EuroGol
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Book preview
EuroGol - Giuseppe Andriani
Andriani Calascibetta
EUROGOL
EUROGOL
Storie dagli Europei
Tommaso Calascibetta 1960
Marco Napoletano 1964
Domenico Brandonisio 1968
Rocco Amatulli 1972
Giuseppe Andriani 1976
Alessandro Patella 1980
Cristian Sciacca 1984
Michele Mitarotondo 1988
Cristiano Carriero 1992
Luca Guerra 1996
Eligio Galeone 2000
Fabio Stelluti 2004
Jacopo Ottenga 2008
Stefano Scala 2012
Prefazione di Raffaele Pappadà
Disegni di Stefania Andriani
Copertina di Maria Luia Spera
Ed. BlogLive
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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)
un prodotto di Simplicissimus Book Farm
Ringraziamenti
A mio nonno
G.A.
A mio padre
T.C.
Indice
Ringraziamenti
Prefazione
1960
1964
1968
1972
1976
1980
1984
1988
1992
1996
2000
2004
2008
2012
Prefazione
Raffaele Pappadà
Guardando le storie che esaltano la bellezza e la profondità (spesso trascurata) del calcio vien da pensare che una manifestazione come l’Europeo sia un grande kolossal di cui, alla vigilia, si conosce l’intero cast, ma non la divisione delle parti. Così può succedere di trovare straordinari protagonisti (la Danimarca nel 92 e la Grecia nel 2004, per esempio), grandissimi comprimari ed eccellenti antagonisti, tutti inattesi. E’ forse proprio in questo la magia di queste manifestazioni, che riescono più d’ogni altro torneo o campionato a sprigionare l’essenza del calcio, dando vita a tutta la letteratura romantica e romanzesca che corre sul manto erboso. Quella che trovate nelle pagine di Eurogol, storie dagli Europei. Un viaggio che sembra atemporale, per come l’Euro riesce sempre a regalare spunti degni di essere raccontati, in grado di emozionare, accendere, infiammare, a prescindere dall’anno di svolgimento. Comete che a volte durano solo il tempo di un’estate, altre invece non sono che l’anticipazione di una grande carriera, piuttosto che la consacrazione di una stella, o l’apice della sua parabola. Storie di colpi che vivono da decenni, 40 anni esatti nel caso del cucchiaio di Antonin Panenka. Un gesto tecnico che, probabilmente, nella memoria degli appassionati ha un posto addirittura più grande del risultato storico che ha determinato, l’Europeo vinto dalla Cecoslovacchia. Storie di gol così belli da sembrare irreali, al limite dell’impossibile, in un campo dove la bellezza sembra portarli di diritto nella sfera dell’arte. Decine di gol sono stati paragonati a quello di Marco Van Basten nella finale di Euro 88 contro l’Urss, ma l’originale resta sempre sopra agli altri. Coordinazione, potenza, precisione, soprattutto l’idea e quella sensazione che ti lasciano i campioni, che tutto sia davvero possibile. Storie di un portiere che in un pomeriggio di sole ad Amsterdam riuscì a murare la sua porta, annientando i sogni dei padroni di casa olandesi: lì Francesco Totti richiamò alla memoria Panenka, ma il cuore di quella sfida è nelle parate di Francesco Toldo, insuperabile in partita e nella serie dei calci di rigore. Storie di exploit individuali e di gruppo, di influenze ed ostruzionismi politici, di contesti in grado di condizionare lo sviluppo della trama, portandolo a volte oltre ogni pronostico. Perché a rendere indimenticabile un film, a volte, non sono soltanto le super star tanto attese alla vigilia, ma anche la sceneggiatura, gli effetti speciali ed attori più o meno normali che, nel corso delle riprese, si scoprono eroi. Non vi resta che scorrere questa cineteca di grandi storie, aspettando le altre che il calcio sa regalare, rigenerandosi, in un ciclo simile alla vita.
1960
Tommaso Calascibetta
Ci sono un italiano, un inglese ed un tedesco dell’ovest. Anzi no. Non ci sono. Loro Euro 1960 lo guarderanno da casa perché Federcalcio, FA e DFB hanno deciso di snobbare il nascente Trofeo Delaunay della neonata UEFA. Qualcuno dice che gli azzurri non scesero in campo per paura, probabilmente fu il periodo più buio della nostra storia calcistica, orfana di un’intera generazione di fenomeni che venne vinta solamente dal fato un pomeriggio qualunque di un giorno qualunque su una collina torinese.
È il 28 settembre 1958 e l’URSS del Ragno Nero Jašin batte per 3-1 l’Ungheria davanti a 100.572 spettatori allo Tsentralni Lenin di Mosca nel primo ottavo di finale della storia degli europei.
All’appello tra le partecipanti manca giusto qualche mondiale vinto, tre più o meno. L’Inghilterra poi nemmeno a dirlo: sta per esplodere il fenomeno The Beatles. All’ombra del Big Ben lo sanno bene, loro il calcio l’hanno inventato, l’hanno esportato. E poi basta, giocarlo è un’altra cosa. Meglio concentrarsi su altro. Che comunque gli riesce bene. Per dire.
La formula della competizione è piuttosto confusionaria con turni ad eliminazione giocati tra andata e ritorno dagli ottavi fino alle semifinali nei due anni antecedenti al 1960. Un turno preliminare per accedere alle qualificazioni giocato da Irlanda e Cecoslovacchia (2-4) quando gli ottavi erano, tra l’altro, iniziati. E un’URSS già dalle prime fasi nettamente superiore a tutte le altre formazioni. Sono gli anni in cui in Europa si respira la piena Guerra Fredda ed in cui il calcio ancora non è nulla di più che un gioco. Ricco certo, cominciano a girare i primi soldi, quelli veri, ma siamo ben lontani dal concetto di professionismo che siamo abituati a vivere oggi e che probabilmente è nato qualche anno più tardi quando due squadre tra lo stupore generale hanno dato vita in Messico al Partido del Siglo. Germania ed Italia. Come poi è finito quel mondiale è scritto nei libri di storia. Purtroppo. Per noi.
