Stella del Nord-Est
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Book preview
Stella del Nord-Est - Francesco Chiavon
Note
STELLA DEL NORD-EST
Storie di una famiglia italiana
FRANCESCO CHIAVON
Copyright © 2016 Francesco Chiavon
Tutti i diritti riservati.
ISBN: 1533068593
ISBN-13: 978-1533068590
In copertina: 1949 – Passeggiata per Udine
Progetto grafico: Tommaso D'Olivo
Pubblicato con la Esclusiva Strategia Editoriale Self Publishing Vincente
www.SelfPublishingVincente.it
Ai miei nonni, conosciuti e non,
e alla loro sottile e saggia presenza.
Ringraziamenti
La versione finale di questo libro non sarebbe così, se non fosse per il prezioso aiuto e i consigli di Loredana Silluzio, Edgar Alvarado, Piera Giaquinta, Silvia Trupia.
Per gli aiuti tecnico-artistici grazie a Angela Felice, Tommaso D'Olivo, Laura Bison, Marta Serrano, Emanuele Properzi e il suo staff. Per il supporto linguistico-dialettale grazie a Luisa Polo. Grazie per l'indiretta fonte di ispirazione a Mamma, Papà, Max, alla zia Antonietta, alle zie Vanda e Loretta, a Sara Vitoria e a Claudia Chiavon. Grazie a Marí e Tiziana per il loro appoggio. Grazie al mio Friuli per avermi ispirato così tanto. Grazie a Michele. Grazie a tutti coloro che mi hanno aiutato, sostenuto e hanno creduto in me in tutti questi anni.
Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia
Carl Gustav Jung
1
Una sera Otello mi disse: Tellino, puoi venire a suonare dall'Antonietta al Villaggio San Domenico?
E chi sarebbe, questa Antonietta?
, chiesi io con una certa sorpresa.
Beh, è una signorina
, disse lui, senza aggiungere altri dettagli.
Una signorina, dice lui. E che signorina è?
, incalzai io.
Eh dai, è una signorina che mi piace. Non so se fidanzarmi o no. Sono indeciso.
Sorrisi, senza chiedere nient'altro. Otello era piuttosto timido quando si trattava di ragazze e quella sera non mi andava di scherzare troppo, anche perché in qualche modo lo capivo. Ero timido anch'io, in fatto di donne. Pensai che se Otello era riuscito a parlarmene senza agitarsi troppo, allora doveva essere qualcosa di veramente serio.
Vengo senz'altro. Quando?
, dissi interrompendo il breve silenzio.
Pensavo domani sera, dopo cena.
Bene. Mi passi a prendere tu?
, chiesi io.
Sì, viene anche Guerrino.
La sera seguente, puntuale come un orologio, Otello si presentò a casa mia con la sua fisarmonica. Dietro di lui c'era Guerrino, infreddolito come sempre, con la sua chitarra. Io presi il mio violino e con le nostre biciclette ci dirigemmo verso il Villaggio San Domenico.
Otello era una brava persona: uno dei miei amici migliori. Mi piaceva molto suonare con lui e ancora ricordo con affetto quando ci conoscemmo. Era l'autunno del 1938.
Ricordo che, quando andavo in centro a Udine, prendevo via Palermo. Questa strada si incrociava con via Napoli, e passando davanti ad un cortile di quest'ultima, avevo più volte sentito il suono di una fisarmonica. Un giorno decisi di fermarmi ed entrai nel cortile. Il suono proveniva da una piccola casa, sulla sinistra del cortile. La casa era stata costruita su due piani e i muri sembravano piuttosto malconci. Dell'edera si arrampicava selvaggiamente ed era lasciata senza cura alcuna, tanto che stava cominciando a coprire una delle finestre del secondo piano. Avevo l'impressione che i muri stessero in piedi solo perché c'era l'edera a tenerli uniti. Mi affacciai discretamente alla finestra del piano terra e vidi un giovane signore intento a suonare la fisarmonica con passione ed allegria. Sulla tavola c'erano numerosi spartiti sparpagliati confusamente. Uno stava appoggiato sul leggio, e a questo era rivolta tutta la rilassata attenzione del suonatore. Mi ritrassi e mi avvicinai alla porta. Diedi due colpetti che potrei definire timidi.
È permesso? Scusate. Si può?
, chiesi gentilmente, Ho sentito suonare da fuori la fisarmonica e siccome io suono il violino...
