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Il quarto discendente
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Il quarto discendente

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About this ebook

Quando Michelle riceve una telefonata da uno storico di Richmond, intravede la possibilità di vivere un'avventura di cui sente molto il bisogno. Tutto quello che deve fare è trovare una chiave antica cento anni. Altre tre persone – un chitarrista, un ingegnere e una pensionata – ricevono una chiamata simile. Ognuna delle loro famiglie possiede la chiave di una cassaforte a quattro serrature trovata sepolta in un tribunale della Virginia e il legame che le unisce è misterioso quanto la cassaforte stessa. I loro antenati non avrebbero dovuto avere niente a che fare l'uno con l'altro, non ebbero apparentemente alcun motivo di seppellire la cassaforte e non sarebbero dovuti scomparire proprio in quel momento. Portando le loro chiavi, Michelle e gli altri discendenti si riuniscono nel seminterrato del tribunale e aprono la cassaforte, scoprendo la verità sui loro antenati. Una verità più sconvolgente, più letale di quanto avessero immaginato, potenzialmente in grado di cambiare il mondo. Ora tocca a loro impedire che tale scoperta finisca nelle mani sbagliate.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateMay 22, 2016
ISBN9781507142240
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    Il quarto discendente - Allison Maruska

    Recensioni su Il quarto discendente

    "Leggo raramente una storia su cui non vedo l’ora di tornare, e Il quarto discendente è stata una di queste. È pieno di dramma e suspense. È fresco e nuovo, qualcosa di cui si sentiva molto il bisogno, ed è totalmente imprevedibile."

    – John Darryl Winston, autore di IA: Initiate

    "Allison Maruska batte un fuori campo con Il quarto discendente – un romanzo di mistero intrigante che mette in discussione le tue convinzioni etiche! Quattro sconosciuti, quattro chiavi e un segreto sepolto per generazioni. Mentre i discendenti intraprendono un viaggio che cambierà loro la vita per far luce sul passato, altri credono che valga la pena mettere a rischio la propria vita per mantenete il segreto sepolto."

    – Lisa Tortorello, autrice di My Hero, My Ding

    "Ne Il quarto discendente l’autrice Allison Maruska ci presenta quattro protagonisti. Ha abilmente sviluppato ognuno di essi come qualcuno di cui vogliamo sapere e ci preoccupiamo. Diventano nostri amici, ci portano con loro per risolvere un grande mistero. Il mistero sfocia in un thriller non appena immaginiamo ciò che accadrà dopo. Quanto lontano si spingeranno per proteggere il loro segreto? Una volta finito di leggere il libro, ne vorrete ancora. Andrete alla ricerca del sequel."

    – Virginia Finnie, autrice della serie per bambini Hey Warrior Kids!

    "Dalla mente selvaggiamente creativa di Allison Maruska, Il quarto discendente scintilla di personaggi brillanti, colpi di scena intriganti e frasi azzeccate. La storia di estranei inghiottiti da un mistero secolare e legati per sempre dagli eventi che seguono rende la lettura grandiosa. Non ho potuto mettere giù il libro dal paragrafo di apertura fino all’epilogo. Michelle, Damien, Jonah e Sharon e la loro avventura inaspettata rimarranno con me per molto, molto tempo. Consiglio vivamente questo libro!"

    – Carol Bellhouse, autrice della serie Fire Drifter

    Questo libro è dedicato a mio marito, Joe, e ai nostri figli, Nathan e Silas.

    Ho potuto dedicare così tanto tempo alla creazione di persone e mondi immaginari grazie al vostro sostegno.

    L’ultima delle quattro serrature scattò in posizione.

    Egli fece scorrere le dita lungo la chiave d’ottone e la pose nella busta, dedicando un addio silenzioso alla sua famiglia.

    Il suo segreto era nelle loro mani, ora. 

    Parte prima: Le chiavi

    Capitolo Uno

    La chiamata proveniva da un numero sconosciuto. Michelle quasi la ignorò, ma la prospettiva di parlare con un altro adulto era troppo allettante per lasciarsela sfuggire. I suoi figli tenevano gli occhi incollati su di lei mentre camminavano verso casa dal parco giochi. A quanto pare, l’evento era abbastanza raro da giustificare la loro totale attenzione.

