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Il fuoco al di là del mare
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Il fuoco al di là del mare

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About this ebook

Il libro ricostruisce la storia di un personaggio realmente esistito ma di cui si sa solo che guidò la flotta Cartaginese nell'ultimo scontro contro Roma durante la prima guerra Punica. Si ripercorre così l'ipotetica esistenza di un uomo del terzo secolo a.C. sempre in lotta fra i suoi interessi scientifici, che proprio in quell'epoca hanno grande sviluppo grazie al centro di Alessandria d'Egitto, e il senso del dovere che lo porta a partecipare ai principali eventi bellici del suo tempo. Tra battaglie per mare e per terra, pirati, sette segrete e ribelli, scampato molte volte alla morte, si ritrova alla fine impotente e vittima delle sue stesse scelte finchè un nuovo credo religioso gli dà una parziale consolazione. Si rende conto infatti che la sua è una storia drammatica di lotta che si ripete generazione dopo generazione. "Fino a quando?" si chiede infine il protagonista.

Ancora oggi lo scontro economico e militare tra le sponde del Mediterraneo cosparge di morti i fondali del mare. Si lascia al lettore la risposta alla domanda posta dal protagonista. "Fino a quando?"
LanguageItaliano
Release dateApr 21, 2016
ISBN9786050424188
Il fuoco al di là del mare

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    Il fuoco al di là del mare - Massimo Andriolo

    2

    Prefazione

    Perché, Ateniesi, la verità è questa: nel posto dove uno sceglie di stare, che crede il migliore, o dove fu collocato da chi comanda, proprio lì, secondo me deve persistere e sfidare il pericolo, senza tener conto né della morte, né di qualunque altra cosa più del disonore.      

    (Platone, Apologia di Socrate. XVI)

    La disuguaglianza economica e sociale tra Paesi e all'interno di una stessa nazione continua ad aumentare e questo sta portando milioni di persone in condizioni di indigenza, tanto da essere costretti a cercare migliori condizioni di vita lontano dai luoghi in cui hanno le loro radici. 

    Anche l'Europa, che sembrava destinata ad un futuro di continuo progresso, in cui le generazioni successive sarebbero vissute in condizioni migliori di quelle dei loro padri, sta sperimentando scenari di drammatica povertà in alcune zone mentre altre regioni a poche centinaia di chilometri di distanza, dove si vive con un elevato tenore, si dichiarano non disponibili a rinunciare al proprio surplus per il benessere comune. Si assiste ad una lotta in cui ogni Paese si arrocca sulle sue posizioni per favorire la propria economia e la propria visione del mondo a discapito della cooperazione comunitaria e internazionale.

    Fino a quando continuerà la lotta, militare o economica, fra Paesi? Fino a quando gli uomini sfrutteranno le proprie intelligenze a danno del prossimo invece di cercare la collaborazione a beneficio del genere umano nella sua globalità, attraverso l’accrescimento delle conoscenze scientifiche e del benessere di tutti? Sono le stesse domande che si pone il protagonista Annone al termine della prima guerra punica, dopo una vita spesa nei teatri di guerra dell’epoca. Sono passati 2.300 anni ma questa domanda rimane oggi molto attuale e i luoghi in cui si muore tornano ad essere gli stessi, tra le sponde del Mediterraneo.

    1 - Kart Hadash

    Un giorno mio padre mi prese sotto braccio. Sentivo che voleva dirmi qualcosa di speciale.

    «Ti va di fare due passi verso l’acropoli?»

    «Va bene, papà, andiamo dove vuoi.»

    Le strade ortogonali della piana su cui si estendeva la città lasciavano il posto ad altre più anguste che si snodavano salendo sul colle Birsa, dove sorgeva l’acropoli con i templi e gli edifici dell’amministrazione cittadina. Da lì si ammirava il grande porto, vanto della città, chiassoso, pieno di gente che parlava lingue lontane e sconosciute. Greci, Persiani, Etruschi, Siculi, Ellenici dell’Egitto, tutti indaffarati nelle loro attività. C’era chi caricava, chi scaricava, chi contava le merci e le annotava in registri di papiro, chi contrattava e chi semplicemente guardava lo svolgersi della vita in quella che era la più bella e potente città del Mediterraneo.

