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Take
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Ebook513 pages7 hours

Take

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About this ebook

Joss Dubois è un'agente dell'FBI indipendente, determinata e con un'abnegazione assoluta per il suo lavoro. Poche persone fanno parte della sua cerchia di amici e a lei va bene così. Quando una di loro, la star di uno dei più famosi spettacoli di Las Vegas, viene minacciata con delle lettere anonime, Joss non esita a trasferirsi all'altro capo del Paese per proteggerla.

Una volta là, anziché trovarsi di fronte all'opera di uno stalker, dovrà affrontare un attentato terroristico, un tentato omicidio e… Ethan Gallagher, ex marine e attuale capo della sicurezza del Desert Casino.

Mentre il fascino dell'evanescente città del peccato non sortisce alcun effetto su di lei, lo stesso non si può dire dell'uomo con il quale all'improvviso si trova a investigare.

Joss ha bisogno di Ethan e lui in cambio le chiede soltanto di condividere tutti i particolari dell'indagine. Lei però è una maniaca del controllo, e tra contrasti e attrazione voleranno inevitabilmente scintille.

Messa alle strette dalla minaccia incombente, a Joss non resterà altro da fare che appianare le divergenze e sfruttare la sintonia che si è creata tra loro per poter mettere le mani sul colpevole prima che sia troppo tardi.
LanguageItaliano
PublisherSilvia Ami
Release dateApr 21, 2016
ISBN9788894044188
Take
Author

Silvia Ami

Silvia Ami has been a project engineer, an executive in a small business, and lately a rocket scientist (just kidding). She backpacked across Europe by train before the cheap-flight era, lived in Germany for five years, and learned Spanish from her husband.She, her husband, and their two boys live in a condo not far from a magic forest. They share a huge LEGO collection, a kitchen full of cooking gadgets, and a home-office that resembles Doc's lab in Back to the Future.

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    Book preview

    Take - Silvia Ami

    Silvia Ami

    Take (Edizione Italiana)

    ISBN: 9788894044188

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice

    UNO

    DUE

    TRE

    QUATTRO

    CINQUE

    SEI

    SETTE

    OTTO

    NOVE

    DIECI

    UNDICI

    DODICI

    TREDICI

    QUATTORDICI

    QUINDICI

    SEDICI

    DICIASSETTE

    DICIOTTO

    DICIANNOVE

    VENTI

    VENTUNO

    VENTIDUE

    VENTITRÉ

    VENTIQUATTRO

    VENTICINQUE

    VENTISEI

    VENTISETTE

    VENTOTTO

    VENTINOVE

    TRENTA

    TRENTUNO

    TRENTADUE

    ​TRENTATRÉ

    TRENTAQUATTRO

    TRENTACINQUE

    L’autrice

    Ringraziamenti

    TAKE

    Copyright © Silvia Ami 2016. Tutti i diritti riservati.

    Questo testo è diventato un ebook nel mese di Aprile 2016

    Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone reali, viventi o defunte, è del tutto casuale.

    All’interno del libro sono stati citati dei marchi commerciali. L’autore riconosce ai legittimi proprietari il marchio di fabbrica di quei prodotti.

    ISBN 978-88-940441-8-8

    Cover Design by © VANILLApercezionigrafiche.com

    Front Cover Photo: © Konradbak/fotolia

    A mio padre che mi ha sempre sostenuto con i suoi:

    «Vuoi provarci? Fallo e non avere rimpianti.»

    UNO

    Inizio primavera, Long Island

    Lo squillo del telefono interruppe il meritato sonno di Ethan Gallagher annunciando probabili grane. Se qualcuno stava chiamando il responsabile della sicurezza di uno dei più longevi casinò di Las Vegas alle prime luci dell’alba, dopo neanche due ore dalla fine del suo turno di guardia, non c’erano dubbi sulla gravità della situazione. Se poi la suoneria era quella assegnata a Donovan O’Malley, suo amico e capo, a Ethan non restava altro da fare che rispondere e prepararsi al peggio.

    «Ehi, Don, che succede?»

    «Ti aspetto nel mio ufficio, sbrigati» replicò l’altro senza tanti convenevoli.

    «Arrivo, dammi il tempo di vestirmi.»

    Quando Ethan entrò nell’ufficio di Don pochi minuti dopo, la prima cosa che notò fu il suo viso tirato e incredibilmente pallido. La seconda fu la lettera che teneva in mano.

    Imprecando, Ethan si avvicinò alla moderna scrivania in vetro e acciaio e, pur conoscendo la risposta, chiese: «Un’altra minaccia alle Gazzelle?»

    «Guarda qui» disse Donovan allungandogli il foglio con mano tremante, mentre si passava l’altra sulla fronte imperlata di sudore.

    Lui annuì, prendendo la lettera. «A quanto pare il postino è arrivato presto oggi.»

    Donovan non rispose. Lo guardò semplicemente negli occhi e gli fece segno di leggere.

    Ethan diede un’occhiata e nell’istante in cui vide cos’era cambiato rispetto alle lettere precedenti, capì cosa atterriva l’amico. Stavolta la lettera minatoria non era stata indirizzata al gruppo di ballo delle Gazzelle, ma all’attuale Regina del Desert e fidanzata di Donovan, Iris Mellon.

    Sin dalla fondazione del Desert Casino, nei primi anni cinquanta, la sua maggior attrazione non era stato il gioco d’azzardo, ma lo spettacolo offerto dalle Gazzelle. Uno show magnifico che riusciva a catapultare il pubblico americano nel pieno della vita notturna parigina, facendolo godere delle tipiche trasgressioni francesi. L’apice della popolarità di quel cabaret era stato raggiunto quando ai classici balletti provocanti erano stati aggiunti nuovi atti di burlesque che imitavano sia le performance del Lido sia quelle del Moulin Rouge.

