Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Il pezzo che mancava
Il pezzo che mancava
Il pezzo che mancava
Ebook401 pages5 hours

Il pezzo che mancava

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Eva, infermiera e fisioterapista, che per colpa della crisi non trova lavoro in ambiente medico, accetta un impiego come assistente di Carmen Grimaldos, una multimilionaria un po' eccentrica, comproprietaria di una catena di alberghi insieme ad Ander Izarra, il suo figliastro. Carmen, una volta scoperta la capacità di Eva di svolgere qualsiasi attività, decide di nominarla amministratrice dell'azienda, con l'unico obiettivo di infastidire il suo socio. Entrambi mantengono, ormai radicato nel tempo, un rapporto di odio e vendetta. Ma ciò che Carmen non immagina è che tale decisione cambierà la sua vita, quella della sua dipendente e quella di tutte le persone che le stanno intorno,

LanguageItaliano
Release dateAug 21, 2016
ISBN9781507152331
Il pezzo che mancava

Related to Il pezzo che mancava

Related ebooks

Contemporary Romance For You

View More

Related articles

Reviews for Il pezzo che mancava

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Il pezzo che mancava - Antonia Romero

    Capitolo 1

    Cameriera o dama di compagnia?

    ––––––––

    — Arriverò tardi un’altra volta.

    Eva prese la giacca, che la notte precedente aveva abbandonato sulla poltrona del salotto del suo appartamento, e si mise le scarpe mentre si avviava verso la porta. Chiuse la porta facendola sbattere e chiamò l'ascensore mentre si allacciava l'orologio da polso, che le serviva a ben poco.

    Una volta sul marciapiede, corse fino alla strada principale e fece segno ad un taxi che si stava avvicinando. Il tassista passò davanti ad un’altra auto e si fermò per farla salire. Il conducente dell'auto suonò irritato il clacson per quella manovra d’intralcio e si allontanò, spingendo sull'acceleratore.

    — Quanto è nervoso, di prima mattina! — disse il tassista avviando il tassametro.

    Eva gli diede l'indirizzo a cui doveva portarla e si allungò sul sedile cercando di rilassarsi. Si disse che era un caso disperato, si meritava di perdere quell’occasione. Si scostò una ciocca di capelli dal viso e la spinse dietro l'orecchio.

    Rimarrai sempre un’incapace con le orecchie a sventola – le risuonò in testa la voce di sua madre.

    Sua madre non era esattamente una sua fan, e adesso sapeva che la stava deludendo. Come sempre. Quando se n’era andata a vivere da sola nella capitale, dal piccolo paesino in cui era cresciuta, non immaginava che tutto sarebbe stato così difficile. Aveva trovato un buon lavoro in una clinica nel centro di Madrid, pensava che fosse vero quello che si diceva: da Madrid al cielo. Poi l’avevano cacciata ed era stata costretta a lavorare come cameriera, centralinista, aveva anche sostituito la cassiera di un supermercato, qualsiasi cosa pur di non ritornare da sua madre. Viveva in un appartamento di merda, in una strada suburbana, e pagava un affitto così alto che per cena poteva aspirare solo a cereali senza latte, perché quello che guadagnava non le permetteva altro.

    Ecco perché quella era un’opportunità che non poteva permettersi di perdere. Forse il fatto che fosse stata sua madre ad aver trovato per lei quell’opportunità, aveva avuto una qualche influenza sul suo incomprensibile ritardo di quella mattina. Guardò dalla finestra appoggiando la testa sulla mano destra. Davvero credeva che fosse stato il suo subconscio ad aver fermato l’orologio? Sul serio? Scosse la testa cercando di risvegliare i neuroni difettosi che le impedivano di pensare con chiarezza. Sospirò, il danno era fatto, era ormai da mezz'ora che l’aspettavano in via Príncipe de Vergara, ed era sicura che il suo treno fosse ormai partito. Ricordò la telefonata di sua madre la sera precedente.

