Melodie del cuore
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Book preview
Melodie del cuore - Manuela Chiarottino ed Eugenio Pattacini
Antologia
Dedicato a chi sa ascoltare il proprio cuore
Manuela
Amo pensare che il plurale di libro sia lettori
Eugenio
Concerto per Isabella
Finalista del concorso Racconti di Primavera
Forse per un ragazzo sarebbe più facile, forse.
Inizio a pettinarmi, quasi con rabbia. Mi sono fatta crescere i capelli fino alla vita: sono belli, una delle poche cose che mi riguardano di cui posso essere sinceramente orgogliosa, così morbidi, folti, fluenti, dal caldo colore del miele. Ma sono una bugia, un’isterica farsa per sopravvivere a me stessa. Hanno un unico scopo: coprirmi il più possibile il viso. Vorrei poterli tagliare cortissimi, un taglio alla maschiaccio, di quelli che stai bene solo se di professione fai la modella.
Rido da sola, butto la spazzola sul letto e passo accanto allo specchio, ricoperto da un drappo di seta colorata. E’ stata Lucia, mia sorella, a metterlo, quel giorno che mi ha trovato riversa sul letto, annegata nelle mie stesse lacrime.
Ancora un anno e potrai operarti, vedrai! Sarai di nuovo bellissima! Anzi, già lo sei…
Si era morsicata il labbro, anche lei aveva fallito la sua missione, così come tutti quelli che mi guardano con occhi sfuggenti, si posano rapidi e poi fuggono via, cercando qualcosa che ristabilisca il senso della bellezza e dell’armonia.
Un anno. Ho già subito tre operazioni dal giorno dell’incidente, sono state lunghe e dolorose. Il medico ha detto che il mio corpo necessitava una pausa, era necessario; troppo presto anche per un nuovo intervento di chirurgia facciale, era già un successo aver recuperato le normali funzioni muscolari. In fondo non è così evidente, ha detto. In quel momento l’ho odiato, avrei voluto saltargli al collo e trasmettergli tutto il dolore e la vergogna con cui convivo ogni giorno. Ho abbozzato un sorriso tremante e sono andata a casa.
M’infilo il giaccone e vado verso la spiaggia: d’inverno è solo mia. I turisti dell’estate sono man mano scomparsi come risucchiati da una folata di vento, i ristoranti e i bar sono quasi tutti chiusi, rimane solo qualcuno intento a fare jogging o a passeggiare con il suo amico a quattro zampe. Sono per lo più solitari e non fanno caso a me. Posso andare a piedi scalzi, sentendo la sabbia leggermente umida solleticarmi la pianta dei piedi e l’aria fresca accarezzarmi il volto, come da tempo non fa più nessuno.
Antonio diceva di amarmi, lo ricordo bene, non posso averlo solo sognato, ma non riesco a biasimarlo se non è riuscito a districare il cuore e le buone intenzioni dal groviglio delle mie lacrime, delle mie urla, dei miei incubi, persa tra i ricoveri, le operazioni e una lunga riabilitazione. E, soprattutto, il rifiuto di uscire da casa, di vedere altra gente, andare in pizzeria o a ballare, insomma tutte le cose che prima facevamo insieme, comportandomi come una qualsiasi diciannovenne. Non posso, non ancora.
Lui ha la mia stessa età e lo so che non può rinunciare a vivere, così non l’ho guardato con rancore quando, balbettando, mi ha confessato di aver conosciuto un'altra ragazza. D’altra parte mi bastava vedere come stava attento ad accarezzarmi solo la guancia illesa, abbassando sempre un poco lo sguardo se per sbaglio mi scostavo i capelli dal viso.
Sono stata delusa, è vero, ma non come mi sarei aspettata.
Io giustifico tutti a essere dispensati dal mio orrore. Tranne me.
Oggi l’aria è più fresca del solito. Mi siedo, alzo il bavero della giacca e, abbracciandomi le gambe, poggio il mento sulle ginocchia, mentre lo sguardo si perde nello sconfinato blu che ho davanti.
«Bello, vero?»
La voce alle mie spalle mi fa sussultare, mi alzo di scatto e con una mano porto i capelli verso il viso, ormai è un gesto istintivo.
Davanti a me c’è un ragazzo di bell’aspetto, riccioli biondi e due occhi azzurri da fare a botte con il cielo. Mi sembra di averlo già visto ma non riesco a ricordare dove e guardo intorno cercando la presenza di altri esseri umani, nel caso non avesse buone intenzioni.
Lui sembra capirlo.
«Non volevo spaventarti, mi chiamo Alessandro.»
Protende la mano verso di me, sorridendomi con calore, e per un istante i suoi occhi scivolano sul mio volto e io non scappo. Ma è solo un attimo.
«Mi piace stare da sola» rispondo scontrosa senza ricambiare.
«Capisco»
Si allontana di pochi metri e si sistema anche lui sulla sabbia, incrociando le gambe.
