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Occhi di Ghiaccio
Occhi di Ghiaccio
Occhi di Ghiaccio
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Occhi di Ghiaccio

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About this ebook

Soria è una bambina riservata e molto
sensibile. Abbandonata dalla madre in
tenera età vive in un istituto gestito da
un’anziana signora che si rifiuta di rivelarle
chi fosse sua madre e tanto meno la natura
di ciò che le accade. Ella si avvantaggerà
della presenza di Soria, bambina dalle
capacità sovrannaturali, riducendola ad
un burattino nelle sue mani. Questo fino a
che la bambina, divenuta sedicenne, verrà
radicalmente cambiata dall’incontro con
uno strano ragazzo dello sguardo fiero e
giocoso che la strapperà dalle mani della
vecchia e la accompagnerà in un viaggio
finalizzato alla scoperta di se stessa,
un viaggio di formazione che si concluderà
con un’importantissima decisione.
Una strana vecchia, un ragazzo misterioso,
un uomo fiero e altero, un branco di lupi,
un villaggio, un cane, due strani cristalli,
una profezia e una lupa bianca
...per la scoperta di una nuova specie.


L'opera è rivolta ad un pubblico giovane
nella fascia dell'adolescenza
 
LanguageItaliano
Release dateAug 30, 2016
ISBN9788822838049
Occhi di Ghiaccio

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    Book preview

    Occhi di Ghiaccio - Chiara Naseddu

    Ringraziamenti

    LA LUPA

    Camminava lungo il viale, i piedi nudi sulla strada lastricata e fredda, doveva trovare qualcuno a cui lasciare la sua creatura, quella che teneva stretta a sé, sul petto: doveva trovare un luogo sicuro, con persone comprensive e gentili, era necessario che avessero cura della piccola.

    Continuò a camminare, pur sapendo di essere seguita, di non avere più molto tempo, sapeva anche di doversi separare dalla bambina, che ella avrebbe trovato da sola la strada di casa, a tempo debito, ma le doleva il cuore al pensiero che non sarebbe stata accettata a casa come in quel luogo, che avrebbe dovuto tracciarsi una strada da sola, perché apparteneva ad una specie differente, e ne avrebbe dovuto andare fiera!

    Si fermò. Davanti a lei si trovava un ampio portone di legno nero, la vernice era vecchia e, per lo più, era stata raschiata via, il portone sfoggiava un grosso battente di bronzo a forma di pipistrello, contorto e con la bocca spalancata in una sorta di isterico urlo di rabbia.

    Certo non era il posto che si aspettava di incontrare, non voleva lasciarla lì, ma non c’era tempo per cercare un posto altrove e, sicuramente, nessuno si sarebbe potuto immaginare che sua figlia si nascondeva in un luogo simile: sarebbe stata al sicuro!

    Afferrò il grosso battente in bronzo e bussò tre volte alla porta con una sorprendente delicatezza ed eleganza, da dentro vennero dei suoni di catenacci e la porta si aprì, sbattendo rumorosamente sulla parete interna della casa. Sulla soglia apparve una donna bassa, anziana e vistosamente trascurata: i capelli erano decisamente sporchi e unti, tenuti legati alti da un grosso fermaglio nero dall’aria antica che, a giudicare dalla ruggine formatasi nella sua molla, doveva essere rimasto su quella testa e in quella posizione per anni, le unghie erano lunghe e, sotto lo smalto scarlatto e rovinato, si intravedeva un rivoltante color giallo, da lei o forse dalla casa stessa emergeva un forte e raccapricciante odore di muffa!

    Per un momento fu tentata di andarsene e cercare un posto migliore, per lo meno più pulito, ma queste riflessioni furono interrotte perché la donna sfoggiò un gran sorriso deforme e maligno e disse con voce roca e bassa, tanto che pareva non essere stata usata per anni:- Sono stata avvertita del vostro imminente arrivo, la aspetto da anni, sa? E la creatura … è in buona salute? -

    - Naturalmente!-

    -Noi accettiamo solo creature umane e …-

    - Lei è umana! -

    - Di sangue puro? -

    - Ovviamente. -

    - Meglio per lei, allora! Vediamo: da noi arrivano solo disperati e senza tetto … e non mi pare che voi siate una di quelle rare eccezioni.- Aggiunse abbassando il capo per scorgere i piedi di lei.

    -Entrate! - .

    L’ingresso era rettangolare, sulla destra si trovava un comodino con sopra, appeso al muro, uno specchio dalla cornice dorata, il quale, però, era talmente vecchio e sporco da non riuscire a vedere il proprio riflesso al suo interno. Il comodino sfoggiava un evidente strato di polvere tanto che da marrone che era, lo faceva apparire bianco e, in alcuni punti, addirittura grigio.

