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Napoleone muore
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Napoleone muore

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About this ebook

Sull’isola di Sant'Elena avvennero cose di estrema gravità, mentre qualcuno a Londra tesseva le trame. Il governatore inglese Lowe, l’uomo più detestato dai prigionieri francesi, una volta sepolto Napoleone, tornò in patria convinto che fosse ormai giunta anche per lui l’ora degli onori. Chiese subito udienza al sovrano Carlo IV: negata con disprezzo. Allora si rivolse al maestro di tutta la vicenda, ministro degli Esteri Castlereagh: negata. Lowe non poteva neppure rifugiarsi nei pub, perché ovunque c’era un ritratto di Boné, come familiarmente veniva chiamato il figlio del popolo diventato Imperatore. Sentendosi odiato nel suo stesso Paese, il “carceriere” decise di parlare chiaro e scrisse un libro per spiegare "tutta" la verità.
Il suo "capolavoro" non lo comprò nessuno e i suoi libri andarono al macero.
Qualcosa però, ovviamente, si salvò e se ne ricordò Mussolini, che a tutti i costi volle pubblicare anche in Italia il libro di Lowe, che avrebbe potuto dimostrare al mondo intero la perfidia inglese.
Proprio questo libro, che abbiamo avuto la fortuna di rintracciare, racconta cose di gravità estrema sulla morte prematura di Napoleone e sul ruolo che in essa ha avuto il ministro degli esteri inglese Castlereagh.
Curioso a volte il destino: il ministro sopravvisse soltanto un anno e mezzo all’Imperatore, suicidandosi in modo orrendo. Ma non fu sepolto all’angolo di una strada con un palo nel cuore, come prescriveva la legge per i suicidi, bensì nella cattedrale di Westminster.
LanguageItaliano
Release dateJun 15, 2016
ISBN9788899415112
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    Napoleone muore - Gianpietro Grecchi

    COLOPHON

    Tutti i diritti riservati

    Copyright ©2016 Gammarò edizioni

    http://www.gammaro.eu

    ISBN 9788899415112

    Titolo originale dell’opera:

    Napoleone muore

    di Gianpietro Grecchi

    Collana * Mnemosine / Letteratura e storia *

    diretta da

    Vincenzo Gueglio

    Prima edizione giugno 2016

    Indice generale

    1815

    L'inganno inglese

    1816

    Bertrandt

    1817

    Gourgaud

    Sturmer, l'altra faccia della medaglia

    1817 – Scrive De Montholon

    Conclude Bertrand

    1818

    Un anno da ricordare

    Racconta Marchand

    È la volta di Sturmer

    I quaderni di Bertrand

    1819

    L'inizio del declino

    La versione di Bertrand

    1820

    L'ultimo anno intero

    Le sofferenze s'aggravano

    Il ricordo di Antommarchi

    1821

    Una morte sospetta

    Il mortal sospiro

    I destini dei carcerieri

    La morte scandalosa di Castlereagh

    Bibliografia

    1815

    L'inganno inglese

    II 28 di marzo 1818, quando ormai da 2 anni e 5 mesi era detenuto a Sant'Elena, Napoléon I faceva queste amare considerazioni riportate nel Journal del gennaio-maggio 1821 scritto dal Maresciallo di palazzo¹ Bertrand:

    Al ritorno dall'isola d'Elba ho commesso un mucchio d'errori: il primo è stato quello di convocare il Corpo legislativo, il secondo quello di nominare Fouché ministro, il terzo quello di non fargli tagliare la testa. Ne commisi un quarto quando decisi di nominare ministro anche Carnot, mentre avrei dovuto lasciargli la funzione di presidente della Camera. Avrei anche dovuto fare votare il ritorno dell'Impero e non preoccuparmi di proporre una costituzione. Per esempio avrei potuto convocare un'assemblea a Tours, sarebbero state sufficienti non più di 60 persone che avrebbero fatto soltanto del chiacchiericcio, mentre io intanto avrei guadagnato tempo prezioso. Era evidente che il Corpo legislativo non avrebbe fatto i miei interessi e mi sarebbe stato contrario in tutto. La Francia desiderava avere la gloria piuttosto che la libertà. Cosa sarebbe importato ai francesi la chiacchiera inutile di qualche esibizionista? Per quanto riguardava Fouché ministro con il senno di poi devo dire che nessun principe dovrebbe mai nominare un disgraziato ad un'alta carica ma dovrebbe esiliarlo ben lontano da Parigi. È però vero che io non sapevo bene cosa fosse accaduto mentre mi trovavo sull'isola d'Elba. D'altra parte Lavallette (suo ex-segretario privato) e Maret (conte dal 3 maggio 1809 poi dal 15 agosto dello stesso anno duca di Bassano e dal 1811 al 1814 ministro degli Esteri) mi avevano assicurato che durante la mia assenza Fouché s'era comportato bene. Io invece avrei dovuto farlo fucilare o almeno allontanarlo, visto che l'avevo colto sul fatto mentre negoziava il mio tradimento. Senza di lui le Camere non avrebbero agito, come avvenne, contro di me e sempre lui fu quello che fece cercare Lafayette (il famoso conte che combatté insieme al futuro primo presidente americano George Washington per liberare gli Stati Uniti dalla tenaglia inglese, N.d.a.) che incoraggiò tutto e sostenne tutto. Cosa si sarebbe potuto attendere dal Corpo legislativo o da Lafayette? Dalla prima riunione i deputati non vollero più prestare alcun giuramento, quindi dopo Waterloo non mi potevo più attendere alcun sostegno.

