L'ultima traccia
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Dario, maresciallo dei carabinieri in pensione, s’interessa alla morte dell’Argentino quando scopre per caso, durante una giornata di caccia, una prova che potrebbe far pensare che l’uccisione di Lopez non sia stata accidentale. Inizierà così a indagare privatamente, cercando le origini della vittima, che nessuno conosceva veramente, e il motivo della sua uccisione.
Tra rancori mai sopiti, vecchie storie di partigiani, tradimenti e contrabbando, le indagini di Dario - ostacolate dal maresciallo dei carabinieri Cantalamessa - lo condurranno a una verità che stravolgerà per sempre la sua vita.
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Book preview
L'ultima traccia - Pietro Garanzini
Intrighi
L'ultima traccia
di Pietro Garanzini
Editing di Caterina Bovoli
Supervisione all'editing di Daniele Picciuti
Immagine di copertina elaborata a partire da:
© Magical_Forest_STOCK_by_wyldraven.jpg Deviantart.com
Produzione digitale: Daniele Picciuti
ISBN: 978-88-98739-72-1
Nero Press Edizioni
http://neropress.it
© Associazione Culturale Nero Cafè
Edizione digitale maggio 2016
Pietro Garanzini
L'ultima traccia
Indice
Sabato 5 settembre 1992
Sabato 19 settembre
Mercoledì 21 ottobre
Venerdì 23 ottobre
Sabato 24 ottobre
Lunedì 26 ottobre
Martedì 27 ottobre
Venerdì 30 ottobre
Sabato 31 ottobre
Domenica 1 novembre
Lunedì 2 novembre
Martedì 3 novembre
Mercoledì 4 novembre
Giovedì 5 novembre
L'autore
Sabato 5 settembre 1992
La giornata era calda, non sembrava la fine di settembre, in cielo non era comparsa nemmeno una nuvola a portare un po’ d’ombra. I due ragazzi scendevano lungo la vecchia mulattiera vicino al fiume; erano stanchi di camminare. Sapevano che sarebbe stata una gita lunga, eppure casa loro si trovava appena oltre le creste delle montagne e, sulla cartina che avevano consultato un po’ troppo frettolosamente, le distanze parevano molto ridotte.
Una volta passato il confine, attraverso un ampio colle tra i pascoli alpini, avevano iniziato la discesa in territorio italiano seguendo l’antico sentiero verso sud, osservando quanto fossero selvagge le montagne e stretta la vallata. A tarda mattina, si erano fermati a riposare sulle rive del fiume che scende in centro alla valle e poi avevano ripreso verso meridione, sperando d’arrivare a Frazione Alta molto presto.
Man mano che si avvicinavano, iniziavano a percepire i primi segni di vita. Una decina di vacche da latte ruminavano placidamente in un prato recintato, incuranti di tutto. Alcuni campi di patate erano stati appena cavati e in lontananza si sentivano dei bambini gridare di gioia.
La mulattiera, poco prima del paese, superava un dosso per poi scendere diretta nel centro abitato. I due ragazzi affrontarono l’ultima salita con le gambe pesanti, sicuri che sarebbe stato l’ultimo sforzo di quella fiaccante giornata.
Arrivati sulla cima della collinetta, notarono subito una casa ben tenuta, certamente abitata, col tetto di piode ordinate e i gerani alle finestre. Non comodissima da raggiungere per i suoi inquilini, si trovava però in una posizione incantevole. Davanti c’era il rudere di una stalla con fienile. Il tetto era crollato e resistevano solo la muratura basale e il cassone in legno. I due ragazzi si guardarono per pochi secondi e poi s’avvicinarono. Accelerarono il passo. Arrivati in prossimità del campo, notarono una cassetta piena a metà di patate. Senza pensarci, scesero di corsa in paese. Non sapendo bene a chi chiedere aiuto, entrarono nel primo bar. Non parlavano bene l’italiano, quel poco che sapevano lo avevano imparato a scuola. Il barista intuì.
«Lassù ragazzi? Sul dosso?» si accertò.
I due giovani annuirono.
«State qui nel bar, non scappate, vado a vedere» disse l’oste togliendosi rapido il grembiule.
Mentre spariva tra le case della frazione, i ragazzi entrarono, avevano sete, ma erano rimasti soli e nessuno poteva servirli.
Il barista si tenne a debita distanza, era abbastanza furbo da non mettersi a toccare un cadavere. Si voltò verso le case e gridò per attirare l’attenzione.
Quando un ragazzino sbucò da dietro una casa, gli ordinò di cercare un adulto che chiamasse subito i Carabinieri.
«Perché?» gli domandò il giovanotto, con l’aria da furbo.
«Muoviti! O scendo da qui e ti riempio di sberloni» rispose egli di rimando.
Quando arrivarono le forze dell’ordine, metà paese era già radunato sul dosso a curiosare e lanciare supposizioni sull’accaduto.
Il maresciallo dei Carabinieri chiamò i suoi superiori, che inviarono gli addetti della scientifica a effettuare i rilievi. In tutto quel trambusto, il barista si era scordato dei due ragazzi svizzeri, che gli vennero in mente solo quando un carabiniere gli domandò chi avesse trovato il corpo. Erano ancora al bar e quando il maresciallo arrivò da loro per le domande di rito chiesero, prima di tutto, qualcosa da bere.
L’Argentino, come lo chiamavano tutti, era stato ammazzato con un fucile di calibro pesante, sicuramente da caccia. La palla lo aveva colpito alle spalle, attraversando il corpo, per poi continuare la sua corsa fino al rudere della stalla. L’ogiva venne ritrovata nell’erba, totalmente deformata e quindi inutile per un eventuale confronto.
