Variazioni di Luna: Donne combattenti in Iran, Kurdistan, Afghanistan
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Variazioni di Luna - Patrizia Fiocchetti
Alzerò la mia voce al di sopra del brusio dei potenti. La renderò tuono, perché esploda tra le nuvole e le sue note cadano come gocce di pioggia a far respirare la terra. Se per questo pagherò, subirò violenza o l’esilio non mi fermerò. Perché difendo la vita e la verità e non legittimo confini.
Né madonna, né puttana, né santa, né strega. Sono Donna, sono persona, sono padrona del destino, colei che scrive la Storia del mondo.
Mah, nella mitologia persiana, è una divinità femminile, rappresentazione della Luna, regina della notte. Mah è anche la radice di molti nomi femminili, tante variazioni di Luna, che ritornano nelle storie di donne qui raccontate: Mahshid, Mahtab, Mahin, Mahnaz.
Donne che hanno scelto di non tacere e non rassegnarsi di fronte a un destino di sottomissione che sembrava segnato, per loro e per i popoli a cui appartengono. Le loro vite si incrociano con quelle di una donna proveniente dall’Italia, l’autrice del libro Patrizia Fiocchetti, che dopo 13 anni di militanza con la resistenza al regime khomeinista dell’Organizzazione dei mojahedin del popolo iraniani incontra altre donne e altre resistenze, tra le rivoluzionarie afghane di Rawa, le combattenti curde delle Ypj e tante altre voci e volti di donne, declinazioni di lotte lontane ma comuni.
Patrizia Fiocchetti per più di vent’anni ha lavorato con i rifugiati politici con il Consiglio Italiano per i Rifugiati, la Caritas di Roma e il Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Ha pubblicato Afghanistan fuori dall’Afghanistan (Poiesis ed. 2013, con Enrico Campofreda) e ha partecipato ai libri Una mattina ci siam svegliate (Round Robin, 2015) e Si può ancora fare (Safarà, in uscita nel 2016). Ha pubblicato articoli con Il Manifesto e le riviste Laspro, Confronti e Guerre e Pace.
Marisa Paolucci, giornalista, collabora con la rivista Nigrizia. Si occupa di migrazioni, libertà di stampa, mafia, questioni femminili. Ha pubblicato Africartoon (Nuova Iniziativa Editoriale, 2003), Mafiacartoon (Ega, 2006) e Tre donne una sfida (Emi, 2012).
Zaatar
Patrizia Fiocchetti
VARIAZIONI DI LUNA
Donne combattenti in Iran, Kurdistan, Afghanistan
2016, Lorusso editore
Zaatar
Zaatar è la spezia tipica della Palestina: un miscuglio di odori, di sapori e di colori, uniti tra loro.
1. Shahd Abusalama, Palestine from my eyes – una blogger a Gaza, 2013.
2. a cura di Refaat Alareer, Gaza Writes Back – racconti di giovani autori e autrici da Gaza, Palestina, 2015.
3. Patrizia Fiocchetti, Variazioni di Luna – donne combattenti in Iran, Kurdistan, Afghanistan, 2016.
VARIAZIONI DI LUNA
donne combattenti in Iran, Kurdistan, Afghanistan
introduzione di Marisa Paolucci
Illustrazione di copertina di Nasrin Mohiti Asli
Progetto e implementazione eBook: Giovanni Caprioli
www.servizi-per-editoria.it – info@servizi-per-editoria.it
Edizione digitale: € 3,99
ISBN 9788894106954
CONTATTI
Luigi Lorusso editore
Via Enzo Benedetto 18
00173 Roma
info@lorussoeditore.it
www.lorussoeditore.it
Indice
Introduzione
Kobane (Rojava) - 5 Marzo 2015
Prima parte
Tirana – Settembre 2014
Camp Ashraf (Iraq) – Fine agosto 1998
Tirana – Settembre 2014
Camp Ashraf/Baghdad – Fine Gennaio 1999
Roma – Fine Marzo 1999
Tirana – Settembre 2014
Seconda parte
Kobane (Rojava) – 4 Marzo 2015
Camp Ashraf (Iraq) – Primavera 1995
Kobane (Rojava) – 5 Marzo 2015
Camp Ashraf (Iraq) – Primavera 1995
Kobane (Rojava) – 5 Marzo 2015
Camp Ashraf (Iraq) – Primavera 1995
Kobane (Rojava) – 6 Marzo 2015
Terza parte
Kabul - 9 Marzo 2013
Dakar – 11 Dicembre 1991
Kabul - 10 Marzo 2013
Dakar - 11 Dicembre 1991
Kabul - 11 Marzo 2013
Porto di Dakar - notte tra 11 e 12 Dicembre 1991
Roma - 31 Dicembre 2015
Appendice
Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Note finali e ringraziamenti
Non temo la morte; temo il silenzio di fronte all’ingiustizia. Sono giovane e desidero vivere. Ma dico a tutti coloro che vorrebbero uccidermi: sono pronta dove e quando vorrete colpirmi. Potrete recidere un fiore ma non potrete impedire alla primavera di arrivare.
