Nati alla luna nuova
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Book preview
Nati alla luna nuova - Raffaele Isolato
Nati alla luna nuova
Raffaele Isolato
Copyright© Officine Editoriali 2014
Prima edizione eBook Dicembre 2014
Tutti i diritti riservati.
Il presente file può essere usato esclusivamente per finalità di carattere personale. Tutti i contenuti sono protetti dalla legge sul diritto d’autore. Officine Editoriali declina ogni responsabilità per ogni utilizzo del file non previsto dalla legge. È vietata qualsiasi duplicazione del presente ebook.
ISBN 978-88-98041-45-9
info@officineditoriali.com
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Facebook: http://www.facebook.com/officineditoriali
Ebook by: Officine Editoriali
In copertina foto di Desi Mendoza
Elaborazione grafica copertina:
Officine Editoriali
La foto di copertina è di Desi Mendoza tratta dal catalogo Unsplash.com.
Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni dell’autore e hanno il solo scopo di rendere realistica la narrazione. Qualsiasi analogia o riferimento a fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è da ritenersi puramente casuale.
Nella bella Verona,
dove noi collochiam la nostra scena,
due famiglie di pari nobiltà;
ferocemente l’una all’altra oppone
da vecchia ruggine nuova contesa,
onde sangue civile va macchiando
mani civili. Dai fatali lombi
di questi due nemici ha preso vita
una coppia di amanti
da maligna fortuna contrastati…
W. Shakespeare, Romeo e Giulietta
SOMMARIO
La falce e la luna
Una processione di maschere
Uno di loro
Metamorfosi
Quando si è uomini
Il mio mondo si è fermato a mezzanotte
La verità sta nel sangue
Marchiati
Un premio e uno sfregio
Sotto la maschera di Pierrot
La girandola
Buon Natale, zarri!
Il destino di una spia
Gli ultimi a cadere
Per dimenticare
LA FALCE E LA LUNA
Era il giorno del ricordo, un giorno per mettere un punto e andare a capo.
Ma andare a capo non si può! Il sindaco dovrebbe tenerlo bene a mente, che noi siamo gente semplice e certe cose non ce le dimentichiamo
borbottò Michele Imposimato bevendo il suo caffè.
L’alba lo prendeva così, davanti alla finestra che dava sul breve tratto di spiaggia prima della scogliera, sin da quando aveva rinunciato al mestiere di pescatore a causa dell’artrite. Da allora passava le giornate a casa con Chiarina, la moglie, e di tanto in tanto andava in città per fare spese o per comprare fiori da portare all’altare.
Che non ci vai, oggi?
lo stuzzicò Chiarina, con un sorriso che ormai le venivano rari, visto il carattere ombroso del marito.
Proprio oggi? Sulla spiaggia ci sarà una processione.
Aspetteranno dopo il discorso in municipio, no?
Io non ci vado. Non ho mica preso un impegno? I fiori ai ragazzi ce li porterà qualcun altro.
Sua moglie era d’accordo. Gli disse che lo capiva e, intanto, gli poggiò la giacchetta sulla sedia zoppa all’ingresso, perché si proteggesse dall’umidità residua della nottata. Infatti, finito il caffè, Michele uscì; il fiore, un giaggiolo indurito che aveva conservato in congelatore perché non appassisse subito, lo portava stretto al petto per non farsi vedere. Neppure immaginava che quella mattina, così presto, all’altare avrebbe incontrato qualcuno. Lui.
Che cazzo ha combinato per ridursi così? Ti giuro che a momenti gli vomitavo addosso, gli vomitavo.
E abbassa la voce, che il vicecommissario c’ha le orecchie a radar, ormai.
E che ho detto? Quello secondo me l’hanno torturato per fargliela pagare. Un regolamento di conti, tutto qui.
Un regolamento tra ragazzini di diciassette anni?
Il suo collega, l’agente scelto Andreucci, tossì forte per schiarirsi la voce, poi finse di osservare interessato il medico legale che, ai piedi dell’altare sulla spiaggia, ispezionava il cadavere.