    — È una donna importante piena di soldi che ha bisogno di una dama di compagnia.

    — Io sono un’infermiera, mamma, non una serva.

    — Già, per questo stai lavorando in una birreria in cui ti pagano ottocento euro per lavorare dieci ore al giorno.

    Eva scrisse una di quelle note mentali che tanto amava scrivere e lo fece a lettere maiuscole: NON RACCONTARE NULLA A MIA MADRE CHE POSSA ESSERE UTILIZZATO CONTRO DI ME.

    — Non avrai un'altra occasione come questa. Lo stipendio è di quattromila euro al mese — disse sua madre mettendo l’accento sulla questione più importante del discorso. — E non dovrai pagare l'affitto di quell’appartamento schifoso in cui vivi. E non avrai neppure spese per il vitto. Tesoro, è denaro pulito. Tutto per te sola.

    Eva era sicura che sua madre stesse esagerando. O era così, oppure la vecchia aveva una gran voglia di liberarsi di fondi ottenuti in modo poco rispettabile.

    — E tu come l’hai saputo? — domandò innocentemente.

    — Perché la signora Paquita è venuta questa mattina in negozio e mi ha raccontato che suo figlio Fran, quello che ha studiato da avvocato... Ti ricordi? Sì, tesoro, era amico tuo!

    Eva sapeva a quale Fran si riferisse. Andava alla sua scuola alle elementari, anche se non erano mai stati in classe insieme perché lui aveva tre anni in più. Le loro madri parlavano davanti alla scuola e questo era stato un motivo sufficiente perché la madre di Eva decidesse che erano amici. Erano usciti insieme una volta quando andavano alle superiori, ma da allora lei aveva avuto occhi soltanto per Luis, che era nella sua stessa classe, e non aveva voluto ripetere l’esperienza. Eva sapeva che non serviva a nulla cercare di far cambiare a sua madre una di quelle idee bizzarre che apparivano dal nulla e rimanevano piantate per sempre nella sua frivola testa.

    — Sì, mamma, so chi è Fran. — Si sentì ridicola a chiamare a quel modo un signor avvocato.

    — Perché è lui che si occupa degli affari della gran signora, e lei gli ha chiesto di cercarle qualcuno di fiducia come sua dama di compagnia. Alla signora Paquita sei sempre piaciuta. Mi ha chiesto dove eri e cosa facevi e, quando le ho spiegato come ti sono andate male le cose, mi ha detto che avrebbe parlato con suo figlio. Poco fa mi ha chiamata per darmi l'indirizzo.

    Eva coprì l’auricolare e sbuffò, cercando di sciogliere il nodo di ansia che le provocava il parlare con sua madre. Era sicura che non fosse stato evitato alcun dettaglio e che la signora Paquita conoscesse, per filo e per segno, tutti le sue sciagure nella grande città.

    — Va bene, mamma, ringrazia la signora Paquita e suo figlio. Domani andrò a fare questo colloquio.

    E adesso era lì, chiusa in quel taxi che si stava beccando uno dopo l'altro tutti i semafori rossi, con più di mezz'ora di ritardo e senza giustificazione.

    Quando Eva si ritrovò all'interno dell'edificio, rimase senza parole. Un’elegante scalinata di marmo, con tappeti e tutto quanto, pareti anch’esse di marmo e lampadari di cristallo. Improvvisamente entrò nel panico e pensò di scappare via di corsa.

    — Sei scema o che cosa? – disse a sé stessa in un sussurro. — Tu di qui non ti muovi. Di certo, visitare questa casa costa denaro, e tu la stai vedendo gratis. Spero.