    Ethan si massaggiò la fronte con la punta delle dita e riconsegnò la lettera a Donovan.

    «Lei come sta?» La sua voce era colma di apprensione, ogni traccia del suo innato buonumore era svanita di fronte all’espressione sul viso dell’amico.

    La mascella di Don si contrasse. «Sta bene, ma non le ho ancora detto niente.»

    «Okay. Significa che abbiamo abbastanza tempo per mettere a punto un piano e riportarla indietro in tutta sicurezza.»

    Ethan rimase a lungo in silenzio. Nelle ultime settimane il suo obiettivo principale era stato mettere al sicuro le Gazzelle, e pensava di esserci riuscito. Aveva predisposto delle misure di sicurezza precauzionali all’interno del Desert e aveva organizzato una scorta per accompagnare a casa le ragazze dopo lo spettacolo. Non si aspettava certo di dover intervenire dall’altra parte del Paese. Diamine, si era persino convinto che Iris avesse fatto una cosa intelligente allontanandosi da Las Vegas per un po’.

    Invece quel pazzoide non l’aveva persa di vista un momento e lui adesso si sentiva un novellino a non aver previsto che quel bastardo si sarebbe fatto vivo anche lì.

    Ora però non c’era tempo per pensare al suo orgoglio ferito, doveva analizzare la situazione e mettere a punto un nuovo piano, subito. E la prima cosa da fare era ovviare alle proprie lacune.

    «Sai dirmi da dove viene fuori il titolo di Regina? Non ho ancora capito se questo stronzo ce l’ha con il Desert e vuole rovinare gli affari facendoci cattiva pubblicità, o se ha qualcosa di personale contro Iris. Prima di muovermi devo avere in mano qualche elemento in più.»

    Don gli rivolse uno sguardo confuso. «Pensavo sapessi già tutto» disse scuotendo la testa. «In pratica, il proprietario del Desert costruì il casinò come reggia per sua moglie, che prima di sposarlo era stata una delle Bluebells, il corpo di ballo del Lido. Sai, quel locale di cabaret e burlesque che c’è a Parigi. Per dimostrarle il suo grande amore, al posto della Sala del Trono Robert le donò un palco e, al posto di una corte, degli ammiratori paganti. Senza volerlo, il nostro magnate del petrolio texano ha dato vita a una delle attrazioni più longeve di Las Vegas, eleggendo la compianta Hannah Deveroux a solenne Regina del Desert.»

    Ethan annuì. Al contrario dei volgari casinò che si trovavano lungo la Las Vegas Strip, il Desert si era distinto per le sue soubrette sensuali ma di classe. Ignorava, tuttavia, che dietro ci fosse una storia d’amore.

    «E com’è che Iris si ritrova a portare il titolo della moglie di Rob?»

    «Hannah era la prima ballerina delle Gazzelle, lo è stata per parecchi anni. Dopo essersi ritirata, decise di cedere il titolo di Regina a colei che avrebbe ricoperto il suo ruolo, tenendo per sé il semplice appellativo di ’Madame’. Comunque, pur avendo rinunciato al palcoscenico, rimase dietro le quinte fino alla fine, vicino alle sue ragazze.»

    «Allora, se per Rob il Desert era così importante, perché se n’è tornato in Texas?»

    «Dopo la morte di Hannah, quattro anni fa, Robert non riusciva a sopportare l’idea di restare qui e ha preferito ritirarsi nella sua città d’origine, lasciando a me il comando.»

    «Purtroppo non ne sapevo niente» ammise Ethan.

    Donovan sbuffò. «Evidentemente non ti sei mai interessato a ciò che è accaduto prima del tuo arrivo.»

    Prima di lavorare al Desert, Ethan era stato consulente della sicurezza per una delle numerose compagnie di Robert Gladstone e, dopo un primo controllo sulla trasparenza degli affari del suo capo, non aveva ritenuto necessario indagare sulle sue altre proprietà, tantomeno su un casinò, classificandolo come un capriccio di un magnate multimilionario, e non come un eventuale problema.

    Ethan e Robert si erano incontrati per la prima volta solo quando gli avevano proposto di entrare a far parte dello staff del Desert in qualità di capo della sicurezza e della vigilanza.

    Gladstone era andato a offrirgli il lavoro di persona, sottolineando il suo particolare interesse nell’attività e il fatto che qualsiasi fallimento sarebbe stato inammissibile. A Ethan non era sfuggita la velata minaccia che si celava dietro quell’offerta accattivante e si era preso un paio di settimane per valutarla attentamente. Alla fine, però, i pro avevano avuto la meglio sui contro e lui aveva accettato.

    Essendo un ex marine specializzato in lavori di intelligence, aveva sia il fegato sia l’addestramento necessari per quel lavoro.

    L’unico problema era che aveva lasciato i Marines per farsi una vita e godersi i benefici derivanti dalla precedente carriera.

    La familiarità con i dispositivi di controllo più all’avanguardia, una notevole esperienza nell’organizzare sistemi di sicurezza e alcuni contatti strategici gli stavano già garantendo un ruolo chiave anche nel mondo civile. Tuttavia, accettando l’offerta di Gladstone, si era visto costretto a rimandare i suoi piani, mettendo in conto di dover agire ancora una volta nell’ombra o quantomeno dietro le quinte.

    Era arrivato a Las Vegas quasi due anni prima e da allora non aveva mai abbassato la guardia, prediligendo uno stile di vita semplice e poco incline alla mondanità, ed evitando relazioni personali che andassero oltre la mera superficialità, a eccezione di Donovan. Entrambi vivevano nell’edificio del casinò, dove trascorrevano la maggior parte del tempo, e avevano sviluppato un’amicizia sincera a forza di lavorare a stretto contatto. Una rarità per due uomini che avevano superato la trentina.

