Sul Divenire: Dialogo con Biagio de Giovanni
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Gli “abitatori del tempo” vivono nella convinzione che tutto, al mondo, sia legna che brucia, la quale più o meno lentamente diventa cenere. Ed essi credono inoltre che la prova irrefutabile di tale caducità – genus di cui la mortalità dell’uomo è semplice species – possa essere (e in concreto sia) offerta, banalmente, dall’esperienza. Ma la stessa “morte”, scavando al sottosuolo del problema, è fatto o interpretazione? Questo capitolo del dialogo fra Emanuele Severino e Biagio de Giovanni – che le Piccole Conferenze si pregiano qui d’ospitare per il suo universale valore teorico – racchiude così in un’unica domanda, solo in apparenza provocatoria, l’estrema sfida lanciata a tutte le categorie filosofiche del Pensiero Occidentale.
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Sul Divenire - Emanuele Severino
Pianeta.
I. Attualismo e tecnica
«Le domande della filosofia sulle cose ultime della nostra esistenza nascono con l’uomo e si estingueranno solo con lui». Cioè l’uomo non può non porsele, ma non potrà mai risolverle. E la domanda fondamentale riguarda il rapporto tra eternità e tempo, infinito e finito, verità e storia. Così scrive e intende Biagio de Giovanni. Aggiungendo che «le modalità di questo rapporto sono illimitate e in Gentile e Severino sembrano toccare il punto di un’antitesi radicale fra ciò che è e ciò che diviene» (Disputa sul divenire, Editoriale Scientifica, 2013, pp. XI-XII). Come ogni tesi di de Giovanni, anche questa è accompagnata da tutto un insieme di suggestive sfumature, ma anche in questa sua perentoria formulazione essa coglie il senso essenziale dell’interpretazione che nei miei scritti vien data di Gentile. E come ho detto nella Prefazione, sono d’accordo anche sulla posizione che de Giovanni assegna alla filosofia: la filosofia non è una sovrastruttura
che è resa possibile da qualcosa di più profondo, ma è il cuore della storia europea e dell’Occidente, il terreno, amo dire, in cui crescono le opere
stesse, le res gestae dell’Occidente. Scrive: «L’uomo è, kantianamente, ente metafisico, prima di essere animale politico» (op. cit., p. XII). Sono d’accordo, anche se poi, nei miei scritti, il rapporto tra finito e infinito è inteso in modo del tutto diverso non solo dal criticismo kantiano ma dal modo in cui l’intero Occidente ha pensato tale rapporto (e l’Oriente non è l’alternativa, ma è la preistoria dell’Occidente – e preistoria, cioè preparazione dell’Occidente, è tutta la vita dell’uomo da che egli abita la terra).
Riferendosi alla mia interpretazione della storia dell’Occidente e del rapporto tra attualismo gentiliano e tecnica, de Giovanni osserva che «se Gentile è per eccellenza il filosofo della tecnica, ovvero della vera potenza che per Severino domina il mondo, e della radicale distruzione di ogni Immutabile, per questa sola ragione Gentile diventa il punto più alto e coerente» dell’alienazione che domina la storia dell’uomo e che i miei scritti intendono portare alla luce e negare, essendo tanto più radicata quanto più nascosta: la fede nel diventar altro da parte delle cose. Nella sua forma più compiuta essa pensa nel proprio inconscio che quel che è, è nulla. De Giovanni non condivide l’esistenza della solidarietà tra attualismo e tecnica. Ritiene però che per Gentile «quel che è, è nulla».
Tuttavia, l’Atto, per Gentile, è il divenire stesso, che può essere tale solo in quanto è il divenire dell’esperienza, ossia della realtà pensata (o del pensiero della realtà – pensiero e realtà inscindibilmente uniti) che è continuamente superata e annientata dal prodursi di nuove realtà, di nuove verità. Autocreazione della realtà. E poiché il pensiero è coscienza di sé – e proprio perché è coscienza della realtà – esso è Io (l’Io che non è cosa tra le cose, ma è il Tutto in cui ogni cosa e ogni tempo si presentano). L’autocreazione coincide con l’autocoscienza. Ma l’Io è anche un dialogo con sé stesso, ossia è un Noi
, cioè Stato
: quella «società trascendentale» a cui Gentile guarda nell’ultima delle sue opere, Genesi e struttura della società. L’autocreazione della realtà è l’autocreazione della società trascendentale, che dunque è la potenza somma. Il pensiero è volontà creatrice. Altrove ho mostrato la potenza concettuale di queste tesi (una potenza che oggi rimane pressoché ignota). Qui si può richiamare che mentre ogni oggetto posto dal pensiero tende a irrigidirsi, a sottrarsi al proprio divenire e quindi a limitare l’autocreazione del pensiero-realtà, si è fatto avanti, per la prima volta nella storia del mondo, un Oggetto che non si oppone alla Volontà dell’Atto di superare ogni oggetto e ogni limite, ma è a sua volta la volontà di aumentare all’infinito la potenza esistente. Questo Oggetto è la tecnica guidata dalla scienza moderna, cioè l’Apparato scientifico-tecnologico planetario. L’attualismo si fonda sulla fede – che peraltro l’intero Occidente considera non come fede, ma come l’evidenza suprema – nell’esistenza del diventar altro, cioè del divenire che nella propria forma più rigorosa è il venire dal nulla e ritornarvi, e su questo fondamento mostra l’impossibilità di