    Quando fu davanti alla porta della sua principale esitò, senza sapere se suonare o aspettare lì finché qualcuno non fosse uscito per caso. Però, se la donna viveva sola, forse non usciva mai. Ma come faceva a vivere da sola? Eva cominciò ad immaginarsi una vecchia decrepita, circondata di mobili pieni di polvere, gatti da tutte le parti, ragnatele attaccate alle lampade e vestita con un abito da sposa marcio per la vecchiaia.

    — Devo smettere di leggere Dickens — si disse.

    La porta si aprì ed Eva sussultò sorpresa.

    — Che cosa fai? Arrivi tardi e rimani lì fuori a spettegolare?

    La donna, con un forte accento puro, teneva l'enorme porta aperta e la guardava con le sopracciglia aggrottate e una smorfia di disgusto sulle labbra. Eva non si fece pregare ed entrò con l'aspetto rattrappito che assumeva sempre quando si sentiva intimidita. Cosa che, d’altro canto, accadeva troppo spesso.

    Senza dire nient’altro, e senza presentarsi, la donna che le aveva dato una così calda accoglienza le fece cenno di seguirla. Attraversarono un corridoio con vinile blu alle pareti e diverse sedie dalle gambe tornite e soffici cuscini tappezzati di motivi floreali.

    — Ecco la ragazza – disse, e poi girò sui tacchi e se ne andò lungo il corridoio.

    L'anziana donna aveva... moltissimi anni. Per un secondo ebbe l'impressione che non fosse la prima volta che la vedeva, e si domandò se non l’avesse vista in uno di quei vecchi film del cinema classico americano. Il suo viso era una mappa di rughe, ma la sua pelle era bianca come madreperla e sembrava estremamente morbida. Indossava un abito nero di pizzo che metteva in risalto la sua figura stilizzata e i suoi capelli bianchi avevano una fantastica lucentezza. Eva abbassò lo sguardo sui suoi jeans e sulla sua solita camicia bianca, perfettamente in sintonia con le sue inseparabili ballerine blu. Improvvisamente si sentì come se qualcuno avesse acceso un fuoco per illuminare il suo cattivo gusto. In quello scenario e con quella elegante dama, lei stonava come una coscia di pollo in una pescheria.

    — Rimarrai lì tutto il giorno? — disse la donna facendo un gesto con la mano. — Su, entra e siediti.

    Eva obbedì con timidezza e non staccò lo sguardo dal tappeto finché il suo sedere non incontrò il soffice cuscino del divano.

    — Presumo che tu già sappia che è stato Frankie a raccomandarti, anche se non mi aveva detto che eri così timida.

    Eva si rese conto che non sapeva nulla della donna, neppure il suo nome, e impiegò qualche secondo per associare a quel Frankie Fran, il suo compagno di scuola.

    — Sei muta o qualcosa di simile? Non pensi di dire nulla?

    — Mi scusi, è che non ho potuto parlare con Fra...Frankie e non mi ha dato alcuna informazione.

    L'anziana donna guardò la giovane con curiosità.

    — Non ti ha parlato di me? — domandò.

    Eva fece segno di no con la testa prima di rispondere.

    — È stata mia madre a darmi il suo indirizzo. È da molto tempo che non vedo Francisco Medina.

    La donna annuì.

    — Già, capisco. Lui mi ha parlato molto bene di te. Il mio nome è Carmen Grimaldos.

    La donna che l'aveva ricevuta sulla porta entrò senza preavviso tenendo tra le mani un vassoio con due tazze di caffè e delle paste.

    — Questa è Lisa, è con me da... molti anni, tanti che ho perso il conto — disse l'anziana donna.

    — Assicurati che mangi almeno una pasta. Mangia come un passerotto e bisogna controllare che non salti nessun cibo — disse Lisa guardando Eva negli occhi.

    Eva annuì e seguì con lo sguardo la donna, che uscì dal salone e scomparve oltre le porte.

    — Perché Lisa se ne va? — domandò tornando a guardare l'anziana donna.

    — Lisa va da qualche parte? – La donna sembrava sorpresa.