    Poiché quel giorno l'Imperatore aveva voglia di sfogarsi aggiunse anche altre considerazioni:

    Il più grosso errore che ho fatto è stato quello di sposare Maria-Luisa e non una donna russa. Per prima cosa non avrei certamente fatto la campagna di Russia, poi aggiungo che la Francia ha accolto a mal partito l'austriaca, mentre avrebbe visto con piacere la sorella dello Zar visto che avevamo gli stessi interessi. Se la Russia avesse conquistato Costantinopoli anche noi avremmo avuto una parte del bottino.

    Il collasso dell'impero francese era iniziato da quando l'Imperatore, tornato da Waterloo dopo la sconfitta il 21 giugno alle 6 del mattino, raggiunse l'Eliseo consapevole d'essere attorniato da nemici più insidiosi delle truppe inglesi e prussiane che stavano marciando verso la capitale, che però non avrebbero potuto raggiungere prima di una settimana. Il problema dell'Imperatore era il fatto che al ritorno dall'Elba, per mostrare di essere diventato meno assolutista del passato, aveva dato vita a due Camere, ovvero i deputati e i pari, che ora temevano di essere rimandati a casa loro con il pretesto dell'emergenza. Fu il presidente dei deputati Lafayette che fece votare questa decisione cautelativa:

    Sarà proclamato traditore della patria chiunque si renderà colpevole di un tentativo di abolizione delle Camere.

    Una volta rassicurati nei confronti di Napoléon I i deputati cercarono di evitare sorprese, anche nei confronti dei fanatici bonapartisti, per cui stabilirono che il tenente generale conte Becker, lui pure membro della Camera dei rappresentanti ed ex-bonapartista, avrebbe comandato la Guardia incaricata di sorvegliare sulla sicurezza dell'intero corpo legislativo. Intanto l'Imperatore, in una situazione tanto caotica, aveva deciso di convocare ministri e grandi dignitari di Stato per valutare la reazione popolare e delle Camere alla notizia del disastro di Waterloo. L'intenzione di Napoléon era quella di presentarsi in parlamento per spiegare di persona come erano andate le cose, ma condivisero l'utilità di questa mossa soltanto l'arcicancelliere Cambacérès, ministro della Giustizia, il generale Carnot, ministro dell'Interno e il duca di Bassano, ovvero Hugués-Bernard Maret, segretario di Stato. Furono i fratelli dell'Imperatore, Joseph alla Camera dei Pari e Lucien in quella dei deputati, che andarono a spiegare le ragioni di Napoléon, ma ormai a tirare le fila erano Fouché e Talleyrand per cui gli uomini che sostenevano Napoléon furono subito sconfitti nella votazione che seguì. Un'ora dopo l'Imperatore deponeva la sua corona. Questo il suo atto d'abdicazione:

    Francesi, cominciando la guerra per sostenere l'indipendenza nazionale contavo sulla riunione di tutti gli sforzi, di tutte le volontà e il concorso di tutte le autorità nazionali. Avevo fondati motivi di sperare nel successo e così avrei sfidato tutte le dichiarazioni che i nostri nemici facevano contro di me. Le circostanze sembrano mutate; io mi offro in sacrificio all'odio dei nemici della Francia. Possano essere sincere le loro dichiarazioni e non vogliano altro che la mia persona! La mia vita politica è conclusa e io proclamo mio figlio Napoléon II Imperatore dei francesi. I ministri attuali formeranno provvisoriamente il consiglio del governo. L'interesse che provo per mio figlio mi impegna a invitare le Camere a organizzare immediatamente una reggenza per lui. Unitevi tutti per la salute pubblica e per restare una nazione indipendente.

