Misteri, leggende e storia del lago di Bolsena: Affascinanti misteri e leggende nel lago di Bolsena
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Misteri, leggende e storia del lago di Bolsena - Claudio Lattanzi
Claudio Lattanzi
Misteri, l eggende e storia del lago di Bolsena
A Lucina, la cui importanza non ha nulla
a che vedere con misteri e leggende
Introduzione
Il viaggiatore che, per la prima volta, getta dall’alto lo sguardo su quella enorme distesa d’acqua solcata da due isole, non ha sempre la consape-volezza di trovarsi al cospetto di una delle terre più affascinanti e miste-riose del nostro paese. Molte volte accade, però, che quell’insolito panorama evochi immediatamente in lui una sensazione magnetica di at-trazione e singolare fascinazione. Lo spirito del viaggiatore attento e non frettoloso è come soggiogato da una forza che lo attira a sé con la pro-messa di narrargli antiche storie in cui sono racchiusi i segreti di questa strana terra di Tuscia, a cavallo tra Lazio, Umbria e Toscana. Il lago di Bolsena e i paesi che lo circondano sono infatti depositari di una storia millenaria e custodiscono un tesoro ricchissimo che si è accumulato attraverso una stratificazione culturale i cui fondamenti risalgono a tremila anni prima della nascita di Cristo, con le prime popolazioni che vissero qui, in villaggi costruiti su palafitte. Nell’arco di pochi chilometri si tro-vano vestigia, tracce, monumenti e indizi di un passato densissimo di eventi, personaggi e civiltà che hanno plasmato il mondo così come lo co-nosciamo oggi. Popolazioni primitive capaci di costruire tumuli gigante-schi nascosti sott’acqua alle quattro estremità del lago, fino agli Etruschi che fecero del lago il cuore spirituale della loro straordinaria civiltà, per arrivare al fosco Medioevo e al Rinascimento che vide di nuovo quest’area protagonista della storia grazie alla famiglia Farnese. Se la ricerca archeo-logica, l’interesse accademico e i riflettori dei grandi mezzi di informa-zione non hanno ancora scoperto e fatto conoscere al grande pubblico questo patrimonio racchiuso nel perimetro di pochi chilometri, cionondi-meno il lago di Bolsena non ha mai smesso di raccontare il proprio passato straordinario. I misteri, le leggende, i racconti fantastici, i personaggi tra-sfigurati nel mito che aleggiano, da secoli, nell’ombrosa ed elegante isola Bisentina, nella sinistra Martana, nelle sale dei castelli o nelle profondità delle acque sembrano costruiti ad arte per creare suggestione e interesse. Ecco il fantasma di Amalasunta, sfortunata regina dei Goti, i cui lamenti
giungono alle orecchie dei pescatori nelle fredde e ventose mattine d’in-verno. Ecco il pozzo misterioso della Bisentina, scavato nella roccia sotto il monte Tabor che è considerato da molti come uno degli accessi al mondo sotterraneo e parallelo di Agarthi. E ancora: chi era davvero Santa Cristina e cosa si nasconde dietro alla sua strana somiglianza con la dea etrusca Voltumna? Quale significato attribuire al terrificante mostro Volta che terrorizzava il sonno dei nostri progenitori Etruschi con le devastanti lingue di fuoco che si sprigionavano dal suo orribile e gigantesco corpo di serpente con testa di cane? Dove era localizzato il Fanum, il centro della vita sociale e religiosa degli Etruschi? È veramente certo che l’antica Vol-sinii fosse l’attuale Orvieto e non, piuttosto, Bolsena? E come potrebbe riscrivere la storia questo clamoroso ribaltamento dei nomi? Cosa attende di venire alla luce sotto le rovine dell’antica e scomparsa città di Bisenzio? Chi era davvero lo sfuggente personaggio raffigurato sulla lapide nella chiesa di San Flaviano? Quale è stata la reale origine di Bolsena e perché la scienza ufficiale si ostina a farne risalire la fondazione al periodo ro-mano, tacendo di un passato glorioso ed antico? Perché questa parte della provincia di Viterbo si è contraddistinta per il gran numero di streghe? In-terrogativi, misteri ed enigmi dietro ai quali ci sono storie che attendono solo di essere raccontate.