    «Vedi, figlio mio, ci sono momenti della vita più importanti di altri. Spesso non ci si accorge di quanto siano importanti ma sono proprio questi che decidono il futuro di una persona. Tu adesso hai finito le scuole di base, hai imparato a leggere, a scrivere, a fare i conti, cosa ti piacerebbe fare? Questa è una scelta molto importante che deciderà il resto della tua vita e tu hai la possibilità di scegliere. Non tutti hanno questa fortuna.»

    «Lo so papà, in realtà non saprei, il lavoro del porto mi sembra interessante, ci sono persone che arrivano da posti lontani e parlano lingue strane. Mi piacerebbe lavorare con te, così potremmo stare più tempo insieme. Sempre che tu lo voglia.»

    Papà era spesso assente perché commerciava tra la penisola Iberica e i monti dell’Atlante e quando tornava era spesso stanco e pieno di preoccupazioni. Tuttavia quando era a casa mi faceva sentire il suo affetto e il suo calore di padre e di questo gliene ero grato.

    «Vedi, certi lavori da fuori sembrano belli ed emozionanti ma quando li conosci bene perdono la loro aura di bellezza. Lavori al porto ce ne sono tanti. Puoi fare lo scaricatore, ma lavori tanto, ti spacchi la schiena e la remunerazione è bassa oppure l'avvocato, l'insegnante, l'architetto, dove fai meno fatica muscolare ma devi usare più la testa. Se vuoi lavorare con me allora devi passare tanti giorni sul mare, con il sole che ti picchia sulla testa e un mare che a volte è immobile e a volte si alza per metri sopra di te, devi avere a che fare con persone che pensano diversamente e che molto spesso sono difficili, devi trattare con loro, trovare delle mediazioni sul prezzo e sulla qualità delle merci e se un cliente non è soddisfatto rischi che non compri più le tue merci e tu sei costretto a cercarne un altro. E’ un lavoro difficile e quando parti non sai mai cosa ti può succedere e se potrai tornare a casa a riabbracciare la tua famiglia. Quando io sono in viaggio la vostra mancanza è per me un dolore acuto che mi preme sul cuore, eppure lo devo sopportare perché è con quel dolore che posso guadagnarmi da vivere e far vivere anche voi.»

    Diceva quelle parole con dolore come se la fatica del lavoro lo avesse inciso profondamente, come se la fatica del viaggio e della vita lo accompagnasse in ogni sua parola. Continuò: «sei ancora giovane e se vuoi provare la mia vita potrai iniziare a lavorare con me. Io però vorrei proporti una cosa, se ti va bene. Ho parlato con un amico che commercia con la Grecia e che vive ad Atene. Vorrei mandarti da lui un paio d’anni e farti studiare presso il Liceo di Aristotele. Lì potrai apprendere meglio nuove materie, come la filosofia, la biologia della natura, la medicina, la letteratura, le lingue. Imparerai così bene il Greco che potrai viaggiare ovunque nel Mediterraneo e deciderai poi cosa fare della tua vita. La potrai considerare una palestra di vita e intanto avrai ancora un po’ di tempo per pensare a cosa fare di te.»

    I grandi templi dedicati ad Apollo, a Baal, alla grande Dea Tanit ci sovrastavano. L’idea di andare in Grecia non mi aveva mai neppure sfiorato la mente.

    «Papà, ma come facciamo? Noi non siamo ricchi, come farai a trovare tutti i soldi necessari?»

    Papà sorrise, aspettandosi questa domanda. «Noi proveniamo da una nobile famiglia di Tiro in Fenicia, anche se più anticamente dei rami della famiglia provenivano dalla più povera terra di Israele. Per questo è tradizione in famiglia dare almeno un nome abraico ad un proprio figlio. Così fece mio padre con me e così ho fatto io con tuo fratello Samuel e così farai anche tu. Purtroppo il tuo trisnonno, mio bisnonno fece degli investimenti sbagliati quando arrivò a Cartagine. Si fidò di alcune persone che lo raggirarono e perse molto denaro. Altro denaro fu speso per acquistare casa e i terreni che ancora abbiamo fuori città e per questo mio nonno iniziò a commerciare quando io ero un ragazzo e da lui imparai il lavoro. Sia mio padre che io abbiamo sempre risparmiato gran parte di quello che guadagnavamo e ora possiamo vantare una certa ricchezza. Li ho sempre tenuti da parte per la vostra educazione. A me questa possibilità non fu data. Dovetti iniziare a lavorare da ragazzo, anche se non ho mai amato il mio lavoro, e a te vorrei dare la possibilità di scegliere.»