    «Merda!» esclamò Ethan passandosi una mano tra i capelli. «Iris è ancora sull’East Coast, vero?»

    Donovan annuì con le labbra serrate.

    Ethan si accomodò su una delle sedie di fronte alla scrivania esalando un profondo sospiro. «Perché minacciarla proprio ora? Credi che il bastardo che ha scritto questa roba sappia dove si trova?»

    «Di certo sa che non è qui.» Don aveva la voce rotta e le parole gli uscivano a fatica.

    «Dai, amico, nessuno le sta puntando una pistola alla tempia. È la settima lettera che riceviamo ed è la prima volta che si rivolge direttamente a una delle ragazze. Alle altre minacce non è seguita nessuna azione concreta, lo sai. Non ci ha neanche chiesto dei soldi» fece notare Ethan, cercando di rassicurarlo.

    Donovan balzò in piedi: «Cristo, Ethan! Leggi la lettera. Questo stronzo ce l’ha con Iris, mica una delle altre. Vuole che stia alla larga dal Desert. Ho paura che la voglia rapire.»

    «Non credo» replicò calmo. Si sentiva impotente di fronte all’amico ormai in preda alla rabbia, non avendo nulla in mano se non il proprio istinto. Si sforzò di pensare alla cosa più saggia da dire per far ragionare Don, anche se, da quanto poteva vedere, era già troppo sconvolto.

    Inoltre, sapendo dell’affetto profondo che lo legava a Iris, Ethan era dispiaciuto per Donovan e l’ansia che lo attanagliava in quel momento non era certo imputabile al suo ruolo al casinò.

    Gli piaceva Iris, anche se in sua presenza non lo avrebbe mai ammesso. Con lei era molto più divertente bisticciare in continuazione.

    Donovan rivolse a Ethan uno sguardo afflitto. «Sul serio, hai letto? È tutto scritto qui: "Deve abdicare! La Regina deve farsi da parte e restare nel suo esilio dorato, altrimenti penserò io a rimuoverla." Qui non si tratta di insulti o di qualche sventura imminente: qui lo psicopatico sta dicendo che ha intenzione di fare del male alla Regina se non si tiene alla larga dal Desert, perché sa dove andare a cercarla.»

    La situazione era precipitata a una velocità vertiginosa e non potevano rischiare di prendere la decisione sbagliata. «Calmati. Credo sia ora di chiamare la polizia. Se questo tizio ha in mente di agire, occorre un’indagine ufficiale. Nel frattempo...»

    Don tirò un pugno sul tavolo senza lasciargli finire la frase. «Chiamerò gli sbirri, ma ci vorrà parecchio prima che inizino le indagini e noi non abbiamo tempo. Non ci sono prove sulle lettere!»

    «È vero. Sappiamo che le prime sei sono state stampate con una comune stampante laser su carta normale e infilate ognuna in una busta non sigillata. Secondo il laboratorio privato che ho contattato sotto i francobolli non ci sono né saliva né impronte digitali. Non abbiamo nulla.»

    «E pensi che senza prove la polizia si metterà subito in azione? Io credo che se la prenderanno molto comoda con questa storia.»

    «Non sto dicendo di restare fermi ad aspettare la polizia. Credo però che debbano conoscere i fatti. Nel frattempo ho intenzione di proteggere Iris e le altre ragazze in qualche altro modo. Occuparmi di loro è il mio lavoro. E lo prendo maledettamente sul serio» sibilò tra i denti.

    «No, devi andare lì e riportare Iris a casa.» Il tono imperioso di Don non ammetteva obiezioni.

    Ethan ci provò lo stesso: «Stai reagendo in maniera esagerata. Io devo restare qui e coordinare i ragazzi. Possiamo mandare...»

    «No, ho deciso. Ti ho già detto quello che devi fare e lo farai, dannazione! Sono io il capo del Desert e questa è la mia decisione.»

    Ethan si alzò lentamente, chinandosi verso Donovan da sopra la scrivania.

    «Mi prendi in giro?»

    «Sono serissimo. Va’, riporta qui Iris.»

    Ethan puntò l’indice contro Don per rimarcare il proprio disaccordo. Fu sul punto di dirgli di andarsi a riprendere Iris da solo, ma l’ultima briciola di buon senso che gli era rimasta lo dissuase dall’oltrepassare il limite. La sua bocca si aprì, si chiuse e si irrigidì con ostilità.

    Alla fine uscì dall’ufficio sbattendosi la porta alle spalle così forte da farla tremare sui cardini.

    Considerò persino l’idea di precipitarsi di nuovo dentro per mandare tutto al diavolo, finché non ricevette un messaggio di due sole parole: «Scusa, socio»; a quel punto ritornò abbastanza calmo per pensare al lavoro che aveva da fare. Con un sospiro richiamò Don e insieme organizzarono il viaggio a New York.

    Alcune ore dopo a Long Island

    La luce dei lampioni andava e veniva, catturando l’attenzione dell’agente speciale Joss Dubois mentre si guardava intorno nel vicolo deserto. Joss controllò l’orologio ed evitò di chiedere alla sua migliore amica Iris di confermarle nuovamente i dettagli di quello strano appuntamento: l’esterno di un vecchio bistrò di Southampton alle prime luci dell’alba.

    In quel periodo, Joss era in vacanza forzata, una pausa che non aveva affatto gradito. Lei non era tipo da rimanere in attesa senza far niente, aveva bisogno d’azione. Così, non appena aveva saputo che da un po’ di tempo qualcuno stava minacciando Iris con delle lettere anonime, era salita sul primo treno diretto agli Hamptons per accompagnarla a un matrimonio.