I L’enigma etrusco
Alla ricerca del sacro Fanum
Uno dei misteri più profondi e inestricabili che aleggia da secoli sulla zona del lago di Bolsena è quello relativo alla esatta ubicazione del santuario federale della dodecapoli etrusca, il Fanum Voltumnae. Il Fanum era un luogo naturale dal significato sacro che, nell’antichità, coincideva spesso con un bosco associato ad una divinità femminile protettrice di laghi, bo-schi o isole come accadeva nell’antica Grecia o presso i Celti. Ma quale luogo possa aver ospitato questo importante centro di vita religiosa e civile è questione ancora molto dibattuta dagli studiosi. Come vedremo, la ri-cerca del Fanum rischia di rassomigliare a quella del Santo Graal, ovvero di un oggetto o di un luogo mitico, se prima non si comprende esattamente quale significato racchiudesse per gli etruschi il concetto di Fanum. Ecco allora che muoversi nell’antica Etruria sulle tracce della misteriosa e per-duta capitale
dimenticata significa automaticamente compiere un viag-gio affascinante nel cuore della cultura etrusca, per comprenderne i fondamenti della vita religiosa, ma anche di quella politica, in relazione all’astro nascente di Roma, la cui progressiva affermazione, all’inizio del terzo secolo avanti Cristo, segnò la definitiva eclissi degli Etruschi, noti anche come Tirreni.
A Volsinii, probabilmente in occasione del solstizio estivo, si svolgevano le feste panetrusche che coinvolgevano i rappresentanti della dodecapoli (Veio, Cerere, Tarquinia, Vulci, Roselle, Vetulonia, Populonia, Volsinii, Chiusi, Perugia, Arezzo, Volterra). La partecipazione a questa festa rap-presentava l’evento pubblico più importante dell’anno per la popolazione etrusca che aveva l’obbligo di presenziarvi, ma anche il piacere di assistere a giochi pubblici e divertimenti di vario genere. Alla celebrazione e alla organizzazione dei giochi erano deputati dei sacerdoti che venivano no-minati ogni anno nelle singole regioni e che, alla data convenuta, marcia-vano verso Volsinii alla testa dei cortei formati dai propri fedeli.
Se questa era la dodecapoli vera e propria dell’Etruria, ad essa se ne ag-giungevano altre due, cioè altre due organizzazioni composte da dodici città, una in Campania e una in Val Padana. Nel Fanum si tenevano molto probabilmente anche dei mercati oltre ad una singolare cerimonia attra-verso la quale si celebrava il passare del tempo, ovvero la battitura del chiodo nel tempio di Norzia.
La dea Norzia viene considerata l’antesignana della dea romana Fortuna soprattutto in seguito al ritrovamento in località Pozzarello, a tre chilo-metri a nord di Bolsena, di una statuetta femminile con una cornucopia, simbolo di abbondanza, che accompagna sempre le immagini della divi-nità romana. Pozzarello è una delle due possibili ubicazioni dell’antico tempio di Norzia secondo gli archeologi i quali, tuttavia, ritengono pro-babile anche la sua collocazione di fronte all’attuale porta san Giovanni. In quella zona si trovava anche un impianto termale di dimensioni piutto-sto estese, chiamato tempio di Norzia, di cui è rimasta memoria nella po-polazione bolsenese fino al primo dopoguerra quando venne abbattuto per lasciare il posto alla costruzione di nuovi edifici. La grave distruzione di questa importante struttura ci ha forse privato per sempre della possibilità di rinvenire indizi più precisi anche sul culto della dea. La cerimonia consisteva nell’utilizzo di un’ascia-martello, oggi conservata al museo delle Terme di Caracalla a Roma, per piantare dei chiodi rituali, anch’essi rinvenuti, nel tempio, uno ogni anno, ad indicare il tempo tra-scorso come riferisce Tito Livio. La battitura del chiodo era probabilmente il momento più importante tra tutte le celebrazioni che si svolgevano nel Fanum e ciò deve essere collegato alla grande importanza attribuita dagli Etruschi al trascorrere del tempo e, più in generale, alla loro concezione religiosa. I chiodi venivano infissi in un trave in legno, all’interno del tem-pio della dea Norzia, allo scadere di ciascun anno e di ogni secolo, in os-sequio al loro concetto di tempo come spiega il ricercatore Giovanni Feo che ha dedicato anni di studi a questa antica civiltà:Il dato di fondo era che il tempo e la storia fossero ciclici, ovvero si ripetessero, seppur con delle variazioni, ripassando per gli stessi punti e gli stessi avvenimenti, secondo una legge cosmica di ricorrenza il cui fondamento è basato su una sorta di numerologia divina, quella che fu poi anche detta armonia delle sfere celesti
. Sulla esatta attribuzione dell’ascia martello conservata a Caracalla ci sono tuttavia delle controversie dal momento che alcuni ar-
cheologi la considerano troppo piccola per consentire di poter piantare dei chiodi che erano lunghi ben quaranta centimetri. Si tratta tuttavia di un’ascia-martello rituale rinvenuta a Bolsena che conferma la locale tra-dizione collegata alla dea Norzia. Dal punto di vista etimologico, tuttavia, il nome Fortuna deriverebbe da quello della dea di Volsinii, Voltumna che riproduce la radice linguista: volt, vert, fort, ovvero girare, volgere, ver-tere
. Non a caso, nell’iconografia classica, la dea è raffigurata con la ruota, il cui girare influenza in maniera decisiva le sorti umane.
