Bianco, Rosso, Nero, Grigio MISEROLOGHI
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Bianco, Rosso, Nero, Grigio MISEROLOGHI - Rosario Stefanelli
Grigio
Bianco
Mary Ann Taylor
Mi hanno picchiata. Non ho portato soldi questa notte e loro mi hanno ricoperto di botte, calci e pugni. Che vita infame!! Portatemi all’ospedale bastardi, sfruttatori
.
Non c’è voce per una come me, per una che è nata in una grotta in mezzo ad un bue e ad un asino e su uno scomodo letto di paglia.
È stata dura, sin dalla nascita. Mio padre era un falegname e mia madre, …..quella santa donna, raccoglieva pomodori sotto il sole cocente. Eravamo poveri, molto poveri, ed io non lo sopportavo, non sopportavo la miseria e l’indigenza, ma più di ogni altra cosa non tolleravo quella finta contentezza e felicità dei miei, quell’accontentarsi e rassegnarsi a quella condizione sociale. Non ho mai accettato quello stato; e così sono scappata via. Sono arrivata in città con tante speranze e tanti sogni. Speranze e sogni che ben presto sono finiti su una strada sporca e becera, fatta di tacchi a spillo e profilattici.
Non mi piace questa vita, vorrei avere la forza ed il coraggio di cambiarla. Ma ho continuato su questa strada e cosi…… per settimane mesi anni………poi un giorno ho incontrato un cantafrottole, un monaco più precisamente, scalzo e pelato, che mi guardò negli occhi e disse in te vedo il figlio di Dio
, poi abbassò lo sguardo e andò via. Non lo vidi più passare di lì, non so cosa gli avrei detto, forse soltanto una spiegazione, per curiosità, non per altro.
In verità continuavo a battere, e instancabilmente, eppure c’era qualcosa che mi portava lì. Dove? Le luci di un luogo di festa. No!
niente di lurido, nessuna droga, solo danza e musica. Entrai. Mi vennero incontro persone alla mano, senza pregiudizi, mi accolsero come una di loro, nonostante nell’aspetto non fossi simile a loro. Mi portarono in una stanza, dove c’era un uomo che parlava, che raccontava di un tale che veniva dalla lontana Galilea, un certo Gesù Cristo. Ma io mi guardavo ancora intorno, e iniziavo a sentire che non ero poi così diversa dagli altri.
Quel prete continuava a raccontare, un po’ sentivo e un po’ no; una bella festa, pensai. Non c’era nulla di ciò a cui ero abituata. Di solito qualche amica mi invitava a casa sua per un aperitivo oppure a sniffare cocaina. Qui non c’era gente ricca, ma modesta, umile, e c’era una misteriosa aria che ancora non riuscivo a comprendere. Alla fine venne raccontata la storia di un figlio, che scappò da casa per amore di libertà e fame di esperienza, e che, trascorsi molti anni, decise di far ritorno tra i suoi cari. Egli aveva vissuto il rifiuto dell’amore e il rifugio nella caducità delle cose
, queste le ultime parole del prete.
Dopo quel giorno fui immersa nei pensieri, non riuscivo nemmeno più a battere, avevo le gambe che mi tremavano, e non avevo la testa per fare delle cose, per cui stetti in casa alcuni giorni. Sentivo lo sporco, avvertivo il corpo pesante e maleodorante, iniziavo a farmi paura.
Cosa penseranno di me i miei?
Era la prima volta che mi facevo quella domanda. Non so, ma iniziarono alcuni scrupoli. Fin quando…….. un bel mattino mi risvegliai col desiderio di rivedere padre Thomas, così credo si chiamasse, non so dove abitasse. Entrai in una parrocchia adiacente a quella casa in festa, domandai di lui ad un altro sacerdote, il quale mi disse di non conoscerlo, e così decisi di andare via. Proprio nel momento in cui voltai le spalle all’uomo vestito, costui mi disse: non abbandonare la casa di tuo padre ancora una volta
, rimasi pietrificata, non piansi, ma si liberò una voce che mi disse rimani, resta, non ingannarti di nuovo
. Rimasi e parlai con quel sacerdote, che non cercò di persuadermi a condurre miglior vita. Mi ricordò soltanto che il nostro corpo era fragile, e che un giorno non avrei più tratto da esso grandi benefici, e che la strada da seguire era lì dietro di me. Uscì da quel santuario, presi un taxi e tornai a casa, la casa dei sacrifici mai riconosciuti.
Padre Thomas
Non amate me, ma colui che rappresento, non seguite il mio corpo, ma ciò che di buono posso dirvi, abbiate pietà per me, solo pietà.
Non comprendo tanta idolatria per me, me me , che vivo tra tanta sofferenza, da parte di chi tanta sofferenza preferisce guardarla su una torre d’avorio o al massimo viverla come evento straordinario per emozionare per un attimo un’arida esistenza.
Non trasformatemi in un eroe, in un Dio, non innalzatemi più di una pelle intrisa di sangue, abbiate soltanto pietà per me, lo preferisco.
La mia vita non è una missione!!!!!!! La missione è una parola che sa di eccezionale, di smisurato e di non convenzionale.
Per me un gesto di misericordia ad un morto di fame non è frutto di un momento di estemporanea felicità personale o di una festività in cui la bontà è l’eccezione alla regola, ma obbligo morale, consuetudine di vita, itinerario quotidiano, come fare un semplice biglietto per l’autobus. Lo fai, lo fai ancora e poi non ci pensi più se farlo o no, lo fai e basta. Lo fai per abitudine e non per scelta.
Follia! Follia!
Non gridatemi contro. Tali gesti devi farli soltanto se ti senti
. La verità è che non ci sentiamo mai. Quante volte non volevo alzarmi dal letto, rimanere a riposare invece di recarmi in strada a tendere la mano a chi soffriva. Ma l’ho fatto perché questa è la mia vita, e non semplicemente e troppo facilmente una missione, come a tanti di voi conviene definirla, dandole un significato titanico, di distante dalla propria esistenza, di impossibile realizzazione ordinaria.
Missione: una parola perfetta, un grande capolavoro, prodotto dalle vostre stesse paure, una parola che giustifica, non biasima, non recrimina, che fa persino eroe chi, ogni tanto, tende una mano alla miseria e l’altra al proprio petto, per carpire un emozionante palpito a cui non ci si era più abituati.
Ma io vi dico