Sulla Luna c'è Marcoffio
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Book preview
Sulla Luna c'è Marcoffio - Vincenzo Antonio Grassi
Boys.
Sulla luna c’è Marcoffio...
Ancora adesso scrutando il cielo di luna piena, ricordo di quando ero convinto che lei mi seguisse nonostante mi spostassi in continuazione per non farmi afferrare
. Come nei viaggi con l’auto di papà. Era sempre lì in agguato dietro una montagna, o dopo il passaggio di una nuvola. Riuscivo a distrarmi solo con i paracarri, quelli in cemento colorati di bianco e di nero simili "...a tanti bambini che si tengono per mano e che fanno un girotondo" fino al termine della curva pericolosa. E magicamente riappariva, con lei Marcoffio…
CAPITOLO I
"Bisogna trovare il proprio sogno perché la strada diventi facile. Ma non esiste un sogno perpetuo. Ogni sogno cede il posto ad un sogno nuovo. E non bisogna trattenere alcuno." (H. Hesse)
In banca avevo passato un po’ di anni della mia vita, sufficienti a farmi capire che non faceva per me. Avevo appreso molte cose sul mondo della finanza, su chi la governa. In particolare che i principali rapinatori di banche sono gli stessi banchieri e che per nessuno di loro è mai scattato un sistema d’allarme.
Allora ho provato ad inseguire le mie passioni, fra le tante sciagurate una seria: l’amore per il giornalismo. Mi ha consentito di vivere. Vivere come avrei voluto e non come avrebbero voluto quelli che spesso definiamo altri
e che fanno parte della tua famiglia più o meno allargata: mogliefiglicolleghiamici e parenti, anche oltre i gradi definiti per legge. Li ami, li osservi. Ti osservano. A volte li detesti. Ti sono vicini e vorresti che fossero lontano. Lontano per desiderarli, ma non per sempre. Come si fa con le amanti, anche di poco conto. Loro però non fanno parte della categoria e solitamente non fanno questioni. Sanno sin dal principio di vivere situazioni affettive precarie. Piacciono proprio per quel loro senso di provvisorietà: amori on demand
. Spesso vivono storie parallele, ma non te lo dicono. Quando lo scopri, capisci che ognuno cerca di sfruttare qualcun altro. Ed ogni qualvolta che questo accadeva a me, ripetevo a memoria:
"Le donne? Una razza inferiore! Destinate a piangere, a gridare, a sparlare del prossimo e a cambiare opinione e pettinatura ogni giorno. A letto e in cucina talvolta danno piacere. Al di fuori di questo, causano solo dispiaceri. (da – Parole in Cammino – Storia dell'uomo che voleva partorire.
E.H Galeano).
Loro però non erano un problema, come non lo erano gli altri. La mia era tutto quello che ti rode dentro camuffato da voglia di cambiare vita, abitudini e tardi, anche lavoro ed amicizie. Ma non si può annullare il passato e non cancellare sé stessi.
Quando "la bestia" mi ha aggredito non ho potuto difendermi. L'infarto è un fulmine a ciel sereno. Non bussa alla tua porta per annunciarsi: «Toc, toc, buongiorno sono l’infarto. Cosa ne dici se oggi provo a rovinarti se ti va bene, per tutta la vita? Poi chiamala vita! Forse ti faccio anche un piacere se per causa mia crepi.»
L’ho percepito come una sorta di ingiustizia. Un tradimento crudele. Più perfido di un istinto femminile gestito a sangue freddo.
Mentre mi prelevavano dall’auto, mi preoccupavo di perdere l'immagine di me come persona integra. Stronzo ed egoista come sempre. Inevitabilmente e me ne rendevo conto, avrei dovuto guardarmi da quel momento in poi come un'altra persona. Ancora una volta, un'altra volta, ed era questa la cosa che più mi seccava in quegli istanti concitati che scandivano i tempi del soccorso dei sanitari accorsi con una unità mobile, allertati da qualche buona coscienza. Poi nulla più. Nessun altro ricordo lucido. Credo di aver perso i sensi durante il trasporto in ospedale.
Il monitor al mio fianco è stato la prima cosa che ho scorto aprendo gli occhi. La cognizione temporale, un passaggio complesso da focalizzare. Da quanto tempo ero lì?
Come mai non c’era nessuno al lato, in fondo al letto?
Già ero lontano dagli affetti istituzionali, dagli altri. Ero a Parigi per un reportage sulle elezioni presidenziali, quelle che insediarono poi Sarkozy all’Eliseo.
Il battito del mio cuore non era più soltanto un rumore ritmico, credo normalizzato. Adesso ne osservavo anche la sua forma: un cuore sempre pieno di sentimenti, ancora di belle speranze!
Avranno avvertito qualcuno? Lo scoprirò domani, o forse mai
mi ripetevo.
Il pensiero ricorrente però non era la morte, non lo era mai stato. Così argomentava quella parte razionale di me, convinta di saperla lunga in fatto di patologie cardiache, ma anche di essere stato soccorso in tempo e collocato in una struttura idonea, almeno così mi sembrava osservando il numero di soggetti stesi come me. Convinta di aver passato momenti ancora più bui, quella parte sapeva anche che ho il vizio di dipingermi tutto in nero, ma che spesso e volentieri finisco poi per cavarmela. Sapeva che drammatizzare era un modo come un altro per non guardare in faccia la realtà.
Il pensiero ricorrente era quello a cui sarei andato incontro: brodini, semolini insipidi, passati di carote, detestabili frutti cotti, orari da convento, l’apparecchietto per misurare la pressione, di quelli digitali infilato al dito. Un ipocondriaco di ritorno, ecco quello che sarei diventato. Un’ipotesi che cominciava a farsi insistente. Il problema è che io ho "due me" ed entrambi sanno quasi tutto sull’infarto. Da quando appunto mio fratello maggiore tre