    — Lei ha bisogno di un'altra dama di compagnia, no? – chiese la ragazza un po' confusa.

    Carmen scoppiò a ridere.

    — Lisa è stata la mia governante, ha sempre fatto in modo che tutto fosse di mio gusto in casa. Ora ha poco lavoro, ma non è la mia dama di compagnia. Non ho mai avuto bisogno di baby—sitter, fino ad ora. — Prese la tazza di caffè, che tintinnò urtando il cucchiaino che aveva nel piatto. — Quanti anni hai, bambina?

    — Ventitré.

    Carmen Grimaldos assunse un’espressione sorpresa.

    — Pensavo fossi più giovane. Sono questi occhi di vecchia che non distinguono più. È da così tanto tempo che non vedo nessuno oltre a Lisa e a Frankie, che ho perso il mio buon occhio. — Si portò la tazza alle labbra e bevve con delicatezza.

    I suoi movimenti erano ipnotici per Eva, che non poteva fare a meno di guardarla.

    — E quanti anni credi che abbia, io? – chiese all’improvviso.

    Eva rifletté molto bene sulla risposta da dare a quella domanda. Era chiaro che fosse una donna vanesia a cui importava molto del proprio aspetto. Era perfettamente coordinata in tutti i dettagli, persino il fermaglio con il quale raccoglieva i capelli aveva le stesse pietre che adornavano la falde di pizzo del vestito. E le scarpe nere avevano sulla punta un ornamento identico a quel pizzo. Eva si era resa conto che l'anziana donna aveva le proprie facoltà mentali in perfetto stato e il suo sguardo inquisitore era quello di una donna intelligente che aveva vissuto molto.

    — Non saprei dirle un’età specifica — rispose in maniera ambigua.

    — Beh, ho l'età sufficiente per aver bisogno che qualcuno si accerti che continui a respirare — disse senza distogliere lo sguardo dagli occhi della ragazza. — Dove hai lavorato finora? Non ti preoccupare, so già che non sei mai stata una dama di compagnia, prima d’ora.

    Per qualche decimo di secondo, Eva pensò di inventare una storia più interessante di quella reale. Ma per qualche strano motivo, quell’offerta di lavoro aveva cominciato a sembrarle davvero allettante. E non per lo splendido stipendio di cui le aveva parlato sua madre, ma per la curiosità che aveva cominciato a provare nei confronti della donna che aveva davanti.

    — Ho lavorato in un centro medico, come commessa in negozi di abbigliamento, come cameriera, come cassiera in un supermercato... Ma sono infermiera e fisioterapista — chiarì.

    — Non capisco che cosa ci faccia un’infermiera a lavorare come commessa.

    — La crisi ha provocato molte incongruenze — rispose Eva cercando di non suonare troppo dura.

    — Allora, il lavoro che ti offro è un po' diverso da ciò che hai fatto fino ad ora. — L'anziana donna terminò il caffè della sua tazza e la posò sul tavolino con molta attenzione. – In sostanza, dovrai stare con me per la maggior parte della giornata e non pensare che io sia una vecchietta adorabile, perché non lo sono. Credi che potrai sopportarlo?

    Eva non poté evitare di sorridere timidamente. Quella donna non sapeva quanto fosse insopportabile il padrone della birreria in cui stava lavorando.

    — Non ho molti acciacchi. Credo che questo sia ciò che succede quando stai morendo di vecchiaia, quando ormai non ti fa male più nulla. Togliti quell’espressione, se c'è una cosa che non sopporto è la compassione — disse molto seria. — A te cosa piace fare?

    Eva rifletté per qualche secondo prima di rispondere.

    — Leggere, il cinema, passeggiare...

    — Bene, allora sarà facile — disse Carmen. — Conosci Barcellona?

    Eva fece segno di no con la testa. Era una di quelle città dove dici sempre che andrai, ma non trovi mai il momento. Aveva visitato Parigi, Londra, Roma, e non conosceva una delle più importanti città spagnole.

