La terra, l'Universo, l'Infinito: Visioni di tre anime
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Due delle anime, che professano fedi contrastanti e teoricamente inconciliabili, scoprono che in definitiva sostengono gli stessi principi.
Dissertazione laica, divertente, rispettosa di ogni credo da parte dell’autore, che sembra navigare con perizia nel mare della metafisica, rendendola comprensibile a tutti in una coraggiosa ed effervescente avventura nell'aldilà, intrapresa da tre dignitosi rappresentanti del genere umano.
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La terra, l'Universo, l'Infinito - Vincenzo Turba
Farm
Prefazione
L’Infinito, l’Universo, l’Onnipotente, l’anima, i pensieri.
Il breve romanzo affronta problemi insoluti, tramite la fantastica scorribanda di tre comuni mortali nell’alto dei cieli e in ogni anfratto dell’Universo.
Due delle anime, che professano fedi contrastanti e teoricamente inconciliabili, scoprono che in definitiva sostengono gli stessi principi.
Dissertazione laica, divertente, rispettosa di ogni credo da parte dell’autore, che sembra navigare con perizia nel mare della metafisica, rendendola comprensibile a tutti in una coraggiosa ed effervescente avventura nell’aldilà, intrapresa da tre dignitosi rappresentanti del genere umano.
Un’oasi celeste
Per il verificarsi di un’imprevedibile anomalia nel sincronismo della vita dell’Universo, tre anime, staccatesi dal corpo come questi non ebbe più vita, invece di tornare, come è legge, nei cieli e senza connotato alcuno, quali sue infinitesimali particelle, vennero misteriosamente a trovarsi in una piccola oasi celeste, mantenendo la facoltà di pensare.
Fino all’attimo di spirare, le loro vesti mortali avevano un nome: Flavia un’ascetica giovane di vent’anni, Marco un ventenne dalle idee audaci, Uberto un nobile della terza età.
Erano arrivati nell’eterea, celestiale dimora, nello stesso istante in cui avevano esalato l’ultimo respiro.
Flavia era giunta alla perdita della stilla di vita per la consunzione dell’esile corpo, divorato da più di una malattia, che le aveva minato anche lo spirito.
Marco aveva abusato di una esuberanza volta alla ferma lotta contro tante idee, che riteneva retrograde e si era buscata una pallottola al cuore, durante uno scontro di piazza.
Uberto era un vero aristocratico, dalla mente più illuminata di quella dei suoi pari. Se n’era andato dal mondo per un incurabile morbo, che non guarda in faccia a nessuno.
L’oasi, un minuscolo corpo celeste, ruotava nel sistema solare, ma era del tutto sconosciuta anche agli osservatori astronomici più efficienti, probabilmente per le sue dimensioni di poco superiori a quelle del parco di una villa patrizia.
La sua superficie era ricoperta da una folta vegetazione, sempre la stessa per tutta l’estensione: un’erba insolitamente alta e sempre verde.
Unica variante di questa monotonia era una fenditura nel terreno, una specie di piccola grotta, appena visibile per la mancanza di erba attorno al suo perimetro.
Le tre anime erano arrivate da poco sul corpo celeste ed erano andate a rintanarsi o forse fatte rintanare, da una superiore forza, in quell’unico riparo.
Le anime che pensano sono un qualcosa di inconcepibile, di impensabile, di inedito e pertanto anche quelle dei tre esseri, cui era stata assegnata una sorte diversa da tutte le altre, si erano trovate scombussolate e, istintivamente, erano andate ad infilarsi nella grotta per acclimatarsi alla nuova atmosfera.
La prima che si sporse dal riparo, per capire dove era andata a finire, dopo aver abbandonato il povero corpo, fu quella del giovane Marco.
Del tutto rasserenato e persino lieto, il suo pensiero così si fece sentire:
"Mi aspettavo di peggio, dopo tutte le prediche che mi sono state fatte da un sacco di gente: i parenti, il parroco, il Professore di religione e tante amiche della mamma.
Qui non mi sembra proprio di essere all’Inferno e neppure in Purgatorio! A quanto pare sono nel bel mezzo di un grande prato.
I miei occhi vedono solo una distesa d’erba non falciata chissà da quando! Beh! Meglio dare un’occhiata anche nei paraggi".
Terminato il pensiero si librò nell’invitante aria pura, fece il giro dell’oasi e poi aggiunse:
Una distesa di verde, sarà forse monotona, ma è davvero riposante e mi aiuterà a fare una grande varietà di pensieri!
.
Per dare la buona novella ai suoi compagni di viaggio, emise poi un festoso pensiero, appena dentro la grotta:
"Non abbiate paura, anime conterranee! Riprendete pure a pensare! Siamo andate a finire o meglio ci hanno spedite in un piccolo, forse piccolissimo, mondo del tutto tranquillo e che invita a fare i migliori pensieri! Consiglio pure voi di fare la perlustrazione spirituale del caso.
Orsù, sono curioso di capire quello che penserete!".
La prima pensata fu quella che emise Flavia, non appena la mente le si libererò dalla paralisi ideativa, causata dal terrore dell’incognito:
"Un’oasi tranquilla, tutta verde, su cui chissà quanti pensieri si potranno fare! E ‘quello che ci voleva perché la mia mente è logorroica, oltre che cervellotica.
Per i miei gusti avrei preferito esser spedita in Paradiso, dove ci si può persino inebriare per le fantastiche visioni sempre in programma. Ma in mezzo a questo verde, a quest’aria rigenerante e sole e solette, le nostre anime si purificheranno e faranno uscire pensieri vigorosi, come pure acque che straripino da un fiume in piena!".