    Non sapevo cosa rispondere. Non volevo sentirmi come l’ultimo di tre generazioni che andava a sperperare il frutto del lavoro di un’intera famiglia.

    «Non saprei papà – dissi – non vorrei essere un peso per te. Forse non merito tanto. Sarei contento anche di lavorare sulle navi senza tanta istruzione.»

    «Andiamo al porto e capirai.»

    Mi accompagnò al porto e indicandomi i lavoratori prima e l’armatore della nave dopo, mi disse: «vedi quelle persone? Che differenza pensi che ci sia fra quelli che si spaccano la schiena tutto il giorno e il signore ben vestito che possiede la nave?»

    «Penso che abbiano capacità diverse.»

    «Buona risposta, ma le capacità non spiegano tutta la storia. A volte anche persone che fanno lavori molto umili hanno grandi capacità ma non hanno avuto la possibilità di sfruttarle. La grande differenza sta nella possibilità di conoscere persone e avere delle buone occasioni. E per entrare nel giro di persone giuste, devi iniziare fin da giovane a frequentare le scuole e i giri di chi ti potrà aiutare in futuro. Per quanto riguarda i soldi non ti preoccupare. Come ti dicevo ho messo via un gruzzoletto che da tempo avevo deciso di utilizzare per la tua istruzione. E’ un grande sacrificio, ma quando sarai più grande capirai quanto importante sia un figlio per un padre e non c’è sacrificio sufficiente a colmare la grandezza dell’amore di un genitore. Lo capirai quando sarai più grande. I figli, piccolo mio, sono tutto per la vita di un uomo e di una donna.»

    E dicendolo mi spinse dolcemente con la mano sulla spalla verso casa.

    A cena mia madre presentò una frugale cena di fichi, pane azzimo e un po’ di carne di agnello servita su una pasta che faceva da piatto comune da cui ognuno staccava un pezzo e raccoglieva qualche boccone della carne che stava nel mezzo. Finita la carne, la pasta nel mezzo impregnata dell’odore e degli intingoli della carne veniva lasciata a noi bambini. Poi mio papà mi fece cenno di seguirlo nella sua stanza da letto, nella stanza attigua. Prese un cavachiodi attaccato al muro e aprì la cassapanca. Tolse i vestiti dalla parte destra e staccò dei chiodi dal fondo. Tolte delle stecche di legno e ne estrasse un sacchetto con delle monete.

    «Questa è la tua parte – mi disse – nella cassapanca ci sono le parti per la dote di tua sorella e la quota per tuo fratello. La puoi utilizzare per investirla su una quota di nave mercantile, la puoi utilizzare per divertirti con gli amici, o la puoi usare per la tua istruzione a Cartagine o dove vorrai nel mondo. Se seguirai i miei consigli, io ti direi di andare ad Atene. Incrementerai la tua quota lavorando al porto del Pireo assieme al mio amico Nearco quando sarai libero dagli impegni di studio.»

    «Va bene papà, andrò in Grecia, lavorerò per mantenermi perché non voglio usare tutti i tuoi soldi e cercherò di imparare quanto mi sarà possibile. Poi però voglio tornare qui. Voglio vivere a Cartagine e restare vicino a voi.»

    «Bravo ragazzo. Intanto impara, poi deciderai cosa fare.»

    La Grecia mi sembrava un luogo lontano e mitico. Quando il giorno dopo ne parlai con gli amici, anche per avere un consiglio, non ci credevano.

    «Tu andrai in Grecia? Ad Atene addirittura? Per studiare cosa? Navigazione? Commercio? Cosa farai tanto lontano? E come farai senza sapere la lingua?» mi chiedevano.

    In realtà non sapevo cosa rispondere a tante domande.

    «Studierò quello che mi diranno i miei maestri, non solo navigazione, ma anche astronomia, medicina, scienze della natura e tante altre cose che ora non saprei spiegare. La prendo come un’avventura, se non riuscirò resterò a lavorare al Pireo, il porto di Atene, o tornerò a casa. Intanto lavorando imparerò il Greco meglio di voi!»

    Da una parte ero felice di partire, di vedere luoghi mitici come le città della Grecia, dall’altra mi dispiaceva lasciare la mia famiglia, la mia sorellina, Zoe, e il mio fratellino, Samuel e i miei compagni di gioco. Ma quando si inizia a fare qualcosa di nuovo, bisogna girare pagina e lasciare la pagina vecchia con tutti i suoi personaggi.

