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Sotto il cielo di Monterrey (Vivi le mie storie)
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Sotto il cielo di Monterrey (Vivi le mie storie)
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Sotto il cielo di Monterrey (Vivi le mie storie)

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About this ebook



Honey Rabal, avvocato di successo a San Francisco, non si concede tregua fin quando non riesce a raggiungere i suoi obiettivi. Mille cose la uniscono a Dylan Benson, il suo ambizioso compagno, ma la loro vita prende una piega inaspettata. La malattia del padre, che lei odia, costringe Honey a tornare a Monterrey e a riaprire un capitolo della sua vita che credeva chiuso. E proprio a Las Hojas, nella casa della sua infanzia, sotto il cielo di smalto blu di Monterrey, scoprirà il valore delle radici e la forza di un amore imperioso e travolgente.


L'autrice

Dopo aver pubblicato quattordici romance storici per I Romanzi Mondadori, due thriller storici per Fanucci Leggereditore, e un contemporaneo brillante (Sotto la stessa luna), Ornella Albanese ha deciso di procedere personalmente, nella collana Vivi le mie storie, alla seconda edizione dei suoi romanzi contemporanei, editi anni fa dalla casa editrice Le Onde.
LanguageItaliano
Release dateMay 24, 2016
ISBN9786050445046
Sotto il cielo di Monterrey (Vivi le mie storie)

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    Sotto il cielo di Monterrey (Vivi le mie storie) - Ornella Albanese

    storie

    1

    Dylan Benson si arrampicò sull’alto sgabello e ordinò un Martini. La ragazza dietro il banco era nuova, e lui avvertì subito su di sé il suo sguardo sfrontato.

    Dylan era un uomo molto attraente ed era abituato agli sguardi delle donne. Con gli anni aveva imparato a nascondere perfettamente il piacere che ne traeva.

    «Ecco il suo Martini», disse la ragazza e glielo porse senza smettere di guardarlo, allegramente spavalda.

    Lui non ricambiò lo sguardo. Da quando aveva iniziato la sua scalata al successo, non si lasciava più distrarre da banali avventure nei quartieri bassi. Ora frequentava Nob Hill e per nulla al mondo avrebbe messo in pericolo quanto aveva faticosamente conquistato. Neppure per gli occhi ardenti e i seni aggressivi della ragazzina che gli stava davanti.

    Poi qualcuno attirò la sua attenzione. Il grande avvocato Bob Graham e il suo galoppino Tracy si erano avvicinati al banco e avevano preso posto proprio accanto a lui. Quel bar era di fronte alla Corte di Giustizia di San Francisco ed era per lo più frequentato da giudici e avvocati.

    «E’ una donna eccezionale», stava dicendo Bob Graham e subito Dylan drizzò le orecchie. Di certo alludevano a Honey. In quei giorni, nell’ambiente del tribunale, non si faceva che parlare di lei. E anche in qualsiasi altro ambiente di San Francisco. «Ha inchiodato il grande Campbell in modo astuto e implacabile. Nessuno aveva mai osato mettersi contro di lui.»

    Tracy ordinò due aperitivi e poi accese una sigaretta. «Ho voluto assistere alla sua arringa finale», disse, aspirando una profonda boccata. «Quella ragazza ha fegato da vendere. Shirley Campbell, dopo una serie di rifiuti, è stata costretta a rivolgersi a lei, ma devo ammettere che il più affermato avvocato di San Francisco non avrebbe saputo fare di meglio.»

    Graham annuì, prendendo uno dei due bicchieri che la barista aveva poggiato sul banco. «Sapeva che questa causa avrebbe potuto trasformarsi in una carta vincente per la sua carriera e vi ha puntato tutto. Sai, Tracy, credo che mi piacerebbe moltissimo averla nel mio studio.»

    L’altro lo guardò con un sorrisetto. «Allora provi a farle un’offerta», suggerì, rigirando il bicchiere tra le mani. «Ma subito, perché sono sicuro che presto sarà sommersa da una valanga di proposte molto allettanti.»

    A quel punto Dylan scivolò giù dallo sgabello e uscì lentamente dal bar.

    Anche lui stava puntando tutto sulla sua carta vincente. E la sua carta vincente si chiamava Honey Rabal.