Ecco, adesso che faccio, questo è il mio angolo preferito e ora dovrei condividerlo con uno sconosciuto?
«Non mordo sai»
Che buffone! Mi risiedo anch’io, rincuorata dal fatto che sarà la mia parte migliore quella verso di lui.
«Non ho paura di nessuno, volevo solo stare tranquilla.»
«E’ bello qui, anch’io vengo ogni tanto a passeggiare. Di solito quando voglio riflettere su qualcosa.»
Continua a parlare come se nulla fosse, quasi che io l’avessi invitato a una qualsiasi conversazione tra noi.
«E su cosa rifletti oggi?»
«Sulla vita.»
Mi scappa un sorriso ironico, cosa vuoi saperne tu della vita? Sarai un altro Antonio, bambino viziato e debole che non sa affrontare un dolore in carne e ossa davanti a te.
«Il mare per me ha un effetto calmante, mi sembra una mamma che ti culla l’anima e anche solo star qui a osservarlo mi dà serenità. Anche per te è così?»
Lo sbircio di sottecchi. Il vento leggero gli sta scompigliando i capelli già ribelli, mentre confonde un po’ anche i miei pensieri.
Perché sta lì? Cosa vuole da me?
«Io non riesco a essere serena da molto tempo, ormai.»
«Mi dispiace. Posso aiutarti?»
«Aiutarmi? Ma neanche mi conosci!»
«Non mi hai ancora detto il tuo nome, in effetti.»
Mi volto e lo vedo sorridere invitante, i suoi occhi fanno pensare a quelli di un gatto pronto a saltarti in grembo per la dose quotidiana di coccole.
«Senti, io non amo stare con le persone, non più.»
«E cosa ami allora?»
«Amo rintanarmi in casa, sperando che inizi a piovere così che tutti debbano correre nelle loro tane e non sia l’unica a vivere senza sole. Mi metto sotto le coperte, con una tazza di tè e un buon libro, e rimango lì, fino a quando il rumore della pioggia mi accompagna.»
«Anch’io amo la pioggia, mi piace sentire la sua musica in tutte le sfumature che sa creare. Ci hai mai fatto caso? Ogni superficie che colpisce risponde con un suono diverso. Una volta ho messo delle pentole e dei bicchieri di vario tipo sul balcone, per sentire il diverso tintinnio delle gocce, e ho scoperto una melodia bellissima nella quale mi sono perso.»
La sua voce è calda, una di quelle che ti fa sentire bene, come se a ogni parola ti accarezzasse. Ma chi è questo ragazzo? Da non so quanto tempo provo l’impulso di aprirmi, ma la parte di me che cerca di vivere nell’invisibilità mi segue ovunque e non dà tregua. Non so se abbia visto il mio volto e ho troppa paura che accada. La verità è che vorrei continuare a rimanere qui, accoccolata su questa spiaggia deserta, a sentire il suono della sua voce riscaldarmi il cuore.
«Sai, una volta ho provato a trasformare davvero la pioggia in un’armonia, ispirato da quei suoni ho composto una melodia al piano.»
«Suoni il piano?»
C’è un attimo di silenzio, un silenzio colmo di dolore, io so riconoscerlo. Avverto quando le parole rimangono sospese come una bolla di sapone, così lieve e delicata che basta un respiro più forte per disperderla. Poi Alessandro si alza piano e viene verso me, fermandosi a un passo, come per lasciare quello spazio che si riserva agli animaletti selvatici affinché non scappino subito.
Estrae la mano destra dalla tasca del giubbotto, non avevo notato che non l’avesse ancora fatto, ma d’altra parte l’ho sempre sbirciato tra i capelli e di sottecchi.
Poi capisco.
La sua mano non è più fatta di carne e sangue, non c’è il fuoco della vita che scorre nelle vene. Ora è un essere incompleto, come me, e come me si trascina dietro un qualcosa di estraneo. Io ho questa assurda e crudele cicatrice che mi sfregia il viso e l’anima, lui ha quell’arto artificiale che ha spezzato il fluire della musica dal suo cuore alla tastiera di un pianoforte.
Mi alzo, butto i capelli sul viso, non riesco a farne a meno, ma ho meno paura del suo sguardo, ora.
«Mi chiamo Isabella.»
«E’ un nome bellissimo.»
Lui sorride e il rendermi conto che sono proprio io a causare quel sorriso mi fa sentire improvvisamente bene.
«Mi è rimasto solo il nome di bello. Ma posso capirti. Capisco cosa provi per… »
«Lo so che puoi capirmi, Isabella, ma, credimi, non ti è rimasto solo quello. Sei bellissima, non lo sai? Dove metti quegli occhi da cerbiatta con quella forza ancora impigliata nell’iride, nonostante tutto? E quel sorriso che nascondi al mondo perché sai che potrebbe ferirlo con la sua luce? E il tuo volto, Isabella… bellissimo, come te.»