    Più avanti, sulla destra, c’era una grande porta di quercia, di un marrone quasi nero, forse la cosa più pulita della casa, probabilmente per il fatto che, sul suo architrave era incisa la scritta sala mensa ( ricordate la buona educazione ) e , poco distante, vi era una seconda porta, più piccola il cui architrave recitava: cucina ( lavatevi le mani prima di toccare il cibo ). Davanti alla porta d’ingresso, dopo il comodino impolverato, la giovane madre vide una stretta scala di legno che saliva al secondo piano, più simile ad una soffitta piena di spifferi, dove, ella immaginò, si trovassero i dormitori. Di fianco ad essa incominciava un ampio corridoio, le sue pareti erano piene di specchi rotti e porte sbarrate, sulla maggior parte di esse era stato scritto a lettere cubitali la parola " Tabù sulle altre vi erano scritte parole come ufficio del direttore , scuola , archivio , oggetti smarriti , oggetti sequestrati " e

    "aula punizioni ".

    Lo percorsero insieme, l’anziana signora davanti e lei al seguito, fino a che non si fermarono davanti ad una porta con scritto la parola auditorium . Qui la strana signora estrasse un grosso mazzo di chiavi arrugginite, ne prese una molto grande, la infilò nella serratura, la fece scattare e ripeté, con un leggero inchino:

    - Entrate, prego!-

    L’auditorium non era una sala molto grande, sulla parete in fondo c’era un grande armadio di metallo marrone, più simile ad una cassaforte, sopra al quale vi era scritto archivio ; dall’altro lato della sala c’era una lustra scrivania di legno nero. La donna si sedette dietro di essa, su una squallida sedia di pelle, anch’essa nera, e le fece cenno di accomodarsi su una sedia di legno, questa volta molto chiaro, che stonava con il resto dell’arredamento. Si sedette.

    La stanza era illuminata da una lampada ad olio, e la vecchia signora accese una candela sopra alla scrivania, aprì un cassetto, ne estrasse una cartella, la aprì appoggiandola sul piano estremamente pulito che faceva contrasto con il resto dell’edificio il quale pareva abbandonato, prese una bella penna d’oro e, infine parlò: -Come si chiama la bimba? –

    - Soria. –

    - Soria come? –

    - Soria Arianna Prix. –

    - Ah, però, che strano nome, è sicura che Soria sia il primo nome e Arianna il secondo? –

    - Se permette penso di conoscere il nome di mia figlia!-

    - Il cognome si scrive P-r-i-x, giusto?-

    - Si.- - Non è di queste parti, vero? –

    - Si, è il mio cognome, non quello di mio marito, io non sono di qui, sono straniera, e io e lui abbiamo deciso che sarebbe stato meglio darle il mio cognome anziché il suo.

    - Bene, dove si trova il padre? - - Non lo so più, ora mai …-

    -Quando è nata?-

    -Il sette luglio.-

    - Mi occorrono i suoi dati, signora, e devo sapere quanto è disposta a pagare e, soprattutto con cosa. –

    - Mi chiamo Marta Soria Prix, sono nata il nove di agosto, sono disposta a pagare in perle di terra. -

    -Perle di terra, dovevo immaginarlo …. da una come lei non ci si poteva aspettare altro!!

    -Che cosa vorrebbe dire?

    -Ecco tutti i disperati e gli straccioni che vengono qui non hanno il becco di un quattrino e cercano di farmi fessa … -

    Lo sconforto iniziò a crescere in Marta: stava quasi per rivelare il suo segreto ed aveva una grande voglia di dire alla vecchia chi era in realtà, ma poi pensò alla sua bambina e si trattenne ….- mi dica cosa vuole e quando lo vuole ed io farò in modo di farglielo avere.-

    -Mi paghi pure con un qualsiasi oggetto che possa anche solo sembrare di valore, così io potrò rivenderlo e, a seconda della cifra che guadagnerò, vedrò quanto cibo, quanti giochi, quanta istruzione o altro sua figlia potrà ricevere nel tempo che passerà qui.-

    A questo punto Marta mise le due mani a conca una sull’altra e, quando le riaprì al loro interno si trovavano quattro anelli, ognuno dei quali con una perla di diverso colore incastonata al suo interno: una azzurra, una bianca, una marrone ed una rossa. Negli occhi della donna si accese un barlume d’avidità e la sua mano con sorprendente prontezza e velocità si avventò sui quattro gioielli.

    -Bene, allora la creatura resterà qui fino a che non inizierà a dare particolari problemi. Allora lei mi deve dire se, nel caso si presentasse qui il padre o qualche altro parente….