    Attraversò il piazzale del tribunale inondato di sole e cominciò a salire l’imponente scalinata di marmo. Era arrivato quasi a metà, quando un vociare improvviso e disordinato attirò la sua attenzione. Un nugolo di giornalisti, simile a uno sciame di api ronzanti intorno al miele, era uscito dal grande portone. E il miele era Honey.

    Lei aveva cominciato a scendere le scale con passo deciso, costringendo i giornalisti a procedere all’indietro, e intanto rispondeva alle loro domande incalzanti con frasi brevi ed essenziali.

    Diavolo di una ragazza, pensò Dylan con ammirazione. Anche nel momento del trionfo si concedeva il meno possibile. Ora aveva affrettato il passo e procedeva con un’aria a dir poco regale: il portamento eretto, l'espressione altera e i luminosi capelli biondi ondeggianti sulle spalle.

    Con due falcate, Dylan le si affiancò. «Servizio d’ordine», le bisbigliò all’orecchio, prendendola leggermente per un braccio. Poi si rivolse ai giornalisti con una certa autorità: «Ora basta domande, miss Rabal è stanca.»

    In quel preciso istante la figura di un uomo alto e massiccio apparve in cima alla scalinata e subito il nugolo vociante si precipitò in quella direzione.

    «Un momento, signor Campbell!»

    «Solo una domanda!»

    «Un commento sull’esito della causa!»

    Dylan e Honey volarono, ridendo, giù per la scalinata e in un attimo raggiunsero l’auto di lei.

    «Guido io», disse Dylan, prendendole le chiavi di mano. «Hai avuto una giornata faticosa.»

    «Ho avuto una giornata esaltante», lo contraddisse Honey, prendendo posto sulla piccola porsche decapottabile e passandosi una mano tra i capelli in un gesto che le era abituale.

    Dylan mise in moto e partì a discreta velocità. Gli piaceva stringere tra le mani il volante di quell’auto lussuosa e accarezzare con le dita la leva del cambio. Si districò abilmente nel traffico del centro e poi fece ruggire il motore su per la salita che portava a Nob Hill. Quindi si girò verso Honey. «Sei una donna arrivata, tesoro», le disse, accarezzandola con lo sguardo. «Un attimo fa il vecchio Graham stava dicendo che gli piacerebbe moltissimo averti nel suo studio. Riceverai molte offerte, ti consiglio di valutarle con attenzione.»

    «Io valuto sempre tutto con molta attenzione.» Honey fece una risatina. «Ma a questo penseremo poi. Oggi mi basta aver inchiodato quel pidocchioso bastardo alle sue responsabilità. Shirley Campbell ha rinunciato alla sua carriera cinematografica, dedicandogli quindici anni di vita, e lui avrebbe voluto liquidarla con pochi spiccioli.»

    «E’ un uomo molto potente. Non credo che abbia gradito questo scherzetto», commentò Dylan, lanciandole un rapido sguardo.

    «Lo so, ma è uno suo problema. Io, quello che volevo, l’ho ottenuto. Avrei venduto l’anima per vincere questa causa ma, come vedi, non è stato necessario.»

    Accidenti, pensò Dylan, quella era la donna giusta per lui. Erano uguali, volontà di ferro e pochi scrupoli. Guai a lasciarsi ingannare dall’aspetto di Honey, o dal suo nome che stillava dolcezza. I capelli biondi, i grandi occhi grigioazzurri, la bocca morbida da adolescente, erano tutto un imbroglio. In realtà lei era di durissimo acciaio, non si fermava davanti a nulla e non guardava in faccia nessuno. Era determinata e forte come il più determinato e forte degli uomini. Dylan pensò che con Honey sarebbe arrivato molto in alto perché erano una coppia vincente. «Io credo che sarebbe il momento giusto per aprire uno studio nostro», insinuò con dolcezza. «Rabal & Benson, non suona bene?»

    Lei lo guardò socchiudendo gli occhi, all’improvviso diffidente. «Uno studio nostro? Sarebbe un passo troppo impegnativo, credo.»

    «Sì, ma le sfide ci hanno sempre esaltato. Noi due siamo fatti per osare e per vincere. Io penso che dovremmo fare un tentativo, è il nostro momento.»

    Gli occhi di Honey erano diventati due fessure gelide. «Sai, Dylan, a volte mi chiedo quale sia la tua priorità numero uno.»

