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Non sono le ali a fare un angelo
Non sono le ali a fare un angelo
Non sono le ali a fare un angelo
Ebook255 pages4 hours

Non sono le ali a fare un angelo

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About this ebook

Un ragazzo come tanti altri si ritrova il cuore spezzato dal suo primo amore.

Tra disperazione e difficoltà non riesce a trovare la pace e le cose non migliorano per il protagonista quando, da a un giorno all'altro, si trova catapultato in realtà mai immaginabili nella solita vita di tutti i giorni.

Costretto a prendere drastiche scelte, condizionate da eventi inaspettati, il protagonista affronterà il suo destino.

Fino a dove si spingerà per la ragazza che gli spezzò il cuore?

Fino a dove vi spingereste voi?

Questa è la storia del ragazzo incapace di odiare.
LanguageItaliano
PublisherKalt Rassel
Release dateJun 20, 2016
ISBN9786050446678
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    Non sono le ali a fare un angelo - Kalt Rassel

    18

    Capitolo 1

    . Non da queste parti

    Urla strazianti riecheggiavano in quello sconfinato luogo. Anche il più coraggioso tra gli uomini avrebbe avuto il terrore di quel posto, eppure un giorno ci fu una persona a tentare l'impresa. Il protagonista di questa storia non è un personaggio leggendario le quali gesta ispirarono generazione dopo generazione. Era un ragazzo normale, nato in una normale città, vissuto normalmente con tutti gli alti e bassi di una normale vita.

    Ai suoi tempi, le persone percorrevano la loro esistenza nella più totale ignoranza di ciò che li circondava. Per la maggior parte degli uomini, il mondo si limitava solo a ciò che i loro sensi potevano percepire. Un modo un po' egoistico e limitato di vedere le cose.

    L'uomo aveva tracciato una linea ben marcata tra l'irrazionale e il razionale. Piccoli confini diventati ormai quasi impossibili da superare per comprendere cosa vi era aldilà. Concepiva, quindi, la sua vita terrena come la sua totale esistenza: iniziava nascendo e terminava con la morte. Chissà quale processo lo portò a nascondersi dal resto della creazione, limitandosi ad un pensiero esclusivamente materiale.

    Nonostante le innumerevoli religioni, la consapevolezza che la vita non terminava con la morte e soprattutto non iniziava con la nascita, svanì quasi del tutto. Ormai solo un numero esiguo di persone conservano ancora le antiche conoscenze ma, molte di queste, venivano considerate malate o pazze. Nel corso della storia, gli altri mondi celati ad una normale vita terrena divennero sempre più distanti ed astratti. Quei luoghi, con i loro abitanti, diedero vita a molteplici interpretazioni nella mente umana così facilmente restrittiva e selezionatrice. Forse fu questo il motivo a scatenare tanta rivalità tra le varie credenze. Ognuna voleva avere ragione e ciò implicava dare per false le altre.

    Per il nostro protagonista le cose non erano diverse dalla maggior parte delle persone. Come in molti, in cuor suo sentiva che la sua vita non era solo frutto di molecole ammassate nella giusta proporzione, ma come si poteva dare fiducia ad una così flebile sensazione?

    Questo ragazzo, senza doti o talenti particolari, un giorno fece una scelta per rispettare una piccola promessa fatta a cuor leggero. Andò, sapendo di non poter tornare indietro. Potete chiamare quel luogo con qualsiasi nome voi desideriate, non fa alcuna differenza. Non saranno le diverse interpretazioni dei vari culti a cambiare i fatti.

    Anche se i mezzi per lui erano limitati e la sua unica arma era la speranza, egli intraprese il viaggio. Non sarebbe stata una normale avventura, solcando oceani o scalando montagne. I suoi passi lo avrebbero condotto fuori del tempo e dello spazio, su sentieri praticamente inesplorati e quasi inconcepibili.