Malalai Joya
Questo libro è dedicato a tutti i combattenti per la libertà.
È dedicato alla memoria di mio marito, Bijan che mai ha rinunciato a lottare per il bene del suo popolo.
Per questo nel 2003 venne ucciso. È dedicato alle donne di tutto il mondo che ogni giorno della propria vita lavorano per migliorare la sorte delle proprie sorelle.
Perché nel legame che unisce noi tutte sta la chiave per la sconfitta di quel sistema che ci vorrebbe sottomesse.
Ma soprattutto è dedicato alle donne resilienti iraniane, curde e afghane.
Tanto da loro ho imparato. Tanto ancora continuo a imparare.
Introduzione
di Marisa Paolucci
giornalista, collaboratrice del mensile Nigrizia
Kobane in Rojava, Camp Ashraf in Iraq, Kabul in Afghanistan, nell’immaginario occidentale tre luoghi di guerra e di dolore, nei ricordi della scrittrice tre simboli della resistenza delle donne. Donne forti, speciali, capaci di trasmettere coraggio anche solo con uno sguardo, serene nella convivenza con il rischio della morte perché più forte della paura è il desiderio di libertà.
I ricordi si intrecciano con le vite delle protagoniste del libro, legando le emozioni con l’orgoglio di aver fatto l’unica scelta possibile. Comprensibile per le donne nate e vissute in quei luoghi, ma quando una giovane donna italiana, destinata a una vita in un paese tranquillo
, sceglie di abbracciare con passione la causa della resistenza iraniana, la narrazione cambia prospettiva. Donne apparentemente lontane per cultura e tradizione diventano coprotagoniste del racconto, condividiamo le loro emozioni e la scrittrice non è più l’osservatrice di altri mondi, viaggiamo con lei che guarda con i nostri occhi e con le nostre emozioni un mondo che è molto più vicino a noi di quanto avremmo potuto immaginare.
In un diario della memoria, ci troviamo all’improvviso nella vita all’interno di un battaglione dell’Organizzazione dei mojahedin del popolo, con anfibi coperti di fango, i turni delle attività quotidiane e il corso di mitragliere di blindato trasporto truppe; lei è membro effettivo dell’Esercito di liberazione nazionale. Tutto avviene nel Campo Ashraf in Iraq, all’interno di Lashgar 14, il battaglione di sole donne. Il viaggio delle emozioni ha un percorso che spesso riusciamo a comprendere solo guardando indietro le impronte della memoria. L’autrice ricostruisce nel suo diario il mosaico di emozioni della sua vita che appartengono alla nostra storia. La storia non raccontata, il lato della luna che non vediamo.
La protagonista incontra l’Iran casualmente
a Roma, in via Nazionale; due studenti iraniani raccoglievano firme contro le violazioni dei diritti umani in Iran, decide di fermarsi e dopo un anno era già attivista. Sceglie di diventare parte di un movimento di resistenza per la libertà di un popolo. Una scelta che le cambia la vita per 13 anni, fino a quando deciderà di scegliere il senso della vita altrove. La direzione è presa, in prima linea o nelle retrovie nulla sarà più come prima. La scelta di difendere la libertà e i diritti umani attraverso la resistenza delle donne.
