Il labirinto di orchidee, Niente è come sembra
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About this ebook
A seguito della perdita di questa figura tanto importante, Laura conoscerà l'oblio della sofferenza, che la porterà fuori dal binario, impedendole di capire quale sia il percorso giusto.
Cesare, cresciuto con lei sin dalla prima infanzia, le starà accanto, fino alla sua partenza per Boston, motivo che destabilizzerà la donna gettandola nello sconforto più totale.
Perdere qualcuno che amiamo può essere destabilizzante. Amare può fare ancora più paura, può farci soffrire, rendere friabile il terreno sotto ai nostri piedi, portarci a commettere errori imperdonabili.
Laura conosce Giorgio, che da marito perfetto si tramuterà nel suo carnefice.
Riuscirà a liberarsi dalle catene che lei stessa si è auto inflitta?
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Il labirinto di orchidee, Niente è come sembra - Letizia Turrà
Letizia Turrà
Il labirinto di orchidee, niente è come sembra
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Indice dei contenuti
PREFAZIONE
Introduzione
Dedica
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Presentazione autrice
PREFAZIONE
Due anni fa ho perso mio nonno.
Era un uomo grande e forte, dalle spalle larghe che avevano saputo sostenere molte avversità, come quelle della guerra, la fame, il benessere, due lavori per dare da mangiare a cinque figli, poi divenuti quattro, a causa della prematura scomparsa di mia madre.
Così lui e mia nonna si fecero carico anche di me, che non avevo certo un carattere facile.
E’ morto velocemente, in pochi mesi un tumore lo ha portato via con sé, non prima di consumare ogni singola parte di quell’uomo forte e vigoroso che era stato un tempo.
La vita non lo ha risparmiato, se n’è andato nella totale delusione perché non era così che pensava di morire, dopo una vita di sacrifici.
Poco prima della sua morte, quando andai a trovarlo, con le poche forze che aveva sedette al mio fianco.
Mi guardò con il volto scavato ed ebbe solo la volontà di chiedermi scusa.
Scusami, perché non ti sono stato vicino come avrei voluto.
Qualche giorno dopo ripresi l’aereo per tornare al nord, cosciente che mio nonno non lo avrei mai più rivisto. Cosciente che la vita a volte è maledettamente fuori dal nostro controllo, che non possiamo, neppure nonostante la nostra forza, sostenere tutto, né cambiare il corso del destino.
Ho deciso di scrivere di questo.
Poiché dopo la sua morte non sono riuscita a metabolizzare quel dolore, ho deciso che avrei parlato di lui per ciò che era, il mio eroe, riportando sensazioni ed emozioni che nella mia mente tengo in un angolo nascosto, di difficile accesso per chi non mi conosce perfettamente.
La sua perdita è stata destabilizzante per me. Da quel momento ho fatto l’errore di estraniarmi dal mondo circostante, mi sono chiusa nel silenzio, ho ricominciato a farmi tutte quelle domande su quanto sia ingiusto Dio con alcune persone, di quale sia davvero il nostro ruolo qui, e sul perché la vita a volte sembra accanirsi sempre con chi ha dato tutto se stesso agli altri, mentre gli invidiosi, gli insidiosi, coloro che agiscono per il male, se ne stanno lì imperterriti ad agire indisturbati.
Ci ho messo due anni per capire che ci sono domande che non meritano risposta, perché sbagliate.
Dovremmo smetterla di chiedere, e incominciare a cambiare rotta con la nostra barca quando il mare è in tempesta, senza però pensare che potremo scamparla, la tempesta dovremo comunque affrontarla, in un modo o nell’altro.
Mi sono rifugiata per un lungo periodo nei social network, dove ho conosciuto persone benevole, e persone cattive. Entrambe quelle categorie di persone avevano bisogno di una sola cosa: AMORE.
Perché è l’amore che spinge avanti la vita, la passione, il coraggio e la gentilezza, diventata ormai rivoluzionaria.