Prego, prego entri
, rispose una piccola donnina dal volto pacifico e corrugato. Dimostrava molti più anni di quanti ne avesse. Solo in seguito seppi che era la madre del suonatore.
Il fisarmonicista aveva in quel momento alzato gli occhi dal leggio e mi guardava sorridendo. Ci presentammo. Ci chiamavano entrambi Otello.
Mi disse che mi conosceva di vista. I suoi amici gli avevano già detto che io abitavo lì vicino e che suonavo il violino. Spostai il mio sguardo sul suo strumento. Era una fisarmonica cromatica Scandalli molto bella. Pensai che doveva essere complicato suonare la fisarmonica cromatica e che molto probabilmente quella a tastiera sarebbe stata più facile e che incluso io avrei potuto imparare. Non c'era strumento musicale che non mi affascinasse. Ogni volta che avevo il piacere di vederne uno e soprattutto quando guardavo qualcuno che lo stesse suonando, perdevo in un certo senso il contatto con la realtà. La musica vibrava in tutto il mio corpo ed era come se divenissi un tutt'uno con lei e anche con lo strumento. E quando terminava il brano, sorgeva in me il desiderio di comprare lo stesso strumento e di imparare a suonarlo. Suonavo il violino ed il mandolino soltanto, in quell'epoca, però già mi stavo avvicinando con interesse al pianoforte. Non sarebbe passato molto tempo prima che cominciassi a studiare anche questo strumento.
Le piacerebbe sentire qualcosa?
, mi chiese Otello.
Sì, con piacere
, risposi io.
Mi fece sentire alcuni pezzi fra cui la Mazurka di Migliavacca, considerata un pezzo di bravura per le sue difficili variazioni. La suonò divinamente.
Parlammo a lungo di musica e ci mettemmo d'accordo per suonare insieme. E fu così che, una sera a casa mia ed una a casa di Otello in modo alterno, con violino e fisarmonica, passammo ore a suonare e chiacchierare piacevolmente. Fu facile per noi trovare questa complicità innata, che si fece presto visibile anche agli altri. Infatti, tutti gli amici e persino i vicini ci chiamavano il duetto Otelli
. Per non fare confusione la gente decise di chiamare me Tellino e lui Otello.
Non ci limitavamo a suonare a casa nostra. Cominciammo ben presto a suonare in duetto nei caffè, negli alberghi, a feste di famiglia e a qualche matrimonio. Lo facevamo per piacere, anche se a cambio ricevevamo sempre da bere e qualche spuntino.
Solo a distanza di qualche mese, si unì al duetto Guerrino con la sua chitarra, in seguito anche Demetrio con una seconda chitarra e infine Franco con il mandolino e il violino. Diventammo una bella orchestrina e cominciammo persino a guadagnare qualche lira con i nostri concertini.
Ricordo che nel carnevale del 1939 suonammo tutti insieme all'osteria La Vedova
di Paderno, in occasione del matrimonio dei figli di due nobili famiglie di Udine. Se non mi sbaglio lo sposo era un parente del Conte di Montegnacco. Suonammo la sinfonia di apertura de Il barbiere di Siviglia
di Rossini. Uno scroscio di applausi seguì la nostra suonata. Ricordo la profonda emozione che sentii durante e dopo la sinfonia. I miei occhi si emozionavano facilmente, con la musica. Ci diedero anche un premio in denaro e ricevemmo un pasto completo e vino a volontà.
Poi un'altra volta andammo, Franco ed io, sotto il balcone di Bianca, una signorina di cui si era innamorato e che abitava dietro le caserme degli alpini a Udine. Verso mezzanotte io con il mandolino e Franco con il violino suonammo e cantammo una bella serenata tenendoci sotto il muro della caserma a poca distanza dalla finestra della casa di Bianca. Proprio nel bel mezzo della serenata, quando Franco stava mettendo tutto il suo talento espressivo sul violino, una tremenda doccia di acqua fredda ci piovve addosso bagnandoci fino alle ossa. Udimmo ridere e sghignazzare dall'alto e tutto fu chiaro. Dei militari ci avevano giocato un bel tiro, rovesciandoci due o tre secchi d'acqua in testa. La finestra di Bianca non si illuminò e dopo una mezza risata, ritornammo a casa mogi mogi asciugandoci alla bell'e meglio e con la cassa armonica del mio povero mandolino piena d'acqua.