    — Hai qualcosa contro i catalani? – chiese ancora.

    Eva tornò a fare segno di no con la testa.

    — No, no, non è per questo — disse timidamente.

    — Voglio tornare a casa mia. Beh, a casa di mio marito — disse Carmen pensierosa. – Me ne sono andata un anno dopo che è morto e da allora è rimasta vuota.

    La signora Grimaldos guardò Eva in modo strano, come se la stesse analizzando.

    — Ti interessa il lavoro? — domandò tassativa.

    Eva non rispose immediatamente. Aveva la sensazione che se avesse accettato, la sua vita avrebbe subito una svolta di centottanta gradi, e non era certa che fosse una buona cosa. Di certo non aveva un lavoro per cui valesse la pena rimanere. E non c'era nessuno ad attenderla nel piccolo monolocale che chiamava casa.

    — Dovrebbe mangiare un biscotto — disse alzando il vassoio per avvicinarglielo.

    MESSAGGIO DIRETTO – TWITTER

    ♂Ciao. Com’è andata oggi?

    ♀Bene. E a te?

    ♂Come sempre. Oggi ho pensato a te.

    ♀Ah, sì?

    ♂Lo faccio spesso.

    ♀Non esagerare.

    ♂Te lo racconto o no?

    ♀Raccontamelo.

    ♂Sono passato davanti a una lavanderia...

    ♀Suona molto americano.

    ♂E all'interno c’era una ragazza che aspettava che la sua lavatrice terminasse. Era bruna e indossava una gonna plissettata e degli stivali con catene.

    ♀È così che mi immagini?

    ♂La prima volta che abbiamo parlato è stato a seguito del commento di un fanatico dei piedi.

    ♀Si dice feticista.

    ♂Qualunque cosa sia. Tu avevi messo un'immagine di una ragazza con una gonna plissettata e stivali. Se vedo una ragazza con gonna e stivali, penso a te.

    ♀Che bello!

    ♂Mi prendi in giro?

    ♀No, non ti prendo in giro.

    ♂Sarebbe molto triste se mi prendessi in giro.

    Capitolo 2

    Nessun luogo piacevole dove andare

    ––––––––

    Dopo un mese a lavorare in quella casa, Eva già sapeva a che cosa si riferisse la signora Grimaldos dicendo che non sarebbe stato facile avere a che fare con lei. Era la donna più prepotente ed irascibile che avesse mai conosciuto.

    La giornata di Eva era dedicata alla sua principale dalle nove del mattino fino a dopo pranzo, e dalle cinque fino a dopo cena. Tutti i giorni si alzava alle sette e mezza e si infilava le scarpe da ginnastica per uscire a correre. Tornava intorno alle otto e un quarto con i giornali del giorno e andava dritta sotto la doccia. Poi prendeva il caffè con latte che le aveva preparato Lisa, assieme a due toast con burro e marmellata.

    Alle nove in punto entrava nella stanza della signora Grimaldos e la svegliava con tutta la dolcezza del mondo. Doveva aprire le tende come Lisa le aveva insegnato: prima quella più a destra, che era la più lontana del letto, e due minuti dopo quella successiva. Così fino ad aprire le tre tende dell’enorme camera in cui dormiva l'anziana donna. Una volta che il sole era entrato nella camera, Eva l’aiutava ad accomodarsi sui suoi soffici cuscini e Lisa le portava la colazione a letto. Con il giornale in una mano e una tazza di caffè in un'altra, leggeva le notizie sempre nello stesso ordine: economia, società, cronaca internazionale e nazionale, commentando con linguaggio mordace tutto ciò che non le piaceva. Di tanto in tanto lasciava andare la tazza di caffè per dare piccoli morsi da topo a un toast con marmellata di prugne, l'unica che tollerava, e faceva qualche allusione al suo figliastro, fulcro della maggior parte delle sue lamentele.