    Questa storia iniziò in un luogo lontano. In quel posto un essere parlava sottovoce.

    << Due…ancora due e ciò che bramiamo da troppo tempo diverrà finalmente realtà… >> sussurrava a se stesso con malignità mentre ammirava i suoi otto bracieri collezionati nell'eternità del tempo. Distanti un paio di metri l’uno dall’altro, avevano la forma di grosse coppe d’ottone con venature nere. Perfettamente sferici alla base, erano immobilizzati al suolo da enormi piedistalli che li alzavano da terra di almeno un metro e mezzo. Disposte impeccabilmente in linea retta, in due di questi non vi era niente. Non un solo pezzo di carbone o cenere lasciava far intendere che una volta anche questi, insieme agli altri otto fratelli, divoravano il loro misterioso combustibile. Doveva per forza essere qualcosa di estremamente raro e prezioso se conferiva loro tanta superbia, ma qualunque cosa fosse, mai si erano viste delle lingue di fuoco simili capaci di far provare dolore e sofferenza a chiunque avesse un minimo di bontà in sè. Talmente avide della loro essenza, non concedevano un solo raggio di luce per illuminare quel tetro luogo e tantomeno si poteva scorgere tra le dense fiamme ciò che le alimentava. Come si riuscisse a vedere in quel posto non fa parte della nostra comprensione abituata ai soffici raggi della nostra stella, poiché né il sole né una luce artificiale vi erano. Per la realtà dei fatti tutto doveva essere avvolto nelle tenebre più dense, eppure, tutto era perfettamente visibile. Allo stesso tempo però, il posto aveva un aspetto decisamente lugubre e spettrale.

    Il contemplatore delle fiamme non fu affatto magnanimo quando un suo adepto venne a portargli una notizia. Quell'informazione la bramava da non si sa quanti anni, ma quello stupido verme aveva fatto troppo rumore.

    << Mio signore! Mio signore! Mio signore! >> Si sentì riecheggiare << Io suo servo le porto una straordinaria notizia! >> Disse un essere coperto dalla testa ai piedi da una lunga tunica nera non appena giunse al suo cospetto. Lentamente si girò verso il suo sottomesso gettatosi ai piedi un secondo prima che i loro occhi si incrociassero. Imperdonabile sarebbe stato se una tale nullità avesse sostenuto anche per un solo istante lo sguardo di una così alta figura.

    << Dimmi schiavo! >> ordinò imponendosi su quell'essere strisciante alla sua presenza. Con il volto rivolto verso il suolo quasi da far toccare la stoffa del suo nero cappuccio al terreno e le braccia protese in avanti come in senso di supplica, annunciò

    << E' stata trovata! La nona è stata finalmente trovata! >>.

    Un lungo e sottilissimo sorriso si delineò sul volto del contemplatore. I denti fini ed aguzzi che si intravedevano tra quelle finissime labbra non sembravano essere stati concepiti per masticare. Parevano essere realizzati al solo scopo di incutere sofferenza a chi capitasse tra le sue mascelle.

    << Preparatevi per il viaggio! >> Urlò facendosi sentire in ogni angolo. La sua voce tuonava, riecheggiando ovunque ci fosse stato qualcuno capace di ascoltarlo << E pregate il maligno che non vi siate sbagliati! Se torneremo a mani vuote, sarete bolliti nella vostra stessa lurida poltiglia, finché di voi non rimarrà neanche il vostro schifoso odore! >> Braccio e dito tesi come una lancia erano rivolti verso una scala tortuosa scavata nella roccia.

    In quel luogo, in principio apparentemente vuoto, iniziarono a muoversi innumerevoli figure. Inizialmente sembravano ombre sfuggenti sulle pareti, ma bastò meno di un istante perché queste prendessero forma riempiendo ogni angolo. Nell'aspetto e per come erano abbigliate assomigliavano al nostro caro verme, ancora strisciante ai piedi del suo padrone. Anche lui doveva eseguire gli ordini e si stava accingendo a farlo, ma...