Molti abitanti delle tre frazioni principali della valle, Alta, Di mezzo e Bassa, possedevano fucili da caccia. Inoltre, parecchi venivano da fuori per cacciare su quelle montagne e, visto che l’attività venatoria al cervo era già iniziata da giorni, chiunque poteva aver sparato all’Argentino.
Archiviarono il caso come un incidente di caccia, la vittima non aveva nemici in valle, si faceva gli affari propri e anche se non era originario di lì, si era integrato bene nella comunità.
Gli agenti della scientifica calcolarono la traiettoria del proiettile, studiando l’angolazione d’entrata nel corpo sentenziando che poteva trattarsi solo di un colpo accidentale. La distanza era troppo elevata per credere che l’assassino avesse sparato intenzionalmente da un punto così lontano. Il colpo era partito dai boschi che guardano a ovest, e il campo dove stava lavorando la vittima era in centro alla valle, sulla sponda sinistra del fiume, ad almeno seicentocinquanta metri dal punto più probabile di fuoco. Gli esperti di balistica sapevano che un proiettile per la caccia al cervo era assolutamente in grado d’uccidere un uomo a distanze doppie di quella; ma su quelle montagne erano cacciatori, non tiratori scelti dell’esercito.
Trovare il colpevole sarebbe stato molto difficile e non c’era nessun indizio che facesse credere a un omicidio volontario. Tutti sperarono che qualcuno andasse a costituirsi.
Sabato 19 settembre
Quando entrò da Tazio, il locale era vuoto. Dario avrebbe voluto girare i tacchi e andarsene prima che il barista si intrattenesse con lui a parlare di banalità,. ma Tazio aveva sentito la vecchia porta aprirsi e lo aveva accolto con un sorriso, precludendogli la fuga. Non voleva sembrare maleducato e non gli venne in mente alcuna scusa per andarsene senza consumare.
«Maresciallo, buongiorno!» esclamò contento l’oste.
Dario si avvicinò al bancone.
«Sono in pensione, quindi puoi anche chiamarmi col mio nome».
«Non mi riesce, sarà l’abitudine, dopo tutti questi anni».
«Le cose cambiano».
«Va bene. Cosa prende?»
«Un bianco, grazie».
«Eccolo!» fece il barista, appoggiandogli il bicchiere davanti e riempiendolo di vino fino all’orlo.
Dario pensò che nel tentativo di berlo ne avrebbe rovesciata una buona parte e si chiese come mai Tazio facesse certe cose. Si divertiva a pulire il bancone o voleva valutare il livello di tremore delle mani dei suoi clienti? Scosse la testa e, per provare a bere, attese che l’oste facesse qualcosa, invece di stare lì impalato a guardarlo.
«Cosa ne pensa della morte di quel Lopez?» domandò Tazio all’improvviso.
«In che senso?»
«In generale» si strinse nelle spalle il barista. «Si sarà fatto una sua idea».
«Se devo essere sincero, non ci ho pensato affatto».
«Mi hanno detto che le indagini vanno a rilento».
«Beh, ci credo».
«Perché, scusi?»
Dario fissò Tazio per due secondi, pensando che aveva voglia di fare tutto tranne che stare lì a parlare con lui di un morto ammazzato.
«Perché non è un film, ma la realtà, e nella realtà non è tutto facile e immediato».
«Ho capito, ma se hanno il proiettile, non possono fare un confronto con le armi per scoprire quale ha sparato?»
«Da quanto ne so io, l’ogiva è completamente inutilizzabile».
«L’ogiva?»
«La palla, il colpo, il proiettile!» sbuffò Dario, alzando gli occhi verso il soffitto.
«Ah! Pensavo che con quella i carabinieri fossero a cavallo».
Tazio prese un bicchiere dal lavandino e cominciò ad asciugarlo.
«Si è fermata contro il muro della vecchia stalla, sarà totalmente appiattita e deformata, quindi inutile».
«Alla televisione beccano sempre l’assassino confrontando il proiettile con l’arma» disse l’oste pensieroso.
«Bravo, credo che qui manchi pure l’arma».
«Ma non possono diramare l’ordine di portare tutti i fucili da caccia in caserma per confrontarli?»
«Eia, Tazio, sei duro di comprendonio! Ma se l’ogiva non è utilizzabile, con cosa vuoi farlo sto confronto?»
«Ha ragione» si scusò l’oste. «E il guanto di paraffina? Non lo potevano fare?»
«A chi? A tutti quelli che cacciano in valle?»
«Sì!»
Dario scosse la testa sconsolato, non sapeva nemmeno perché rimaneva lì a parlare.
«Tazio, non puoi chiamare tutti i cacciatori per scoprire se qualcuno di loro ha sparato oppure no. La caccia è aperta, chissà in quanti avranno usato la carabina ultimamente. Non proverebbe nulla».
«Quante difficoltà, non lo beccano più l’assassino!»
«Magari è stato un incidente, come pensano in molti».
«Magari…» ripeté Tazio, con la fronte corrugata.
Dario provò ad alzare il bicchiere e come da programma fece finire una buona dose di vino sul bancone rigato e segnato dagli anni.
«Non si preoccupi, maresciallo, pulisco subito!» esclamò il barista, passando prontamente lo straccio.
«Li fai troppo pieni questi bicchieri».
«Certo, che non si vada in giro a dire che Tazio è un tirchio!»
«Così è uno spreco,