    Ander Izarra era il nome che più aveva udito da quando si era trasferita a vivere in quel lussuoso appartamento a spese della donna. Figlio di Asier Izarra, il marito della signora Grimaldos, e della sua precedente moglie, non sembrava essere molto benvoluto dall’anziana donna. Eva non aveva molte informazioni sulle relazioni familiari che si erano stabilite in quel quartetto quando il marito della suddetta era ancora vivo, ma che non erano state buone era del tutto evidente, a giudicare da quanto la signora Grimaldos sbraitava contro il suo figliastro. Inoltre, non aveva una sola fotografia di lui in tutto l'appartamento. Così, una sera dopo cena, si chiuse nella sua camera, prese il suo rattoppato portatile, che doveva accendere con una graffetta perché aveva perso il pulsante di accensione durante una delle sue cadute dal letto, e digitò su Google Ander Izarra.

    Era convinta che quell'uomo le sarebbe stato simpatico. Se irritava Carmen Grimaldos, doveva essere una bellissima persona. La prima cosa che vide fu la sua fotografia a colori e di dimensioni medie. Non si poteva negare che fosse bello, ma un bello di quelli che era piacevole guardare. Sapeva che era un erede, a metà con Carmen, dell'impero di suo padre, proprietario, tra le altre cose, di una grande catena di alberghi in tutto il mondo. Qualcuno aveva pubblicato un'intervista che gli avevano fatto per una famosa rivista economica ed Eva la lesse con il massimo interesse e altrettanta delusione a mano a mano che procedeva nella lettura. Si rivelò un pedante stupido e borioso. Le sue risposte erano cariche di cinismo e la sua visione del mondo e delle sue disuguaglianze le diede la nausea.

    Eva aveva chiuso la pagina soffiando dal naso e con la voglia di sputargli addosso. Forse la irritava ancora di più il fatto di dover dare ragione al suo nuovo capo, che era risultato essere insopportabile quasi quanto il proprietario della birreria, che aveva lasciato a metà frase quando le aveva detto che non le avrebbe pagato quanto le doveva perché se ne stava andando senza preavviso. Dopo aver letto si alzò di colpo e andò ad appoggiare l'orecchio alla porta. La sua camera era abbastanza lontana da quella dell'anziana donna perché non la sentisse parlare, ma preferiva accertarsi che non ci fosse in giro nessuno. Raggiunse la parete più lontana e si rannicchiò in un angolo per telefonare.

    — Sei sveglia? — chiese quando la sua amica rispose al telefono.

    — No, sto dormendo e sto facendo un sogno idiota in cui io e te parliamo al telefono.

    — Ho visto Ander Izarra — disse Eva senza replicare all’ironia della sua amica, a cui era più che abituata.

    — Ander chi? — disse l'altra.

    — Il figlio della signora Grimaldos.

    — Dai, Eva, concentrati. Mi hai chiamata ieri sera per raccontarmi per l'ennesima volta quanto sia insopportabile la strega e per chiedermi di dirti qualcosa che ti facesse rimanere lì. Però fino ad ora non mi avevi parlato di nessun Ander. Che razza di nome è Ander? È forse un soprannome? Sarà olandese, per lo meno.

    — È un nome basco ed è il figliastro di Carmen, davvero non te ne avevo parlato? Cris, sai che quando parto con le chiacchiere...

    Si conoscevano sin dalle elementari. Si erano ritrovate insieme al liceo e se n’erano andate di casa insieme, Cris per studiare Economia e Eva Infermieristica. I genitori di Cris se la passavano bene e le pagarono l’affitto di un appartamento vicino alla sua università, e lì avevano vissuto insieme mentre studiavano. In quel periodo conobbero Óscar, il fidanzato di Cris, e per un anno vissero in tre, fino a che Eva non era riuscita a trovare lavoro in uno studio medico del centro e si era cercata un proprio appartamento.