    << ...mio Signore, vado anch... >> Mentre questo si stava congedando, la sua testa esplose al suolo schiacciata dal piede del contemplatore. Non avrebbe dovuto permettersi di disturbarlo con quelle urla.

    In un altro posto lontano nel tempo e nello spazio, nel frattempo, una coppia di ragazzi si stava innamorando. Sarà proprio il protagonista a raccontarvi la sua storia.

    Capitolo 2

    . Un lento risveglio

    Non feci un caldo e piacevole riposo il giorno in cui la mia storia prese una piega inaspettata. E' questo il momento in cui voglio iniziare il mio racconto. Potrei partire da quella che reputo l'inizio della mia avventura, ma ho preferito fare un piccolo balzo in avanti. Non temete, vi racconterò tutto, per filo e per segno. Non mancherò neanche un piccolo particolare. Questa è la mia storia, ascoltatela e perdetevi con me nel tempo.

    Le tende della stanza dove giacevo non erano state tirate a dovere la sera precedente. La notte, un po' alla volta, lasciava spazio a un sole che pigramente iniziava ad alzarsi in cielo inondando con i suoi raggi tutta la camera. Stavo letteralmente congelando in quell'ambiente poco riscaldato ed umido. A peggiorare la situazione, il mio agitato sonno mi aveva privato delle coperte fino ai piedi. Sentire freddo è una delle cose che più detesto, specialmente nei primi minuti che precedono il risveglio. Un fastidio simile ad una leggera pressione ben localizzata mi tormentava il braccio destro. Lo stomaco, gorgogliante per i crampi della fame, sembrava non vedesse cibo da innumerevoli giorni passati nel digiuno più totale. Alcuni di questi erano talmente forti da essere udibili anche ad alcuni metri di distanza, riecheggiando nel silenzio di quella gelida mattinata. Nel frattempo il sole continuava ad alzarsi piano piano fino ad arrivare a toccare i miei occhi ancora immersi nel tormentato sonno.

    Infastidito dalla luce sempre più forte, mi voltai di riflesso dal lato opposto piegando le ginocchia al petto, assumendo una forma simile a quella di un uovo. Speravo inutilmente di riuscire a scaldarmi un poco così rannicchiato nel letto ma, i brividi che ormai correvano già per tutta la schiena non diminuivano. In quella posizione, ancora mezzo addormentato, iniziai a fare mente locale su dove mi trovassi e al modo in cui fossi arrivato in quel posto. Nonostante la grande confusione, mi era chiaro il fatto di non trovarmi a casa nella mia camera, anche se per un momento avevo avuto o meglio avevo desiderato questa illusione. Era fin troppo evidente che non mi trovassi lì e che mia madre a breve non sarebbe venuta a svegliarmi. Poco importava sapere di non trovarmi nel mio letto, poiché ciò non rispondeva alle mie domande e in quei primi momenti non riuscivo a venire a capo di dove fossi.