Tellino, ma cosa fai?
, Otello richiamò la mia attenzione, giacché ero rimasto imbambolato a guardare il vuoto, mentre appoggiavo la bicicletta al muretto.
Sempre con la testa fra le nuvole tu!
, disse Guerrino.
Di qua!
, disse Otello.
Le case che avevamo di fronte erano molto piccole e ad un solo piano; erano state costruite provvisoriamente dal Comune di Udine lungo via della Faula poco prima di sboccare su via Martignacco, per accogliere gente a basso reddito. Restarono là senza modifiche per molti anni, per cui non ho mai capito cosa volesse dire provvisoriamente.
Ci stavamo dirigendo presso la famiglia Battistella, che abitava proprio nella prima casa del villaggio imboccando via della Faula. Antonietta era la figlia minore, rotondetta, mora e con due occhi molto vivi e furbi. Sorrideva sempre e sorrise anche quando entrammo. Otello, che già era molto contento di andare a suonare dai Battistella, diventò raggiante non appena la vide. La casa era molto piccola, si componeva di una cucina e due camerette, però aveva un aspetto gradevole e c'era un'atmosfera molto bella, luminosa e accogliente. Non saprei dire perché.
Giovanni Battistella, il padre di famiglia, si avvicinò senza timore e ci strinse la mano. La forza che trasmise la sua stretta fu impressionante. Scoprii in seguito che discendeva da una famiglia di agricoltori a mezzadria nel Comune di Mansuè, in provincia di Treviso. Si erano trasferiti a Udine da qualche anno in cerca di fortuna e lavorava come mugnaio ai mulini Muzzatti e Magistris sul viale Palmanova. Era un bell'uomo, con un certo portamento e una costituzione molto robusta. Il suo linguaggio era molto colorito nel suo dialetto trevisano. Durante la serata mi resi conto che era un grande amante del vino. In meno di un minuto ci aveva servito già il primo giro di rosso, al quale ne sarebbero seguiti molti altri. La moglie, Maria, era invece una donna magra e ossuta, vestita di scuro e con un fazzoletto nero sulla testa. Osservava silenziosa e il suo sguardo pareva cogliere dettagli estranei a tutti gli altri. Non era per nulla timida. Più tardi lo avrei scoperto. Aveva un modo di parlare ironico e pungente, specialmente con il marito con cui scherzava in continuazione. Tuttavia, quella notte restò silenziosa la maggior parte del tempo, limitandosi a sorridere alle battute e ad apprezzare dentro di sé la nostra musica. Credo che avesse un temperamento lento a scaldarsi. C'era poi Rico, il figlio di mezzo: un ragazzo molto bello. I tratti del suo viso erano dolci e precisi; il taglio degli occhi aveva un che di orientale. Il suo sguardo era espressivo e malinconico a tratti. Sarebbe stato davvero un bel ragazzo, se non avesse avuto la schiena deforme a causa del morbo di Pott, una forma di tubercolosi extra-polmonare, che gli aveva causato, tra le altre cose, una deviazione della colonna vertebrale e la formazione di una brutta gobba. C'era poi Regina, la figlia primogenita. Era alta, ben proporzionata, con i capelli castani che le scendevano sulle guance e con un ciuffo in cima alla testa, sopra la fronte. Quello che più mi colpì furono i suoi occhi così scuri e quello sguardo penetrante. L'espressività e l'intensità dello sguardo dovevano essere una caratteristica che sia Rico sia Regina avevano ereditato dalla madre . La bocca di Regina era definita e sembrava disegnata con una matita. Quando sorrideva, tutto il suo viso si illuminava. Pareva fragile. All'improvviso, ebbi la sensazione che sarebbe accaduto qualcosa di importante. Non so se lo dico con il senno di poi. Non credo. Però ebbi a lungo l'impressione di essere al centro dell'attenzione. Mentre Otello, Guerrino ed io stavamo suonando infatti, tutti sembravano guardare e vedere solo me, specialmente Regina. Sembrava rapita dai movimenti dell'archetto e della mano sinistra e dal suono del violino che forse si imponeva su quello degli altri due strumenti.
Dopo aver suonato qualche pezzo, ci fu offerto del vino. Chiacchierammo un po' e poi Otello si appartò con Antonietta. Regina si avvicinò e si sedette vicino a me. La signora Maria mi disse qualcosa che mi colpì, forse perché l'avevo sentita pronunciare così