L'ira di Demetra
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L'ira di Demetra - Uberto Ceretoli
lui.
Capitolo 1
Tirseno si destò frastornato da un incubo, sudato e con il respiro corto. Indossò il lungo chitone bianco e i calzari, uscì dalla stanza e attraversò la reggia, ridotta a un’immensa ghiacciaia. Il vento fischiava nei corridoi e batteva le assi che serravano le finestre.
L’ennesimo giorno freddo da sedici anni.
Il principe camminò tormentato dal gelo che gli stringeva il capo come un elmo troppo piccolo. Trovò una serva affaccendata a piegare i teli ancora umidi, ritirati da una terrazza esposta al sole; la donna aveva il viso scalfito dalla vecchiaia e chinò il capo non appena incrociò lo sguardo del suo signore.
Dov’è mio padre?
la interrogò.
Il re è andato dai geronti
la serva lo svegliò con voce gracchiante.
E mia madre e i miei fratelli, dove sono?
Credo che vostro fratello Tarconte si stia allenando
.
Tirseno allacciò il chitone con la cinta di cuoio e oro e si diresse alla palestra.
L’eco dei passi rimbombò negli alti corridoi deserti e il principe si fermò e si girò più volte, insospettito da un sommesso frusciare. Guardò le gigantesche colonne che avevano per base nautili scolpiti nel marmo dalle venature azzurre e si fissò sui tentacoli che si attorcigliavano alle scanalature. Era solo, ma non si sentiva tale.
È soltanto una sensazione. Sono un semidio, nessuno è tanto abile da seguirmi.
Aprì le porte della palestra e trovò Dermine, il suo maestro d’armi, che si esercitava con Tarconte su un tappeto rotondo, di lana rossa, raffigurante un gagliardo Teseo afferrava per le corna l’orrendo Minotauro. Tirseno richiuse le porte, lo scontro si interruppe e Dione si alzò dal triclinio che aveva fatto portare per assistere all’allenamento.
Buongiorno
la regina, annunciata da un ipnotico profumo di lavanda, si avvicinò al figlio, lo abbracciò e lo baciò; indossava un chitone di un bianco accecante e portava i lunghi riccioli sciolti sulle spalle.
Tirseno incrociò lo sguardo di Tarconte e scoprì come il gemello non apprezzasse le effusioni della madre.
Vieni anche tu ad ammirare i miglioramenti di tuo fratello: ti ha superato
Dione lo prese per mano e parlò con perfido entusiasmo.
Tirseno vide Tarconte sogghignare e non si risparmiò una stoccata. Dermine non è un avversario attendibile: da buon maestro si premura di difendersi e di correggere gli errori, non certo di mettere in difficoltà l’allievo
.
Pensi di essere migliore? Sfoggia la bravura di cui ti vanti e incrocia le armi con me
. Tarconte lo attese.
Lascialo perdere: non ha senso rischiare la sconfitta
seguitò Dione.
Tarconte ha passato così tanto tempo a studiare che persino brandire una spada vi appare incredibile: dovrei temere un avversario che mesi fa faticava a reggere uno scudo?
rise Tirseno.
Lascialo perdere, ho detto
. Dione prese le guance di Tirseno tra le mani. Potresti farti male. Tarconte è sotto le grazie della Dea della Guerra
.
Non vi preoccupate, madre. Se dovessi ferirmi vedrete come i poteri del mio padrino non siano inferiori a quelli di Atena
. Tirseno raggiunse Dermine e ne indossò la panoplia: pettorina, cuffia e schinieri di cuoio, uno scudo di legno foderato di pelle e con l’umbone di bronzo. Impugnò una lancia che aveva al posto della cuspide e del tallone due pomi di legno. Niente poteri
intimò al gemello.
Non avrebbe senso usarli: con Atena sarebbe fin troppo facile sbarazzarsi di Apollo
Tarconte ghignò.
Vedremo, sbruffone. Tirseno rise, puntò la lancia e alzò lo scudo. Tarconte assunse una posizione difensiva