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La poetica di Samuel Beckett. Il fallimento dell'artista.
La poetica di Samuel Beckett. Il fallimento dell'artista.
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La poetica di Samuel Beckett. Il fallimento dell'artista.

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Che cosa significa essere un artista? Samuel Beckett, che vinse nel 1969 il Premio Nobel per la letteratura, diede la risposta attraverso la sua poetica. Fu scrittore, autore e regista. Si misurò con tutti i mezzi di comunicazione del suo tempo: la scrittura, il teatro, la radio, il cinema e la televisione. Se gli strumenti sono diversi, una concezione artistica precisa lega le sue opere tra loro. A questa, Beckett rimarrà fedele durante tutto il suo percorso creativo e la si potrà cogliere nelle sue stesse parole: Essere artista è fallire. Con questo breve saggio, si intende evidenziare gli aspetti principali di una poetica in cui l’autore tenta di esprimere la condizione umana del Novecento, in particolare durante e dopo gli anni della seconda guerra mondiale. Una condizione di desolazione, in cui la comprensione razionale del mondo si sgretola insieme alla capacità di esprimerne l’esperienza. Ma con questo lavoro si cerca, anche, di focalizzare un altro aspetto fondamentale della poetica beckettiana che coincide con una dimensione inaspettatamente genuina. Come l’autore tenta, con costanza, di non cedere alla tensione verso il silenzio perché non esiste un linguaggio capace di raccontare la condizione umana del ‘900, così i personaggi delle sue opere cercano il modo per andare avanti, per non cedere alla desolazione e all’abbandono della speranza. Ed è straordinario come ognuno lo faccia a suo modo, svelando un’umana tenerezza che oscilla dal ridicolo, alla disperazione fino all’autoillusione. Questo saggio è, dunque, rivolto sia a chi abbia l’intenzione di avvicinarsi a uno degli scrittori, più importanti della letteratura del Novecento, sia a chi ne abbia già conoscenza ma desideri ripercorrerne l’umanità poetica.
LanguageItaliano
Release dateMay 31, 2016
ISBN9786050446043
La poetica di Samuel Beckett. Il fallimento dell'artista.

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    La poetica di Samuel Beckett. Il fallimento dell'artista. - Margherita Melara

    Margherita Melara

    La poetica di Samuel Beckett. Il fallimento dell'artista.

    UUID: d4e20d96-22b8-11e6-9a85-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    Dedicato alla mia famiglia

    Introduzione

    La poetica del fallimento

    La letteratura beckettiana: dai personaggi ai suoni delle loro voci

    L’impossibilità di comunicare nel linguaggio teatrale

    Conclusioni

    Bibliografia

    Sitografia

    Filmografia

    Ringraziamenti

    Dedicato alla mia famiglia

    Introduzione

    […] è possibile che in Beckett, come in qualsiasi artista, ci sia la consapevolezza che non esiste comunità che non comprenda anche coloro che non ci sono più. Si scrive anche per loro (anzi forse più per loro che per altri).

    È una cosa che ha a che fare con la sensibilità di ciascuno di noi, in modo conscio. Ma a un livello più nascosto (a noi stessi), ha piuttosto a che fare con il linguaggio, che è un filo sottile, che nessuno però può spezzare, fra i vivi e i morti. Parliamo ancora la loro lingua (quale che sia, francese o inglese o italiano), se ne facciamo un uso artistico addirittura la lavoriamo, e diamo un po' a tutti loro la possibilità di rivivere.

    Gabriele Frasca

    L’obiettivo di questo lavoro è focalizzare l’attenzione sulla poetica beckettiana, in particolare dal punto di vista dell’esplorazione del linguaggio attuata dallo scrittore irlandese. Egli, infatti, si è confrontato con ogni mezzo di comunicazione di massa disponibile durante il periodo in cui visse: dalla scrittura con i romanzi e le poesie, al teatro con le rappresentazioni delle pièce, alla radio con i radiodrammi, al cinema, con la sua unica opera intitolata Film [1] (interpretata dalla stella del cinema muto, Buster Keaton) fino alla televisione con i videodrammi: medium che hanno determinato la forma economica e culturale delle società occidentali [2]. 

    All’interno del saggio, si è evidenziato come la sua poetica sia nata dalla consapevolezza dei limiti mostrati dalla tradizione narrativa, in ambito artistico e letterario, nel cogliere l’esperienza umana e raccontarla. In particolare, si tratta della sua incapacità di far entrare nell’arte quella dimensione percettiva, concreta e biologica propria della vita. Per tale motivo, Beckett mira a scarnificare il linguaggio classico: per valorizzare l’aspetto sonoro e ritmico delle parole e indebolire il ruolo primario delle concettualizzazioni linguistiche, spesso formali e distanti dalla comprensione del reale. Al tempo stesso, lo scrittore esprime la condizione dell’uomo occidentale fotografandone i processi mentali, pervasi da quegli stimoli sonori propri del cambiamento percettivo avvenuto, in seguito alla diffusione dei mezzi di comunicazione, durante la seconda guerra mondiale. Dunque, è il soggetto che percepisce [3] quotidianamente questi suoni a essere centrale nell’opera di Beckett. E con il suo lavoro, egli porta in superficie l’essenza del processo mentale dell’uomo nato dalla seconda guerra mondiale, offrendo a chi fruisce delle sue opere la possibilità di guardarsi e riconoscersi in esse. È questo lo spiraglio di luce annidato nei suoi testi, nonostante, a volte, si possano ritenere cupi e privi di speranza. 