Dedico questo libro a tutte quelle persone che sovente mi ringraziano per quello che scrivo, perché nelle mie parole si rivedono e possono per un attimo evadere dalla realtà quotidiana, che magari li vede costretti ad accettare uno status che non tollerano e vivere al fianco di qualcuno che gli procura sofferenza.
Sappiate che nessuno mai sarà esonerato dal soffrire, ognuno di noi racchiude dentro sé un mondo fatto di afflizione e bellezza allo stesso tempo.
Perché non dobbiamo dimenticare che la vita è anche bella.
Quindi il mio pensiero va a quelle donne vittime di violenza, che non riescono ad uscire da quella gabbia che loro stesse si sono inflitte.
Dedico questo romanzo alle mie colleghe, che sono state preziose per me, e in particolar modo a Mariella, che ho incontrato in un momento della mia vita in cui non ero pronta a condividere con nessuno le mie emozioni a causa della mia ostinata paura, glielo devo perché ha saputo amarmi, più di quanto una persona sia in grado di amare nella profondità.
Un altro speciale ringraziamento va a Luisa, che ha saputo donarmi un paio di ali, e lei sa perché.
Ringrazio ancora infinitamente Chiara Fedele, che ha lavorato insieme a me alla realizzazione della copertina di questo libro, per la sua spontaneità e gentilezza nel riservarmi anche solo un giorno del suo lavoro, non la ringrazierò mai abbastanza.
In special modo la dedica la rivolgo a mia madre, la mia primaria fonte di ispirazione data la sua vita travagliata, che non è comunque stata in grado di toglierle quel suo sorriso magico, aperto al mondo.
Uno speciale riconoscimento di pazienza e fiducia in quello che faccio va sempre alla mia famiglia, che mi rispetta nei miei spazi e mi sprona a dare sempre il meglio di me. Mio marito in particolar modo, per tutte le sere che stanco morto restava ad ascoltare le bozze dei capitoli, mentre richiedevo la sua attenzione costante!
Grazie a tutte le altre persone che sono parte della mia vita, perché senza di voi non potrei continuare…
Vi abbraccio tutti, mi raccomando, credete in voi stessi, tutto ciò che gli altri pensano, è solo una loro idea…
A presto,
Letizia T.
Sito web: www.letiziaturra.com
Introduzione
Di tutto restano tre cose:
la certezza che stiamo sempre iniziando,
la certezza che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare dell'interruzione un nuovo cammino,
della caduta un passo di danza,
della paura una scala, del sogno un ponte,
del bisogno un incontro.
Fernando Pessoa
Dedica
Alla mia famiglia, a mio nonno.
Capitolo 1
Il giardino di orchidee
Una località di mare, la brezza marina che accarezza la pelle, i vetri forgiati dal corso dell’acqua e dal tempo, che ne ha arrotondato i contorni rendendoli minerali che in rilievo spiccano dalla sabbia, pronti a mostrare la loro lucentezza.
Semmai dovessi raccoglierli e portarli a casa, ecco che ti accorgeresti che non sono più uguali a come erano quando li hai raccolti sulla spiaggia, perché è sul mare che ne viene catturata la loro vera essenza.
In lontananza è possibile udire una musica di pianoforte. Giunge dal centro, è l’invito rivolto dai musicanti al pubblico, che li richiama a festeggiare con loro la bellezza della vita.
La vita non è quello che ti accade mentre cammini, mentre corri, mentre pensi.
La vita non è una ruota che gira come molti ci hanno educato a pensare, e non è nemmeno una corsa a ostacoli con una meta da raggiungere.
La vita è molto, molto di più.
E’ uno scorrere lento e veloce di un fiume procace, molto di più di tutto ciò che ti accade, più di una ruota o una corsa a ostacoli. E’ più di una meta con uno scopo finale.
La vita è amore, allo stato puro. Simbolo della ricchezza di un’umanità, che sembra non credere più a niente.