    -NO! La bimba non dovrà essere consegnata a nessuno e per nessuna ragione se non a me e solo se io sarò in grado di dimostrare di essere sua madre!-

    -Mmmmh, strana affermazione!…..allora è tutto a posto ora …..può salutare sua figlia e si ricordi che, nel momento in cui essa sarà tra le mie braccia, non sarà più sua ma mia, MIA…..MIA!!!!-

    Marta strinse a sè la bambina…non voleva …non poteva lasciarla…da fuori si udì un lupo ululare, Marta si riscosse, avvicinò la piccola alle labbra, la baciò e lasciò che una lacrima scivolasse sulla sua guancia e da lì cadesse sulla fronte di Soria, poi avvicinò delicatamente l’orecchio della bimba alle sue labbra e piano sussurrò:-Non perderla, è il tuo dono, un regalo che ti unirà a me per sempre e ti guiderà a casa…non perderla Soria… proteggila…e aspettami…aspettami!!!!!-.

    Detto questo Marta diede un ultimo sguardo alla piccola cercando di ignorare lo sguardo scocciato ed impaziente della vecchia che dopo pochi secondi sbottò, desiderosa di appropriarsi di quello che, lei aveva capito, sarebbe stato l’oggetto più prezioso che le sarebbe mai capitato di avere tra le mani: -Allora!! Ha finito con tutta questa sdolcinata melenseria?!?- e, allungata una mano strappò Soria dalle braccia della madre. La piccola non pianse né si divincolò, ciò insospettì la vecchia che, desiderosa di poter sperimentare il potenziale della bimba il più presto possibile, trascinò la giovane donna fino alla porta, la spinse fuori e richiuse il portone dietro di lei. Quel portone non si sarebbe più aperto per Marta né per nessun altro e nessuno si sarebbe più degnato di riverniciarlo: avrebbe avuto l’aspetto di un qualunque portone di una casa abbandonata: Soria sarebbe stata al sicuro ….

    Una volta fuori si incamminò lungo il viale a piedi nudi sulla strada lastricata e fredda, ripeteva: un gioiello in cassaforte…un gioiello prezioso si tiene in cassaforte … un gioiell ……. Le sue parole vennero smorzate: da dietro l’angolo buio della strada uscì una figura nera con a fianco un'altra figura più piccola ma imponente, Marta aguzzò la vista, riconobbe la lupa dagli occhi di ghiaccio, sorrise, un sorriso cupo, e disse: - Eccomi - La nera figura protese il braccio verso di lei tenendo in mano un lembo del mantello, la coprì con esso e insieme s’allontanarono …

    Stava iniziando una nuova storia…una storia che non si sarebbe mai ripetuta prima…una storia come tante?....no era la storia di Soria ….

    La lupa esitò un attimo… i suoi occhi riflettevano la luna, poi abbassò lo sguardo sul portone ormai spento..nei suoi occhi si rifletteva il ghigno bronzeo del pipistrello…sospirò …si alzò in piedi e, con una calma glaciale, raggiunse le due figure che camminavano lungo il viale, i piedi nudi di lei sulla strada lastricata e fredda, i capelli sciolti a coprirle le orecchie …..

    SORIA

    Svegliati, apri gli occhi, mi senti? È il momento di andare … su, seguimi … non avere paura …. Un bagliore di luce accecante le appare davanti agli occhi che ancora si devono abituare alla luce del giorno, strizzandoli ecco davanti a lei, su uno sfondo bianco come la neve, due occhi verdi; a chiunque la loro espressione sarebbe parsa agghiacciante, ma per lei essi riservavano un’ espressione dolce, quasi protettiva, la incoraggiavano, la invitavano….

    Sei pronta?...Andiamo, seguimi

    I suoi piedi nudi corrono sempre più veloci su una strada calda di foglie secche, superano ramoscelli caduti e radici, fiori, un torrentello, il canto del bosco tutto intorno la incita a correre sempre più veloce … presto arriverai tardi deve andare non può mancare deve essere lì in tempo …. lì, lì dove? Dove sto andando?... seguimi , ci sono io, non avere paura quegli occhi davanti a lei le danno coraggio e conforto, deve obbedire, correre, sempre più veloce, inseguendo il vento … si lascia guidare dal canto della foresta … lo sente: è quasi arrivata …..

    Lì vicino un lupo guaisce …

    Corre lungo il viale i piedi nudi sulla strada lastricata e fredda ….. davanti a lei un pipistrello di bronzo … in lontananza l’ululato di un lupo…

    -Ari svegliati hai fatto un altro incubo!-

    -Ogni notte lo stesso sogno ormai è da un mese, non pensi che dovresti farti vedere da qualcuno?-

    -No sto bene! Ogni notte è sempre più lungo, ogni notte si fa sempre più reale…-

    -Su dai andiamo non possiamo arrivare tardi! Sai è quasi……..-

    Arrivare tardi, un appuntamento importante … queste parole trasportarono Soria in una riflessione profonda, incomprensibile dalla quale lei pareva irrisvegliabile, così, mentre la sua compagna continuava a parlare di quanto fosse impossibile svegliarla la mattina, lei era in un mondo che era tutto suo, era immersa in pensieri, immagini, storie, racconti incomprensibili per chiunque altro tranne che a lei … era a casa!