Regolamento, regolamento
ripeté torvo, guardando lontano. Quelli sotto sotto sono ancora tutti pazzi, te lo dico io. Vogliono ricominciare a far baldoria e a scannarsi tra loro.
Secondo me si è ucciso
disse il suo collega, fissandogli la nuca.
E non c’era da aggiungere altro perché, allo scoccare della mezzanotte del sei giugno, Matteo Gaddi si era ucciso davvero.
Era ancora troppo presto perché i pochi passanti si azzardassero ad avvicinarsi per godersi la scena. Avrebbero dato troppo nell’occhio e a quell’ora o si era troppo pieni di sonno o troppo ubriachi per sfidare un manipolo di agenti nervosi e affaccendati attorno all’ultima tragedia di Poggio Marzio. L’unico testimone, il povero e infreddolito Michele Imposimato, era anche quello che aveva chiamato la polizia.
Ora rispondeva paziente alle domande del vicecommissario Lorenzi che, per pura passione del macabro, l’aveva costretto a ripetere la stessa storia almeno dieci volte di fila. E Michele ci godeva anche lui perché più le parole gli salivano alla gola, più l’intera scena gli pareva fantastica, surreale e assai meno dolorosa. Accanto a lui, la moglie tremava al punto da non riuscire a spiccicare più di due parole di seguito; reggeva in mano una tazza di camomilla che aveva portato al marito ma aveva finito per bersela lei.
Allora, Imposimato. C’è un particolare che non mi è chiaro. Il corpo era di spalle… e lei l’ha voltato?
Per vedere chi era, vicecommissa’.
Ma si era accorto che era morto?
No… mia moglie gridava, ma io pensavo che era addormentato. Un ubriaco…
E invece…
"E invece è la fine di tutta questa storia di emo e di zarri, vicecommissa’. La fine, me lo auguro assai."
Venne il turno di Chiarina e finalmente Lorenzi poté sedersi accanto alla vecchia coppia a godersi un racconto come si deve. Di tanto in tanto prendeva qualche appunto ma sul blocchetto non aveva fatto altro che riportare il nome e il cognome della presunta vittima: quel Matteo che aveva sconvolto Poggio Marzio durante i giorni più bui e violenti della sua mite storia di cittadina di provincia.
***
Michele era rimasto col suo giaggiolo azzurro e gelato che a momenti gli segava le dita per il freddo e fissava il cancelletto tutt’intorno all’altare, ricoperto da bigliettini accartocciati e ormai illeggibili, attaccati con nastrini già scoloriti. C’era qualcosa che non quadrava. A prima vista il piccolo monumento pareva una sorta di obelisco di non più di tre metri d’altezza, con incisi i nomi delle giovanissime vittime di una guerra tra ragazzi. In realtà era una colata di cemento su una scultura oblunga di sabbia, e accanto a ogni nome c’era un quadretto con la fotografia sorridente del caduto.
Eppure quel mantello nero sotto il cancelletto non c’era mai stato.
Dapprima Michele, percorsa la metà della distanza, circa duecento metri, che separava casa sua dalla stele, credette di scorgere uno straccio, poi un cane addormentato, poi un ubriacone svenuto. Tornò indietro, in parte perché non gli andava di avere a che fare con nessuno, in parte lieto di avere qualche novità da riferire alla moglie. Chiarina si fece subito inquieta:
E se ha bisogno di aiuto?
Ma no, magari si è addormentato pregando
disse calmo Michele, aprendo il congelatore e ficcando il giaggiolo mezzo piegato assieme agli altri fiori.
Miche’, lo sai che dobbiamo fare, no?
Suo marito scrollò le spalle; ci avrebbe scommesso che anche lei si sarebbe messa lo scialletto per accompagnarlo. Gli era venuto uno strano presentimento, nonostante si costringesse ormai a ripetersi quella stessa parola in mente: ubriacone, ubriacone, ubriacone.
Sulla rena che cominciava a scaldarsi al sole nascente, i piedi di Chiarina misero radici. Marito e moglie erano a pochi passi dal malloppo avvolto in una sorta di mantello scuro. Appoggiato alla rete metallica, un manico di scopa con un falcetto legato alla sommità. Sulla punta affilata stava infilzato un foglio come i mille incastrati tra le maglie del cancelletto.