E così dicendo compie l’ultimo passo che ci separa e mi accarezza, proprio lì, sfiorando la mia guancia ripudiata, soffermandosi appena sul rigonfiamento come fosse un petalo delicato.
Il suo tocco mi dà i brividi, sento il fiato caldo e vorrei chiudere gli occhi e rubargli ancora un po’ del suo respiro.
«Ma tu… non ti fa…?»
«Cosa? Isabella, tu non ti ricordi di me. Al liceo avevi già il ragazzo e mille amici. Io ero quello strano che non girava con le cuffie in testa ma correva a casa a studiare pianoforte. Mi sei sempre piaciuta e ti ho amato da lontano. Ho saputo del tuo incidente e ho sofferto per te e per la mia impossibilità di poter fare qualsiasi cosa per aiutarti, dato che non sapevi neanche che esistessi. Io avevo avuto l’incidente da poco, uno stupido incidente in moto, non era neanche mia. Sapevo benissimo cosa stessi passando ma non ho avuto il coraggio di avvicinarti, ho pensato anche che non sarebbe stato giusto nei confronti del tuo ragazzo.»
«Mi spiace, io … io non ho mai saputo del tuo incidente.»
Improvvisamente mi rendo conto che non sono l’unica persona ad aver avuto un torto dalla vita, sono solo una stupida egoista rintanata nel proprio cocciuto dolore. Mi chiedo come un ragazzo così bello, perché più lo guardo da vicino e più mi rendo conto che è bello davvero, non fosse tra i più popolari della scuola. Ma ai tempi io ero la figa e stronza, guardavo tutti dall’alto in basso, senza neanche rendermene contro. Che stupida! Forse per questo sono stata punita?
«Io… non ho più il ragazzo. Non era facile starmi accanto. Non è facile.»
Alzo lo sguardo e mi scontro con i suoi occhi, ora sembrano di un azzurro grigio come il mare che sta borbottando alle nostre spalle. Un brivido mi percorre la schiena.
In modo inaspettato, ma con dolcezza, poggia le labbra sulle mie, mentre continua ad accarezzarmi il volto. E la mia bocca, serrata in un ultimo disperato tentativo di difesa, si dischiude tremando e lo accoglie con desiderio, mentre scivolo in sensazioni che credevo di aver dimenticato e che forse non ho mai provato davvero.
Le sue mani sembrano entrambe vive e compongono su di me quella melodia che non può più suonare: mi abbraccia e accarezza i capelli e il suo tocco è come un prodigio che scioglie qualsiasi paura.
Siamo accomunati dalla sofferenza e dal coraggio della sopravvivenza, siamo uniti da questa sete di vita e di amore. Io non pensavo di possederne ancora ma lui me lo ha rivelato, con la sua voce, il suo sguardo di velluto, la sua bocca.
Forse sto sognando ma, se è così, non voglio svegliarmi, non ancora.
Si stacca con garbo.
«Scusami, forse non dovevo ma è tanto che lo sognavo e ora, qui, mi è sembrato tutto così naturale...»
Vorrei riprendere la mia espressione severa e scorbutica, in fondo non è così usuale cedere a un bacio al primo incontro, ma la mia bocca si schiude in un sorriso, tutto ride in me, non so se riuscirò a nasconderlo.
«Non scusarti, non so cosa sia successo ma… insomma è stato…è stato bello.»
Deglutisco a stento, vorrei fuggire e vorrei restare, magari affittare una nave pirata e salpare con lui in questo mare che s’infrange sulla riva, spinti dal vento che si sta insinuando tra di noi e scompiglia le nostre anime e i nostri pensieri.
Mi ributto i capelli sul volto e cerco di riprendere un certo contegno, sono così confusa, ci si può innamorare in un battito d’ali?
«Isabella, io vorrei conoscerti, possiamo rivederci qui, domani?»
«No… non so.»
«Aspetterò.»
Corro verso casa leggera come una piuma, corro nel vento che dispettoso mi acciuffa i capelli e scopre le guance arrossate, ma io lo ignoro e non mi fermo.
Ho un solo pensiero dentro che fa capovolgere il cuore in mille capriole: è lui, è Alessandro.
Da allora, ogni giorno, a quell’ora, su quella spiaggia, io e Alessandro abbiamo intrecciato le nostre mani e le nostre anime. Lui ha saputo avvicinarsi a me delicatamente, come si farebbe con un gattino selvatico che, terrorizzato, rimane a distanza, pronto a soffiarti contro. Il secondo bacio è avvenuto dopo altri tre incontri, ma da allora non abbiamo più smesso e io riesco a sentirmi bella tra le sue braccia. Parliamo di tutto: di noi, dei nostri sogni, e con lui mi sembrano davvero possibili. Sa donarmi quella fiducia e quella sicurezza che avevo nascosto in qualche cassetto, sa spronarmi e rasserenarmi, sa farmi ridere. Ogni tanto gli chiedo cosa posso fare per lui, dato che è tanto quello