    Eliseo, 22 giugno 1815

    Entrambe le Camere accettarono l'abdicazione e mandarono una deputazione per ringraziare l'Imperatore (Napoléon aveva ricevuto l'investitura profana dagli uomini ma poi anche quella divina e incancellabile di papa Pio VII, quindi Imperatore era e Imperatore restava anche in mancanza di un impero N.d.a.) del sacrificio ma, dietro a tante formalità, si annidava un grosso problema: il destino di Napoléon II. Il padre voleva che fosse subito messo sul trono appena giunto all'età prevista dalla legge mentre i realisti, gli orleanisti e i repubblicani, che abbondavano in entrambe le Camere, non volevano sentire parlare di successione. Alla fine sembrò che l'avessero spuntata i bonapartisti ma in realtà, sotto questa improvvisa condiscendenza, c'era una volta ancora la perfida mano di Fouché che collaborava con gli austriaci. Di fatto il figlio di Napoléon I si trovava già con la madre a Vienna prigioniero del nonno Imperatore e di Metternich che certamente non avrebbero mai messo sul trono di Francia il figlio di Napoleone che peraltro morì, dopo una breve e misteriosa malattia, quando aveva appena vent'anni. Il 25 maggio del 1815, amareggiato dalle sconfitte e dal mondo intero, Napoléon abbandonò per sempre l'Eliseo e si trasferì nella sua abitazione della Malmaison vicina a Parigi nel paese di Rueil. Qui lo attendeva Hortense figlia di primo letto di Josèphine. Lo seguirono, tra gli altri, il valletto di camera Marchand (figura centrale che diverrà poi conte N.d.a.) i giovani generali Gourgaud e Montholon e l'anziano (per i criteri dell'epoca) conte Las Cases, un intellettuale che rimase a Sant'Elena poco più di un anno poiché fu cacciato nel novembre del 1816 dal governatore inglese Hudson Lowe, e che poi scrisse il famoso Memoriale di Sant'Elena prima testimonianza giunta in Europa su, come giorno per giorno, il governatore dell'isola stesse uccidendo l'Imperatore.

    Fouché volle assicurarsi che l'illustre prigioniero non fuggisse per cui gli mise alle costole il generale ex bonapartista Becker che andò alla Malmaison, si presentò intimorito e disse a Napoléon: Sire, devo eseguire un ordine che mi incarica, in nome del governo provvisorio, di comandare la guardia che deve vegliare sulla sicurezza della vostra persona. Spero che vostra Maestà vorrà ben credere alla fedeltà con cui io adempirò al mio mandato.

    Napoléon un po' piccato rispose: Sì, ma io avrei dovuto essere avvertito ufficialmente di un atto che io interpreto come una faccenda formale e non come una misura di sorveglianza alla quale non mi assoggetterei.

    Sire – replicò il Generale – il mio unico scopo è quello di vegliare sulla vostra sicurezza e proteggere vostra Maestà per questo ho accettato questo incarico. Poi gli scesero lacrime che non riuscì a nascondere. L'Imperatore allora sorrise e gli disse: Da tempo conosco la vostra lealtà e per questo compito anch'io avrei scelto voi. Poi i due si misero a passeggiare per il parco e il Generale informò Napoléon su cosa stava accadendo a Parigi e soprattutto gli disse dov'erano gli eserciti nemici.

    L'Imperatore ebbe così la notizia che entro pochi giorni il nemico si sarebbe accampato alle porte della capitale. Il 26 giugno Napoléon ricevette le ultime visite: quelle di Maria Walewska e dei generali Piré e Chartrand. Il piano dell'Imperatore era quello di emigrare negli Stati Uniti ma, per superare lo sbarramento navale inglese, servivano almeno due fregate. In quell'epoca così si definivano scafi militari più leggeri e veloci delle imponenti navi a più ponti armatissime, ma lente. Il generale Becker riferì la richiesta a Fouché che subito si dette da fare. Questo il documento deciso e immediatamente reso esecutivo dal governo provvisorio:

    La commissione governativa ha stabilito quanto segue:

    articolo 1: il ministro della Marina ordina che due fregate ormeggiate nel porto di Rochefort siano armate per trasportare Napoléon Bonaparte negli Stati Uniti.

    articolo 2: sarà fornita, fino al momento dell'imbarco se Napoléon la desidera, una scorta sufficiente agli ordini del generale Becker che è stato incaricato di sopraintendere alla sua sicurezza.

    articolo 3: il direttore generale delle Poste da parte sua darà tutte le indicazioni necessarie relative ai luoghi di sosta.

    articolo 4: il ministro della Marina darà gli ordini necessari per assicurare il ritorno immediato delle fregate dopo lo sbarco di Napoléon.

    articolo 5: le fregate non lasceranno la rada di Rochefort prima che i salvacondotti richiesti saranno arrivati.

    articolo 6: i ministri della Marina, della Guerra e delle Finanze sono incaricati, per quanto di loro competenza, di mettere in esecuzione la sopracitata decisione.

    Firmato:

    il duca d'Otranto (Fouché), il duca di Vicenza (Caulaincourt), il conte Grenier, il conte Carnot, il barone Quinette.

    Per spedizione conforme il segretario aggiunto al ministro segretario di Stato Berlier.