Questo fu invece il pensiero del Conte Uberto, non appena si portò col suo velo fuori dalla grotta ed ebbe data un’occhiata in giro:
Siamo proprio capitati in un posto tranquillo e riposante, con tutto questo verde che ci circonda! E’ stato veramente gentile chi ci ha mandato quassù! Lo ringrazio di cuore, anche se non so chi sia
.
A questo punto il pensiero dell’anima di Marco così esortò le altre:
Ora che i nostri pensieri hanno ripreso a farsi sentire, anime amiche, andiamo a curiosare, in lungo ed in largo, il mondo in cui ci troviamo. Meglio evitare di trovarci impreparati davanti a qualche amara sorpresa
.
D’accordo, Marco
- pensò Flavia - "potremo così capire se qualcuno ci ha mandati qui per premio o per castigo.
Per castigo non credo, perché di fiamme non ne vedo".
Care amiche - pensò l’anima del Conte Uberto - per quel che mi riguarda è stato un premio, ne son sicuro. Ho penato molto e a lungo prima di abbandonare il corpo e la tranquillità di quest’oasi la ritengo quindi un giusto risarcimento per le mie sofferenze. Anche per voi può esser stato così
.
Si mossero allora, i puri spiriti ed il loro esame considerò ogni particella dell’intera superficie del piccolo mondo.
Non richiese certo molto tempo la doverosa operazione, considerata l’insignificante dimensione dell’oasi.
Nulla di irregolare rilevarono: la distesa d’erba non presentava alcunché, che facesse pensare ad un’insidia.
Stavano per tornare nella grotta, per riparare i loro veli da un venticello che si era alzato d’incanto, quando furono colti da una meravigliosa, inaspettata sorpresa: in certi momenti, da una determinata zona dell’oasi, si vedeva apparire, sia pur da una rispettabile distanza, la terra da cui si erano involati.
Quale eccitante visione!
-pensò con massimo gaudio e soddisfazione Marco: Non ci annoieremo di certo su quest’oasi, anche se dovessimo rimanervi per l’eternità! Pensate bene! Avremo il privilegio di seguire le sorti dei nostri cari, di coloro con i quali avevamo mortalmente vissuto e di chiunque altro ci interessi!
.
Non diversi, se non addirittura ancor più gioiosi, furono i pensieri con i quali le anime di Flavia e del Conte Uberto accolsero la fantastica visione.
E tutte e tre le spiritualità se ne stettero in appassionata contemplazione del vecchio mondo, fino a quando il tramonto venne gradualmente ad oscurarne la visione. Si assopirono allora nella grotta, fino allo spuntar dell’alba.
Il punto di osservazione, scoperto il giorno innanzi, fu raggiunto con solo un breve veleggiare dei loro veli: era proprio a portata di pensiero.
La terra nativa era, al momento, offuscata da una nebbia giallastra: dovettero pertanto pazientare un poco, prima di raggiungere col pensiero, quanto di loro interesse risultasse nitidamente comprensibile.
A breve distanza l’una dall’altra sfrecciarono spirituali espressioni di soddisfazione e di letizia.
I pensieri furono unanimi:
Casa mia, casa mia, eccola l’indimenticabile magione!
. Le anime ricavarono tanta commozione da quella vista, che il pensiero lasciò il posto ad un non breve nostalgico squittio dello spirito.
Il primo concreto pensiero fu quello del Conte Uberto:
"Abbandonato all’usura del tempo il mio vecchio castello, era lì che alloggiavo, ecco! proprio là, dove indugia il raggio del mio pensiero…lo vedete? in quel modesto, ma decoroso attico di quattordici stanze, con la mia diletta sposa e l’irrinunciabile servitù.
Scusatemi, mi occorre un assoluto silenzio per una profonda riflessione". E per un poco non si avvertì neppure il minimo alitare di quell’anima.
Rispettata la doverosa pausa, fu la volta degli inquieti, avventurosi ed anche tragici pensieri di Marco a farsi sentire:
"Pensatela pure in lungo ed in largo la mia, che è anche la vostra, città. Tralasciate le case in cui raramente mi rintanavo.
I luoghi del mio agire erano le piazze, i viali, le vie prossime ai Palazzi dei Saloni, del potere, dei padroni degli opifici, delle consorterie bancarie.
Là trascorrevo parte della vita ad aprire, col mio infuocato verbo, gli occhi ai diseredati, agli offesi nel senso di giustizia, ai depredati dall’ingordigia dei potenti!
E tanti ne ho svergognati di quei messeri e tanti grattacapi ho procurato ai burbanzosi potenti, che mi sono procurata una nobile, ma tragica fine: una pallottola in pieno petto sparata dai loro armati sgherri.
Anche senza quella onorevole fine, non avrei certamente meritato l’Inferno e di fatto la mia anima ha avuto un premio per l’intransigente lotta per la libertà, per la giustizia ed il progresso, anche se di quasi risibile portata, mi pare".
Gli spiriti del Conte Uberto e di Flavia si impressionarono alquanto per i focosi e rivoluzionari pensieri di Marco: le idee del Conte ammutolirono addirittura, mentre quelle di Flavia si concretarono, di rimando, in impietosi e caustici concetti a difesa di un rigido orientamento di conservazione.
"Non mi sembra proprio consona allo sproloquiante pensiero, una vera frustata spirituale, che con tanta spavalderia è stato or ora