    «Parlo con Michelle Jenson?» chiese l’interlocutore all’altro capo del telefono.

    «Sì. Chi parla?» Ecco. Una chiamata di vendita.

    «Il mio nome è Alex Pratt, la contatto in veste di rappresentante per la Richmond Historical Society.»

    Ora l’interlocutore aveva anche la piena attenzione di Michelle. «Richmond? In Virginia?»

    «Sì, signora. Crediamo che la sua famiglia sia collegata a qualcosa che abbiamo trovato nel nostro tribunale. Mi sa dire se il suo trisavolo si chiamava Gao Zhang?»

    «Io non ne conosco il nome di battesimo, ma Zhang è il cognome da nubile di mia madre.»

    Si udì in sottofondo un suono di carte fruscianti. «Sono sicuro che abbiamo la famiglia giusta. La faccenda potrebbe sembrarle strana, ma cerchi di seguirmi. Il mese scorso, la città ha intrapreso dei progetti di restauro su alcuni dei nostri edifici storici, tra cui il palazzo di giustizia. Gli operai hanno trovato una scatola di legno nascosta sotto le assi del pavimento e abbiamo pensato che fosse una capsula del tempo, ma conteneva solo una lettera firmata da quattro uomini. Uno di questi uomini era il suo trisavolo.» Si schiarì la gola. «La lettera reca indicazioni su una cassaforte che abbiamo trovato incorporata in una parete della cantina. Una cassaforte insolita, perché è chiusa con quattro grandi catenacci. La lettera indicava che i discendenti di ciascun uomo che ha firmato sarebbero in possesso di una chiave, e che abbiamo bisogno di tutte e quattro le chiavi per aprire la cassaforte.»

    «E lei pensa che io abbia una di queste chiavi?» Suo figlio le strattonò un braccio; lei cercò di ignorarlo, sperando di poter portare a termine la chiamata senza interruzioni.

    «Ecco perché la sto chiamando. Gli uomini che hanno firmato la lettera hanno molti discendenti, e non siamo in grado di sapere chi potrebbe avere le chiavi o se sono state gettate via molto tempo fa. Lei è la prima persona della sua famiglia che sono stato in grado di raggiungere, e...»

    «Non potete semplicemente forzare le serrature?» Le chiavi tintinnarono mentre apriva la porta di casa, i bambini si precipitarono dentro per guardare i cartoni animati. Dopo aver appeso la giacca all’attaccapanni a stelo del corridoio, andò in cucina ed estrasse tre piatti dalla credenza.

    «Forse, ma vogliamo sapere ciò che questi uomini avevano in comune. La Richmond Historical Society sta finanziando questo progetto di ricerca, con la possibilità di conservare la cassaforte e tutto ciò che c’è dentro, a seconda di cosa troveremo. Vogliamo sapere che cosa c’è stato fra questi uomini che li ha uniti per formare un patto così strano.»

    «Strano? Perché strano?» Interruppe la raccolta di stoviglie per il pranzo e si appoggiò sul bancone della cucina.

    «Storicamente parlando, questi uomini non avrebbero dovuto frequentare le stesse cerchie sociali né aver lavorato insieme nel palazzo di giustizia. Il suo trisavolo era figlio di immigrati cinesi; gli altri tre erano un immigrato irlandese, il nipote di uno schiavo africano liberato, e un discendente di un colono di origini inglesi.»

    «Beh, sembra interessante, ma non so nulla di una chiave.» Forse lui avrebbe cercato di chiamare qualcun altro della sua famiglia. In ogni caso, suo marito non era il tipo da lasciarla partecipare a una caccia al tesoro.

    «Capisco. Io voglio che lei sappia quello che stiamo progettando, però. Siamo in contatto con dei produttori per girare un documentario su questa storia. Ecco il motivo per cui vogliamo coinvolgere le famiglie degli uomini: se ciò che è custodito nella cassaforte merita attenzione, lei, la sua famiglia e gli altri discendenti sarete presenti. La Richmond Historical Society coprirà tutte le spese di viaggio.» Si schiarì di nuovo la gola. «Ovviamente, questo avverrà solo se tutte e quattro le famiglie troveranno le rispettive chiavi.»