    — No, non mi hai parlato di lui – insistette Cris.

    — Come vuoi. Comunque, Ander è il figliastro di Carmen — disse Eva giocando con una ciocca di capelli e ballando con le dita dei piedi. — Suo padre era il proprietario della catena AI Hotels & Resorts. L'AI sta per Asier Izarra...

    — Cristo! — esclamò Cris più interessata. — Ci faranno uno sconto se andiamo in uno dei loro alberghi? Cavoli, Eva, tu sai che voglia ho di andare a Riviera Maya!

    — Non ho parlato con lei di questo. Rilassati. Carmen non va assolutamente d’accordo col suo figliastro, non c’è una sua foto in tutto l'appartamento.

    — Ma è figlio dell'altra moglie del marito, no?

    — Essendo il figliastro, sì — disse Eva muovendo la testa. A volte Cris sapeva essere irritante. — È figlio della donna che Asier Izarra ha lasciato per sposare Carmen. Così dovettero condividerlo per qualche tempo.

    — Una soap opera in piena regola — disse Cris masticando.

    — Stai mangiando patatine? — domandò Eva scettica.

    — Mi è venuta fame. Continua, forza.

    — Va bene, a quanto pare la donna di Asier era più giovane di lui, molto più giovane di lui e, al contrario, Carmen era più vecchia.

    — Quanto più vecchia? — domandò Cris.

    — Secondo quanto ho letto su internet, quando si sposarono lui aveva quarantadue anni e lei cinquantacinque.

    — E l'altra?

    — Trentacinque. — Eva allungò le gambe e si guardò le unghie dei piedi. Doveva tornare a mettersi lo smalto.

    — Questo sì che è raro, solitamente sarebbe il contrario, si lascia la strega cattiva per una più giovane. — Cris guardò il sacchetto di patatine vuoto e si alzò per andare in cucina a cercarne un altro.

    — Non so cosa sia successo tra la signora Grimaldos e quel presuntuoso del suo figliastro, ma il punto è che lei trova sempre un motivo per criticarlo — continuò Eva.

    — Può essere, — disse Cris cercando di aprire il sacchetto senza lasciare il cellulare. — che la madre abbia dovuto fare tutto il possibile perché il bambino le rovinasse sempre la vita quando lo aveva vicino. E poi di certo suo padre lo premiò dandogli più grana che a lei, quando la liquidò.

    — Non so, lei ha molto denaro. E nell’intervista che ho letto di Ander su una rivista, dice che sono soci paritari in tutti gli affari del padre.

    — E non gli hanno chiesto del rapporto con la sua matrigna?

    — Sì, ma lui è stato vago e ha concluso parlando del nuovo hotel che aveva inaugurato in Toscana.

    — Dio, devi ottenere uno sconto! Sai che fantastico affare sarebbe?

    — Non saprei come fare, — rispose. — non è che Carmen sia molto amichevole con me. Figurati se le chiedo una cosa simile...

    — Tu sei sempre stata brava con la gente. Sei simpatica e piaci, non come me... — disse Cris senza ironia. – Il problema è che ti comporti come un topo spaventato e lei lo nota e ne approfitta.

    — Ho bisogno di soldi, Cris.

    — Sì, lo so. Ma a chi viene in mente di studiare Infermieristica, di questi tempi?

    — Non tutti possiamo essere economisti, — disse Eva irritata. — non ci sono soldi sufficienti da contare. Almeno nelle tasche della brava gente.

    — Certo, certo — rispose Cris. — Bene, smettiamola con le chiacchiere, ché domani devo alzarmi alle sei.

    — Buonanotte. Salutami Óscar.

    — Ti manda un bacio — disse Cris

    — Domenica cinema, Siringa – sentì dire dalla voce di Óscar.

