L'eterna danza dell'acqua
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L'eterna danza dell'acqua - Stefania Baldissin
fratello
L’ETERNA DANZA DELL’ACQUA
Appariva, come una danza silenziosa, addosso ai muri, un po’ sopra il pavimento, un po’ più in alto della terra conosciuta.
Sopra il tappeto rosso oscillava una corda. Gliel’avevano prestata i funamboli anni prima, per giocarci. Un tendone nero ricopriva i passi fatti e quelli pronti. Era trasparente, ma lui lo vedeva ugualmente. Sempre. Non c’era più salita, né sosta, né discesa. Per ora.
Eccolo adesso, eccolo poi, sopra il monte scavato nel cielo. Lì, la vista libera si è rivelata talmente vasta da imprigionare ogni desiderio.
Poteva prendere fra le sue le mani offerte. Protese verso badili e vanghe, mani callose di intelligenza correvano tra le baracche in cerca di semi, di acqua. E infine ritornavano, se le avesse volute.
Osservava, temeva. Sentiva tremare le sue dita sopra le loro. Dentro sé, il cuore rideva impazzito. Ogni venuzza pulsava stupore e tanti grazie scoppiettanti fluttuavano dai suoi occhi a quegli altri, sconosciuti.
L’orologio muoveva la sua cassa mentre le lancette sapevano di non esistere. Non era un tic, tac, era un toc, toc. La cassa dell’orologio e le vecchie indifferenze bussavano insistentemente all’orecchio della mente, il quale, stufo, per ribellione si addormentò.
Così dovette svegliarsi il ginocchio, che cominciò a parlare, nella sua lingua, di forma e formalità. Di orgoglio e preghiera.
Si spaccarono, si attraversarono, man mano infine si ruppero, sia il ginocchio sia il suo portatore. Lui non lo diede a vedere. Forse neanche a sé. Era sbriciolato ed intero. La colla stava nelle sue parole. Dette nei secoli a venire. Parole da mantenere: quelle date o quelle dette o quelle taciute, forse tacite?
Costose quasi quanto la vita. Comunque.
Preparai un tè. Come al solito. Era la pausa necessaria.
I biscotti erano davvero buoni e lui era generoso non perché avesse regalato qualcosa, ma perché il suo calore arrivava, nonostante il suo sguardo truce, fino alla pelle del suo viso e delle sue mani e si irradiava, verso me, con la stessa affascinante pericolosità del fuoco.
Aprì la sua gabbia, me la fece esplorare; certo, sarà banale accostare il leone a tutto ciò, ma è proprio quello che vidi sbucare lì dentro, ogni tanto.
Sì, lei se ne stava rannicchiata, mentre lui mentiva sinceramente ad un aggeggio di plastica, memoria di altre voci.
Stava ferma in modo da non sentire mancanze, di nessun genere.
Lui colorava i toni e i toni coloravano lui, come musiche dentro l’aria.
Lei avrebbe dato, ma il precipizio suonava vicino. A testa in giù, piroettava lo sguardo dalle pareti alle gambe della tavola (questa, residuale e lucida, aveva vagato di notte da un salotto di giocatori di poker fino allo spazio sotto la trave, inclinato verso est); il mobile era partito da un posto che gli faceva ospitare pietanze e gli teneva in compagnia (musica classica, chiacchiere variegate…) per arrivare a intristirsi sopra un parquet scuro, ma nobile.
Lui stava già dentro gli organi di lei. Già la conduceva, seguendola.
Seguendola in qualche modo o a tratti.
Che c’entra se lei è bella, se è contesa
, quando invece vuole solo essere compresa
? Che c’entra se soffre quando lo vede, perché anticipa il dopo, cioè il vuoto?
Vuoto di realtà e vuoto di intenzione, dimostra lui, subito. Che sia chiaro, i-m-m-e-d-i-a-t-a-m-e-n-t-e, ciò che è permesso e ciò che non lo è.
L’ombra amata deve essere solo quella di lui.
Qualcuno attende di finire quel discorso iniziato anni prima; lì vi è un dialogo su luoghi bersagliati
, su cartelle con numeri che spiegano. Numeri che possono tenere controllato un leone.
Bisogna tornare puliti
alla casa piena di numeri e sintomi. Si eliminano gli altri linguaggi.
Lui, era tenero nella sua foga e lei lo amava talmente da sentirsi attonita e muta. Ricordava che il primo sguardo le aveva svelato la tempesta nell’oceano che lui era, che è.
Non poteva non toccarlo. Si sarebbe consunta di desiderio.
Il respiro le si sbatteva addosso al cuore, la voce stentava ad uscire, camminava senza vedere i mattoni, gli alberi, i cani. Tutto attorno era un amalgama che diventava qualcos’altro, diverso dalla voce e dal silenzio di lui.
Profumava di forza, di nuovo, di sigarette e dolcezza vanigliata. Era bello quanto