    «Ma cosa succede se non c’è nulla di valore nella cassaforte?»

    «Sarei sorpreso, in tal caso. Stiamo aspettando i membri della famiglia per aprire la cassaforte e documentare la scoperta. Sarà molto più sensato se i discendenti utilizzeranno le chiavi originali un secolo più tardi.»

    La sua mente registrò uno dei precedenti commenti. «Quindi se trovo questa chiave mi pagherete per venire a Richmond ad aprire un lucchetto? Avrò l’occasione di viaggiare gratis?»

    «Supponendo che anche gli altri tre discendenti trovino la loro, sì.»

    Grant gridò contro Sophie; Michelle doveva smorzare la faccenda prima che degenerasse sul piano fisico. «Va bene. Mi perdoni, i miei figli sono sempre agitati. Memorizzerò il suo numero. La chiamerò, se verrò a sapere qualcosa di una chiave.»

    «Lo apprezzo.»

    Lei riattaccò, e dopo aver verificato le condizioni dei bambini iniziò l’assemblaggio dei panini. Trovare una chiave dopo cento anni sarebbe stato quasi impossibile. Però l’episodio era ritenuto abbastanza importante da farne un documentario, e un po’ di tempo sotto i riflettori sarebbe stato un rinfrescante cambiamento di ritmo. E lei avrebbe ottenuto di viaggiare attraverso il Paese. Non poteva fare a meno di emozionarsi di fronte alla prospettiva di allontanarsi. Se lei non dovesse pagare per il viaggio, Mark potrebbe anche lasciarla andare.

    Nel bel mezzo della spalmata di burro di arachidi su una fetta di pane, si bloccò e le sue speranze svanirono.

    Non era stata lontana dai suoi figli per più di mezza giornata, da quando erano nati. Mark era stato determinato ad esigere la gestione della casa a suo piacimento, il che significava che il suo lavoro era quello di crescere i bambini e mantenere la casa, mentre lui lavorava per il loro sostentamento. Faceva gli straordinari, cosicché lei non avrebbe avuto bisogno di un reddito; era il suo sacrificio, avrebbe detto, anche se lei dubitava che il suo evitare qualsiasi lavoro sporco circa l’educazione dei figli fosse un vero e proprio sacrificio. Gli piaceva farla sentire in colpa se voleva un po’ di tempo per se stessa; trascurare i suoi bisogni e dedicare tutto il suo tempo ed energia ai bambini era quanto ci si aspettava da lei.

    Questa volta sarebbe stato diverso. Lo storico l’aveva chiamata perché la sua famiglia era parte di qualcosa di importante. Lei non avrebbe permesso a Mark di farla sentire in colpa per voler scoprire di cosa si trattava, non importava quanto l’avrebbe fatta lunga.

    Mentre disponeva i piatti dei bambini sul tavolo, si arrovellava su chi nella sua famiglia avrebbe potuto custodire una vecchia chiave e immaginava come sarebbe stato prendere un volo da sola.

    Cercò di trattenere un sorriso.

    ****

    «No, bello, si va fino a quattro.» Jonah interruppe la band che suonava in modo da poter mostrare la progressione di accordi al potenziale nuovo chitarrista. Stava cominciando a dubitare della saggezza di cercarne un altro via Craigslist. «Provaci.»

    Jonah fece un passo indietro e si addossò alla parete della cantina, appoggiando una mano sulla sua chitarra e l’altra sulla parte posteriore del collo, sotto i suoi spessi dreadlocks. I suoi rasta erano stati argomento di discussione; forse li avrebbe dovuti tagliare, come voleva Olivia. La sua parte scorbutica voleva tenerli solo perché irritavano la sua ragazza.

    Sperava che la band avesse un concerto imminente, in modo da avere un pretesto per fare pratica. Lui e il batterista, Chris, che si dava il caso che fosse anche il suo compagno di stanza, si inceppavano spesso senza il fastidio delle prove assidue, ma non potevano avere una vera band con solo loro due. Stasera avevano provato una canzone scritta da Jonah. Sorrise quando sentì la band suonare il pezzo per la prima volta, sebbene li avesse fermati appena alla prima strofa.