    — Digli che va bene, ma che la pianti di chiamarmi Siringa — disse Eva sorridendo.

    — Domani chiama un po' prima, va bene? — disse Cris.

    Da quella conversazione erano passate già tre settimane e Eva ancora faticava a prendere sonno, in quella casa. L'unica compagnia piacevole di cui godeva era quella di Lisa. La donna provava tenerezza per Eva. Non aveva figli, non si era mai sposata e avere lì una persona giovane e senza radicali cambiamenti di umore era un piacevole diversivo.

    Eva era preoccupata per il tipo di vita che conduceva la signora Grimaldos. Non usciva mai di casa. Ad ottant’anni, avrebbe dovuto camminare per almeno un'ora al giorno. La sua routine si limitava a spostamenti dalla camera da letto al salone, dal salone alla sala da pranzo e dalla sala da pranzo alla camera da letto, passando di tanto in tanto per il bagno. Mangiava come un uccellino, come aveva detto Lisa, e non parlava con nessuno al di fuori di loro due. Faceva molta fatica a reggere una conversazione su qualsiasi argomento senza mettersi a discutere. Eva ci aveva provato molte volte, ma non riusciva ad attraversare il duro guscio dell'anziana donna.

    Dopo un mese e mezzo in quella casa, accadde qualcosa che modificò la routine quotidiana delle tre donne. Per tutto il giorno la ragazza aveva osservato con preoccupazione il volto della signora Grimaldos. Occhiaie molto gonfie, viso rosso, occhi infossati. Prima di cena andò nella sua camera a cercare il tensiometro e, ignorando le rispostacce dell'anziana donna, le alzò la manica del vestito, pose il bracciale sullo stetoscopio e cominciò a misurarle la pressione. Girò la valvola per rilasciare l'aria lentamente e ascoltò attenta i battiti del cuore. Quando liberò il velcro del bracciale, il viso di Eva era preoccupato.

    — Bisogna chiamare il medico — disse avviandosi verso il vecchio telefono, laccato di nero, che c’era sul comodino.

    — Non pensarci neanche — rispose l'anziana donna. – Questa non è l’ora di disturbare nessuno.

    — Mi ascolti bene, signora Grimaldos, si metta zitta e tranquilla mentre io chiamo il dottor Campos, perché se le sale ancora di più la pressione, quella che chiamerò sarà un'ambulanza e passerà la notte in ospedale.

    L'anziana donna non riuscì a dissimulare la propria sorpresa per quella decisa manifestazione di carattere. Chiuse la bocca e si accomodò sulla sua poltrona respirando lentamente per rilassarsi. Lei in un ospedale? Avrebbero prima dovuto farle perdere conoscenza.

    Il dottor Campos viveva anche lui a Príncipe de Vergara, un paio di strade più in là della sua paziente. Eva si sorprese nel constatare che si trattava di un uomo di circa quaranta anni: aveva pensato che il medico della sua principale fosse più o meno della sua stessa generazione. Entrò in tutta fretta e, dopo aver fatto a Carmen un paio di domande, confermò con il proprio tensiometro che l'allarme dell'infermiera era corretto.

    — Molto bene, Carmen. Ti metterò questa pastiglia sotto la lingua e la lascerai sciogliere in bocca — disse avvicinando la mano alle labbra dell'anziana donna.

    — Riesco ancora a prendere una pastiglia senza aiuto. Dai qua — disse prendendo la pillola e mettendosela in bocca come le aveva ordinato il medico.

    Il dottor Campos si voltò allora verso Eva e, facendo un passo verso di lei, le tese la mano.

    — Sono Eduardo, sono lieto di vedere che Carmen ha un’assistente eccellente — disse stringendo la mano di Eva.

    — Io sono Eva, piacere. È la prima volta che succede?

    — A questo livello, sì — disse voltandosi verso Carmen. — Ma era prevedibile. Continua a non uscire di casa?

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1