È la Morte, Miche’… Maria santissima, Madonna mia.
A Michele venne da inghiottire giù un boccone troppo trattenuto di saliva; tossì portandosi la mano sui baffi folti e sporchi di tabacco.
Ma quale morte! Non lo sai che giorno è oggi? È uno scherzo cretino dei liceali del De Medici. Una cosa per gettare il ridicolo sull’amministrazione comunale… una roba così. Al sindaco gli verrà di certo un’ulcera, quando lo saprà. Io di certo non muovo niente…
No, Miche’, c’hai ragione, non toccare niente
fece Chiarina un po’ assente, dopo che per tre volte di fila si era fatta il segno della croce.
E naturalmente, Michele fece quello che lei si aspettava: toccò di tutto. Ribaltò il cadavere, scostò il cappuccio che gli copriva il capo per metà, guardò meglio perché senza gli occhiali da vicino non era proprio un falco.
Per lui gridò Chiarina, che gli stava incollata alle spalle tutta tremante.
Quella era davvero la Morte. Della morte aveva l’aspetto spaventoso: il ghigno scheletrico di un teschio, le guance consumate al punto da lasciare intravedere tutti i molari, il sangue in cui annegava la lingua ormai in poltiglia.
Cristo santo. O Dio…
balbettò il pescatore sbiancando d’un tratto e volgendo lo sguardo al sole già alto. Sperava quasi che la luce gli bruciasse il ricordo di quello che aveva sotto il naso. Un odore che, come avrebbe detto l’agente scelto Andreucci, a momenti gli veniva da vomitare.
Dimmi che è uno scherzo, Miche’. Ma chi può essere stato? Povero figlio di mamma, povero figlio…
Non può essere lui, non può essere.
continuava intanto Michele, che seguiva un altro filo di pensieri.
Vedeva quegli occhi cerchiati di nero, il rimmel che era sbavato sotto le bruciature sulle guance e gli pareva di ricordare. Una notte di luna, la bellissima fanciulla sulla barca: Emilia, la giovane ormai morta che si era portata dietro il ragazzo triste. Si era trattato di quel Matteo che ora l’avrebbe raggiunta in cielo, lontano dalle calunnie e dagli odi che non si fermano mai a riflettere, perché nati ciechi.
Questo è Matteo, Chiari’. Questo è quel ragazzo che è sparito da Poggio una settimana fa.
E come, non me lo ricordo? Dio mio…
continuava a singhiozzare la donna, rimestandosi le tasche del grembiule in cerca di un fazzoletto che non c’era.
È venuto a morire qua, accanto a lei.
Ma perché? Volevamo dimenticare, stavamo cercando tutti di ricominciare. So’ ragazzi con tutta la vita davanti. Meritano solo il meglio, questi angeli. Perché vanno a finire così, Miche’? Ma che gli fa la vita!? Che gli fa!?
Chiarina andò avanti a delirare per un bel po’ tra le braccia del marito, pure lui con la tremarella. Passarono dieci minuti buoni prima che si decidessero a tornare a casa per avvisare il commissariato. E dentro di sé, con gli occhi sepolti in due fessure rugose, Michele continuava a dire: No, nessuno potrà dimenticare. Cose così non si cancellano mai.
***
Un altro agente della Scientifica prelevò accuratamente il foglio sulla punta del falcetto. C’era scritto qualcosa, in grafia leggera ed elegante, forse di penna stilografica: Vidi quae fiunt cuncta sub sole et ecce universa vanitas et adflictio spiritus. Perversi difficile corriguntur, et stultorum infinitus est numerus…
L’agente inarcò un sopracciglio. Aveva più l’aria di un rebus, o di uno di quei messaggi criptati che nei film polizieschi l’assassino lascia sul luogo del delitto per dare il via a una versione adulta del gioco di guardie e ladri. Lo passò al suo superiore, che non ci perse tempo e lo chiuse nella bustina per portarlo in laboratorio. Non c’era quasi più dubbio, però, che in quel caso l’assassino era stato carnefice di se stesso. Matteo era bravo nelle lingue morte; pareva trascorsa un’eternità da quando l’intera Poggio Marzio l’aveva festeggiato dopo il Certamen Ciceronianum di Arpino. Aveva dato lustro alla città piazzandosi al primo posto in una delle competizioni scolastiche più prestigiose d’Italia e i suoi video, compresa una breve intervista, giravano ancora in rete. I filmati avevano avuto centinaia di migliaia di visualizzazioni e di certo non da parte di patiti di Cicerone o del latino. Matteo si venerava o si odiava; c’era stato chi avrebbe ucciso per lui e chi invece, a causa sua, era morto davvero.