Eppure non si vive senza amore.
E’ una cosa che ho scoperto col tempo, da quando mi sono auto imposta di aprire una porta che credevo chiusa, quella del mio cuore.
Tutto iniziò quando osservai in silenzio i miei polsi, legati a un letto di ferro battuto, doloranti e sanguinanti.
Mentre il ricordo mi riportava ai miei giorni di infanzia, me ne stavo lì a recuperare i cocci di una vita da adulta persa a sbagliare dietro alla valutazione di ciò che era stata la mia esistenza, fino a quel fatidico decadere, così in basso. Facevo una valutazione, una volta per tutte.
Un termine del tutto nuovo per me.
Valutare, infatti, non era mai stato il mio forte.
La mia storia era stata più un raid di persone. Una vita metti e togli
, passata a intervistare volti, selezionare storie e sfaccettature di personalità a volte contorte, altre volte delicate, quanto mai sconvenienti, e a tratti rudi.
Quando si tratta di parlare di sé, di lasciarsi andare, non tutti sono in grado di liberarsi dalle catene, fisiche o mentali possano essere.
Preferiamo celarci dietro schermi illuminati, attraverso nomi fittizi, maschere invisibili e spinose abitudini.
Siamo animali fatti di sessualità e primordialità allo stato puro.
Durante un’esistenza fatta soprattutto di riflessioni, ho avuto modo di conoscere persone eccezionali, dotate di un carattere e di un’umanità eccellenti. Persone di una cultura e di uno spessore emotivo aldilà di ogni immaginazione.
Ho incontrato anche la crudeltà umana, constatando come l’uomo possa arrivare a dare il peggio di sé, facendo del male ad altri pur di condiscendere alla propria insoddisfazione.
Ed ora ero nella fase di bilancio, quella in cui si tirano le somme.
Ero cresciuta in un contesto rigoroso, con una madre che non accettava di far parte di una dinastia borghese ormai estinta, alla quale era rimasta dannatamente ancorata.
L’ho vista autodistruggersi, persa nella chirurgia plastica e nell’alcool. Non sapevo mai quando era il giorno in cui stavo comunicando con mia madre e quando con la signora del rhum, ormai ero solita definirla così.
Mio padre era greco. Sebbene un uomo di cultura e uno scrittore affermato, non aveva mai avuto la cosiddetta vena di padre, trascorreva gran parte del tempo a scrivere. Esprimeva concetti buttati dapprima su un foglio, poi lo appallottolava e imprecava contro il cestino della carta dove era diretta la pallina di idee.
In cerca di ulteriore ispirazione, guardava fuori dalla finestra il nostro labirinto.
Possedevamo un maestoso giardino all’Italiana con enormi edere e orchidee bianche e viola.
Il labirinto, posto al centro della proprietà, era stata un’idea di mio nonno Nestor, da tutti chiamato Nicola.
Era lui il filosofo di casa, scrittore e poeta greco, da cui mio padre aveva ereditato la passione per la lettura e la prosa.
Di lui manterrò sempre ricordi piacevoli molto più che con i miei genitori.
A dire il vero manterrò gli unici ricordi che possiedo solo grazie a quell’uomo e ai suoi precetti.
Un amore forte il nostro, fatto di sguardi che erano sufficienti a comunicare, perché non servono parole quando è il bene sincero il motore trainante di un rapporto.
Ed anche laddove servissero, il nonno sapeva sempre usare quelle giuste.
Il nostro rapporto era iniziato lentamente, come la costruzione di una casa, per molto tempo rimasta priva di finestre.
Provate a immaginare un piccolo mattone.
Lentamente aggiungete gli altri fino a formare una casa.
Ora pensate alla casa completamente eretta ma senza ancora le finestre.
Pensatela anche in un giorno di freddo e vento.
L’aria passerebbe per ogni pertugio, ogni apertura, creando così una forte corrente.
