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Il libro della giungla (Nuova edizione illustrata con 89 disegni originali di Maurice de Becque e altri)
Il libro della giungla (Nuova edizione illustrata con 89 disegni originali di Maurice de Becque e altri)
Il libro della giungla (Nuova edizione illustrata con 89 disegni originali di Maurice de Becque e altri)
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Il libro della giungla (Nuova edizione illustrata con 89 disegni originali di Maurice de Becque e altri)

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Il libro della giungla (The Jungle Book) è una raccolta di racconti dello scrittore Premio Nobel per la Letteratura Rudyard Kipling; pubblicati, mentre viveva nel Vermont, su vari giornali e riviste tra il 1893 e il 1894. Questa pubblicazione contiene 89 illustrazioni di Maurice de Becque e altri disegnatori, fra cui anche il padre stesso dell'autore, John Lockwood Kipling.
I più conosciuti tra questi racconti rimangono difatti le storie che narrano le avventure del "cucciolo d'uomo" di nome Mowgli, abbandonato nella giungla indiana e adottato da un branco di lupi.
Tra gli altri racconti, i più noti sono probabilmente Rikki-tikki-tavi (la storia di un'eroica mangusta) e Toomai degli elefanti (la storia di un giovane conduttore di elefanti). Il secondo libro della giungla seguì nel 1895, comprende, tra le altre, ulteriori cinque storie che vedono protagonista il piccolo Mowgli.
I racconti del libro della giungla che narrano le avventure di Mowgli (detti per l'appunto storie di Mowgli) sono utilizzati come ambientazione dai lupetti, la fascia d'età più giovane del movimento scout. Quest'uso venne approvato da Rudyard Kipling dopo una richiesta diretta da parte di Robert Baden-Powell, il fondatore dello scautismo.
Attraverso i vari personaggi della storia (positivi e no) vengono incarnati qualità o difetti soggettivi. Questo particolare metodo viene definito la "morale per tipi". Per esempio Tabaqui rappresenta il disordine, la trasandatezza e la viltà, Baloo rappresenta la saggezza e la spiritualità individuale, Bagheera rappresenta l'agilità e la forza fisica, Shere Khan la prepotenza, Kaa la bontà d'animo e la cortesia. I pregi dei personaggi positivi sono inoltre riassunti in alcune frasi chiamate parole maestre, queste frasi sono anch'esse tratte dal libro della giungla ed insegnate ai lupetti.

LanguageItaliano
PublisherKentauron
Release dateApr 20, 2016
ISBN9781988113203
Il libro della giungla (Nuova edizione illustrata con 89 disegni originali di Maurice de Becque e altri)

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    Il libro della giungla (Nuova edizione illustrata con 89 disegni originali di Maurice de Becque e altri) - Maurice de Becque

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    Introduzione


    Il libro della giungla è comunemente diventato uno dei libri motivazionali dei lupetti, la fascia di età più giovane del movimento scout. Questo uso dell’immaginario del libro è stato approvato da Kipling, su richiesta di Robert Baden-Powell, fondatore del movimento scout, che aveva inizialmente chiesto il permesso dell'autore per l'utilizzo del gioco di memoria presente in Kim nel suo programma di sviluppo fisico e morale dei giovani della classe operaia delle città. Akela, il lupo capobranco de Il libro della giungla, è diventato una carica di alto rango del movimento, il nome viene tradizionalmente adottato dal leader di ogni gruppo di lupetti.

    Il libro della giungla


    Ora Chii, il Nibbio, riconduca la notte

          che Mang, il Pipistrello, lascia libera...

    Le mandrie sono chiuse in stalle e capanne,

          ché liberi noi siamo sino all’alba.

    Ora d’orgoglio e di potenza è questa

          tallone e zanne e artiglio.

    Oh ascoltate il richiamo!... Buona caccia a tutti

          quelli che rispettano la Legge della Giungla!