    L’aspirante chitarrista suonò la progressione delle strofe un paio di volte prima che il resto della band si unisse a lui. Le battute amplificate della batteria e della chitarra echeggiavano tra le pareti di cemento. Jonah smise di suonare quando il suo telefono gli vibrò in tasca; lo estrasse e osservò il numero sconosciuto. Prefisso 804? Di dov’era? Lasciò partire la segreteria telefonica.

    Dopo le prove, Jonah salì al piano di sopra e recuperò il messaggio. Stava ancora strabuzzando gli occhi sul suo telefono quando Chris apparve accanto a lui in cucina. Chris appoggiò le sue bacchette sul tavolo. «Ehi, bello, perché sei così serio?» Si diresse verso il frigorifero e prese una birra, il solito rituale post-prove.

    La birra rammentò a Jonah di affrontare l’argomento con il suo compagno di stanza sul loro consumo impari della bevanda; si era stancato di supportare le esigenze di birra di Chris. Quella conversazione avrebbe dovuto aspettare, però.

    «Questo tipo strano mi ha chiamato quando eravamo al piano di sotto. Ho appena provato a richiamarlo.»

    Chris si sedette al tavolo e fissò Jonah. Tracannò la sua birra.

    «Fico.» Riferì a Chris ogni parola dello storico a proposito del palazzo di giustizia, la cassaforte, le chiavi mancanti e il potenziale documentario.

    «Caspita, un mistero!» Chris ridacchiò. «Hai intenzione di cercare la chiave?»

    Jonah ripose in tasca il telefono e si diresse verso il frigo. «Non lo so. Forse chiamerò mio padre. Il tizio sembrava credere che il nostro antenato fosse l’mmigrato irlandese che ha firmato la lettera.» Usò l’apribottiglie magnetico per rimuovere il tappo della sua birra e lanciò il tappo nel lavandino, dove rimbalzò sull’acciaio inox e i piatti sporchi. Dopo aver dato una sorsata, aggiunse: «Sembra una barzelletta, non è vero? Un irlandese, un cinese, un nero e un colono vanno in un tribunale...»

    Chris rise. «Mi piacerebbe vedere uno storico serioso metterti di fronte a una telecamera.»

    «Già, se mi avesse videochiamato su Skype, probabilmente non avrebbe menzionato il film.» Bevve un altro sorso e considerò l’idea. Se questa storia della chiave era abbastanza importante da meritare un filmato, forse valeva la pena dedicarle del tempo. Recuperò il suo telefono e in quel momento un avviso suonò dalla tasca di Chris. Chris guardò lo schermo. «Accidenti, un’altra allerta meteo per una tempesta invernale. Sarebbe bello se fosse tecnicamente inverno. Dovrei prendere un po’ di birra di scorta?»

    Jonah sorrise. «Sì, buona idea». Scorse la rubrica telefonica e sospirò mentre si preparava alla conversazione con suo padre.

    ****

    Damien sedeva nella caffetteria luminosa da solo, avendo evitato con successo suoi colleghi chiacchieroni. La sua imminente scadenza non richiedeva altro: meno perdeva tempo a mangiare e al laboratorio di ricerca, più tempo avrebbe avuto per sviluppare la complessità della sua nuova idea di sanificazione dell’acqua. Aveva maturato l’abitudine di portare un notebook con sé in pausa pranzo, e anche se non aveva nulla da farci relativamente al progetto, facendo finta di essere occupato manteneva gli altri dipendenti a distanza dal suo tavolo.

    Ripulì la postazione dalle briciole e si diresse verso l’ascensore, sorseggiando dalla bottiglia d’acqua. Sibilò e controllò i denti nel riflesso della porta per assicurarsi che non ci fosse alcun residuo di cibo in mezzo.

    «Damien! Ehi!»

    Sydney lo stava salutando dal fondo del corridoio. Teneva una pila disordinata di fogli con l’altra mano, e usò la mano che agitava per aggiustarsi gli occhiali, che portava inforcati sui suoi ondulati capelli castani. Incedeva verso di lui.

    La cortesia richiedeva che lui le sorridesse, ma sperava che l’ascensore arrivasse prima che lei lo raggiungesse. Non andò così.