Questo ragazzo ha fatto scena fino alla fine. Voleva darci un ultimo spettacolo e forse ci è riuscito
commentò Lorenzi durante il trasporto del cadavere.
Mah!
fece Andreucci. Io mica mi sarei tagliato via la faccia, se volevo tirarmi fuori dalla piazza come si deve. Voglio dire, dopo tutto quello che ha fatto…
Eh già, tu avresti avuto qualche idea migliore?
Per cominciare, mi sarei goduto la scuola e tutte quelle belle fighette che gli sarebbero venute dietro.
Andreu’!
Eh, che fa!? Sono ragazzi, vicecommissario. Se non si divertono loro…
Lorenzi lo lasciò andare a zonzo sulla spiaggia, a godersi il sole che cominciava a cuocere e i riflessi dorati sulle onde lente. Ormai c’era ben poco da fare, se non forse avvisare il commissario del ritrovamento del cadavere e della sua probabile identificazione. Matteo Gaddi. Pareva strano, ma in paese si sospettava che quel ragazzo avrebbe fatto una brutta fine, prima o poi. Bastava dargli un’occhiata poco prima che sparisse dalla circolazione abbandonando gli amici e la sua brillante carriera scolastica al liceo De Medici. Bastava soffermarsi sugli occhi infossati, i muscoli e la carne prosciugati sulle ossa già incurvate, come se sulle spalle portasse il peso di troppi anni, troppi sforzi, troppi sogni finiti a schifo. Una volta erano giunti, loro della polizia, ad un passo dall’arrestarlo per omicidio. Si era trattato della prima vittima dei giorni bui di Poggio Marzio, un ragazzo di nome Edoardo Lovati morto alla Gotha per un tragico, raccapricciante incidente. E già allora qualche testimone che era voluto restare anonimo aveva indicato proprio lui, Matteo, come mandante dell’omicidio.
Come se un ragazzino di diciassette anni potesse…
cominciò il vicecommissario. Imposimato intanto si era alzato dalla panchina in fondo al breve tratto di spiaggia. Lo raggiunse ma rimase in silenzio accanto a lui, entrambi come se pregassero di fronte all’obelisco abbozzato e coperto di scritte, nomi, volti di ragazzi con gli occhi che brillavano, vivi.
Mi dica, vicecommissa’. Che, è morto a mezzanotte?
Chi?
chiese Lorenzi, dandosi dello stupido allo stesso tempo.
Come chi!? Il pipistrello.
Il vecchio nomignolo della banda degli emo li fece sorridere, ma il diversivo non fu sufficiente.
Il medico non può essere ancora così preciso.
Ma si sa, no? È naturale che è stato a mezzanotte. Dica, lo ricorda il tema? Quello che pubblicarono sulla gazzetta della scuola e poi lo copiarono pure sul Corriere di Poggio? Se ne parlò per settimane.
Mentre Imposimato continuava a sussurrargli all’orecchio, forse per rispetto dei morti, Lorenzi si ritrovò a fissare la fotografia di Edo Lovati, il primo.
Certo che me lo ricordo. Quel ragazzo aveva del talento; avrebbe potuto fermare tutto questo, se avesse avuto un po’ più di determinazione.
Eh, determinazione. Lui ci soffriva perché gli avevano ammazzato la bella. E che perla di ragazza, vicecommissa’. Che perla.
La foto di Emilia Ottardi, perita nella strage del tredici gennaio, mandò un luccichio riflesso. La ragazza stava distesa su un prato con le trecce bionde che le ricadevano sulle spalle. Anche da qualche metro di distanza, gli occhi conservavano parte di quella malia che solo qualche mese prima faceva strage di cuori al De Medici.