    Canto notturno nella Giungla

    I Fratelli di Mowgli


    Erano le sette di sera di una caldissima giornata nelle colline di Seeonee, quando Papà Lupo si destò dal suo riposo diurno, si grattò, sbadigliò, e stirò le zampe una dopo l’altra per liberare le estremità dal torpore del sonno. Mamma. Lupa stava distesa col grosso muso grigio tra i suoi quattro cuccioli che si rotolavano guaendo, e la luna splendeva nella bocca della tana dove tutti abitavano.

    «Augrh!», disse Papà Lupo, «è ora di andare nuovamente a caccia». Stava infatti per lanciarsi giù per la collina, quando una piccola ombra con una coda folta attraversò la soglia e mugolò: «La buona fortuna t’accompagni, o Capo dei Lupi; e buona fortuna e forti denti bianchi ai tuoi nobili figli, e che essi non dimentichino mai gli affamati di questo mondo».

    'GOOD LUCK GO WITH YOU, O CHIEF OF THE WOLVES'

    Era lo sciacallo, Tabaqui, il Leccapiatti, e i lupi dell’india disprezzano Tabaqui perché egli corre intorno a far guai, a raccontar frottole, mangiando cenci e pezzi di cuoio nei mucchi di immondizie dei villaggi. Ma hanno anche paura di lui, perché Tabaqui, più di ogni altro nella Giungla, può perdere la ragione e allora dimentica che ha sempre avuto paura di tutti, e corre per la foresta e morde tutto ciò che incontra. Persino la tigre scappa e si nasconde quando il piccolo Tabaqui impazzisce, perché la pazzia è la cosa più vergognosa che possa capitare a una creatura selvatica. Noi la chiamiamo idrofobia, ma loro la chiamano dewanee, la pazzia, e fuggono.

    «Entra, dunque, e guarda», disse Papà Lupo, burbero; «ma non c’è nulla da mangiare qui».

    «Per un lupo, no», disse Tabaqui; «ma per un miserabile come me un osso spolpato è un lauto banchetto. Chi siamo noi, i Gidurlog (il popolo degli sciacalli), per esaminare e scegliere?». Sgattaiolò in fondo alla tana, dove trovò un osso di capriolo con un po’ di carne sopra, e si accoccolò a rosicchiarlo tutto felice.

    «Infinite grazie per questo buon pasto», diss’egli, leccandosi le labbra. «Quanto sono belli i vostri nobili figli! Come sono grandi i loro occhi! E così giovani ancora! Veramente, veramente, avrei dovuto ricordarmi che i figli dei re nascono adulti sin dal principio».

    Ora, Tabaqui sapeva quanto ogni altro che non vi è nulla di maggior malaugurio del far complimenti in faccia ai bambini; ma gli faceva piacere di veder Mamma Lupa e Papà Lupo turbati.

    Tabaqui rimase tranquillamente accoccolato a godersi il male che aveva fatto, poi disse malignamente:

    «Shere Khan, il Grosso, ha mutato i suoi campi di caccia. Caccerà da queste colline durante la prossima luna, così mi ha detto».

    Shere Khan era la tigre che viveva vicino al fiume Waingunga, venti miglia lontano.

    «Non ne ha alcun diritto!», cominciò Papà Lupo in collera, «e secondo la Legge della Giungla, non ha alcun diritto di mutare i suoi luoghi senza debito avviso. Spaventerà tutti i capi di bestiame per dieci miglia all’intorno, e io... io ho da ammazzare per due, in questi giorni».

    «Sua madre non l’ha chiamato Lungri (lo Zoppo) per nulla», disse Mamma. Lupa, tranquillamente. «È zoppo da un piede sin dalla nascita. Per questo ha soltanto ucciso armenti. Ora i contadini della Waingunga sono in collera con lui, ed egli è venuto qui per far andare in collera anche i nostri contadini. Batteranno la Giungla per dargli la caccia quand’egli sarà già lontano, e noi e i nostri figlioli dovremo fuggire quando sarà dato fuoco all’erba.Davvero, siamo molto grati a Shere Khan!».

    «Debbo dirgli della vostra gratitudine?», domandò Tabaqui.

    «Fuori!», ringhiò Papà Lupo. «Vattene a cacciare col tuo padrone.Tu hai fatto abbastanza male per una notte».