    Lui pensò in fretta, cercando nervosamente un modo per rimediare al suo passo falso. Sorrise e le poggiò una mano sul ginocchio. Honey aveva gambe lunghe e agili, che le calze velate rendevano particolarmente sexy. «Tu, tesoro», scandì con voce carezzevole. «Sei tu la mia priorità numero uno. Quando riuscirò a incatenarti a me, sarò un uomo profondamente felice.»

    «Lo sai che non amo le catene.» La voce di lei suonò inaspettatamente dolce e Dylan si rilassò. Stava per commettere un passo falso, ma si era salvato in tempo. Quella ragazza era molto scaltra, doveva sempre stare all’erta con lei. Doveva soppesare le parole e non metterle mai fretta. Fare in modo che arrivasse da sola a quello per cui lui stava lavorando da tempo.

    Rallentò perché erano arrivati alla palazzina immersa nel verde dove lei abitava. Honey azionò il telecomando per il cancello e poi di nuovo per il garage. Da lì salirono in casa in ascensore. L’appartamento era all’ultimo piano, non molto grande ma arredato con sofisticata eleganza. Pavimenti di marmo bianco, porte a vetri, mobili a incastro in lucido legno bordeaux e, dappertutto, scintillii di cristalli e di argenti. Il risultato era estremamente raffinato e molto freddo, rispecchiava perfettamente il temperamento di Honey.

    «Vuoi bere qualcosa?» Lei gli indicò il mobile bar. «Serviti pure mentre mi aspetti.» E poi si diresse in fretta verso la sua camera.

    Dylan l’avrebbe seguita volentieri, per darle una dimostrazione travolgente di come lei fosse la sua priorità numero uno. Ma sapeva fin troppo bene che, dopo un impegno particolarmente gravoso, Honey desiderava soltanto rilassarsi un po’, preferibilmente da  sola. E Dylan era diventato bravissimo nel compiacerla. Capiva al volo quando la sua passionalità era gradita o quando era il caso di eclissarsi con eleganza.

    Lei riapparve qualche minuto più tardi, con una vestaglia di seta color rubino, drappeggiata intorno al suo bellissimo corpo probabilmente nudo.

    Dylan deglutì. Dannata ragazza, se avesse seguito i suoi istinti le avrebbe strappato di dosso quell’impalpabile indumento di seta e l’avrebbe presa lì, sul tappeto blu cina o sul divano di pelle grigio chiaro, facendola finalmente ardere di passione e mandando in frantumi la rigida corazza che la proteggeva.

    Invece le sorrise. Da controllatissimo gentiluomo. «Qualche programma interessante per la serata?», chiese, permettendosi uno sguardo molto sensuale.

    Lei gli sorrise. «I programmi interessanti sono rimandati a domani, Dylan. Sai che dopo uno stress, ho un calo di tensione così forte da sentirmi completamente svuotata. Ho solo voglia di dormire, perdonami.» E si sollevò in punta di piedi per dargli un bacio che aveva tutta l’aria di servire solo ad addolcirgli il rifiuto.

    Dylan fece in tempo a chiuderle le labbra tra le sue, che erano doverosamente brucianti di desiderio. «D’accordo, tesoro, come vuoi tu. A domani, allora.»

    Uno stupro, fantasticò. Ecco cosa avrebbe dovuto fare. Prenderla con la forza e infrangere tutto il ghiaccio che la imprigionava.

    Honey lo accompagnò alla porta, con quell’aria deliziosamente inconsapevole che lo faceva addirittura infuriare, e lì lo baciò di nuovo. Dylan fece appena in tempo ad avvertire la morbidezza del corpo di lei attraverso la seta della vestaglia, che si ritrovò sul pianerottolo, davanti all’uscio chiuso. «Prima o poi pagherai per tutto questo, dolcezza», decise con fredda determinazione. «E’ solo questione di tempo e io sono molto paziente.»

    §

    Honey girò la chiave nella serratura e si appoggiò un attimo alla parete. Aveva chiuso Dylan e tutto il dannato mondo fuori della sua porta. Adesso poteva rilassarsi in pace.

    Lentamente tornò in sala e azionò la segreteria telefonica. Sua madre aveva lasciato tre messaggi, sembrava avere qualcosa di urgentissimo da dirle. Probabilmente la sua nuova sfumatura

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