    Dal giorno in cui decisi che sarei andato per due anni in Grecia, cominciai a guardare le cose con occhi diversi. Quando sarei tornato, cosa sarebbe rimasto dei palazzi che oggi vedevo? Cosa sarebbe cambiato? E i miei amici cosa avrebbero fatto, quante corse e avventure avrebbero vissute senza di me? Sentivo già un po’ di nostalgia ancor prima di partire. Che cibi avrei trovato? Quali compagni di giochi avrei incontrato? Gli interrogativi erano tanti ma ormai avevo deciso di seguire i suggerimenti di mio padre. Non volevo crescere con i suoi occhi tristi e so che mio padre mi avrebbe accompagnato verso un futuro migliore. Se quella era la strada da seguire, lì dovevo andare. Mia Madre mi diceva sempre che la strada di ognuno era già scritta da Baal e non serve a niente cercare di cambiarla od opporsi al fato. Se il destino era già scritto da Baal sulle stelle, l’uomo non ha la possibilità di cambiare la posizione delle stelle per cambiare il suo destino. Bisogna accettare e seguire il proprio cammino.

    «Non importa quale sia il cammino che le stelle hanno deciso per te – mi diceva – l’importante è seguirla con onestà, coraggio e rispetto.»

    «Rispetto per chi? » chiesi una volta.

    «Rispetto e basta, rispetto verso tutti. Il rispetto va dato ai propri familiari, agli amici e nemici, alla natura, anche al mare e al deserto, per la loro potenza e immensità, bisogna portare rispetto. Bisogna portare rispetto anche nei confronti di sé stessi. Se non lo farai, la natura e la vita stessa si ritorceranno contro di te, figlio mio.»

    Mia madre parlava poco, veniva da una famiglia berbera dell’interno, ma quando parlava mi portava una conoscenza antica, pratica e allo stesso tempo profonda. Con poche parole, mi comunicava un sapere ricco e antico.

    Dopo un mese sotto ad un portico di una locanda, un elegante signore aveva già ordinato del vino miscelato con acqua e una ciotola con pane, olio e olive.

    «Questo è mio figlio, Nearco, te lo affido. E’ un pezzo del mio cuore, qualsiasi cosa verrà fatta a lui, è come se fosse fatto a me. Frequenterà le lezioni al Liceo di Aristotele. Il primo pagamento l’ho già effettuato. Quando sarà libero dallo studio, lavorerà con te al porto. E’ un ragazzo forte ma non spezzargli la schiena.»

    «Non ti preoccupare, quando sarà libero dagli studi utilizzerò le sue competenze per il controllo delle merci in uscita e per i preventivi di spesa. La sua schiena non verrà toccata. La nave partirà con la nuova stagione. Attraverseremo il Mediterraneo fino alle coste della Sicilia seguendo le correnti per poi virare verso la Grecia. Dopo Corinto proseguirà verso la capitale di tutti i Greci, la mia città, Atene, la città eterna della cultura del mondo.»

    «Atene! – ripetè mio padre – ci sono passato vicino quand’ero giovane e ancora ricordo l’acropoli vista da lontano. Non ci sono più tornato dato che mi sono rivolto verso l’ovest. Atene, che grande città, che mitica città, culla della storia del Mediterraneo! Sfrutta bene i tuoi giorni ad Atene, figlio mio, mi mancherai. Tanto. Ma tu segui la tua strada, non pensare a me, non pensare alla tua famiglia e a Cartagine. Ci sono momenti in cui bisogna essere egoisti per poter crescere.»

    «Ricordi quella partita di ferro Iberico? Trovasti una partita di ferro da una cava che stava fallendo, la comprasti tutta e la rivendemmo in tutto il mar Egeo! Abbiamo fatto un po’ di soldi, vecchio mio. Con tuo padre, ragazzo, ho sempre fatto buoni affari. Lui ad Ovest ed io a Est avevamo in mano il mercato metallurgico del Mediterraneo.»

    «Non esageriamo Nearco. Commercianti ce ne sono tanti, non ci siamo solo noi. Diciamo che qualche volta gli Dei si sono rivolti verso di noi sorridendo e abbiamo avuto la fortuna di avere una vita solida dal punto di vista finanziario, anche se a volte …» e gli occhi tristi si rivolsero verso terra senza continuare la frase.