    Una volta appresa la gravità della situazione, quel week-end tra amiche si era trasformato in un viaggio a Las Vegas, dove Iris viveva e lavorava come ballerina. E da amica al seguito, come misura puramente cautelare era passata a farle da guardia del corpo full-time.

    Ecco perché ora, anziché dormire in un letto caldo e accogliente, se ne stava seduta su una panchina in attesa che le accompagnassero all’aeroporto.

    Un gatto nero le gironzolò attorno agli stivaletti di camoscio e alzò il musetto rosa prima di correre via.

    «Vai, trovati un posto più caldo e più comodo, amico» brontolò sfregandosi le mani sui jeans. Era infreddolita, stanca e per nulla in vena di fare nuove conoscenze. «Ho bisogno di caffè.»

    Iris, tutta agghindata in un impermeabile rosso ciliegia e scarpe abbinate, starnutì e si lasciò cadere al suo fianco. «Guarda, penso sarebbe meglio un Irish coffee. Con doppio whisky.»

    Joss arricciò il naso. In primo luogo non era una gran bevitrice e poi, se proprio doveva pensare a qualcosa di corroborante da bere in una gelida mattinata come quella, cosa c’era di meglio di una densa cioccolata calda?

    Per tenere le mani in movimento, si arrotolò i lunghi capelli castani in una morbida treccia. «Sono le cinque di mattina, come puoi anche solo pensare all’alcol?»

    «Quando la gente va a sciare consuma sempre bevande calde e alcoliche, no?» Iris sfregò le mani tra loro. «Fa un freddo cane e tra dieci minuti sarò congelata da capo a piedi. In questo momento l’idea di un Irish coffee mi sembra il paradiso.»

    Alla vista di una macchina che si stava avvicinando rapidamente, Iris balzò in piedi e raggiunse il bordo del marciapiede. Joss le fu subito accanto, ancor prima che il guidatore rallentasse e si fermasse proprio davanti a loro.

    Il finestrino del passeggero si abbassò e una voce maschile le salutò in tono scherzoso: «Buongiorno, signore, serve un passaggio?»

    Joss lanciò un’occhiata all’interno del SUV nero, ma con le sole luci verdi del cruscotto non riusciva a distinguere i lineamenti dell’uomo.

    «Era ora che ti facessi vivo!» sbuffò Iris. «Ci hai fatte aspettare qui fuori così tanto che ci siamo congelate. Cominciavo a non sentire più le dita di mani e piedi.»

    L’altro alzò le spalle: «Allora smettila di lamentarti e salta su. La macchina è bella calda.»

    Joss cercò di scorgere il suo volto nella penombra, ma l’abitacolo era praticamente al buio. L’uomo non si scompose e durante tutto lo scambio di parole con Iris il suo sorriso restò intatto. Joss, tuttavia, non era ancora riuscita a incrociare i suoi occhi.

    Sia che fosse per l’addestramento o per mero buon senso, non voleva saperne di salire in macchina con una persona che non conosceva, almeno finché non avesse avuto modo di inquadrarlo. A partire da quegli occhi così evasivi.

    «Ci aiuteresti con le valigie?» Non le era venuta in mente nessuna scusa migliore per farlo uscire dall’auto.

    Sentì il suo sguardo attento vagare su di lei fino a soffermarsi, dopo una pausa, sul suo volto. Ricevere il suo stesso trattamento la mise a disagio, così si schiarì la gola e incrociò le braccia sul petto.

    Alla fine, continuando a sorridere, lui mugugnò: «Ma certo, madame

    La portiera si aprì e l’uomo scese sul viottolo lastricato di pietre. Mentre passava attorno alla parte anteriore del veicolo, Joss riuscì finalmente a osservarlo per bene.

    Era alto almeno dieci centimetri più di lei, che già vantava un buon metro e settantacinque, e aveva spalle larghe. Una presenza forte ma non opprimente, nei suoi vestiti di ottima fattura. Si muoveva con eleganza semplice e contenuta, prendendosi tutto il tempo che voleva. Di proposito.

    Lei aggrottò le sopracciglia quando lui si mosse verso la pila di bagagli sfiorandole il braccio con il suo corpo muscoloso e slanciato. Sollevò il mento, pronta a fargli notare che quell’invasione del suo spazio personale non le era sfuggita, ma le mancò la voce non appena incrociò i suoi occhi blu elettrico.

    Zac! Uno strano brivido caldo le attraversò la spina dorsale.

    Lui si chinò, continuando a guardarla, lei fece un passo indietro rivolgendogli un semplice: «Grazie», ma dovette assumere la solita espressione da non provarci neanche per scherzo per nascondere quanto l’avessero colpita il suo sguardo diretto e penetrante, il modo con cui il suo corpo le avesse riempito la visuale e la facilità con la quale spostava tutti quei pesi. Insomma, la sua prestanza così mascolina.

    Di norma si sarebbe presa cura personalmente della sua roba, ma aveva troppo freddo, le valigie di Iris erano piuttosto pesanti e lui sembrava molto più adatto a occuparsene.

    «Vai, non preoccuparti» disse lui in un tono che tradiva un certo divertimento. Le passò di nuovo pericolosamente vicino e stavolta lei si focalizzò sul suo sorriso disinvolto, la mascella cesellata coperta da una barba dorata vecchia di un giorno e gli zigomi pronunciati.

    «Non mi preoccupo affatto, voglio solo accertarmi che non rimanga fuori nulla.» La sua voce suonò un po’ più debole del solito e questo la fece innervosire.

    Le giunse all’orecchio una risata leggera. Le piaceva. Aggrottò la fronte, in genere non avrebbe mai fatto caso alla sua risata né a quella di qualunque altro uomo.

    Neanche di uomini affascinanti, dai capelli castani ondulati e dagli occhi magnetici.

