi dal demonio e dalle sue insidie c’è sempre modo di difendersi, ricorrendo a un’invocazione sacra, al segno della croce o a uno scongiuro qualunque: il diavolo non può resistere e fugge quasi sempre spaventato, per cui la vittoria finale resta all’uomo assistito dalla divinità.
Il diavolo, nella favolistica sarda, è il più abile trasformista che usa tutte le tentazioni possibili per catturare peccatori.
Esiste una serie di diavoli burloni, come maschinganna e pundaciu, il folletto dalle sette berrette, che sfidano l’umanità in giochi e gare facendo leva sull’ingenuità degli uomini.
A Quartu S. Elena, "sa tentatzioni", si mostra sotto le spoglie di un cane bianco, o di pecora, o di capra, a volte può manifestarsi come un vento impetuoso.
Il diavolo è sì il male, ma contro di lui l’uomo può combattere. I Sardi ci hanno provato con successo. Secondo una tradizione consolidata in numerosi paesi, pregare e recitare "brebus", compito esclusivamente femminile, creava una specie di scudo, un alone invisibile contro il male.
Dunque, più che il diavolo, ciò che fa veramente paura è l’ignoto, la morte, e in questo caso, neanche il Cristianesimo è riuscito a diminuire nell’uomo il terrore per la fine della propria esistenza.
Nella fantasia popolare gli spiriti dei morti, che si aggirano sulla terra, escono generalmente dall’inferno e usano il loro potere per nuocere ai vivi.
Is duennas sono anime dannate che soffrono e soffriranno in eterno, e quindi non si può che pensarle come ostili a tutto ciò che è buono e vitale.
I racconti della tradizione sono pieni di anime in pena: di bambini senza battesimo, e di "panas", figure umane, non fantasmi, che sbattono i panni. Le panas sono donne morte di parto, colpevoli dunque di aver abbandonato i loro nati, di non essere state in grado di assolvere alla loro funzione naturale primaria. Esse sono costrette dal loro stesso destino a lavare ogni notte, sulle rive dei fiumi, il corredo dei loro bambini mai goduti. Lo devono fare per sette anni di seguito e ricominciare ogniqualvolta qualche umano imprudente rivolge loro la parola.
I morti si incontrano anche nei nuraghi, in castelli medioevali diroccati o dentro le chiese. Spesso è sul sagrato delle chiese che la schiera dei morti, sa reula, fa il girotondo.
La paura che attanaglia è anche il preavviso della morte, che è sempre