    Nel pomeriggio del 27 giugno la generosità di Fouché arrivò a concedere all'Imperatore anche di prelevare per il suo esilio i seguenti oggetti:

    un servizio di argenteria per 12 coperti;

    6 servizi di 12 coperte di biancheria damascata;

    6 servizi di biancheria d'ufficio;

    12 paia di drappi di prima scelta;

    6 dozzine di salviette da casa;

    2 vetture da viaggio;

    3 selle;

    400 volumi da prendere nella biblioteca di Rambouillet;

    diverse carte geografiche;

    100 mila franchi per le spese generali di viaggio;

    Nella stessa sera del 27 il governo provvisorio decretò che il generale Becker partisse immediatamente per Rochefort accompagnato da un segretario e da un domestico: il segretario era l'Imperatore travestito. Questa l'ordinanza.

    La commissione governativa ordina a tutti gli ufficiali civili e militari di lasciare passare liberamente il conte Becker deputato alla Camera dei rappresentanti che sta raggiungendo Rochefort accompagnato da un segretario e da un domestico. Si ordina anche di non causare alcun ritardo alla missione del Generale ma anzi, se occorre, di prestare aiuto e assistenza.

    Napoléon però quella notte continuò a dormire tranquillo alla Malmaison e soltanto la mattina dopo fece chiamare il Generale Becker per comunicargli che non si sarebbe mosso senza prima avere un salvacondotto che riteneva indispensabile per la sua sicurezza.

    Il Generale si sedette alla scrivania e lo stesso Napoléon gli dettò il messaggio da inviare al ministro della Guerra:

    Mio signore, dopo avere comunicato all'Imperatore la decisione del Governo relativa alla sua partenza per Rochefort, Sua Maestà mi ha incaricato di annunciarvi che rinuncerà a questo viaggio se le comunicazioni non saranno libere e non avrà garanzie sicure per la salvaguardia della sua persona. D'altra parte, una volta spedito a questa destinazione, l'Imperatore si considererà come un prigioniero poiché la sua partenza per l'isola di Aix sarà subordinata all'arrivo dei passaporti per raggiungere l'America che gli saranno senza alcun dubbio ricusati. In conseguenza di questa interpretazione l'Imperatore era deciso ad attendere i documenti attesi alla Malmaison in attesa che il duca di Wellington decidesse sulla sua sorte, persuaso che non avrebbe fatto nulla contro di lui che non fosse degno della sua nazione e del suo governo.

    Il luogotenente Generale conte Becker.

    Nel corso della stessa giornata al Generale giunse la risposta governativa:

    La commissione vi invia una copia delle nuove istruzioni date al ministro della Marina. Per quel che vi riguarda voi dovete conformarvi interamente a queste nuove disposizioni e alle precedenti istruzioni ricevute dal ministro della Guerra relativamente alla sicurezza e alla partenza di Napoléon.

    Firmato: Fouché, conte Grenier,

    Quinette, Caulaincourt e Carnot.

    In questo ordine c'erano anche istruzioni verbali molto pressanti poiché un soggiorno più lungo dell'Imperatore nelle vicinanze della capitale potevano metterlo a rischio di cattura da parte dei prussiani che stavano per arrivare a prendere possesso della capitale. Napoléon, che soffriva all'idea di vedere Parigi invasa dai nemici, fece un'ultima proposta: avrebbe ripreso lui il controllo dell'armata ma, una volta evitato il sacco della capitale, avrebbe accettato di andare in esilio. L'avance irritò Fouché però: se non ci fossero state le solite rivalità per non dire odi, una volta di più aveva ragione l'Imperatore perché quest'ultima mossa avrebbe evitato la spogliazione della città. Fouché e i suoi complici purtroppo non tenevano in alcun conto il fatto che Parigi era stata messa dall'Imperatore in condizione di difendersi, con cannoni situati nella parte alta, per cui nessun esercito avrebbe osato attaccare una zona così ampia protetta dall'artiglieria e da un intrico di viuzze che avrebbero rese facili e letali le imboscate per decimare e cacciare gli invasori. L'Imperatore, quando fu informato dell'ennesimo rifiuto del governo provvisorio, non tradì la minima emozione e ordinò di preparare subito le carrozze perché sarebbe iniziato al più presto il viaggio verso Rochefort. Il 29 giugno alle 17, dopo avere salutato con un bacio la figlia Hortense, Napoléon, con un'espressione nonostante tutto serena, si avviò verso il suo destino. Non indossava la sua abituale uniforme dei cacciatori della guardia ma un abito marrone e un cappello a larghe tese. Sulla strada per Rambouillet l'attendeva un calesse tirato da cavalli di posta preceduto da un corriere. Lo accompagnavano il generale Becker, il gran maresciallo Bertrand, il duca di Rovigo Savary e il generale Gourgaud. Il generale de Montholon avrebbe a sua volta dovuto raggiungere Rochefort con un gruppo di vetture ornate dalla corona imperiale per illudere le popolazioni delle zone attraversate che l'Imperatore fosse ancora sul trono. Il 2 di luglio, quando arrivò nella cittadina di Niort, Napoléon fu informato che dal 29 giugno una squadra navale inglese vigilava la rada di Rochefort rendendo rischioso qualsiasi tentativo di fuga per mare. L'altra notizia era che due fregate francesi, la Saale e la Méduse, erano ai suoi comandi in rada e stavano aspettando le sue decisioni.

