La dottrina dello Stato e la sua crisi: Problemi e prospettive
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Può esistere uno Stato senza sovranità? E qual è il rapporto tra Stato e diritto? Subisce anche lo Stato gli effetti delle trasformazioni sociali in un’epoca di conflitti di classe? Come influisce la tecnica sui rapporti di potere tradizionali? La centralità di questi interrogativi è evidente; non è un caso che tra le più significative dottrine dello Stato debbano essere ricordate quelle di tre tra i più importanti giuristi della Germania tra Kaiserreich e Weimarer Reichsverfassung: Jellinek, Kelsen, Heller. Ma la dottrina dello Stato richiamava due altre tematiche, quella del rapporto tra centro e periferie (così nella concezione municipalista di Preuß, seguace liberale di Gierke) e quella della costituzione e del suo significato, tanto che non a caso, talvolta, essa poteva apparire nelle vesti di una ‘dottrina della costituzione’, come nel caso di Schmitt, Fraenkel, Smend, Leibholz, Thoma. Su quest’orizzonte, la Dottrina dello Stato è centrale. Lo è anche oggi, nell’epoca della ‘morte dello Stato’, della globalizzazione, delle unioni sovranazionali? Questo saggio vuol accennare una risposta, rappresentando al tempo stesso un pladoyer per la disciplina.
Lo Stato non solo non è morto, pur dovendosene rivisitare le funzioni, ma non è morta nemmeno la sovranità, se interpretata come relativa e non assoluta. Ancor più: solo uno Stato ‘forte’ (ed un conseguente senso dello Stato) può garantire una vita democratica non effimera, una libertà non astratta e una garanzia concreta dei diritti dei singoli.
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LA DOTTRINA DELLO
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Edizione digitale: giugno 2015
Produzione digitale: Mucchi Editore
ISBN: 9788870006780
I. Lo Stato moderno e la sua scienza
La dottrina dello Stato, scriveva negli anni Trenta del secolo passato Santi Romano, «è disciplina variamente intesa, ma in sostanza, a prescindere dalla concezione che l’identifica col diritto costituzionale generale (…) o è, come avveniva per il passato, puramente filosofica, o, più spesso e più recentemente, è giuridica soltanto in parte, e, in questa parte, analoga alla scienza del diritto costituzionale generale»¹. Significativo che per la parte giuridica Santi Romano parlasse di scienza del diritto costituzionale generale, per sottolineare un aspetto specifico della dottrina dello Stato, appunto in quanto scienza. Volendo in questa sede mettere in evidenza l’importanza di questa disciplina pur in presenza di una crisi del suo oggetto, lo Stato (di cui parlava lo stesso Romano già all’inizio del secolo scorso²), potremmo anche limitarci a ricordare questa definizione, che salva la disciplina sotto altro nome; vorremmo invece tentare di andare oltre il problema, per certi aspetti privo di importanza, della definizione formale per tentare di capire il significato sostanziale di una disciplina il cui oggetto determina sotto molteplici punti di vista il suo significato non tanto accademico, ma politico, culturale e scientifico al tempo stesso. Per certi aspetti un azzardo, considerando che lo Stato viene oggi dato per spacciato; e così la scienza che se ne occupa.
La dottrina generale dello Stato ha un’origine, com’è noto, tipicamente tedesca, potendo esser fatta risalire nella sua genesi – prima ancora che a von Mohl³ – già a Kant e alla sua idea di uno Stato garante del diritto, ovvero, meglio, delle libertà di tutti (si tratta appunto del Rechtsstaat come figura omogenea alla centralità dell’individuo e quindi per molti aspetti insensibile alle formazioni sociali
, donde il primo manifestarsi della crisi dello Stato
già, in fondo, con la stessa Rivoluzione francese, di cui il pensiero politico di Kant è sublime traduzione filosofica). Quelle libertà di tutti
(per la verità va ricordato che in Kant i requisiti per essere uomini liberi sono tali da rendere cittadini di fatto solo coloro che possono essere definiti borghesi e proprietari proprio nell’accezione consueta del termine⁴) rispetto alle quali l’idealismo successivo a Kant vorrà però rivendicare anche i diritti delle comunità, delle associazioni, degli organismi e poi, specificamente, delle nazioni
, con Fichte e con Hegel.
La concezione dello Stato nell’Ottocento si svilupperà tacitamente sempre più nel rafforzamento della convinzione che lo Stato è la forma giuridica propria della nazione, che Stato e nazione sono intimamente connessi, e ciò in Italia con il Romagnosi e il Mancini, altrove in quelle teorie prima giuridiche, poi politiche, che presto – in un rovesciamento di posizioni dalla ‘sinistra’ alla ‘destra’ – si chiameranno nazionaliste
(e che troveranno in Francia la loro patria, soprattutto nelle elaborazioni dottrinali di autori come Barrès e Maurras). Una convinzione che in verità – va detto già qui – è tutt’altro che fondata, esprimendo soltanto una vocazione del tempo, una sua idealità (il farsi Stato delle nazioni
in senso moderno), nient’affatto, però, sempre rispondente alla realtà delle cose, realtà che ancora nell’Ottocento vedeva Stati non coincidenti con una data e sola nazione (esempio tipico l’Impero austro-ungarico, Stato in forma di impero, ma pur sempre, già ed ancora, Stato).
La dottrina dello Stato si sviluppa però come disciplina in senso proprio solo nella seconda metà dell’Ottocento, trovando la sua piena fioritura tra la fine del secolo e i primi decenni del Novecento, specialmente in riferimento al tema della ‘sovranità’ degli Stati dopo la fondazione del II Impero tedesco e l’unificazione della Germania sotto la guida della Prussia di Bismarck. È perciò utile vedere, sia pure schematicamente, come viene definito lo Stato agli albori di questa disciplina.
La prima concezione dello Stato lo considera come espressione della forza, ciò in particolare, per esempio, in Gumplowicz, per il quale – criticando le concezioni ‘giuridiche’ in quanto politicamente ‘tendenziose’⁵