Gli Europei, così come più o meno li vediamo oggi, vengono concepiti nella Parigi degli anni ’20 dall’allora segretario della Fédération Française de Football Henri Delaunay, e non è un caso che la prima edizione si giocò proprio in Francia. Successivamente Delaunay diverrà segretario generale della UEFA. Una competizione per nazionali però all’epoca già esisteva, la Coppa Internazionale infatti era l’equivalente della Mitropa Cup, per selezioni nazionali. Un torneo ideato per le sole squadre dell’Europa Centrale, che quindi era ben distante dal tipo di spettacolo che Monsieur Delaunay aveva in mente. Piccola nota: l’Italia detiene il record di vittorie nella competizione, due, in un periodo in cui il calcio nel nostro Paese era visto come il dopolavoro di operai e mestieranti.
Già dalle prime battute l’edizione del ‘60 rivela una chiave di lettura piuttosto semplice e netta, se da una lato infatti l’Europa politica non riesce (o non vuole) uscire da una fase di stallo che andrà avanti, ufficialmente, almeno per un altro paio decenni, nel calcio il colore che sventola fiero su una bandiera è il rosso dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Un’organizzazione e una forza fisica in campo che ricordava i T-34 che avanzavano prepotenti durante la Seconda Guerra Mondiale e che riuscivano a far rabbrividire anche i possenti Panzer tedeschi. Due scuole di vita, e sportive, che dopo aver combattuto a lungo sui campi di battaglia non si fronteggeranno sui campi di calcio perché la Germania ha letteralmente snobbato la competizione. Ma questo già ve l’ho detto.
L’esordio dei Sovietici è devastante ai danni dei malcapitati ungheresi e il muro eretto da Jašin davanti la sua porta sarà il fulcro attorno al quale si svilupperà tutto il gioco dei russi. E spero perdonerete la generalizzazione. Ma d'altronde la stessa FIFA ha eletto la Russia come unica erede legittima dei risultati sportivi dell’URSS.Il primo turno, o se preferite gli ottavi di finale, sono un dominio rosso. C’è l’URSS, c’è la Jugoslavia, c’è la Cecoslovacchia e ci sono le Furie Rosse del Generalissimo Francisco Franco. Gli accoppiamenti dei quarti poi, nemmeno a dirlo, mostrano quanto sia beffardo il destino, quanto si diverta ad incastrare storie, vite, scuole di pensiero, politica e guerra. Più o meno fredda. URSS-Spagna, una contro l’altra per dimostrare in campo quella supremazia che nella frammentaria e frammentata Europa degli anni ’50 non erano riusciti ad imporre. Sembrava tutto pronto alla partita più importante delle competizione, quella che sulla carta era la finale annunciata e che solamente un tabellone beffardo ha anticipato. Se cercate il risultato di quel match vedrete un netto 6-0 per i Sovietici. Una smorfia di stupore probabilmente segnerà i vostri volti. Quella partita però, in realtà, non si è mai giocata. Nulla ha potuto la mediazione della federazione spagnola, Francisco Franco fu lapidario: Nessun comunista sul suolo spagnolo
. Le Furie Rosse fuori da Euro ’60 da imbattute, sul campo, e URSS in semifinale con una partita vinta a tavolino.
Il Generalissimo si pentirà presto della sua scelta e farà di tutto appena quattro anni più tardi per portare la fase finale degli Europei in Spagna. Edizione quella del 1964 che poi verrà vinta proprio dalla formazione di due giocatori mediocri del calibro di Suarez e Gento ai danni, nemmeno a farlo di proposito, dell’URSS alla seconda finale consecutiva degli europei.Gli altri quarti di finale vedono la Francia imporsi ai danni dell’Austria con un risultato quasi tennistico di 5-2/4-2, la Jugoslavia mandare a casa il Portogallo che da lì in poi vedrà nascere la stessa di Eusebio, e la Cecoslovacchia annientare una Romania capitata quasi per sbaglio su un campo di calcio.La competizione entra nel vivo, finalmente la fase finale e finalmente quello che gli almanacchi ricordano effettivamente come EURO 1960: a fare da cornice all’evento la Francia. Tra le quattro semifinaliste c’è anche un pezzo d’Italia, il 6 luglio allo Stadio Velodrome di Marsiglia infatti ad arbitrare la partita tra Cecoslovacchia e URSS troviamo Cesare Jonni che con le sue 263 direzioni in Serie A è al secondo posto tra gli arbitri con più presenze nel massimo campionato italiano. Una leggenda del nostro calcio che probabilmente solamente i nostri nonni ricorderanno. La partita comunque è quasi un allenamento per la squadra di Jašin che conclude la gara senza praticamente mai sporcarsi le mani. 3-0 il risultato finale.
Qualche chilometro più su invece, al Parco dei Principi di Parigi, la situazione non è proprio così delineata, i padroni di casa infatti davanti ad appena 26.000 spettatori ce la mettono tutta per non soccombere di fronte alle incursioni della Jugoslavia ma al termine dei 90 minuti Les Bleus, privati della stella Just Fontaine che appena due anni prima durante i mondiali di Svezia aveva realizzato qualcosa come 13 goal, dovettero arrendersi. La Francia poi finirà al quarto posto perdendo anche la finalina contro la Cecoslovacchia. Ad alzare il Trofeo Delaunayper la prima volta nella storia invece