    Alzò lo sguardo per incontrare i suoi occhi. «Hai sentito del progetto di Steve? Sta andando sulla stazione spaziale!» Gli occhi sembravano uscirle fuori dalla testa mentre parlava.

    «Veramente? È fantastico.»

    «Sì, lo è. Ha lavorato sodo sul progetto. E il tuo progetto, come sta venendo?»

    «Ci sto ancora lavorando.» Fece un gesto con il notebook.

    L’ascensore si aprì e lui entrò. Per qualche ragione, lei lo seguì.

    «Non hai pranzato?» Spinse il pulsante del quarto piano.

    «Lo farò. Mi sento come se non riuscissi mai a parlare con te, dal momento che mi hanno spostato dall’altra parte dell’edificio.»

    Damien sapeva che Sydney voleva di più da lui che un interlocutore per fare conversazione, ma aveva mantenuto una certa distanza professionale. Non aspirava affatto a un appuntamento. «Sto solo cercando di rimanere concentrato, sai?»

    Lei sorrise. «Sì, lo so.» Le porte si aprirono di nuovo e lei gli mise una mano sul braccio. «È bello vederti.»

    «Anche per me.» Fece un passo fuori dalla portata di Sydney e virò a sinistra in fondo al corridoio. Un attimo dopo, l’avviso di posta vocale sul suo telefono suonò. Qualcuno doveva aver chiamato mentre era senza segnale in ascensore.

    Ascoltò il messaggio: uno storico di nome Alex, da Richmond, voleva parlare con lui. Quando lo richiamò, Alex chiese di una chiave che la sua famiglia avrebbe potuto custodire.

    «Lei pensa che quattro famiglie siano riuscite a mantenere quattro chiavi per un secolo?» chiese Damien, sperando che il tizio realizzasse quanto il tutto suonasse ridicolo e lo lasciasse fuori dai guai.

    «Ci rendiamo conto che è terribilmente improbabile. Ma il nostro compito è quello di cercare la verità sulla nostra storia e preservare gli elementi storici. Saremmo negligenti a ignorare le famiglie degli uomini coinvolti.» Alex gli disse che volevano girare un documentario sulla vicenda.

    Damien camminava intorno al suo laboratorio; solo l’idea di essere di fronte a una telecamera lo rendeva nervoso. «Sono nel bel mezzo di un progetto di lavoro.» Afferra il messaggio, per favore.

    «Mi rendo conto del suo fitto programma di impegni, Mr. Thomas, ma apprezzo molto qualsiasi tipo di assistenza le sia possibile fornire. Forse ci può indirizzare ad un altro membro della famiglia che può essere in grado di aiutarci?»

    «Non ha parlato con qualcun altro?»

    «No. Ho fatto qualche telefonata, ma lei è il primo a rispondere.»

    Dannazione. A volte, essere precisi ha i suoi svantaggi.

    Si sentiva in dovere di dire qualcosa di utile; cercò di non presentarsi come un perfetto idiota. «Vedrò cosa riesco a trovare, ma potrei metterci del tempo.»

    «Va bene. Se si rende conto che non ci può aiutare, non esiti a girare la richiesta a qualcun altro nella sua famiglia. Ha il mio numero.»

    Damien riagganciò e si sforzò di riportare l’attenzione sul progetto sul suo tavolo. Spostava lo sguardo dal progetto al computer, ma aveva problemi a mantenere la concentrazione.

    Quel tipo sapeva di quel suo antenato, lo schiavo che conquistò la libertà quando Lincoln promulgò il Proclama di Emancipazione. A quanto pare, anche del pronipote dello schiavo. E se solo quattro uomini erano stati collegati a questo mistero in Virginia, un mistero degno di essere documentato in un film, forse il suo antenato era parte di qualcosa di importante.

    Fece un’altra chiamata, dopo, e dovette reindirizzare la sua attenzione per la terza volta. Dieci minuti più tardi, aveva deciso di far visita a sua madre a Las Vegas. Sperava che ne sarebbe valsa la pena.

    ****

    Sharon guardava attraverso la finestra la pioggia che cadeva, godendosi il primo lunedì mattina da pensionata. Ascoltò il silenzio che permeava la sua piccola casa, un silenzio che era arrivata a interpretare nei tre anni da quando era morto Cliff.