Può essere. E comunque… sa che forse ha ragione? Il medico ha detto che il corpo era già rigido. Saranno passate più di sei ore dal decesso.
Appunto. Vede? Nulla è per caso.
Nulla? O forse tutto. Di certo questi ragazzi non se la sognavano mica una fine così.
Michele Imposimato annuì greve, poi si levò una pipa dalla saccoccia della giacca. Prese il suo tempo per caricare, accendere, aspirare; infine, soddisfatto, salutò la moglie che, ancora bianca come un cencio, faceva segno di volersene tornare a casa.
Le dica che in mattinata dovrete presentarvi entrambi in commissariato. Per la deposizione
si premurò d’avvisarlo il vicecommissario.
Nessuno dei due, in realtà, aveva voglia di lasciare quel luogo che, dopo il ritrovamento della Morte personificata, aveva acquistato un valore ancora più simbolico, inquietante. Quegli adolescenti, Lorenzi se li ricordava bene. A partire dall’incidente di Lovati, il commissario Montrui aveva lasciato quasi sempre a lui le indagini sugli scontri, i piccoli atti di vandalismo, le ingiurie e le battaglie a colpi di social network che avevano per protagonisti le due nuove fazioni di Poggio Marzio: emo contro zarri, i diversi ed emarginati contro i modelli, i vincenti di sempre. Cose da ragazzi, cose da scuola superiore aveva minimizzato Montrui.
Intanto però c’erano stati l’incidente Lovati alla Gotha, la violenza di gruppo su Donatella Viri, denunciata in seguito, e il sequestro e omicidio di Cristina Adolfi. E poi la morte terribile di Melissa Brandi, calpestata dai suoi compagni, e tutte le vittime dovute al delirio di un ragazzo armato su di giri che aveva sparato ad Emilia, a Ottavio Lanza e allo stesso Alex Smicchi, tradito così dal suo migliore amico.
C’erano tutti, sulla stele. Lorenzi sospirò e rimpianse di aver smesso di fumare da appena quattro settimane.
Immagino non sia un caso neppure il fatto che oggi sia fissato il discorso del sindaco
buttò lì a mezza voce.
Imposimato sbuffò con l’aria soddisfatta e gli occhi ridotti a due fessure per il brillio del sole sulle onde.
Eh no, neanche qui c’è il caso. Il ragazzo era intelligente e avrà programmato tutto per andarsene via sul più bello. Proprio quando tante belle parole verranno spese per dare un nuovo corso alla vita cittadina. E quando sono mesi che la nostra bella gioventù poggese sembra tornata alla caccia alle fighette e alle gare in motorino, ecco che ZAC!
e qui il vecchio tagliò l’aria in linea retta col beccuccio della pipa, ZAC che ti rimpiomba tutto a cinque mesi fa, quando anche a sedici anni eri abbastanza vecchio per doverti guardare le spalle e doverti scegliere un gruppo d’appartenenza che ti salvasse la pelle.
Non la sta facendo un po’ troppo tragica?
Tragica? Io al De Medici c’ho un nipote, vicecommissa’. Quello è appena uscito dalle medie e già la domenica mi viene tutto eccitato a dirmi quello che combinano i suoi compagni delle classi più alte. Roba da farti rizzare i capelli sulla testa. E badi che non le dico nulla solo perché sta in polizia, se no…
Rise solo Lorenzi, a quella botta di sincerità. Poi decise di togliersi un altro sfizio prima di congedarsi, forse spinto dalla loquacità un po’ nervosa del vecchio pescatore.
Lei crede che Matteo Gaddi avesse qualcosa sulla coscienza? Voglio dire, oltre che il dolore per la perdita della sua… fidanzata.
Il vecchio tossì e sputò, preso da un irrefrenabile attacco di risa.
Fidanzati! Ma lei ce lo vedeva quel Matteo assieme alla Ottardi? No, dico: manco la bella e la bestia! Li doveva vedere quando vennero qui la prima volta. Ci rimasi male perfino io, che di coppiette romantiche sulla spiaggia ne ho viste a centinaia!