    «Me ne vado», disse Tabaqui, tranquillamente. «Potete udire Shere Khan giù nelle macchie.Avrei potuto risparmiarmi l’ambasciata».

    Papà Lupo stette in ascolto, e, giù nella valle che scendeva a un piccolo fiume, udì l’ululare rabbioso e rauco di una tigre che si lamentava di non aver preso nulla, e non le importava che tutta la Giungla lo sapesse.

    «Che stupido!», disse Papà Lupo. «Cominciare una notte di lavoro con simile chiasso! Crede forse che i nostri caprioli siano come i suoi grassi giovenchi della Waingunga?»

    «Sss! Non caccia né caprioli né giovenchi stanotte», disse Mamma Lupa. «Caccia l’Uomo». Il lamento s’era mutato in una specie di sonoro mugolio, che sembrava giungesse da ogni parte dell’orizzonte. Era il rumore che sgomenta i taglialegna e gli zingari che dormono all’aperto, e li fa correre talvolta proprio in bocca alla tigre.

    «L’Uomo!», esclamò Papà Lupo, mostrando tutti i suoi denti bianchi. «Puf! Non ci sono abbastanza scarafaggi e rane negli stagni, che egli debba mangiare l’Uomo, e sul nostro campo per giunta?».

    La Legge della Giungla, che non ordina mai nulla senza una ragione, proibisce a tutte le bestie di mangiare l’uomo, eccetto quando uccidono per mostrare ai loro figli come si uccide, ma allora debbono cacciare fuori dai luoghi di caccia del loro Branco e della loro tribù. La vera ragione di questo è che l’uccisione dell’uomo significa, presto o tardi, l’arrivo di uomini bianchi su elefanti, con fucili, e di centinaia di uomini di colore con gong, razzi e torce. Allora tutti nella Giungla ne soffrono. La spiegazione che le bestie si danno tra loro è che l’uomo è il più debole e il meno difeso di tutti gli esseri viventi, e che non è cavalleresco attaccarlo. Dicono pure, ed è vero, che i mangiatori di uomini diventano rognosi e perdono i denti.

    Il mugolio divenne più forte e finì nell’«Aaarh!» a piena gola dell’assalto della tigre.

    Poi vi fu un urlo, un urlo non da tigre, di Shere Khan. «Non è riuscito», disse Mamma. Lupa. «Cos’è?».

    Papà Lupo corse qualche passo fuori e udì Shere Khan borbottare rabbioso mentre rotolava qua e là nella boscaglia.

    «Quello stupido ha avuto così poco buonsenso da saltare nel fuoco dell’accampamento di qualche taglialegna, e s’è bruciato le zampe», disse Papà Lupo con un grugnito.«Tabaqui è con lui».

    «Qualche cosa sale il pendio», disse Mamma Lupa, drizzando un orecchio.«Tienti pronto».

    S’udì un lieve fruscio nel folto dei cespugli, e Papà Lupo si piegò sulle zampe posteriori, pronto a lanciarsi. Allora, se foste stati là a guardare, avreste visto la cosa più meravigliosa del mondo, l’arrestarsi del lupo a metà del suo slancio. Egli spiccò il salto prima di veder su che cosa si lanciasse, poi tentò di arrestarsi col risultato di balzare diritto in aria per quattro o cinque piedi di altezza, ricadendo quasi allo tesso punto.

    «Uomo!», ringhiò. «Un cucciolo d’Uomo.Guarda!».

    Proprio davanti a lui, reggendosi ad un ramo basso, stava un bambino nudo, bruno, che poteva appena camminare; una creaturina morbida e paffutella come non era mai capitata di notte in una tana di lupi. Il bambino alzò gli occhi in faccia a Papà Lupo e rise.

    «È quello un cucciolo d’Uomo?», chiese Mamma Lupa. «Non ne ho mai visto uno.Portalo qui».

    Un lupo abituato a trasportare i suoi cuccioli può, se è necessario, prendere tra i denti un uovo senza romperlo, e benché le mascelle di Papà Lupo si chiudessero sul dorso del piccino, non un dente gli graffiò la pelle nel deporlo fra i cuccioli.

