L'amore... come non lo conosci
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Book preview
L'amore... come non lo conosci - Dell'albani Ivana
Note
Prefazione
" E’ imbarazzante come certi stereotipi sociali portino alcune persone a sentirsi sbagliate, quando invece sono soltanto diverse.
Diverse come chi ha gli occhi azzurri e chi castani, chi ha i capelli biondi e chi non ha capelli.
Diverse, nel senso più logico di questa parola...."
Tre storie, tre situazioni diverse tra loro, un unico punto fermo: l’amore.
Perchè dovunque tu lo possa trovare, esso non cambia.
Amore è quello di una madre per i figli, per il suo uomo, per il suo lavoro, il proprio animale domestico. Amore è quello di un uomo per una donna o un uomo per un uomo, o ancora una donna per una donna. Quello per i genitori, gli amici, sè stessi.
Amore è sempre amore.
Non ci credi? Leggi questo libro e gioca
con i personaggi. Vivi le situazioni come fossero tue e trasformali in chiunque vuoi. Usa la tua immaginazione, dai. Poi mi dirai se l’amore non è sempre amore.
Buona lettura.
Capitolo 1
Seduto sul water, Eugenio, ripensava al discorso di Michele, la sera precedente a cena. Il suo coinquilino aveva manifestato la preoccupazione per il padre, costretto in ospedale perchè colpito da un ictus.
Nemmeno la focaccia con gli spinaci, uno dei piatti preferiti di Michele, preparata amorevolmente da Genny, era riuscita quella sera a far tornare un cenno di sorriso nelle labbra del ragazzo preoccupato.
Eugenio, o, come lo chiamava lui, Genny, era il suo compagno.
Si erano conosciuti due anni e mezzo prima ad una spaghettata da amici, ed avevano trascorso la serata a chiacchierare di interessi comuni, con la sensazione di conoscersi da sempre,
Per Genny non era mai stato un grosso problema manifestare la sua omosessualità. I suoi genitori, persone di un’intelligenza emotiva fuori dal comune, erano stati capaci di gestire la situazione ambigua in cui si erano trovati. Quell’atteggiamento stravagante del loro ragazzo, rispetto ai suoi coetanei, era evidente, come il fatto che fosse più sensibile ed emotivo ed era imbarazzante, a volte, vederlo impegnato in qualche hobby che gli ricordavano più quelli della loro figlia Sara, di un anno più grande, anzichè di uno scavezzacollo come solo un ragazzino sa essere. E spesse volte si erano ritrovati a calmare un litigio e delle urla generali quando sua mamma, dentro il freezer, insieme alle verdure surgelate, ci trovava le bambole più belle di Sara. Opera di Eugenio, convinto di aver trovato un posto sicuro dove poterle nascondere, in attesa di poterci giocare quando tutti erano distratti.
Dubbi del fatto che, a quell’età, molti ragazzini hanno ancora le idee confuse su tante cose, avevano cercato, con molto tatto e senza pressioni, di trattarlo come un maschietto.
Suo padre più volte lo aveva portato a pescare con lui, ma ad Eugenio bastava veder infilzato il verme nell’amo per mettersi a piangere, figuriamoci veder morire un pesce, e addirittura mangiarlo!
Per le pulizie di casa, invece, si offriva volontario, e anche aiutare la madre a cucinare lo rendeva felice, il suo compito era tirare la roba fuori dal freezer....
Ma questa era la sua natura e contrastarla avrebbe significato portarlo a vivere ogni giorno un conflitto tra ciò che realmente sentiva di essere e quello che doveva mostrare alla società, spesso troppo chiusa di fronte a certe differenze.
Era questo il problema con cui avevano dovuto scontrarsi, quando la sua diversità era stata ormai portata alla luce.
Era chiaro che il loro secondogenito non li avrebbe deliziati della gioia di una famiglia tradizionale, con una nuora e dei vivaci nipotini da viziare e coccolare, ed era prevedibile che un giorno si sarebbero dovuti trovare ad affrontare qualche imbarazzante incontro con un estraneo che avrebbe presentato come il suo ragazzo, ma Eugenio era il loro figlio, e aveva sempre ricevuto da loro un amore incondizionato.
Questo era Eugenio adesso: un giovane di ventiquattro anni, con una maturità e un’intelligenza superiore alla media, premuroso ed affettuoso. Frequentava il terzo anno della facoltà di psicologia e si era trasferito in un bilocale, a pochi chilometri dalla sua città, per raggiungere più agevolmente la facoltà e poter assistere alle lezioni. Per non gravare troppo sulle spese familiari era riuscito a trovare un lavoro serale in un ristorante, grazie all’aiuto di Anna, una simpatica ragazza madre, che viveva nello stesso palazzo, al piano di sotto.
Ed era stata quella l’occasione in cui, lui e Michele, avevano deciso di iniziare una convivenza che avrebbe permesso ad entrambi di trascorrere più tempo insieme, a Michele di sganciarsi dalla morsa delle pressioni e della pesante atmosfera familiare, ed infine di dividersi le spese che una scelta di vita in autonomia comporta.
Michele non era stato tanto fortunato quanto il suo compagno. La sua era una famiglia all’antica, proveniente da un paesino di provincia.
Egli era l’ultimo di tre fratelli ed era cresciuto con un’educazione rigida e meno confidenziale.
Suo padre, gran lavoratore, aveva fatto molti sacrifici per non far mancare niente alla sua famiglia ma, nello stesso tempo, aveva un temperamento freddo e pretendeva un genere di rispetto che nasce più dalla soggezione che dalla complicità affettuosa. Quel tipo di uomo tutto d’un pezzo che nulla sembrava potesse scuoterlo.
Il maggiore dei figli si era laureato in giurisprudenza, fidanzato con una sua coetanea da sei anni; la secondogenita era già sposata e mamma di un bambino; e poi c’era Michele, considerato da sempre la pecora nera di casa
, a causa della sua insicurezza e delle sue scelte di vita sbagliate
. Invece di continuare gli studi aveva trovato lavoro in una cooperativa sociale e si occupava di persone anziane e disagiate. Questo aveva deluso le aspettative di un padre che dà più importanza al pregio sociale che ai desideri di un figlio.
<< Vuoi trascorrere il resto della tua vita a lavare culi e a farti sputare latte in faccia? E’ questo che ti dà soddisfazioni!? Guarda tuo fratello, guarda quanto si è impegnato per diventare la persona degna di rispetto che è adesso... >>
Michele aveva ormai rinunciato a discutere, era impossibile spaccare quel muro di cemento che era suo padre, nessuno poteva convincerlo che ogni anima è diversa, e se suo fratello si sentiva soddisfatto nello sfogliare carte di cause e cercare strategie giudiziali, lui, nell’occuparsi di persone tristi e abbandonate, sentiva di ricevere il doppio dell’amore che donava, in una carezza o una frase di riconoscenza, o solamente nel cogliere un bagliore di luce di considerazione e dignità ritrovata, negli occhi di chi, per troppo tempo, è abituato alla solitudine e all’inadeguatezza.
Si nasce dipendenti, di una dipendenza incoscente che se ci lasciassero morire di fame, non avremmo nemmeno la facoltà di capire a chi spedire il nostro vaffanculo
, prima di esalare l’ultimo respiro.
Crescendo, ognuno di noi sperimenta la meravigliosa sensazione di essere il punto saldo di qualcuno, anche fosse solo del criceto. L’indipendenza, la solitudine cercata, più che un desiderio, diventano quasi un bisogno primario: mangiare, dormire, chiudersi nella propria camera con la radio