Ok, ok. Mi dica solo, in via del tutto informale ovviamente, lei pensa che Gaddi avesse avuto davvero a che fare con l’incidente di Edoardo Lovati?
Imposimato lo guardò incuriosito, poi scrollò le spalle come per ribattere che quella storia andava ben al di là del suo interesse e della sua capacità di deduzione logica.
Se dico ancora una volta che niente è per caso, finisce poi che le ingarbuglio ancora di più le carte in tavola, eh vicecommissa’?
Il proprietario della Gotha, centodieci chili di simpatia e un metro e settanta di cazzi miei – così si presentava, esilarante, alle serate – era già a tavola per la colazione quando sua figlia Carol irruppe in cucina con la notizia della giornata. Maurizio Lanza non era mai stato mattiniero ma quella domenica, d’accordo con la moglie Giulia, aveva puntato la sveglia alle otto per impedire a Carol di uscire di nascosto e partecipare alla cerimonia in municipio. Era stato fin troppo attento, dopo che la figlia aveva terminato le scuole medie, che non frequentasse le stesse amicizie del fratello Ottavio.
E infatti hai visto com’è finita. L’abbiamo perso. Ce l’hanno ammazzato
aveva ripetuto per giorni alla moglie. Per lungo tempo si era anche imbottito di tranquillanti: in qualsiasi momento e prima di uscire la sera o di pomeriggio per incontrare i PR e pianificare le serate alla Gotha.
La discoteca gli era fruttata ancora di più da quando Edo Lovati, anche lui della stessa scuola di Ottavio, vi era morto spiaccicato nella sala grande. E, guarda caso, i guadagni si erano triplicati dopo che la strage del sei gennaio gli aveva falciato il figlio primogenito. Ma si sa, la gente ama il sangue, le tragedie; è attirata dal dolore altrui come le mosche dal sudore. La gente non distingue tra un appassionante episodio di fiction alla tv e una catastrofe reale nella città. Viene a ballare apposta per vederti soffrire e compatirti e non capisce che a morire ucciso da un colpo di pistola al polmone è stato il sangue del tuo sangue.
Bada che Carol non entri in nessuno di quei fottutissimi gruppi. Sennò le torco il collo. Controllale le telefonate, e dove va la sera con le amiche.
Dall’inizio dell’anno i controlli di Maurizio sulla vita della figlia erano divenuti esasperanti. Aveva il terrore che qualcuno là fuori stesse tramando per portargli via anche lei; come se qualcosa covasse nell'ombra… qualcosa che si era meritato. Carol si era iscritta all’Istituto Professionale di Poggio Marzio, ma le amicizie negative erano sempre dietro l’angolo. Nonostante i primi tempi avesse protestato a tutto spiano, non le era stato consentito neppure di mettere lo zampino in discoteca.
Non fa per te, angelo. Quello è un posto da troiette
le diceva per tenerla buona.
E intanto gli tremavano le ginocchia sotto il giornale e sentiva ai testicoli il pizzicore della trasgressione. Perché in quelle sale tappezzate di velluto, alla Gotha, lui diventava il demonio; era il suo personale regno degli orrori.
Dopo l’atto folle di Gianni Hartwig qualcosa, tuttavia, era cambiato. E quella mattina sarebbe cambiato ancor di più.
Alla tv il telegiornale riportava le solite promesse politiche. Ma Maurizio spalmava il miele sulle sue dieci fette biscottate senza fare attenzione alla voce ovattata del giornalista. Aspettava Carol per vederla in pigiama, e nient’altro.
Il caffè è quasi pronto
annunciò la moglie, squadrandolo un po’ stranita.
Uhm!
stava bofonchiando il Lanza, quando Carol fece il suo ingresso di furia, tutta acchitata e pronta per uscire. Reggeva il telefonino con due mani, incredibilmente intenta a rispondere a un messaggio. Non aveva neppure detto buongiorno e non si era accorta del padre seduto a tavola.
Non si saluta?
chiese Giulia, preoccupata.
Che devo salutare, ma’? Ti saluto quando esco.