    In particolare, nel primo capitolo, si è cercato di mostrare il processo creativo dell’autore in cui – come lui stesso ha dichiarato –– la tensione verso il silenzio (e dunque al non raccontare l’esperienza umana) avrebbe potuto prevalere su quell’obbligo di esprimere che appartiene all’artista del ‘900, una volta divenuto consapevole della mancanza di un linguaggio in grado di descrivere il reale. Ciò vuol dire che se l’arte ha il compito di raccontare le vicende umane, anche le più terribili come quelle accadute durante la seconda guerra mondiale, deve ricercare dei nuovi moduli narrativi. Tale percorso non è affatto semplice e implica, per sua natura, il fallimento nel tentativo di individuare un nuovo linguaggio. 

    Nel secondo capitolo, si è voluta indicare la presenza di tale ricerca nell’ambito della produzione letteraria di Beckett. In particolare, si è citata la trilogia Molloy, Malone muore e L’Innominabile [4], dove la poetica del fallimento prende forma attraverso la conformazione dei personaggi e delle loro storie. Con essa, lo scrittore ha avviato una graduale destrutturazione narrativa che va di pari passo con quella fisica dei protagonisti. Qui, si ravvisa quel lavoro di riduzione degli elementi della struttura narrativa lineare, insieme a un’ironica derisione del testo linguistico, per risaltarne i limiti espressivi. Ad esempio, in Molloy è il corpo del protagonista a identificare questo processo di riduzione, attraverso il venir meno delle sue funzioni vitali e della capacità di interpretare gli stimoli provenienti dal mondo esterno. Dunque il pensiero razionale non basta più per comprendere il mondo circostante, come la logica della parola che non può più mettere ordine a questo caos percettivo evidente anche in Malone muore, il secondo romanzo, in cui sembrano anticipati alcuni elementi che si ritroveranno nel teatro beckettiano: l’attesa e la consapevolezza dei personaggi di trovarsi all’interno di una storia. Qui le vicende narrate da Malone si sovrappongono a quelle raccontate da Beckett, quasi a identificare una dichiarazione dello scrittore irlandese nello scivolare da autore a personaggio e viceversa. Nell’ultimo romanzo della Trilogia, L’Innominabile, la poetica beckettiana sembra prendere quella direzione che definirà le opere successive: i suoni e i silenzi diventano preponderanti sugli elementi narrativi del romanzo tradizionale, conferendo al ritmo una rilevanza fondamentale. 

    Nell’ultimo capitolo, si è tentato di rintracciare la poetica beckettiana nell’ambito della produzione teatrale soffermando l’attenzione su tre pièce, forse le più significative: Aspettando Godot, Finale di partita e Giorni Felici [5]. Esse sono accomunate dal sembrare prive di significato ma, a dire il vero, in queste sono presenti delle norme precise al fine di rendere evidente l’incapacità di comunicare tra i personaggi e l’assenza di senso tra pensiero e azione. Riguardo alla prima pièce, se è vero che a essere centrale è il tema dell’attesa, è vero anche che il lavoro ritmico apportato da Beckett sul testo è preponderante rispetto al riconoscimento di eventuali interpretazioni simboliche. La sua attenzione per un genere teatrale basso, appartenente alle comiche del varietà, evidenzia notevolmente il rifiuto dello scrittore verso le concettualizzazioni significanti e la riscoperta dell’azione fisica, della sua concretezza biologica lontana da definizioni linguistiche e di forma. È dunque il ritmo a sottendere quest’opera, ed è da questo che bisogna partire per poterne apprezzare l’intento comunicativo. Con l’analisi relativa al secondo testo teatrale, Finale di partita, non si è cercato di comprendere quali possibili messaggi vi fossero al suo interno ma, piuttosto, si è voluta rilevare proprio la mancanza di senso che si respira dentro la pièce e l’intento dell’autore di svelarne la struttura narrativa, quasi a voler rendere partecipe lo spettatore del processo di costruzione dell’opera. Ma è nell’ultima opera teatrale, Giorni Felici, che Beckett sperimenta l’essenza comunicativa del mezzo. Difatti, in essa risuona la potenza comunicativa delle immagini in contrapposizione con le parole pronunciate dalla protagonista nel suo monologo. 

    Colpisce come la poetica di Beckett, fondata sul fallimento, vada di pari passo con i suoi personaggi e con le loro vite. Questi conoscendo la loro condizione di inconsistenza fisica e mentale, che li

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