    Si avvicinò al lavabo in bagno e tirò indietro i capelli biondi ingrigiti con una fascia, prima di cambiarsi e mettersi una tuta e una T-shirt logora. Il progetto di imbiancatura che aveva iniziato in soggiorno durante il fine settimana non si era finito da sé, e aveva intenzione di riprenderlo dopo la prima colazione.

    Entrando in cucina, accese la macchinetta del caffè monodose. Mentre si riscaldava, inserì due fette di pane nel tostapane e accese la radio.

    Gli speaker alla radio discutevano sull’ultima fuoriuscita di petrolio. Lei scosse la testa, chiedendosi se i suoi nipoti furono in grado di godersi un oceano pulito quando lei li portò al suo cottage sulla spiaggia durante le vacanze di primavera. Si fece un appunto mentale di chiamare sua cugina, che aveva recentemente vinto un seggio al Senato degli Stati Uniti. Forse avrebbe avuto voce in capitolo nel regolare la compagnia petrolifera.

    Lo squillo del telefono fisso si sovrappose al rumore della caffettiera e al chiacchiericcio dei conduttori radiofonici.

    L’interlocutore si identificò come Alex qualcosa e le parlò di una scatola sepolta in un palazzo di giustizia della Virginia, ma solo dopo aver verificato che il suo antenato fosse un autentico colono di Jamestown ˗ una fonte di orgoglio per la sua famiglia. E pensare che sua cugina non lo aveva nemmeno menzionato nella sua campagna elettorale. Alex si era informato circa una chiave che il suo bisnonno avrebbe potuto avere.

    «Che tipo di chiave?» chiese.

    «Una chiave grande abbastanza per aprire un catenaccio e probabilmente d’ottone. Sa di una cosa del genere?»

    «Non esattamente, ma approfondirò la faccenda.» Il suo toast era spuntato, doveva imburrarlo prima che si raffreddasse.

    «Grazie. C’è un’altra cosa.» Le disse che voleva girare un documentario con lei e gli altri discendenti all’apertura della cassaforte.

    Qualunque cosa ci fosse dietro quel lucchetto era abbastanza preziosa da pagare quattro voli e una troupe cinematografica. Forse avrebbe dovuto cercare la chiave.

    «Posso lasciarle il mio numero?» chiese.

    «Certo.» Scrisse il suo nome e il numero su un blocco note, riattaccò il telefono e impostò il tostapane al minimo per riscaldare la sua colazione.

    Il pomeriggio seguente, Sharon si alzò e si stiracchiò la schiena non appena finì di applicare l’ultimo tocco di verde foresta al battiscopa. Ammirava la sua opera e sorrise quando si rese conto che Cliff non avrebbe mai permesso di dipingere di un colore così audace una parete della loro casa. Rise quando immaginò la sua reazione se lo avesse visto.

    Dopo aver pulito e riposto gli attrezzi da pittura, si diresse al piano di sopra per fare una doccia. Aveva organizzato la cena con la sua amica fra poco più di un’ora e non voleva essere in ritardo. Mentre sceglieva un paio di pantaloni nuovi color marrone chiaro e un cardigan viola da indossare per la serata, ripensò alla conversazione con Alex.

    Come poteva sapere così tanto della sua famiglia? Non c’erano molte persone che potevano affermare di discendere dalla colonia di Jamestown e la prospettiva del film la allettava. Cercò di ricordare se avesse visto una qualsiasi chiave che avrebbe potuto essere quella cui Alex si riferiva.

    Finì di indossare i suoi gioielli e scese al piano di sotto. Come al solito, all’altezza del pianerottolo sulle scale guardò il collage che sua nonna – la figlia del fantomatico seppellitore di scatole bisnonno di Sharon – le aveva donato molti anni prima. La nonna aveva ricreato l’immagine di una casa coloniale con una varietà di elementi: una moneta, alcuni bottoni, un bossolo, un tappo di bottiglia.

    Una chiave.

    Si calò gli occhiali da lettura dalla parte superiore della testa e li mise davanti agli occhi. Socchiuse gli occhi e si sporse verso l’immagine, cercando di analizzare la chiave. Era stata parzialmente coperta da una scatola di fiammiferi. Soppesò alcune

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