    «Perché non ti ritiri? Hai lavorato tanto nella vita, non hai bisogno di altri denari. Potresti seguire tuo figlio ad Atene, sarai mio ospite se lo vorrai.»

    «Caro Nearco, apprezzo molto la tua disponibilità, finora gli Dei sono stati clementi con noi ma tale clemenza potrebbe andarsene e non voglio che i miei figli e i loro discendenti debbano soffrire ciò che io ho sofferto da giovane. Inoltre, quando uno ha lavorato duramente fin dalla tenera età non è capace di stare a casa a guardare il sole. Il mio corpo e la mia mente sono temprati all’andar per mare, a capire le persone al solo guardarle, a contrattare e a conoscere le qualità e i prezzi delle merci. Ormai la mia vita è questa. Questo è ciò che è stato scritto per me dal Dio Baal. Non ho forse neanche il diritto di abbandonare tale vita. Tuttavia avrei piacere di venire a trovare il mio figliolo.»

    «Va bene vecchio mio. Al primo carico della buona stagione faccio tenere un posto anche per te.»

    «Non correre troppo. Magari ti mando un corriere e ti faccio sapere le mie intenzioni per tempo. Ora è troppo presto.»

    «Ti conosco, se fai così, non verrai mai ad Atene, trovi sempre qualche scusa. Un carico urgente, una contrattazione, un contratto da firmare in riva all’Atlante. No, no, sei già prenotato su un mio battello!»

    Facendo uno sforzo su sé stesso alla fine mio padre concedette un sì. Sarebbe venuto a trovarmi ad Atene.

    «Allora ci vediamo all’inizio della prossima primavera. Quando il vento soffierà verso Nord, avremo già la nave carica e saremo pronti per il viaggio. Divertiti intanto ragazzo. La Grecia è bella ma sa anche essere una terra dura.»

    I due uomini si salutarono con un vigoroso abbraccio. Dopo aver fatto qualche centinaio di metri mio padre si voltò verso la locanda e vide che Nearco era ancora lì, che guardava pensieroso verso il mare.

    «Chissà cos’avrà da pensare - disse sorridendo mio padre- chissà a quale imbroglio starà lavorando. Ma alla fine è un buon uomo. Sa come è fatto il mondo, è proprio un commerciante nato.»

    «E tu non sei un commerciante nato papà?»

    «No, ragazzo mio, io sono un buon commerciante perché ho fatto solo quello nella vita e ho imparato con tanto sacrificio. Ma non sono capace di mentire e di imbrogliare le persone. Anzi, cerco sempre di trovare un compromesso che soddisfi sia me che le persone con cui lavoro e per questo Nearco è diventato ricco e si è comprato anche le navi mentre io sono un benestante ma affitto ancora il trasporto. Ognuno è quel che gli dei hanno deciso per lui. Dentro di me il seme dell’imbroglio non è stato messo. E credo neanche in te.»

    «Ma io non saprei» risposi un po’ confuso e sorpreso di essere chiamato in causa.

    «E’ ancora presto perché tu possa capire chi sei. Ma secondo me non hai il seme dell’imbroglio.»

    2 - A scuola da Filippo

    Per prepararmi, mio padre mi mandò a scuola da un vecchio insegnante di greco di nome Filippo, originario di Alonissos. La mattina si dedicava all’insegnamento, che praticava con passione fin da giovane, mentre il pomeriggio lo riservava alla coltivazione di un terreno che possedeva a mezz’ora di cammino dalla città.

    Era un uomo di altezza media, con capelli brizzolati e ondulati ed occhi piccoli dalla forma inconsueta, che formavano nel margine inferiore una leggera onda. Mio padre mi aveva ammonito di non canzonarlo per quella sua caratteristica.

    «Gli occhi a mandorla sono una caratteristica di lontanissimi popoli orientali e di alcuni popoli del nostro Mediterraneo, come gli Etruschi. Non prenderlo in giro per questo perché lui ne va molto fiero e saresti immediatamente cacciato dalla sua scuola.»

    Il primo giorno mio padre mi accompagnò di prima mattina presso la sua abitazione e lui mi accolse sull'uscio. Mi fece entrare nella prima stanza sulla sinistra dove aveva sistemato una tavola d’ulivo con degli sgabelli attorno. Sulle pareti dei piatti con scene mitologiche ornavano le pareti. Mi aveva sorpreso notare che era sempre ben rasato come era d’uso fra i Greci. Uno dei primi giorni gli chiesi il motivo di quell'usanza e lui con grande cortesia mi spiegò.