    Vani furono gli sforzi ed i ragionamenti di un pensiero intorpidito e rallentato, come da una pesante bevuta, intento a fare un po' di chiarezza. Riuscii a scaldarmi appena il necessario in quella posizione per smettere di tremare come una foglia al vento, ma a discapito del fastidio al braccio che era aumentato esponenzialmente dal momento il cui mi rannicchiai su un lato. Inizialmente cercai di sopportare senza prestarvi tanta attenzione, poiché ancora entravo e uscivo dal mondo dei sogni. Cercando di non aprire gli occhi per non destarmi completamente, come se qualcosa in me volesse impedirlo, con l'avanzare del tempo il mondo iniziava a girare più velocemente. Il silenzio iniziale si riempì di fioche voci lontane e confuse di cui però non riuscivo a riconoscere l’appartenenza o il significato, fino a che, in lontananza, percepii il rumore del traffico denso di motori rombanti e clacson poco gradevoli. Era ormai giunto il momento di alzarsi. Lentamente iniziai a schiudere le palpebre ma, anche se girato di spalle, la luce continuava a infastidirmi procurandomi non pochi fastidi. La pressione sentita nel dormiveglia si accentuava sempre di più trasformandosi in piccole fitte a seconda di come mi muovevo. La testa era pesante, la sentivo bruciare come se avessi la febbre molto alta e probabilmente non era solo una sensazione. Dalle sottilissime fessure che le palpebre potevano concedermi iniziai a studiare l'ambiente intorno a me. Il luogo dove mi trovavo appariva sfocato, senza elementi o colori risaltanti alla vista. Pensai di aver dormito e non aperto gli occhi per giorni e giorni quasi fino a dimenticare come fosse il mondo con tutti i suoi colori. D’altro canto, per quanto ne sapessi ,in quel momento, poteva benissimo essere andata così; ancora non mi era chiaro dove fossi e come ci fossi arrivato. Inavvertitamente sfiorai con la mano il punto dal quale si irradiava il fastidio all’arto, percependo qualcosa di ruvido e sporgente che ne usciva. Anche se il tocco fu molto lieve, procurò comunque una fitta talmente forte da farmi inspirare violentemente ed estendere tutto il corpo irrigidendolo come una legnosa mazza da scopa. A quel punto, da una piccola fessura per far penetrare poca luce alla volta, gli occhi si spalancarono di scatto come una molla. Nonostante ora fossero completamente aperti, non vedevo per nulla bene appena sveglio e senza occhiali. Con molta calma, mentre la vista arrancava per mettere a fuoco, il luogo iniziava a prendere forma e dettagli. Le pareti, in alcuni punti leggermente scrostate, erano di un bianco ormai ingiallito dal tempo con evidenti infiltrazioni d'acqua che ne deformavano la superficie. Se non per un piccolo armadietto e un tavolino vuoto di fronte al mio letto,la stanza era quasi completamente vuota. Il materasso dove avevo dormito era duro ed inumidito dal mio sudore e non vi nascondo il cattivo odore che emanava. Il busto e la testa leggermente sollevati, non favorivano le mie abitudini di riposo. Quella era, tra le tante per me, la posizione più scomoda per dormire. Per un attimo mi venne da pensare che se mi fossi ritrovato all’aperto su delle assi di legno, forse il risveglio di quel giorno non sarebbe stato così brutto. Dopo una lenta e faticosa accensione, il cervello iniziò a lavorare quasi correttamente, metabolizzando ciò che i miei sensi percepivano in quel momento. Anche se avevo visto solo una parte del tutto, quei pochi elementi rendevano ovvio dove mi trovassi e cosa procurava quel fastidio al braccio. Non gli gettai neanche un’occhiata per vedere se avevo combinato qualche pasticcio muovendomi troppo durante il sonno o toccandolo; gli aghi, piccoli o grandi, li ho sempre detestati! Fu una brutta esperienza uscire dal sonno e ritrovarmi catapultato in quel posto senza neanche sapere come ci fossi finito. In tutti i miei quasi venticinque anni avevo avuto pochissimi risvegli così lenti e traumatici. Poco a poco stralci di ricordi del giorno precedente riaffioravano nella mia dolorante testa, facendomi rendere conto di essere solo in un letto d’ospedale, lontano da casa e dalla mia città. Era la prima volta che mi trovavo in una situazione del genere e francamente non sapevo come comportarmi o cosa fare. Ad alimentare ancora di più il mio senso d’impotenza su come agire, era la condizione di non essere a conoscenza di come fossi arrivato lì. Molto probabilmente non ero cosciente quando mi portarono o forse la mia memoria stava solo concedendomi qualche momento di riposo dai brutti pensieri. Sfortunatamente la testa dolorante non era l'unico dei miei problemi; tutti i muscoli sembravano atrofizzati e privi di forza fino al punto da non riuscire a muovermi per nulla bene. Anche alzare semplicemente un braccio per massaggiarmi la fronte mi costava un’enorme fatica e pensare di mettermi in piedi era l'equivalente di scalare una montagna. Mentre giacevo impossibilitato di poter fare altro se non starmene a fissare il soffitto, una fortissima sensazione di turbamento ed angoscia iniziò a pervadermi ritornando a galla dal subconscio. Si era assopita solo nei primi minuti di quel tortuoso risveglio, ma era evidente che neanche nel sonno, notando come avevo combinato lenzuola e coperte, mi aveva lasciato in pace. Facevo riferimento al giorno precedente collocandovi i ricordi più recenti appena riacquistati, ma a dir la verità non sapevo né che ora fosse, né tantomeno per quanto tempo avessi dormito. Se fossi stato lì solamente da una notte o da una settimana intera, non potevo affatto saperlo in quel momento. Ad aggravare ancora di più la situazione, come se tutto ciò non fosse abbastanza, era il non aver dato più notizie ai miei genitori dopo quell’ultima telefonata appena sceso dal pullman. Immaginando di averli spaventati a morte, come se avessi potuto commettere qualche pazzia, mi sentii follemente dispiaciuto ed in ansia per loro. Conoscevano molto bene il mio stato d’animo prima di mettermi in viaggio senza alcun preavviso e come stavo vivendo nei giorni precedenti. Subito, con priorità assoluta su qualsiasi altra cosa, si rendeva necessario un ragguaglio per tranquillizzarli. Innanzi tutto, anche se non ero mai stato bravo a farlo,dovevo mentir loro spudoratamente dicendo che andava tutto bene e di non preoccuparsi minimamente per me. Tutte queste banali scuse si fondavano però sulla speranza che una sola notte fosse passata dal mio ultimo colloquio con loro. Pensai a frasi semplici e il più credibili possibile, come ad esempio di aver passato la notte in un piccolo ostello a basso costo nelle vicinanze del luogo dove ero diretto e, se mi avessero chiesto come mai non mi ero fatto più sentire, potevo benissimo giustificarmi dicendo che il cellulare aveva esaurito la batteria.