    Joss lo osservò mentre finiva di mettere a posto i bagagli, dicendosi che voleva soltanto controllare cosa stesse facendo, e non stare lì a spiarlo. Una volta conclusa l’operazione, lui le rivolse un sorrisetto malizioso. Quell’espressione costrinse Joss a ricorrere a tutto il suo spirito da tipa tosta per evitare di rispondergli a sua volta con un sorriso da adolescente in piena tempesta ormonale. Aspettò qualche secondo, poi, senza dire una parola, salì sul SUV accanto a Iris.

    Fu solo dopo aver allacciato la cintura che sentì qualcuno russare sul sedile anteriore del passeggero. Schioccò le labbra, maledicendosi per esserselo fatto sfuggire. Era così concentrata sugli occhi azzurri dello sconosciuto che non si era accorta ci fosse un’altra persona in macchina.

    Joss aspettò che il loro autista si fosse accomodato nuovamente al suo posto prima di puntare l’indice verso il giovane accasciato sul sedile: «Il ragazzino chi è?» chiese.

    Lui rispose senza guardare né lei né il passeggero: «La nuova recluta di Chef Bertrand. Il ricambio di personale nelle cucine del Desert ha un che di assurdo. Nella sua squadra c’è continuamente gente che va e gente che viene.»

    Tornò a guardare la strada deserta: «Niente di preoccupante, la tua amica potrà confermartelo. Allora, Blondie, che ne dici di fare le presentazioni?»

    «Che ci fai qui, Bubu?»

    Joss si voltò e squadrò Iris, notando come avesse intenzionalmente ignorato la domanda.

    Da ciò che riusciva a vedere dal sedile posteriore, scorse Mister-occhi-blu storcere lievemente le labbra: «Oh, sai benissimo perché sono qui, Iris. Sono l’uomo migliore di Don. E lui vuole solo il meglio per la sua bella.» Sospirò e aggiunse, abbassando la voce: «Lui pensa addirittura che io ci provi gusto a farti da balia. Gli ho detto che ho di meglio da fare e che se ne sarebbe potuto occupare chiunque altro, ma mi ha ricordato che sono sul suo libro paga e devo fare ciò che mi dice. Credimi, citazione testuale. E così eccoci qui, costretti a rimanere insieme finché non arriviamo a casa. Perciò ti prego di mettere da parte le scenate per quando tutto questo sarà finito. Pensi di farcela?»

    Joss sentì l’amica sbuffare e la vide girarsi verso il finestrino per evitare di rispondere.

    Continuando a guardare fuori, Iris disse: «Joss, questo è Ethan Gallagher, capo della sicurezza al Desert Casinò. Ethan, questa è la mia migliore amica Joss.»

    «Piacere di conoscerla, signor Gallagher.»

    Lui la scrutò dallo specchietto retrovisore socchiudendo gli occhi. «Piacere mio.» La sua voce roca le provocò un brivido lungo tutta la schiena, reazione che a lui non sfuggì: «Freddo?» chiese.

    Lei annuì, anche se non ne aveva più. Nossignore. Solo a guardarlo si sentì pervadere da uno strano calore.

    «Ecco.» Le passò due grandi bicchieri di polistirolo. «C’è una caffetteria a Islip aperta ventiquattro ore su ventiquattro. L’indirizzo me l’ha dato il nostro caro dormiglione, così mi sono fermato a prendere qualcosa di caldo.»

    Durante il tempo necessario per avviare il motore e immettersi in carreggiata, Ethan continuò a osservarla dallo specchietto. «Allora, Joss, com’è possibile che una ragazza degli Hamptons come te sia diventata la migliore amica della nostra Blondie?»

    «Cosa?» Joss era rimasta interdetta. «Io non sono...»

    Iris si mise a ridere e rispose per lei: «Joss una degli Hamptons? Sì, come no.»

    Ethan aggrottò le sopracciglia: «Evidentemente mi sono perso qualcosa. Non siamo negli Hamptons?»

    «Certo che sì.» Joss non capiva se la stesse prendendo in giro o facesse sul serio, comunque decise di assecondare quel giochetto innocente: «A quanto pare non ha mai conosciuto quelli del posto, signor Gallagher.»

    Lui le rivolse un ampio e sincero sorriso: «Già, vengo da Bu. Laggiù le donne se la tirano molto di meno.»

    Incapace di resistere al suo fascino, Joss si lasciò un po’ andare. E un sorriso riuscì ad avere la meglio sulla sua compostezza forzata. «Prego? Che cosa sarebbe questo Bu di cui continuate a parlare?» chiese, cedendo alla curiosità. Essere un agente dell’FBI spesso era controproducente, doveva per forza conoscere tutti i dettagli.

    «Bu sta per Malibu, in California» spiegò Ethan.

    Joss annuì, per nulla turbata dalla tipica schiettezza da tipo da spiaggia. «Capito. Quindi non ha niente a che fare con l’orsetto Bubu?»

    «No. Quello è il nomignolo speciale che mi ha affibbiato Iris» rispose lui cupo. «Tocca a te. Per cosa sta Joss? Jocelyn?»

    Iris sogghignò: «Non hai speranze di scoprirlo. Odia quel nome e morirebbe piuttosto che dirtelo.»

    «È così brutto?»

    Joss intravide il suo sorrisetto quando riportò lo sguardo su di lei.

    «Ora sono curioso» lui ammise.

    Joss gli lanciò un’occhiata compiaciuta: «Posso darti del tu, vero? Perché non ti limiti a chiamarmi Joss come tutti i miei amici?»

    Lui ridacchiò. «Prima o poi risolverò il mistero. Oppure posso semplicemente sbirciare nel tuo passaporto quando saremo in aeroporto. Scegli tu.»

    «È Josephine» disse lei in tono piatto.