    «Se guardi uno qualsiasi di questi piatti e le varie raffigurazioni mostrano uomini barbuti. Fu circa un secolo fa che nacque l’usanza di radersi. Alessandro Il Macedone era a capo del più potente esercito d’Europa e d’Asia ed il suo piccolo Stato arroccato tra i monti Carpatici e il Mar Egeo era riuscito a domare le bellicose città greche e a sconfiggere l’intero Impero Persiano. Era usanza all’epoca che gli uomini di potere avessero una lunga e raffinata barba mentre la sorte gli aveva dato una barba rada e chiara, che, anche se lasciata crescere, non riusciva a diventare folta come si addiceva al suo rango. Decise quindi di radersi e obbligò anche i suoi dignitari a fare lo stesso. La moda si estese in gran parte del suo sterminato impero e per emulazione arrivò anche in Grecia e da allora a noi Greci, anche se non a tutti, piace mantenere un viso pulito e glabro.»

    Mite di carattere, amava talmente il suo lavoro che si dispiaceva se un suo studente non riusciva a seguire le sue lezioni. Se proprio era contrariato dai risultati dell’alunno diceva «ragazzi, se non mandate a memoria questi elementi basilari, come farete ad imparare tutto quello che il Greco vi consente di apprendere. Tutto deriva dalla Grecia, niente fu prima di essa» e iniziava a elencare le grandi menti di quella piccola terra da cui proveniva. «Ragazzi, il greco è la lingua universale per viaggiare nel Mediterraneo. Se vorrete fare i mercanti, come molti in queste terre meridionali, dovete conoscere il greco, se volete dedicarvi agli studi di qualsiasi tipo dovete leggere i classici greci, se volete insegnare dovete conoscere il greco, insomma qualsiasi cosa vorrete fare nella vita che vi elevi dalle vili occupazioni ferine, dovete conoscere il greco, non ci sono scuse. Allora ripetete con me» e si ripetevano le varie declinazioni dei verbi.

    Le classi erano composte da 5 a 8 ragazzi circa oltre a due ragazzi molto benestanti che prendevano lezioni private. I ragazzi più piccoli come me arrivavano presto la mattina alla casa del maestro e studiavano unicamente grammatica. Ci si dedicava alla lettura dei classici, primo fra tutti Platone, ma anche Senofonte, più semplice da tradurre, e Demostene. I ragazzi più grandi leggevano anche trattati di biologia e metafisica, che io avrei studiato ad Atene. Quando il maestro Filippo seppe che l’anno successivo mi sarei trasferito ad Atene per studiare, quasi gli vennero le lacrime agli occhi e mi trattò sempre con molto riguardo.

    Andavo a lezione a giorni alterni, salvo i giorni di festa, e nel giorno in cui ero a casa mia madre controllava che io mi impegnassi nello studio e nel fare gli esercizi. «Tuo padre tiene molto allo studio e ha fatto molti sacrifici per permetterti questo studio, non dimenticarlo» mi ripeteva in modo ossessivo. Io cercavo di non deluderli ma lo studio non mi pesava. Dopo i primi mesi iniziai a leggere Senofonte e mi appassionai moltissimo a questo soldato disperso in terre lontane dell’Asia, alla ricerca della via verso casa.

    Lo studio non era esente da difficoltà. All’inizio avevo appreso le regole di coniugazione e declinazione facilmente ma nei mesi seguenti cominciavo ad avere difficoltà a capire il significato dei termini sulla base del contesto. Ogni parola poteva avere tanti significati e trovare il filo logico mi sembrava a volte impossibile. Allora Filippo mi dava una carezza vedendo le mie difficoltà e mi diceva: «non ti abbattere figliolo, ogni arte è come una salita con dei gradini, vai avanti comodamente per un po’, poi però arriva il gradino e non devi scoraggiarti e fermarti, devi trovare le forze per superare l’ostacolo anche se serve un po’ più di tempo e di energie. Se gli altri superano il gradino con facilità, vedrai che anche loro poi troveranno il loro gradino. Concentrati e impegnati, la soluzione arriverà con il tempo e la calma.»