    << Già, il cellulare >> dissi a bassa voce. Chissà dove diavolo era. Feci mente locale su dove potessi averlo riposto, ma dubitavo che fossero state le mie mani a farlo. Di solito, per abitudine, a casa, prima di andare a dormire poggio telefono e occhiali su un comodino alla destra del mio letto. Fu così che, voltandomi come ogni giorno facevo a casa al risveglio, vidi quello che non mi sarei aspettato di vedere. Sobbalzai rimanendo fortemente di stucco dinanzi ad una presenza quasi inesistente, talmente era silenziosa ed assorta in chissà quali pensieri. Un uomo, seduto su uno sgabello di fianco al letto, mi fissava senza battere ciglio. Non mi ero accorto minimamente di lui fino a quel momento, nonostante fossi girato proprio da quel lato pochi minuti prima per riparare gli occhi dalla luce. Il suo nero e lungo abito non lasciava alcun dubbio sul suo ruolo nella società, però non conoscevo né lui né tantomeno il motivo per cui era lì con me. Fu un flash confuso di quel che speravo fosse il giorno precedente a farmi rammentare di aver già incontrato quella persona; tuttavia ignoravo ancora completamente il motivo per cui si trovasse di fianco al mio letto d’ospedale. Sedeva immobile, fissandomi silenziosamente con aria quieta e tranquilla come se non ricordasse i recenti avvenimenti che avevano fatto incrociare le nostre strade. I miei occhi, colmi d’inquietudine e sconforto lo squadravano attentamente per riuscire a percepire qualcosa, ma dal suo volto non trasparivano altre emozioni oltre a quelle già descritte. Aveva il viso povero di carne e leggermente pallido; pallore oltremodo accentuato dai nerissimi capelli e dalle folte sopracciglia. Gli occhi, piccoli e incavati in quel magro volto, erano separati da un lungo naso dove si notava una piccola gobba sulla metà, terminando poi a punta fino ad assottigliarsi per diventare simile ad un becco d’uccello. Teneva le mani incrociate sulle ginocchia e le dita, sottili e nodose, sembravano piccoli ramoscelli secchi pronti a spezzarsi al primo urto. Non rispecchiava l’immagine della salute, ma del resto non era certo lui a giacere in un letto d’ospedale, affamato, quasi incapace di ragionare e muoversi.