Il diario della memoria ci porta in Afghanistan, a Kabul, un paese dilaniato dalla corruzione e dalla violenza. Le donne attiviste rischiano la vita ogni giorno, come Selay Ghaffar portavoce del partito Solidarietà (Hambastagi), indipendente e laico, e Malalai Joya, ex parlamentare. Entrambe minacciate di morte e costrette a cambiare continuamente residenza per la loro sicurezza. Il silenzio sulle attività di opposizione al governo afghano lascia queste donne sole ad affrontare il peso della loro scelta, assumendone tutti i rischi. Nessuna garanzia di giustizia. Il silenzio internazionale sulla mancanza di rispetto dei diritti umani in Afghanistan rende l’impunità un incentivo per ogni tipo di abuso. La lotta è impari tra le donne che lottano per la loro autodeterminazione attraverso l’educazione, la formazione e la denuncia, e i criminali corrotti al governo. Eppure tanto più alto è il rischio di pericolo tanto più profonda è la forza di queste donne.
Il racconto avanza e il nostro cambio di prospettiva diventa inevitabile; la conferma la troviamo a Kobane nel marzo 2015. Una città libera ma distrutta, riconquistata metro per metro dalle truppe curde ai miliziani del Daesh. Kobane è diventata la città simbolo del confederalismo democratico del popolo curdo nel quale le donne sono protagoniste nella battaglia e nella gestione della cosa pubblica. Con questo clima la data dell’8 marzo assume un valore simbolico potente. La manifestazione organizzata dalle donne curde in una città distrutta dalla guerra diventa l’espressione di un intero popolo: Donna, Vita, Libertà, i pilastri del futuro. Nessun compromesso. Un’oasi di pericolosa modernità circondata da una medievale guerra di religione.
Solo attraverso questi incontri preziosi con le donne della resistenza del terzo millennio, scopriamo l’imbarazzante silenzio che soffoca la loro voce.
Solo uno sguardo che sa andare oltre i luoghi comuni e le apparenze poteva regalarci un viaggio così intenso.
«Com’è andata l’esperienza a Lashgar 14?»
«Istruttiva e indimenticabile».
La riconosciamo, è lei.
Ricucii anni fa quella voragine che mi cancellava l’anima. La ricucii con il filo dei miei ricordi, passando notte dopo notte a scrivere di getto senza neanche soffermarmi su lessico e struttura. Non importava, il senso delle mie frasi fluiva dal mio sangue alla pagina bianca del pc. Non avevo schermi, ripari, muraglie dietro cui difendermi. Solo un dolore inenarrabile e inarrestabile in cui affogavo da troppo tempo.
Scrissi con quella disciplina che non avevo mai avuto, che mi permise di compiere il lavoro da minatore in pochi mesi. Quando incisi l’ultimo punto sulla pagina, sentivo di essere libera. Una leggera cicatrice chiudeva i lembi di quella bocca mostruosa e insaziabile che avevo cercato di nutrire con tutto quanto l’esterno mi concedeva, senza mai placarla. La risposta annidata nelle pieghe più profonde. Questa fu l’opera che compii nella primavera del 2010, undici anni dopo la mia uscita dalla resistenza iraniana.
Mi ero strappata dalle viscere le radici forti di una quercia. Era stata dura, lo era sempre. Ma mai me ne sono pentita.
Kobane (Rojava) - 5 Marzo 2015
Sono ferma, ritta sul muretto che delimita il cimitero di Kobane. Il sole di marzo pungente, il calore penetra ma non offende. Vorrei non respirare perché mi sembra di fare troppo rumore. Accanto a me uomini e donne e tanti bambini in attesa. Parlano piano o affatto. I miei occhi volano sopra le teste dei tristi partecipanti che portano bandiere gialle e verdi con ricamato in rosso Ypg e Ypj, le forze di difesa del popolo e delle donne.[1]
Shavin, la giovane responsabile della commissione cultura del cantone di Kobane mi resta a fianco sussurrandomi di tanto in tanto alcune parole. Percepisco la mia testa annuire. Una parte del cervello registra le informazioni, ma io sono lontana.
La folla freme, i visi si girano cogliendo il medesimo movimento. Ecco sollevati sulle spalle dei combattenti scivolano i feretri dei cinque caduti nell’ultima battaglia avvenuta a circa 100 chilometri da Kobane, sul fronte orientale. «Quattro ragazzi e una ragazza». La voce mi arriva da un altro luogo… sono persa