    Mi piaceva la sua calma, la sua tranquillità che rifletteva un animo sereno nonostante vivesse da solo da molti anni. Sua moglie era morta durante il parto del suo quinto figlio. Le due figlie erano sposate e vivevano una in Sicilia, l’altra a Creta. I tre maschi erano tutti a Alonissos, uno era oratore e avvocato, gli altri due edili. Era arrivato a Cartagine da giovane per insegnare e lì era rimasto.

    Lessi gran parte delle Anabasi di Senofonte e molte pagine di Platone, di cui il maestro si soffermava a farmi notare come le frasi si collegassero logicamente una con l’altra, in un intreccio di parole razionale e armonico e non capiva il motivo per cui mio padre aveva deciso di mandarmi al liceo di Aristotele e non alla più antica Accademia di Platone.

    «Se tuo padre ha le possibilità di farti fare studi così importanti e costosi, perché mai non ti ha mandato nella più prestigiosa e antica Accademia? Certamente oggi il Liceo è guidato dal grande Stratone di Lampsaco, il fisico, ma io trovo le sue argomentazioni troppo legate alla materialità. Voi credete nell’esistenza del vuoto, figlioli?

    «Il vuoto? – maestro Filippo – il vuoto è questo» dicevamo indicando l’aria davanti a noi.

    «No, ragazzi, questo non è vuoto, altrimenti noi tutti respireremmo vuoto e moriremmo. Questa è aria, dove c’è ossigeno, azoto, etere, acqua. Il vuoto è l’assenza di ogni cosa. Io la penso come il grande Aristotele, ossia che il vuoto non esiste. Qualcosa deve pur esserci. Tuttavia Stratone, nei suoi studi ad Alessandria afferma che il vuoto esiste ed è su questa base che i fluidi si spostano. Dove c’è meno pressione, ossia più particelle di vuoto, queste attirano il fluido con più pressione, ossia con meno particelle di vuoto. Mah, questi argomenti non mi piacciono. Preferisco la mia cara e vecchia ‘Repubblica’.»

    Passai così l’estate, l’autunno e l’inverno, scandito da qualche corsa in campagna con gli amici, dove verso la fine dell’estate andavamo a rubare fichi o altri frutti dagli alberi sempre attenti a non farci scoprire.

    L’inizio della primavera e del nuovo anno era segnato da una grande festa al tempio del Dio Baal sull’acropoli della città. I sacerdoti uscivano dal tempio sollevando e portando su un trono una statua d’oro di grandezza doppia rispetto a quella di un uomo. Ai lati stavano tutti i sacerdoti in ordine di importanza, dietro i capofamiglia più importanti, più nobili e antiche della città. Davanti c’erano i ragazzi dai 14 ai 17 anni che erano considerati i futuri decisori e protagonisti della città. Più indietro c’erano gli altri capofamiglia, e dietro i ragazzi divisi per età a partire dai più piccoli fino agli adulti. Più lontano stavano donne con i bambini fino ai 10 anni.

    Gli occhi di tutti erano puntati verso gli occhi chiari della statua del Dio Baal, fatta di avorio e lapislazzuli azzurri. Il dio teneva le braccia inclinate in avanti e sotto di essa i sacerdoti avevano preparato un fuoco su delle pire di legna secca. L’inizio della cerimonia prevedeva l’uccisione di uno o più animali con il coltello sacro, un lungo coltello affilatissimo che i sacerdoti usavano per il rituale. Le bestie, legate con dei cavi, erano issate tra le braccia inclinate, in modo da scivolare verso una grande pira ardente. Si chiedeva così un buon raccolto e una buona salute per tutti gli esseri viventi e per gli uomini devoti. Seguiva poi la processione delle donne che nell’anno precedente avevano avuto lutti di bambini. Dopo aver lasciato il bambino nelle braccia delle statua rimanevano a pregare per una nuova e più fortunata figliolanza. Seguivano le odi dei giovani che si affacciavano alla vita adulta e per dimostrare coraggio, sprezzo del pericolo e forza d’animo si facevano una leggera ferita sul braccio o sulla coscia con un coltello che tenevano vicino al cuore per mezzo di una cinta legata trasversalmente tra la spalla sinistra e il fianco destro. Ogni giovane si avvicinava al fuoco sacro e di fronte alle fiamme ardenti, lanciava delle gocce del suo sangue.