    Ethan abbozzò un cenno col capo. «Be’, non mi sembra così tremendo.»

    Joss alzò gli occhi al cielo: «Sì che lo è. Mia madre era convinta che Josephine Dubois fosse il nome perfetto per il suo piccolo tesorino. Pensava che questo nome avrebbe confermato il mio destino di ballerina classica professionista, o per lo meno di fanciulla perbene. Ma si sbagliava.» Incrociò le braccia e guardò fuori dal finestrino.

    «Si sbagliava di grosso.» Fine della discussione.

    Non aveva messo in conto quanto si sarebbe divertita Iris nell’aggiungere: «Oh, sì. Persino con un tutù e uno chignon riusciva a intimidire chiunque.»

    «Ah. Così voi due vi siete conosciute a scuola di danza?» chiese Ethan osservando Joss.

    Lei si chiese come facesse a guidare se stava tutto il tempo a fissarla. Per un po’ resse il suo sguardo, ma ben presto fu distratta dalle luci accecanti dell’aeroporto ormai vicino. Non riusciva a capire perché fosse così interessato ai suoi trascorsi con Iris; non avendo particolari segreti da nascondere, decise per un breve resoconto: «Esatto. E anche se non condividevo la passione di Iris per la danza, siamo diventate amiche per la pelle e lo siamo rimaste per tutti questi anni.»

    Ethan alzò lentamente un sopracciglio. «Eccoci arrivati. Chi si offre volontaria per baciare il nostro bell’addormentato?»

    ***

    Mentre aspettava al banco dell’autonoleggio dell’aeroporto MacArthur di Long Island, Ethan pensava a quanto fosse migliorato il suo umore di recente. Era più rilassato, nonostante la carenza di sonno e la frustrazione che lo aveva accompagnato nelle ultime venti ore. Era un grande passo avanti considerando che era su tutte le furie quando aveva lasciato Las Vegas.

    Ciò che lo aveva fatto imbestialire non era tanto il fatto che Don gli avesse assegnato quello stupido incarico ‒ volare a New York per andare a prendere le due ragazze ‒ ma che glielo avesse ordinato. Sapeva che quando si trattava della sua ragazza, Iris, il suo amico poteva anche perdere il controllo, eppure non era mai uscito completamente di senno. Tranne questa volta.

    Dopo aver riconsegnato la macchina all’autonoleggio, corse ai terminal di partenza per ritrovarsi con il gruppo. Camminando lungo il corridoio, si sentì finalmente a suo agio, la chiacchierata con le ragazze lo aveva aiutato a sbollire la rabbia verso Don. In quel momento, il suo unico pensiero era riuscire a trovare un po’ di tempo da trascorrere da solo con la signora Dubois. Le occhiate fugaci alle sue labbra sensuali, che aveva intravisto dallo specchietto retrovisore, e le parole sfrontate che si erano scambiati avevano finito per intrigarlo.

    Quando entrò nel terminal, notò Joss in piedi dietro al carrello bagagli, stracolmo della roba delle ragazze, e Iris seduta con il giovane cuoco su una fila di sedie poco lontano. La differenza tra le due donne non poteva essere più evidente: la bellezza di Iris era artificiale, con quelle mèche bionde e il vestito impeccabile, elegante e palesemente su misura. Joss, invece, aveva ricevuto in dote una bellezza naturale, che neanche l’espressione seria del viso riusciva a offuscare.

    Lei lo chiamò con un gesto della mano e quando Ethan le fu di fronte, gli chiese sottovoce: «Non hai nemmeno un bagaglio con te?»

    «Perché?» ribatté lui sorpreso. «Sono partito da Las Vegas ieri sera, non mi sono portato un cambio per un viaggio così breve.»

    «Non hai niente? Neanche un borsone?»

    Ethan scosse la testa, infastidito da quella insistenza: «No, perché?»

    Joss indicò una borsa nera in mezzo alla loro pila di valigie: «Perché se è così, abbiamo un problema.»

    «Cazzo!» esclamò Ethan. Fece per avvicinarsi alla borsa, ma Joss lo fermò afferrandogli l’avambraccio. «No, aspetta, vado a chiamare la guardia. Tu sta’ attento a Iris e al ragazzino, portali via. E non dire una parola.»

    DUE

    Il comportamento di Joss aveva preso Ethan completamente alla sprovvista. Prima che potesse aprir bocca per obiettare, lei si era già volatilizzata. Imprecando sottovoce, spostò il carrello con cautela e si avvicinò a Iris.

    «Ehi, devo controllare un paio di cose prima di raggiungere la pista, hai presente la sala VIP? Fammi un favore, tu e il ragazzino andate a sedervi lì. Ti dispiace?»

    Iris socchiuse gli occhi grigi. «Problemi? Dov’è Joss?» Per la prima volta da quando si conoscevano, Ethan sperò che lei facesse quello che le aveva appena chiesto senza controbattere, ma si rivelò una speranza vana, era Iris dopotutto. Esitò per qualche secondo, giusto il tempo di pensare a una bugia credibile, ma lei si era già innervosita.

    Decise che era meglio dirle la verità, sperando così di rabbonirla. «Iris, per favore, datti una calmata. Joss sta andando a chiamare qualcuno della sicurezza, ha trovato una borsa in mezzo alle vostre cose e prima di partire dobbiamo verificare che non sia niente di preoccupante. Ora ascolta,» le cinse la vita da dietro per rassicurarla «siediti laggiù, dove posso tenerti d’occhio, e aspetta. Vedrai, presto saremo sul jet.»

    Iris lo osservò: «Dov’è Joss? Che cosa mi stai nascondendo?»

    «Non ne so niente, ha detto che se ne sarebbe occupata lei. Quindi, se ti fidi di lei, fa’ ciò che ha chiesto e vatti a sedere lì. D’accordo?» sbottò, spazientito.