    «Come è piccolo! E come è nudo... e ardito!», esclamò Mamma Lupa, dolcemente. Il bambino si faceva largo tra i cuccioli per avvicinarsi al petto caldo di Mamma Lupa. «Ahi ! Vuol fare il pasto con gli altri. E così, questo è un cucciolo d’uomo. Ebbene, c’è mai stata una lupa che abbia potuto vantare un cucciolo d’uomo tra i suoi figlioli?»

    «Ho udito parecchie volte una cosa simile, ma mai nel nostro Branco o ai tempi miei», disse Papà Lupo. «È completamente senza pelo e lo potrei uccidere con un solo tocco della mia zampa.Ma vedi, ci guarda e non ha paura».

    Il chiaro di luna scomparve dall’entrata della tana, perché la grossa testa quadrata e le spalle di Shere Khan l’occupavano tutta. Tabaqui, dietro di lui, guaiva: «Mio signore, mio signore, è entrato qui!».

    «Shere Khan ci fa grande onore», disse Papà Lupo, ma i suoi occhi esprimevano una grande collera.«Di cosa ha bisogno, Shere Khan?»

    «La mia preda. Un cucciolo d’uomo è venuto da questa parte», disse Shere Khan.«I suoi genitori sono fuggiti. Dammelo!».

    Shere Khan era balzato sul fuoco di accampamento del taglialegna, come aveva detto Papà Lupo, ed era furioso per il dolore alle zampe. Ma Papà Lupo sapeva che l’entrata della tana era troppo stretta perché vi potesse passare una tigre. Persino lì dov’era, le spalle e le zampe anteriori di Shere Khan non si potevano muovere. Un uomo si troverebbe così, se cercasse di combattere dentro un barile.

    «I Lupi sono un popolo libero», disse Papà Lupo. «Ubbidiscono agli ordini del Capo del Branco, ma non a quelli di un qualsiasi ammazzarmenti tigrato. Il cucciolo d’uomo è nostro... e possiamo ammazzarlo, se vogliamo».

    «Che volere o non volere? Che discorsi sono questi? Per il toro che ho ammazzato, debbo io forse stare qui ad annusare il vostro canile, per avere quello che giustamente mi spetta?Sono io, Shere Khan, che parlo».

    Il ruggito della tigre fece rintronare tutta la caverna. Mamma Lupa scrollò il cucciolo di dosso e balzò innanzi. I suoi occhi, simili a due lune verdi nell’oscurità, fissarono quelli fiammeggianti di Shere Khan.

    THE TIGER'S ROAR FILLED THE CAVE WITH THUNDER

    «E sono io, Raksha (la Diavola), che ti rispondo. Il cucciolo dell’uomo è mio, Lungri, proprio mio, di me. Non sarà ammazzato. Vivrà per correre col Branco, e per cacciare col Branco; e alla fine, sentite... cacciatori di cuccioletti nudi... mangiaranocchi... ammazzapesci... esso darà la caccia a te! E adesso vattene, o per il Sambhur che ho ammazzato (io non mangio bestiame morto di fame), torna da tua madre, bruciacchiata bestia della Giungla, più zoppo di quando mai venisti al mondo. va’!».

    Papà Lupo guardò stupito. Aveva quasi dimenticato i giorni in cui si era conquistato Mamma. Lupa in leale combattimento contro altri cinque lupi, quando essa correva col Branco e non era chiamata la Diavola per complimento. Shere Khan avrebbe potuto affrontare Papà Lupo, ma non poteva tenere testa a Mamma Lupa, perché sapeva che dove egli si trovava essa aveva tutto il vantaggio del terreno e si sarebbe battuta a morte. Così si ritrasse dalla bocca della tana ringhiando, e quando fu fuori urlò:

    «Ogni cane abbaia nel suo cortile ! Vedremo che cosa ne dirà il Branco di questo allevamento di cuccioli d’uomo. Il cucciolo è mio e dovrà cadere sotto i miei denti alla fine, o ladri dalla coda di volpe!».