    L'impazienza del mondo politico parigino ormai sconfinava nel panico e il generale Becker ricevette quest'ultimo ordine:

    Signor Generale, la commissione governativa vi ha dato istruzioni per fare partire dalla Francia Napoléon Bonaparte. Non dubitiamo del vostro zelo per assicurare il successo della vostra missione ma, nell'intenzione di facilitare il vostro compito, abbiamo ordinato ai generali di stanza a La Rochelle e a Rochefort di aiutarvi nell'esecuzione delle disposizioni del governo.

    Firmato: Baron Marchand.

    Nonostante tutte queste pressioni, Napoléon rimase 5 giorni a Rochefort e poi, alle 16 dell'8 luglio, si decise a imbarcarsi sulla Saale, sul ponte della quale mise piedea lle 19,05. Il giorno prima gli alleati avevano preso possesso della capitale e Luigi XVIII era tornato sul trono. La nave da guerra inglese Bellerophon, agli ordini del capitano Maitland, armata con 74 cannoni ma ormai ridotta a un relitto dopo avere combattuto ad Aboukir l'1 agosto 1798 (durante la spedizione egiziana di Napoleone, N.d.a.) e a Trafalgar, seguiva tutte le manovre delle fregate Medusa e Saale, entrambe armate di 60 cannoni. C'era, dunque, una tale superiorità strategica francese che, in caso di scontro, sicuramente il vecchio ciarpame inglese sarebbe stato affondato con poca fatica, aprendo cosi alle due fregate la possibilità di raggiungere il mare aperto e, volendo, di attraversare l'oceano. Forse al largo incrociavano altre navi da battaglia inglesi ma, una volta scesa la notte, le possibilità di evitare la tenaglia nemica erano molte. Comunque, la versione abitualmente tramandata, anche se poco credibile, è che ci fu un attimo di paura da parte dei francesi quando il Bellérophon improvvisamente sparò per aria con tutti i suoi cannoni. Poi si seppe che si trattava soltanto di un segnale di gioia perché gli inglesi erano entrati a Parigi. Incerto su tutto, Napoléon decise a questo punto di sbarcare sulla vicina isola di Aix. Si presume che in quelle ore sia accaduto qualcosa che convinse l'Imperatore ad abbandonare il sogno americano, ma questi particolari non sono mai stati rivelati. Quella notte l'Imperatore non riuscì a prendere sonno. Aveva per molti anni combattuto gli inglesi ma aveva sempre ammirato la loro organizzazione sociale e la loro presunta correttezza, per cui alle 4 del mattino convocò il Generale Lallemand e il conte di Las Cases perché andassero a bordo del Bellérophon per sondare la possibilità di chiedere un'eventuale ospitalità all'Inghilterra. Il capitano Maitland dette risposte nette e positive: non aveva ancora avuto disposizioni, che pure attendeva entro poche ore, ma dava per scontato di potere ricevere a bordo l'Imperatore e portarlo in Inghilterra dove, senza dubbio, (è testuale, N.d.a.):

    Sua Maestà avrebbe trovato tutti i riguardi che Napoléon poteva attendersi.

    Vero è che l'onesto comandante Maitland sembra abbia aggiunto: Vorrei comunque fosse chiaro che queste sono mie opinioni personali e non ho certo parlato a nome del mio governo, poiché non ho ancora ricevuto istruzioni né dall'ammiragliato né dal mio ammiraglio.

    Nella stessa mattina però l'ondivago Napoléon stava considerando un'altra soluzione proposta da pescatori della zona, pronti a sacrificarsi pur di fare fuggire l'Imperatore verso gli Stati Uniti. Fu quindi radunato una sorta di consiglio di guerra per prendere una decisione: Maret e il conte di Las Cases erano per l'imbarco sul Bellérophon, preceduti da un aiutante di campo che avrebbe portato una lettera autografa dell'Imperatore al principe reggente, poiché il sovrano Giorgio III era in quel frangente impedito a reggere il trono da una delle sue frequenti crisi di porfiria, grave malattia ereditaria che periodicamente lo mandava letteralmente fuori di testa. I generali de Montholon e Gourgaud erano invece favorevoli alla fuga per mare perché non nutrivano alcuna fiducia nella correttezza inglese. Alla peggio, sostenevano, se le cose fossero andate storte si sarebbe sempre potuta giocare, come seconda carta, la resa agli inglesi. Napoléon, come è noto, scelse la prima ipotesi e scrisse la famosa e ingenua quanto inutile lettera al principe reggente:

    Altezza reale, preso a mezzo fra le fazioni che dividono il mio Paese e l'inimicizia delle più grandi potenze europee ho concluso la mia carriera politica e vengo come Temistocle a rifugiarmi presso il focolare britannico, mettendomi sotto la protezione delle sue leggi, che reclamo da Vostra Maestà come quelle del più potente, il più costante e il più generoso dei miei nemici.