Ecco cosa succede a quel tipo di rapporti. Hanno la solidità di una casa ma allo stesso tempo non possiedono il calore di un focolare perché permettono all’aria fredda di penetrare. E’ una casa a metà, dove non ci si sente sicuri.
Avrà bisogno di finestre prima o poi per essere vissuta.
Finestre che permettano di godere di quello che c’è fuori pur restando dentro, al sicuro.
Mantengo intatto il ricordo di quella volta, in cui ritornato in Italia da un viaggio all’estero, mi aveva portato alle giostre durante la festa del Santo Patrono.
Tutto diventava emotività insieme a nonno Nicola, mi vestiva con l’abito più bello e adornava i miei riccioli di fiocchi rosa e azzurri che accarezzava piano, quasi fossero petali di cotone.
Mi sentivo sicura solo al suo fianco, tra le sue forti e grandi braccia.
Mi esibiva con grande orgoglio agli amici del circolo, dove spesso il pomeriggio si recava per discutere vari temi filosofici o socio-politici.
Io guardavo tutti quegli uomini acculturati fumare sigari, e mi chiedevo cosa volesse dire essere una persona tanto ricca di sapere.
Alcuni di loro si dimostravano ostili riguardo alla decisione del nonno di portare una bambina in un contesto tanto complesso, ma il nonno non sembrava dare importanza alla cosa.
-Nonno – gli dicevo – ma quante cose un essere umano può essere in grado di conoscere?
-Possono essere innumerevoli bambina, ma non infinite. La mente umana è programmata per assicurarsi un gran numero di informazioni, ma qualora debba incamerarne altre che ritenga più importanti, allora deve fare spazio a quelle, quindi alcuni dati precedentemente appresi andranno persi.
Ai miei occhi non mi sembrava fosse così per mio nonno, che sapeva sempre dare la risposta giusta ad ogni domanda, in ogni occasione.
-Non capisco nonno. Spiegati meglio!
, dicevo incuriosita, sapendo di stuzzicare il suo ego.
-Ti racconterò allora un aneddoto, famoso tra noi del circolo. Una volta a teatro, un giovane si vantava di essere sapiente perché conosceva molti sapienti. Un filosofo replicò: ‘anch’io conosco un gran numero di ricchi; questo, però, non mi ha reso più ricco!’. Capisci? Non conta che tu conosca sapienti o ricchi perché tu possa dire di raggiungere il loro livello, tutto dipenderà da quanti dati il tuo cervello sarà stato in grado di immagazzinare e rendere esperienza.
-Cos’è l’esperienza?
-E’ una parola tanto lunga quanto impossibile da spiegare con facilità, lo capirai col tempo, quando avverranno certe cose.
Rimanevo sempre affascinata dai suoi dialoghi, poiché coerenti col suo modo di essere, in casa e in pubblico.
Come ogni nonno era consapevole che invecchiando prima o poi mi avrebbe lasciata.
-Ti ricorderai di me bambina mia, quando non ci sarò più?
-Certo che sì, nonno, ma perché dici così? Non sei stato tu a dirmi che resteremo insieme per sempre?
-"L’ho detto ma non crederai certo che sia vero? Nessuno vive tanto a lungo da non separarsi da coloro che ama, sai che noia sarebbe vivere così tanto? Per sempre è tanto tempo, stellina mia, e il tempo è sempre stato tiranno con me. Ora guarda questa giostra e pensa che potrebbe essere la vita. Essa sarà qui solo fino alla fine di queste feste, non resterà qui a lungo, o almeno, non per sempre.
Tutto passa. L’acqua del ruscello, il pianto di un bambino, un amore sbagliato, una strana malinconia. Niente dura o ha una precisa durata che equivalga a ‘per sempre’."
Lo sapeva bene lui che aveva vissuto la guerra e aveva patito la fame, vissuto gli anni del benessere e costruito la fortezza del labirinto
, così la chiamava in quanto la casa era stata