    Mamma Lupa si accasciò ansando tra i cuccioli e Papà Lupo le disse in tono grave:

    «Shere Khan dice purtroppo la verità. Il cucciolo deve essere mostrato al Branco.Vuoi ancora tenerlo, Mamma?»

    «Tenerlo!», esclamò ansando sorpresa. «È giunto nudo, di notte, solo e affamato; eppure non aveva paura. Guarda, ha già spinto da parte uno dei miei piccini. E quel macellaio zoppo avrebbe voluto ammazzarlo, e poi sarebbe fuggito alla Waingunga, mentre i contadini qui avrebbero fatto una battuta ai nostri covili per vendicarsi. Tenerlo? Sicuro che lo terrò. Giù, cuccia, piccolo ranocchio. O Mowgli, poiché Mowgli, il Ranocchio, ti voglio chiamare, verrà il giorno in cui tu caccerai Shere Khan come egli ha cacciato te».

    «Ma che dirà il nostro Branco?», domandò Papà Lupo.

    La Legge della Giungla stabilisce molto chiaramente che ogni lupo può, quando sposa, ritirarsi dal Branco a cui appartiene; ma appena i suoi cuccioli sono cresciuti abbastanza da reggersi in piedi, egli deve condurli al Consiglio del Branco, che si tiene generalmente una volta al mese a luna piena, affinché gli altri lupi possano identificarli. Dopo questa ispezione, i cuccioli sono liberi di correre dove vogliono, e finché non hanno ucciso il loro primo capriolo, nessuna scusa è accettata se uno dei lupi adulti del Branco li uccide. La punizione è la morte ovunque l’uccisore è trovato; e se tu ci pensi un momento, vedrai che dev’ essere così.

    Papà Lupo attese finché i suoi cuccioli furono in grado di correre un poco, poi, la notte della Riunione del Branco, li condusse con Mowgli e Mamma. Lupa alla Rupe del Consiglio: una cima di collina coperta di ciottoli e di massi, dove poteva nascondersi un centinaio di lupi. Akela, il grosso lupo grigio, il Solitario, che guidava tutto il Branco per la sua forza e la sua astuzia, se ne stava lungo disteso sulla sua roccia, sotto di lui erano accovacciati una quarantina e più di lupi d’ogni grandezza e colore, dai veterani grigi come il tasso, che erano capaci di affrontare un capriolo da soli, ai giovani lupi neri di tre anni, che credevano di poter fare altrettanto. Il Solitario li aveva ora guidati per un anno. Era incappato due volte in una trappola da lupi, in gioventù, e una volta ne aveva buscate tante da esser lasciato per morto: così conosceva gli usi e i costumi degli uomini.

    THE MEETING AT THE COUNCIL ROCK

    Si parlava ben poco alla rupe. I cuccioli rotolavano uno sopra l’altro nel mezzo del cerchio dove sedevano i genitori, e di tanto in tanto un lupo anziano s’avvicinava pian piano ad un cucciolo, l’osservava attentamente, e ritornava al suo posto con passi silenziosi. Talvolta una madre spingeva il suo cucciolo in avanti al chiaro della luna, per essere sicura che non passasse inosservato. Akela, dalla sua roccia, ripeteva il grido: «Guardate, guardate bene, o lupi!».

    Finalmente - e quando il momento giunse, il pelo si drizzò irto sul collo di Mamma Lupa - Papà Lupo spinse Mowgli il Ranocchio, come lo chiamavano, dentro il cerchio dove egli si sedette ridendo e mettendosi a baloccarsi con dei sassolini che rilucevano al lume della luna.

    Akela non alzò mai la testa dalle sue zampe, ma continuò nel suo monotono grido: «Guardate bene!».

    Un ruggito soffocato giunse da dietro le rocce; era la voce di Shere Khan che gridava: «Il cucciolo è mio. Datemelo! Che cosa ha da fare il Popolo Libero con un cucciolo d’uomo?».

    Akela non drizzò nemmeno un orecchio; disse soltanto: «Guardate bene, o lupi! Che cosa importano al Popolo Libero gli ordini di uno che non è

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