    Io ero nelle ultime file con le donne ma non sarebbero mancati molti anni perché arrivasse il mio turno per l’iniziazione sacra di primavera. Tuttavia la cerimonia di quell’anno era per me diversa. Dopo quella cerimonia, al primo cambio di vento, quando lo scirocco avrebbe iniziato a spirare da sud, io sarei partito per la mia avventura in Grecia. Quella cerimonia che mi era sempre piaciuta per la sua sacralità e per la precisa disposizione delle persone, dove ognuno aveva una posizione e un ruolo ben preciso, quell’anno non mi dava molta emozione. Le mie orecchie cercavano il suono delle onde, troppo lontane dall’acropoli, i miei occhi cercavano i libri con i particolari caratteri della scrittura greca, che avevo lasciato nelle tavolette a casa e nei libri del maestro Filippo, il mio naso cercava il profumo delle ragazze greche, che si diceva fossero bellissime e raffinatissime e particolarmente incuriosite e attratte dai giovani provenienti da lontano. Dio Baal era lì, come ogni anno, i suoi occhi azzurri guardavano l’immensità del continente africano come al solito, ma a me sembrava che quell’anno fossero più lontani, troppo lontani e che guardassero nella direzione sbagliata. Dopo tanti mesi di studio, il mio cuore, la mia mente ed il mio spirito, erano pronti per la partenza.

    Dopo un mese mio padre mi disse «figliolo, è arrivato il tuo giorno. Oggi andrò a saldare il conto con il maestro Filippo. Domani partirai con Nearco per Atene e io vado un paio di settimane in Sardegna con un carico di datteri. Studia, cerca di apprendere il più possibile da quest’avventura. Se hai difficoltà chiedi pure a Nearco, se non dovessi farcela con gli studi, la porta di casa è aperta, ma ricorda che se arriverai in fondo, potrai avere più possibilità e una vita più facile e agiata. Una vita migliore. Soffrire da giovani può portare ad avere una vita più facile da adulto.»

    Alle prime luci dell’alba la famiglia era tutta in piedi. Mia madre in un angolo della casa stava piangendo, mentre mio fratello e mia sorella mi guardavano in silenzio mentre prendevo la borsa con le mie cose. Dei vestiti, del cibo per il viaggio e ben nascosti dei sacchetti con del denaro che mi sarebbero serviti per pagare Nearco e le varie spese. Abbracciai tutti e non riuscii a trattenere le lacrime.

    «Ciao a tutti, ci vediamo con la fine dell’estate, quando tornerò per la vendemmia.»

    «Vieni ragazzo – disse mio padre – incamminiamoci. La strada della vita ci aspetta.»

    Superammo a piedi il fianco del porto militare e raggiungemmo il porto mercantile. Nearco aveva già preparato tutto il giorno precedente e appena arrivati mio padre mi consegnò a lui.

    «Intesi allora, ti consegno il mio cuore, abbine cura.»

    «Non dubitare vecchio mio, lo terrò d’occhio.»

    «Ciao ragazzo, buon’avventura.»

    Io non risposi. stavo per dire ciao ma la voce si bloccò in gola e un groppo mi impedì di parlare. Deglutii per rispondere al saluto ma proprio non riuscivo ad esprimere un suono. Mio padre capì e si girò. La sua nave lo aspettava dall’altra parte del porto. Ciao papà pensai.

    Dalla poppa vidi il porto allontanarsi e farsi sempre più piccolo. La città lasciava il posto a campi coltivati, ad ulivi, datteri, viti e qualche allevamento. Attraversammo il Mediterraneo fino alla Sicilia che costeggiammo fino a doppiare la terra dei Bruzi, dove iniziava la Magna Grecia. Risalimmo la costa Ionica fino alle terre degli Iapigi da dove l’Epiro si vedeva ad occhio nudo. Scendemmo quindi sul Golfo di Corinto. Dormii in una locanda assieme ai marinai. Loro il giorno dopo avrebbero caricato altre merci e altri uomini diretti verso altri lidi, io avrei proseguito via terra attraverso l’Attica.

    3 - Il liceo, 268 a.C.

    Il mare ai due lati dello stretto passaggio in cui sorgeva la città di Corinto lasciava il posto alle rocce dei monti a sinistra e all’Egeo a desta. Arrivammo a Megara da cui si vedeva l’isola di Salamina e pensai a quante navi persiane dormivano nei fondali di quegli stretti passaggi, squarciate dalle trireme ateniesi o dalle aguzze rocce nella Seconda Guerra Persiana.

    Dopo una notte in una

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