Eravamo d’accordo che non si usciva, stamattina. Potrebbero esserci casini in città, e al Municipio sicuramente qualcuno farà scoppiare disordini. E per favore… stacca gli occhi da quel telefonino!
Carol premette invio, e neppure cominciò a rispondere Ma…
che vide suo padre, seduto dalla parte opposta del tavolo circolare, che la guardava come se allora allora gli fosse apparso il figlio defunto, pronto per uscire a farsi ammazzare per la seconda volta.
Buongiorno, pa’.
Avevo ragione. Per quanto mi riguarda, puoi anche filartene in camera tua e levarti quegli orecchini da puttanella
fu la risposta.
Ma pa’, tu non sai…
Ma pa’ un cazzo! Si obbedisce, quando i tuoi genitori ti chiedono una cosa dal giorno prima!
Sbatté i pugni sul tavolo sbriciolando un paio di fette, ma era troppo pesante per alzarsi in piedi con la stessa furia. Rimase con una chiappa che gli sporgeva libera dalla sedia e con l’altra incollata per metà sul cuscinetto; la posizione era talmente comica che Carol dovette premere un po’ di tasti alla cieca per distrarsi ed evitare di ridergli in faccia.
Lo sai che è successo a tuo fratello? Lo sai quello che gli hanno fatto, no?
La ragazzina impallidì sotto il fard, poi rispose con la voce acuta che tremava di rabbia.
Ma perché devo averci la colpa io? Se era mamma, mi faceva uscire.
Se era mamma un cazzo! E levati quel cellulare dalle mani!
Ma tu non sai la notizia! Stamattina presto…
Metti il pigiama, poi vieni e me lo racconti.
Carol sbuffò, per nulla rassegnata.
Non voglio andare al municipio, ma alla spiaggia dove sta l’altare!
E che mi frega. Ci andrai domani.
La ragazzina dovette tornarsene in camera e cambiarsi, struccarsi, spettinarsi, intristirsi, prima di tornare in cucina dal suo caffellatte e biscotti. Aveva pure avuto il tempo di avvertire le amiche che dava loro buca per quella domenica, causa padre mattiniero e rompicoglioni.
La ragione del frenetico messaggiare di quella mattina, Carol la spiegò in un attimo. Suo padre tentò disperatamente di assumere la consueta espressione disillusa e superiore di fronte alla seconda tazzina di caffè. Le parole gli entrarono dentro come mille stilettate di ghiaccioli appuntiti. Matteo Gaddi. Morto, forse suicida.
Chi te l’ha detto? Ma stai parlando di quel ragazzo scomparso? Quello che era amico di Ottavio?
chiese Giulia, dopo aver fatto cenno alla filippina di sparecchiare e caricare la terza macchinetta di caffè.
"Sì, quel Matteo Gaddi, mamma. Ma non mi senti? Ci poteva stare un altro capace di una cosa così? Gliel’ha messo nel culo a tutti!"
Carol!
È stato il messaggio di Clarissa, io che c’entro.
E tu non imitarla, no? Ma come… dove?
"Come io non lo so, visto che qualcuno mi ha quasi rispedita a letto. Dove, te l’ho già detto. Alla spiaggia dell’altare, quella dove sta la foto di tutti i… insomma, le loro foto. La notizia gira che saranno due ore. Ormai saranno tutti lì."
Maurizio ascoltava e cambiava canale in continuazione. Nessuna notizia neppure sulle tv locali. Possibile che fosse stato uno scherzo? Uno scherzo di cattivo gusto, o forse una trovata di quel ragazzino che aveva rischiato di mandargli la vita a rotoli. E con la vita la discoteca, la famiglia, la sua stessa salute mentale. Perché il tumore pulsante che covava e carezzava e nutriva alla Gotha aveva rischiato di varcare le mura foderate della discoteca per riversarsi in città e inghiottire tutto il resto della sua quotidianità.
Ti stanno a prendere per il culo. In tv non ne parlano
disse a bruciapelo, guardando fisso la figlia con le labbra carnose che gli tremavano.
Giulia gli lanciò occhiate di rimprovero, indicando al contempo la filippina che dava loro le spalle.
"Ma papà, Clarissa le balle non me le racconta.