A destra, un sacerdote con il caratteristico copricapo
Religione e politica secondo gli Etruschi
Nessun popolo dell’antichità è stato dedito alle celebrazioni e alla ritualità nei culti come gli Etruschi e ciò perché erano convinti che la sorte umana
fosse completamente dipendente dalla volontà divina. Il dominio asso-luto della religione
di cui parlano diversi studiosi si concretizzava in una ossessione nell’interpretare la volontà divina; da qui la loro scienza sacra, impostata sulla interpretazione dei segni premonitori o i prodigi attraverso i quali si manifestava tale volontà. Questo popolo era convinto che la vita degli individui così come quella degli stati, fosse in tutto e per tutto sot-toposta agli dèi.
Tutto aveva una data di inizio ed una fine, gli uomini potevano solo cer-care di interpretare gli arcana divini da cui dipendeva la durata di questo tempo. La vita umana, ad esempio, era composta da periodi di sette anni e ogni anno di questo ciclo settennale era considerato a rischio e poten-zialmente pericoloso, per cui si imponeva l’esigenza particolare di essere più attenti del solito ai segni del divino. Grazie alla loro scienza sacra, gli Etruschi avevano anche previsto la durata della propria civiltà che avevano stimato in dieci secoli. Il concetto di secolo non era però fissato in maniera chiara e quindi anche lo svolgersi di questo tempo doveva essere desunto dai prodigi divini.
Questa concezione della vita e del tempo consente di capire anche la stra-ordinaria importanza che veniva annessa ai libri sacri, tra cui i libri haru-spicini che consentivano di trarre auspici dalle viscere degli animali, i libri fulgurales con la dottrina necessaria per interpretare i fulmini e i libri ri-tuales che contenevano informazioni generali dei principi a cui uniformare i comportamenti individuali e sociali. Qui vi si trovavano i precetti su come fondare le città o gestire l’esercito. Di questi facevano parte anche i libri acherontici, simili al libro dei Morti degli Egizi, che avevano per oggetto il viaggio delle anime nell’aldilà e che ponevano l’obbligo di se-guire un rituale codificato sia per le circostanze della vita pubblica che di quella privata, con prescrizioni e divieti.
La pratica sacra della epatoscopia e dell’arte fulgurale, cioè l’interpreta-zione dei fegati e delle altre viscere animali e della caduta dei fulmini per trarne pronostici degli accadimenti futuri, la si ritrova anche nella religione babilonese con la quale esistono stretti legami. I testi sacri e i libri ache-rontici che prendono il nome da un mitico fiume degli Inferi, sarebbero stati dettati a dodici lucumoni e a Tarkun, il mitico fondatore di Tarquinia, da Tages di cui parla per primo Cicerone nel primo secolo avanti Cristo. Tages (o Tagete) è una divinità, figlio di Genio e della Terra, che si sarebbe
manifestato ad un contadino con le fattezze di un bambino ma con il viso e la sapienza da vecchio, emergendo da un zolla del terreno vicino Tar-quinia. Prima di scomparire come si era manifestato, Tages insegnò a Tar-kun, primo re-sacerdote, e agli altri lucumoni, l’arte della divinazione che venne trascritta nei libri sacri. Per questa genesi, quella etrusca viene con-siderata una religione rivelata.
A sovrintendere a queste forme di conoscenza e a praticarle era deputata una casta di potenti sacerdoti, gli Aruspici, che si tramandavano la carica di padre in figlio ed erano espressione dell’oligarchia dominante. Una serie di studi dedicati ai vari tipi di prodigi che possono verificarsi nella natura e denominati ostentaria completavano quella che nell’antichità era conosciuta come la Disciplina Etrusca. La stragrande maggioranza di queste informazioni ci è stata trasmessa dagli autori romani dal momento che le tradizioni religiose etrusche sono state sempre tramandate per via orale e i libri etruschi andati perduti.
La totale sovrapposizione tra vita religiosa e vita politica, l’impossibilità di distinguere i due