    Lei fece una pausa, come a trattenere il fiato, poi sbuffò: «Va bene. Non voglio mettermi a litigare con te proprio adesso.»

    Lui le sfiorò una spalla, ricevendo in cambio uno sguardo torvo. «Grazie» le disse in tono assente, con la testa già altrove. La sola presenza di Joss era bastata a fargli abbassare la guardia e non aveva reagito abbastanza in fretta alle sue parole. E ora si sarebbe volentieri preso a calci da solo.

    Appoggiò la schiena alla parete e incrociò le braccia al petto, guardandosi attorno. Avrebbe tanto voluto sapere in che guaio li stava mettendo Joss, ma non poteva certo lasciare incustodito il carrello per andare a cercarla. Controllò l’orologio almeno una ventina di volte prima che lei tornasse con una guardia che portava con sé alcuni dispositivi per il rilevamento di esplosivi. Uno assomigliava a un aspirabriciole, un’apparecchiatura in grado di annusare e riconoscere residui esplosivi meglio di un cane. Le altre due scatolette, grandi quanto un walkie-talkie, erano una versione più sofisticata e sensibile di un naso elettronico, capaci di analizzare lo spettro emesso dalle sostanze chimiche, impiegando lo stesso metodo con cui gli astronomi scoprivano la composizione delle stelle.

    Mentre camminavano, Joss e l’ufficiale parlavano così piano che Ethan poté afferrare solo uno stralcio della loro conversazione leggendo il labiale. Quando lo raggiunsero fermandosi accanto al carrello, lei fece le presentazioni e si fermò al suo fianco.

    Gli sussurrò in un orecchio: «L’ufficiale Bassett ha appena informato i suoi colleghi di controllare i nastri della sicurezza. Stanno già cercando la persona che potrebbe aver lasciato la borsa sul nostro carrello.»

    Lui inclinò la testa all’indietro e la squadrò per bene.

    La sua mente lavorava su ogni scenario possibile che potesse ricondurre al borsone, mentre il suo cuore moriva dalla voglia di sapere chi diavolo fosse la donna che gli stava di fronte. Era rimasta calma e distaccata davanti al pericolo, non poteva essere una ragazza qualunque.

    Allungò la mano verso una lunga ciocca castana che le era caduta sul viso e gliela spinse oltre la spalla sinistra, invadendo di proposito il suo spazio. Con la mano ancora poggiata sul suo morbido giaccone di lana, si chinò in avanti e le disse piano: «Davvero una mossa geniale. Hai la minima idea di cosa hai innescato? Dannazione, saremo bloccati qui finché...»

    «Agente Dubois?» chiamò la guardia di sicurezza. «Per favore venga qui.» E lei si allontanò senza battere ciglio.

    Ethan rimase come paralizzato, con un braccio sospeso per aria, la punta delle dita che ancora percepivano il calore del contatto col suo corpo e le ultime parole che gli erano morte in gola. Quello shock lo colpì alle tempie, un dolore pungente che lo costrinse a chiudere gli occhi per qualche istante. Quando li riaprì, chiese senza tanti preamboli: «Che sta succedendo?»

    La guardia lo fissò intensamente. «Purtroppo i sospetti dell’agente Dubois sono fondati. Il naso elettronico ha rilevato la presenza di esplosivo nella borsa. Dobbiamo isolare quest’area, evacuare l’aeroporto e chiamare la squadra artificieri.»

    Joss alzò le mani con i palmi rivolti verso l’esterno e parlò con tono deciso: «Aspettate un minuto, forse possiamo evitare tutti questi problemi. Non c’è bisogno di agitare la folla o esporci ai media.»

    Gli occhi della guardia si spalancarono. «Impossibile, dobbiamo seguire la procedura. Alla lettera. Dobbiamo evacuare lo stabile e...»

    «Bassett, mi faccia fare qualche telefonata. So che questa non è la mia giurisdizione, ma potrei esservi d’aiuto. Sono abbastanza sicura che possiamo ottenere il permesso di spostare il carrello in un’area più sicura dove potremo occuparcene senza dare nell’occhio.»

    L’ufficiale fece una smorfia: «Agente Dubois, non posso. Non ho io l’autorità per prendere queste decisioni.»

    Lei alzò il mento e lo inchiodò con lo sguardo. «Mi porti dal responsabile.»

    Ethan approvò quella reazione veloce e sfrontata. L’agente Josephine Dubois poteva essere una rottura di palle, ma per il momento era il suo jolly. Il modo migliore per saltare su un aereo prima che fosse sera e non rimanere impelagati a New York per colpa delle indagini.

    Con lo sguardo fisso sul borsone e il cervello che lavorava all’impazzata, Ethan fece qualche passo indietro. Decise di concedere una chance a Joss lasciandole prendere il controllo della situazione. In fondo, lei aveva un distintivo e lui era un civile.

    Si estraniò un istante dalla discussione che lei stava sostenendo con la guardia di sicurezza a proposito di protocolli e procedure. Si concentrò soltanto sull’individuare eventuali altre vie d’uscita per evitare di rimanere invischiati nelle indagini locali.

    Tornò a focalizzarsi sul mondo che lo circondava solo quando Joss gli afferrò un avambraccio: «Ethan, mi hai sentito? Dobbiamo muoverci in fretta.»

    Lui sbatté le palpebre. «Cosa?»

    «Resta qui con l’ufficiale Bassett, per favore. Io vado nel suo ufficio a fare le mie chiamate.»

    A Ethan quella proposta non piacque affatto. Già stava facendo uno sforzo a lasciarle condurre il gioco, ma l’idea di rimanere all’oscuro di tutto, senza la possibilità di intervenire in alcun modo, gli risultava inaccettabile. «Perché? Puoi farle anche dal cellulare.»