    Questa lettera fu affidata al generale Gourgaud che fu poi imbarcato su un brick inglese che avrebbe fatto rotta verso casa. Però, una volta raggiunta l'Inghilterra, il generale, considerato un nemico, non poté sbarcare per consegnare di persona la preziosa missiva, che fu comunque recapitata al principe reggente, e dovette aspettare in rada che apparisse il Bellerophon per reimbarcarsi. Già questo fatto la diceva lunga su ciò che sarebbe accaduto in seguito.

    Però quella che ai nostri giorni può sembrare un'incredibile ingenuità di Napoléon aveva un precedente che la giustificava. Un anno prima, quando l'Imperatore, sconfitto dai tradimenti interni più che dai russi e dai prussiani, fu confinato all'Elba con in dotazione una farsa di reame, il ministro degli Esteri inglese Castlereagh, attraverso il duca di Vicenza Caulaincourt, aveva fatto giungere all'Imperatore questa lettera che, con il senno di poi, può essere definita senza alcun dubbio spregevole quanto lo fu il suo compilatore:

    Perché Napoléon invece di andare sull'isola d'Elba non viene da noi in Inghilterra? A Londra sarebbe ricevuto con la più grande considerazione e godrebbe di un trattamento infinitamente preferibile al suo esilio su una roccia del Mediterraneo. Però, non dovrebbe fare dell'arrivo in Inghilterra una questione da negoziare poiché si perderebbe troppo tempo e nascerebbero delle difficoltà. Si abbandoni a noi senza condizioni, ci dia questa eclatante testimonianza della sua stima per un nemico contro cui ha valorosamente lottato per dieci anni. Sarà ricevuto in Inghilterra con il più profondo rispetto e capirà che è più conveniente fidarsi dell'onore inglese che di un trattato stipulato in circostanze come le attuali.

    Sfortunatamente l'Imperatore aveva probabilmente ancora nelle orecchie la falsa melodia di queste parole e non s'accorse del malcelato veleno. Il fatto curioso è che Napoléon avesse la stessa età dei suoi nemici più acerrimi: infatti, anche Wellington e Castlereagh erano nati nel fatidico 1769.

    Il 15 luglio l'Imperatore, nella speranza di sfuggire ai suoi troppi nemici, decise alla fine di costituirsi agli inglesi e si imbarcò sul Bellérophon. Appena messo piede sulla nave salutò il comandante con queste parole: Capitano Maitland, vengo a mettermi sotto la protezione delle leggi inglesi. Il comandante rispose con un profondo saluto, poi presentò i suoi ufficiali. Per più di una settimana il Bellérophon rimase all'ancora in rada, poi il 23 luglio, finalmente salpò le ancore e cominciò il viaggio verso l'Inghilterra. I francesi, Napoléon incluso, erano abituati alle selle e non al mare, per cui ebbero tutti le stesse reazioni e nessuno mangiò. La sera del giorno dopo erano già in vista dell'Inghilterra e la mattina del 24 la nave si ancorò nella rada di Torbay, dove il Generale Gourgaud li stava già aspettando. Ciò che Napoléon ignorava era che il lento avanzare del Bellerophon era stato causato dai problemi interni inglesi, poiché i politici stavano litigando su come comportarsi con l'Imperatore. Il Times del 24-25 luglio e il Journal des débats il 30 di luglio rivelarono ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto e cioè che il parlamento inglese alla notizia della cattura di Napoléon aveva dibattuto a lungo sulla liceità o meno di una sua condanna a morte e aveva concluso che sarebbe stata perfettamente legittima. La politica però prese altre strade: l'Imperatore sarebbe stato ugualmente ucciso ma lontano dal mondo perbenista e civile di cui erano così orgogliosi gli anglosassoni, bastava spedirlo su un'isola come Sant'Elena con un governatore obbediente alle direttive, poi il resto sarebbe venuto da sé. Alle 23,15 del 24 l'Ammiraglio Keith e il sottosegretario Bunbury chiesero di incontrare l'Imperatore a quattr'occhi. La discussione durò 35 minuti, poi i due se ne andarono. Questo il documento lasciato sul tavolo:

    Sarebbe poco consono con i doveri verso i nostri alleati se il generale Bonaparte conservasse i mezzi o l'occasione per mettere nuovamente a rischio la pace dell'Europa. Per questo motivo è assolutamente necessario che la sua libertà personale venga ristretta e questo è il primo e più importante dei nostri obiettivi. L'isola di Sant'Elena è stata scelta come sua futura residenza: il suo clima è sano e la situazione locale permetterà che venga trattato con più indulgenza che altrove, viste le precauzioni indispensabili che saranno impiegate per non mettere a rischio la sua persona. Si permetterà al generale Bonaparte di scegliere, fra coloro che l'hanno accompagnato in Inghilterra, ad eccezione dei generali Savary e Lallemand, tre ufficiali che, con il chirurgo e 12 domestici, avranno il permesso di seguirlo a Sant'Elena da dove non potranno ripartire senza avere ottenuto il consenso del governo britannico. Il contrammiraglio sir George Cockburn, che è stato nominato comandante in capo della stazione del capo di Buona Speranza e dei mari adiacenti, condurrà il generale Bonaparte e il suo seguito a Sant'Elena e riceverà istruzioni dettagliate per svolgere questo servizio. Sir Cockburn sarà pronto per partire entro pochi giorni, per cui è indispensabile che il generale Bonaparte scelga per tempo le persone che vorranno accompagnarlo.

    C'è da dire che l'Imperatore s'allargò un po' sul numero delle persone che l'avrebbero seguito poiché, poche ore dopo l'intimazione, gli inglesi ricevettero questo lungo elenco di francesi disposti ad andare sull'isola che tuttavia accettarono:

    Gran maresciallo Bertrand con moglie e 3 figli.

    Conte generale de Montholon con moglie Albine e un figlio.

    Conte di Las Cases con al seguito il figlio di 14 anni.

    Generale barone Gorgaud.

    Marchand primo valletto di camera.

    Cipriani maitre d'hotel.

    Pieron.

    Saint Denis.

    Noverraz.

    La Page.

    I fratelli Archambauds.

    Santini.

    Rousseau.

    Gentilini.

    Joséphine.

    Bertrand con moglie e domestici.

    O'Meara, chirurgo del Bellerophon di origine irlandese che, in quei giorni drammatici, aveva simpatizzato con Napoléon e accettato di seguirlo.

    La partenza non fu immediata ma, nel frattempo, nessuno informò l'Imperatore della Convenzione firmata a Parigi il 2 di agosto da Inghilterra, Austria, Prussia e Russia che metteva al bando, una volta per sempre, l'Imperatore. Questo il testo:

    Napoléon Bonaparte, essendo in potere dei sovrani alleati: il re del regno unito di Gran Bretagna e Irlanda, l'imperatore d'Austria, l'imperatore di Russia e il re di Prussia, hanno deciso, in seguito al trattato stipulato il 25 marzo 1815, queste misure per impedire qualsiasi impresa che danneggi la tranquillità dell'Europa:

    articolo 1° – Napoléon Bonaparte è prigioniero delle potenze che hanno firmato il trattato del 26 marzo scorso.

    articolo 2° – La sua guardia è stata affidata in special modo al governo britannico. La scelta del luogo e delle misure che possono assicurare meglio l'oggetto della presente stipulazione sono riservate a sua maestà britannica.

    articolo 3° – Le corti imperiali di Austria, Prussia e Russia nomineranno dei commissari che si recheranno nel luogo scelto dal governo britannico per custodire Napoléon e che, pur non essendo responsabili della sua guardia, tuttavia si assicureranno della sua presenza.

    articolo 4° – Sua maestà molto cristiana (cioè Luigi XVIII, n. d. r.) è invitata dalle altre potenze a inviare un suo commissario nel luogo di detenzione di Napoléon Bonaparte.

    articolo 5° – Sua maestà del regno unito di Gran Bretagna e Irlanda è obbligato a tenere fede a tutti gli impegni assunti con questa convenzione.

    articolo 6° – La presente convenzione sarà ratificata e scambiata fra i contraenti nel giro di pochi giorni.

    Firmato da:

    principe di Metternich, conte di Nesselrode,

    lord Aberdeen e principe di Herdenberg

    Il 7 di agosto l'Imperatore e il suo seguito furono traghettati sul Northumberland unità imponente e pesante da 80 cannoni, quindi lenta ma sicura, per raggiungere Sant'Elena. Prima di salpare, però, ci fu l'ultimo oltraggio: lord Keith, che aveva controllato da vicino che tutta la situazione fosse regolare, prima di imbarcare Napoléon, gli chiese con tono solenne: L'Inghilterra domanda la vostra spada, ovvero la massima umiliazione per l'Imperatore sconfitto. Napoléon serrò la mano sull'impugnatura, come avesse avuto una reazione compulsiva, e fissò negli occhi il nemico con uno sguardo selvaggio. Il vecchio ammiraglio questa volta comprese, quindi abbassò il capo e si ritirò. Un'altra formalità fu quella di dover dichiarare sul proprio onore quanto denaro ciascuno aveva nelle tasche. Non ci fu un francese che dicesse la verità: il generale Bertrand dichiarò appena quattromila napoleoni come cassetta dell'Imperatore. In realtà l'intero gruppo aveva un forziere segreto di quattrocentomila franchi, oltre a quattrocentomila franchi in oro e diamanti e lettere di credito per più di quattro milioni di franchi. L'8 di agosto il Northumberland mollò gli ormeggi. Il giorno dopo fu avvistata nella bruma per l'ultima volta la costa francese e, come racconta il generale de Montholon, l'Imperatore si scoprì il capo e gridò emozionato: Addio terra di coraggiosi, io ti saluto. Addio Francia, addio! L'ammiraglio, molto più prosaico, visto che il vento era scarso e la nave quasi ferma, mise in mare due scialuppe una per raggiungere Falmouth, l'altra Jersey, ma la missione era identica: acquistare del buon vino.