    << Che ci fai qui? Chi sei veramente? >> dissi rompendo bruscamente il silenzio. In condizioni normali non mi sarei mai rivolto così a uno sconosciuto e tantomeno ad un uomo di chiesa. Il suo colletto bianco era la cosa più risaltante alla vista in quel completo così scuro. Passarono alcuni secondi dalle mie violente domande, tempo in cui eravamo rimasti a fissarci e la tensione iniziava ad addensarsi quasi fino a diventare palpabile. Il mio silenzio non fu ricompensato, sicché non ricevetti alcuna risposta da quella figura concentrata in una sorta di valutazione nei miei confronti.

    << Allora? Hai intenzione di rispondere o intendi stare lì tutto il giorno a fissarmi in silenzio? >> Non m’importava di essere sgarbato o arrogante. Il nervosismo e la collera legati a eventi appena passati stavano riemergendo inesorabilmente ottenebrando le buone maniere e la razionalità. Ancora una volta non ebbi risposta ai miei quesiti, sembrava quasi che stessi rivolgendomi ad un manichino inanimato. A quel punto, senza preoccuparmi se altri ricoverati stavano riposando a pochi passi da me, gridai a pieni polmoni spalancando la bocca

    << COSA DIAVOLO VUOIIII? >>. Con quell’urlo feci sobbalzare un’infermiera appena passata davanti alla porta semi aperta della mia stanza. Proprio in quel momento stava invitando altri pazienti a non fare confusione per non creare disagi a chi ancora stava riposando.

    << Cosa diavolo ti urli? Con chi pensi di stare parlando! Con la tua cameriera personale? >> Mi sbraitò contro in maniera furente irrompendo nella stanza. Per lo stato d’animo in cui mi trovavo non feci quasi caso a quella donna che, dopo aver fatto una bella scenata agitando vorticosamente le braccia per poi sbatterle sul tavolo, uscì borbottando tirandosi con forza la porta dietro di se'. Impassibile rimase il prete anche all’irruzione della rumorosa infermiera. Come se avesse il paraocchi e le cuffie alle orecchie non ebbe la minima reazione a quel blitz improvviso. A pensarci bene, nessuno dei due diede importanza all’altro, ma di certo in quel momento non notai tali particolari. Quel grido violento ed esasperato, per il mio fisico già provato e debilitato, bastò ad affaticarmi ancora di più ed inevitabilmente il solo respirare diventò molto faticoso. Fa strano pensare che solo un paio di anni prima mi sentissi così forte da poter spianare le montagne ed attraversare gli oceani a nuoto se solo lo avessi voluto. Forse fu la pena nel vedermi così affaticato ed ansimante a smuovere il prete dal suo stato di silenziosa contemplazione. Mi diede un po' di conforto vederlo finalmente muovere il capo, ma le sue prime parole, flebili come un impercettibile sussurro, mi rigettarono nuovamente nell' inquietudine

    << Sono qui perché mi ha colpito cosa hai detto ieri in quella stanzetta… >> si bloccò per un attimo mentre si alzava dalla sedia mostrando tutta la sua altezza e allo stesso tempo la fragilità di un corpo troppo magro e deperito. Riprese subito

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