    «Certo che posso, ma non voglio che qualcuno passando mi senta parlare di una bomba.»

    Con rammarico, annuì di fronte alla sensatezza di quell’affermazione. «D’accordo, vai.»

    Joss corse verso l’ufficio della sicurezza dell’aeroporto. Quando scomparve dietro una porta a vetri schermata da veneziane bianche, lui e l’ufficiale Bassett si studiarono a vicenda.

    Dopo qualche istante, la guardia ruppe quel silenzio imbarazzante: «Lei è un collega dell’agente Dubois?»

    Scosse la testa. «Sono nel settore privato.»

    «È brava.»

    «Già» gli fece eco lui con malcelata ironia, sperando che la conversazione terminasse prima di dover rivelare che non aveva la minima idea in cosa Joss fosse evidentemente così brava.

    Il fatto di dover dipendere dalle decisioni di qualcun altro irritava Ethan come poche altre cose.

    A differenza di quanto era successo in quella occasione, non si faceva distrarre facilmente, preferendo mantenere il controllo totale su tutto ciò che avveniva intorno a lui. Essere a capo della sicurezza di un casinò di Las Vegas significava gestire un team in grado di riferirgli ogni volta chi fosse entrato nell’edificio e, cosa ancora più importante, quali fossero le sue intenzioni. Un truffatore e un borseggiatore potevano essere un pericolo sia per i clienti sia per il casinò. Rubare un sacco di soldi poteva rappresentare sicuramente un problema per le finanze del Desert, ma rubare un migliaio di dollari dalla tasca di un cliente era potenzialmente lesivo per la sua reputazione. Poteva bastare un cliente insoddisfatto a rovinare gli affari.

    Ma ora Ethan non poteva pianificare, agire e, cosa peggiore, prendere decisioni. Non era nel suo ambiente e non era libero di muovere un dito perché una certa agente ‒ Dio solo sapeva che razza di agente fosse ‒ aveva preso il controllo della situazione lasciandolo nel suo angolino come uno sfigato.

    L’ufficiale Bassett si grattò la testa calva, poi iniziò a camminare su e giù davanti al carrello, visibilmente ansioso di ricevere ordini e togliersi da quell’inghippo. Ethan, che avrebbe preferito stare da solo anziché con una guardia indecisa sul da farsi, lo rassicurò: «Tornerà fra un attimo. Abbiamo un sacco di tempo.»

    «Certo.»

    Quasi evocata dalle loro parole, Joss uscì dall’ufficio, correndo loro incontro. «Bene, ho parlato con il responsabile della sicurezza e insieme abbiamo chiamato il mio direttore, l’agente speciale al comando dell’ufficio di Boston. Siamo giunti a un compromesso che ci permetterà di mantenere un basso profilo fino all’arrivo della squadra artificieri, che è già in viaggio verso l’aeroporto. In ogni caso, ho dato al loro caposquadra tutte le informazioni che abbiamo al momento. Per non agitare le acque, ha suggerito di spostare il carrello nella zona del controllo bagagli e di mandare via tutti gli impiegati. Dobbiamo essere estremamente cauti non conoscendo la natura della bomba. So bene anch’io che c’è un protocollo da seguire e che per noi sarebbe più sicuro aspettare che la squadra artificieri la controlli prima che venga rimossa. Ma visto che abbiamo l’autorizzazione a fare un controllo preliminare usando gli strumenti in dotazione all’aeroporto, mi metterei all’opera per poterli ragguagliare in anticipo sulla natura del pericolo.»

    Dalle gocce di sudore sulla fronte dell’ufficiale Bassett, Ethan intuì che avrebbe preferito aspettare la squadra artificieri lì anziché mettere il naso in faccende che non erano di sua competenza. Perciò lui e Joss dovevano muoversi in fretta e approfittare della momentanea incertezza della guardia per agire.

    Lei fece un cenno nella sua direzione e disse in tono perentorio: «Ufficiale, la prego di occuparsi degli impiegati. E cerchi di contenere il panico.» Quando Bassett se ne fu andato, si voltò verso Ethan: «Andiamo.»

    Lui si mosse verso il carrello e mormorò sottovoce: «Agente Dubois, eh?»

    Joss estrasse da una tasca il suo tesserino identificativo. «Agente speciale Josephine Dubois.»

    «Un federale? Per l’amor di Dio! Quell’idiota di una bionda stava portando a casa un federale e si è dimenticata di dirlo? Giuro, questa volta non la coprirò con Donovan. È pazza!»

    «Pensi di riuscire a calmarti un attimo? Non c’è nessun problema, Don sa benissimo cosa faccio per vivere.»

    Ethan si fermò di colpo, talmente esterrefatto da scordarsi per un momento che stava spingendo una bomba nascosta in un borsone.

    Lei lo guardò di sottecchi. «Ci conosciamo fin da bambini e sa esattamente dove lavoro.»

    «Che figlio di puttana.» Ethan all’improvviso avvertì il desiderio di dare più di un pugno al suo amico. Si sentiva tradito, ingannato e deluso. E tutti quei sentimenti dovevano essere chiaramente visibili sulla sua faccia, perché anche Joss cambiò atteggiamento. Il suo sguardo diventò carezzevole, come se volesse sfiorare i suoi lineamenti per rassicurarlo: «Ehi, non è niente, credimi. Abbiamo tutto il tempo per discuterne con Don e Iris, dopo. Ora abbiamo a che fare con una grana di dimensioni colossali e non abbiamo un secondo da perdere.»

    Lui sbatté le palpebre e, in un attimo, mise da parte tutte le emozioni.

    «Giusto. Prima di tutto dobbiamo tornare a casa sani e salvi.» Le puntò contro il dito: «Poi mi occuperò

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