    Casa, l’unico posto che poteva chiamare così era dentro la sua testa, di notte, nei sogni. In realtà la sua casa era quel vecchio e pulcioso dormitorio, quella sala mensa e l’aula delle lezioni (se non si vuole considerare anche la sala delle punizioni) di quel misero orfanotrofio in cui lei viveva ormai da undici anni. Sì aveva undici anni ormai ma, fisicamente, sembrava molto più piccola della sua età anche se con molta più fantasia e con un repertorio di conoscenze vastissimo: dall’età di quattro anni agli undici aveva imparato (senza che nessuno glielo insegnasse) a suonare l’arpa, imitare il verso di qualunque animale avesse ascoltato per almeno una volta nella sua vita, era dotata di una sensibilità unica che la rendeva, per certi aspetti, fragile ma che le permetteva di percepire i sentimenti delle persone che le stavano vicino e correva talmente veloce da vincere tutti i ragazzi ormai sedicenni dell’orfanotrofio, la sua sensibilità era talmente forte da amplificare tutto ciò che succedeva attorno e dentro a lei (questa era una di quelle cose che né la Vecchia né gli altri bambini dell’orfanotrofio riuscivano a capire). Sono quelle con una sensibilità come la tua che finiscono per diventare cattive … mi hai capita? Prima vittime poi CATTIVE le aveva detto la voce gracchiante della Vecchia in un incubo dal quale era rimasta molto scossa e spaventata tanto che spesso anche dopo tanti anni sentiva ancora le stesse parole, la stessa voce, era come se una parte nascosta di lei sapesse che aveva ragione e ciò la spaventava. Faceva anche altre cose per le quali era considerata da molti matta, per esempio, in passato, le piaceva prendere parte a numerose conversazioni con il cane ed i polli dell’orfanotrofio ( con i quali si sentiva a proprio agio, ignorando completamente la stranezza e l’assurdità della cosa.)!

    Successe tutto proprio durante una di queste conversazioni.

    Stauf, il muscoloso maremmano dagli occhi castani che faceva la guardia al pollaio dell’orfanotrofio, stava spiegando a Soria come si fossero divisi i lupi dai cani, cosa che la bimba, che allora aveva appena sette anni, amava farsi ripetere e ripetere più volte al giorno perché, non capiva come, si sentiva attratta da quei racconti più che da altri, era come se una parte della sua storia, che era bramosa di conoscere, e una parte di lei fossero in qualche modo legate a quei racconti mozzafiato, quando udì un suono provenire dall’interno dell’orfanotrofio: era un suono che non aveva mai sentito, quel suono sorprendentemente dolce le ispirava un canto di gioia e di libertà… la attraeva. Come ipnotizzata si era messa a camminare, attraversando il cortile polveroso sotto gli sguardi stupiti e spaventati di una ventina di bambini. Il suono proveniva da una stanza, l’architrave della porta recitava, come molti altri in quel unico corridoio del primo piano, tabù, la bimba sapeva che entrare in quella stanza le sarebbe costato un’intera giornata nell’aula punizioni ma sentiva una forza incontrollabile dentro di lei che le spingeva la mano sulla maniglia di quella porta, doveva scoprirne il segreto, il segreto di quel tabù. Alla fine la sua ragione e la sua volontà non poterono resistere a quel potente e dolce richiamo. Allungò la mano e con molta forza (incredibile per una qualunque altra bambina della sua età) riuscì ad aprire la maniglia che era stata bloccata dalla ruggine formatasi in tanti anni durante i quali, era evidente, non era mai stata aperta! Con grande stupore di Soria la porta non risultò essere stata chiusa a chiave il che era molto strano perché, in quel corridoio, non una sola porta era stata chiusa senza almeno tre mandate. Questo perché la Vecchia, così i bambini dell’orfanotrofio chiamavano la signora che sette anni prima aveva accolto il quel luogo Marta, sapeva che molti bambini non si lasciavano ostacolare dal semplice tabù scritto a lettere cubitali sugli architravi delle porte. Davanti agli occhi ipnotizzati di Soria apparve una stanza circolare non illuminata, Soria cercò l’interruttore che avrebbe dovuto accendere la luce ma esso non c’era; stava ancora tastando la parete fredda della stanza quando decise

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