    Ci è stato utile finora soprattutto il diario di de Montholon, ma la nostra fonte, per descrivere il lungo viaggio per mare verso l'isola, saranno d'ora in poi i ricordi di Gourgaud, il giovane generale che aveva salvato per due volte la vita dell'Imperatore: la prima era stata in Russia quando si accorse che le cantine del Cremlino, dove già si era installato Napoléon, erano state minate e stava per esplodere tutto l'edificio; la seconda quando nel 1813, durante un duro scontro contro uno squadrone di cosacchi, uccise a bruciapelo con la pistola un nemico che, spuntato dal nulla e riparato dal buio, con la sciabola alzata tentava di sorprendere e decapitare Napoléon.

    Fino al 10 agosto la nave ciondolò e avanzò poco, poi il cielo si coprì e piovve con violenza. L'Imperatore stava nella sua cabina e rifletteva manifestando a volte al generale Gourgaud idee bizzarre. Una certa sera disse: L'Arabia attendeva un uomo. Con i francesi in riserva e gli arabi come ausiliari sarei stato il padrone dell'Oriente. Mi sarei impossessato anche della Giudea.

    Una settimana dopo, questo viaggio indolente finalmente diventò più rapido. Scrive Gourgaud:

    Brezza buona. Tutti i giorni la stessa cosa: l'Imperatore si sveglia alle 8 e mezzo e parla con chi di noi trova lì vicino, poi si veste e detta a Las Cases le sue memorie sulla Campagna d'Italia. Alle 3 del pomeriggio passa nel salone e gioca a scacchi con me o de Montholon fino alle 16, ora in cui si veste e passeggia un'oretta in coperta. Alle 17 mezza cena e poi torna a passeggiare avanti e indietro fino alle 19, quando si siede per giocare a 21 fino alle 22.

    Il 15, cioè ferragosto, fu una giornata un poco diversa perché Napoléon compiva 46 anni e tutti i francesi imbarcati gli fecero festa. Dopo cena tutti bevvero alla sua salute mentre l'Imperatore, che di solito perdeva quando giocava a 21, vinse 80 napoleoni. Il 26 agosto finalmente il vento soffiò deciso nella direzione giusta e questo rese il viaggio meno noioso. Nella scia della nave si scorgevano numerosi pescecani. Il primo di settembre a bordo accadde un fatto drammatico: un marinaio mulatto, originario della Guadalupa, alle 11 di sera cadde in mare. L'ammiraglio ordinò subito di mettere la nave in panne e fu calato in acqua un canotto, ma lo sventurato non venne più ritrovato. Poche ore dopo si avvistò in lontananza Madera e la nave fu messa nuovamente in panne per inviare a terra un canotto a fare provvista d'acqua. Il 2 settembre il vento cambiò e si scatenò una tempesta. Le cabine furono inondate d'acqua. Gourgaud, il giorno dopo, ebbe una lunga conversazione con l'Imperatore su quanto era avvenuto dopo Waterloo. Poi ancora brezza e bel tempo. Il 18 settembre, durante una conversazione con Gourgaud, l'Imperatore parlò dei generali Lannes, Klèber, Desaix e del maresciallo Murat, e si commosse al ricordo della morte a Vienna del maresciallo Lannes. Poi cambiò discorso e commentò: "Clausel e il generale Gérard promettono bene, invece Bernadotte (che nel frattempo era diventato re di Svezia e antenato dell'attuale dinastia, N.d.a.) non aveva la testa. Era un vero guascone e resterà là dov'è, ma verrà pure il suo turno."

    Il 19 settembre iniziò male poiché la signora Bertrand perse sangue dal capo e soltanto dopo due impacchi si riprese. Il 23 settembre, finalmente, la nave varcò la latitudine zero, ovvero l'equatore. I marinai fecero la solita cerimonia, cioè tirarono secchiate d'acqua a chi non aveva mai varcato questa linea, ma i francesi regalarono un napoleone a testa ai marinai e furono risparmiati. L'Imperatore, all'inizio, avrebbe voluto partecipare al rito regalando 100 napoleone, poi ci ripensò e non dette nulla a nessuno. Faceva molto caldo e forse l'inedia dava alla testa anche ai francesi; infatti Las Cases e Gourgaud litigarono. L'Imperatore dette ragione a Las Cases e insultò Gourgaud, dicendogli che avrebbe finito per passare dalla parte degli inglesi. Il 3 ottobre nuova litigata fra Las Cases e Gourgaud. Il

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