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Il comunismo dei desideri
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Il comunismo dei desideri

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Se è possibile definire l'uomo in ciò che più gli appartiene, ciò appare essere il desiderio, i suoi desideri. Tuttavia questi non hanno mai goduto di un riconoscimento sociale. I desideri appaiono legati all'esclusiva sfera del privato, ognuno ha i suoi da perseguire, spesso in conflitto con quelli altrui.

Riuscire a trovare una via per offrire a ciò che - più umano di così non esiste - una legittimità sociale, è lo scopo di questo libro; il quale considerando l'idea del comunismo come ciò che sta alla base d’ogni forma di convivenza sociale, ritiene sia essa in grado di realizzare un contesto culturale tale da poter permettere ai desideri d’essere sia riconosciuti, che condivisi, in modo da offrire alla vita d'ogni uomo uno spessore meno austero e più sensibile alle molteplici voci della sua natura.
LanguageItaliano
Release dateFeb 3, 2016
ISBN9788898894710
Il comunismo dei desideri

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    Il comunismo dei desideri - Attilio Fortini

    lui

    Introduzione

       Questo libro nasce da una necessità che si è rafforzata nel tempo. L'impressione che gli ha dato forma appartiene a una decina di anni fa, e da quell'istante non ha smesso d'essermi presente. Difatti se allora mi poteva apparire chiara l'inestricabilità di ogni cosa, il suo inscindibile appartenere a una dimensione complessiva, rimaneva in questione il perché del suo venire al mondo, in altre parole, il senso del suo apparire. 

       Quell'impressione mi si presentò osservando la luce sfavillante sulla superficie increspata di un fiume che stavo attraversando. L'impressione che ne ebbi mi offrì da subito un'emozione. Il calore del sole, i suoi raggi lucenti, offrivano alle pieghe del fiume ciò che siamo soliti considerare come un bene, come qualcosa di piacevole e bello. È dunque in questa dimensione di bellezza che è nata in me la domanda che accennavo, ma è stata soprattutto l'emozione in cui mi è apparsa, che l'ha custodita, che le ha creato una sorta di guscio protettivo, facendola persistere fino ad oggi. Questo è ciò che credo.

       L'immagine che scorgevo m'interrogava come un enigma. Perché l'acqua doveva acquisire quella forma così inutile e fugace, così persistente nell'immobilità del tempo, nel suo infinito ripetersi, e allo stesso modo, in quel medesimo istante, mascherare la sua realtà effettiva, ossia divenire sostanzialmente invisibile per una memoria che la osservasse?

        Nessun singolo incresparsi, difatti, nell'attimo del suo avvenimento poteva avere una fisionomia tale da porsi come verità complessiva per quella comunione d'onde. Non poteva offrire un senso che fosse sia specificamente proprio come nemmeno in grado d'accogliere, di quell'incresparsi, l'effettiva compiutezza. Questo perché potevo solo osservare il moto del fiume nella sua complessità, dal punto di vista da cui lo contemplavo, producendo in me un'idea che cercasse di conservarlo, perché se invece provavo a scorgere in quell'immensa superficie la sua realtà effettiva, tentando di catturare in quella tempestiva fugacità una singola sbavatura, una piccola onda, forse due, e ritenere nella memoria la loro singolare forma, in quel medesimo istante perdevo definitivamente tutte le altre, non avrei potuto fare altrimenti.

       E più osservavo la singolarità delle onde nel suo ripetersi, e più l'immagine singolare si cancellava dalla mia mente, lasciando spazio sempre più a un'idea, d'onda; a una concezione semplificata del rifrangersi della luce sull'incresparsi sull'acqua. Era questo che il mio incontro col fiume mi offriva. Un'idea generale del suo moto.  

       Infatti, mi era del tutto impossibile cogliere la complessità della sua verità sensibile, quella fatta dai molteplici atti d'incresparsi. Potevo solo accontentarmi di un'impressione complessiva e dell'emozione che l'accompagnava, ed è principalmente per ciò che la domanda mi è divenuta necessaria.

       Le domande necessarie non sono quelle alle quali si può rispondere, ma quelle che continuano a interpellarci. L'incresparsi del fiume, del resto, non è diverso da una folla di persone, dalle piante di un bosco, dalle nuvole del cielo, dai granelli di sabbia di una spiaggia. Il principio è il medesimo. Se nella loro singolarità quegli elementi hanno un loro motivo d'essere, nell'insieme, quel singolo motivo, si cancella. Se per comprendere una singolarità può servire sapere dove e come si è formata, per esempio sapere se una persona sia nata in un luogo piuttosto che in un altro, abbia conosciuto certe persone piuttosto che altre, e via dicendo, per l'insieme stesso delle persone tutto ciò è inutile. Tutti sono nati da qualche parte, tutti hanno conosciuto qualcuno. Ciò che può valere per offrire un senso allo specifico, non vale per il complessivo. 

       Sapere che il singolo atto d'incresparsi del fiume sia permesso dal declinare del suo letto, facendo così scorrere l'acqua, e che la sua singolare forma sia dovuta ai rilievi del fondale, uniti alle avversità meteorologiche della superficie, non ci dice nulla del perché quella forma debba continuamente nascere in quel modo così particolare e diverso da tutte le altre.

        Pertanto i dubbi che mi apparsero evidenti quel giorno, potrei tradurli in questo modo: perché ogni cosa possiede il singolare aspetto che ha piuttosto che un altro: è una semplice conseguenza o una necessità, è perché non può essere diversamente o forse perché non vuole essere diversamente?

       I dubbi erano chiari, le risposte no. Del resto a quelle questioni si sarebbe potuto rispondere sia in un modo che nell'altro, senza per altro modificare granché la comprensione di ciò che s'interrogava. La scelta di una risposta, piuttosto che un'altra, appariva più che altro una questione di gradimento, ossia il prediligere ciò che fosse maggiormente confacente a chi lo potesse intendere, piuttosto che affermare qualcosa che avesse senso per sé.  

       Non mi sembrava che ci fosse scampo. Nessuna risposta, seppur logicamente opposta all'altra, avrebbe potuto essere più vera dell'altra. In forse non era perciò la correttezza o meno della risposta che poteva essere offerta, ma il criterio di verità che bisognava adottare. Difatti si può vivere anche senza un senso definito a priori, in altri termini senza possedere la sola verità che immaginiamo possa esistere, tuttavia, senza chiederci che senso le cose abbiano per noi, no. 

       Il criterio di verità non può dunque essere solo teorico, ossia non può essere solo il frutto di un'osservazione spassionata, ma deve avvalersi anche del processo persistente di un'indagine singolare e dubitativa. Ed è poi questa persistenza nella ricerca a produrre il senso del vero, è questo continuo anelare a costituirlo.

       Per cercare d'illustrare come la costituzione di verità avvenga, potrebbe esserci d'aiuto l'immagine della tessitura. Nel momento in cui un tessuto sta per essere creato, si possono  riconoscere due parti piuttosto distinte tra loro. Una in cui il tessuto è ormai concluso, un'altra in cui questo non lo è ancora. Tra queste due parti vi è un filo che si avvicenda perpendicolarmente all'ordito, intrecciandolo costantemente. Nonostante questa trama si sposti in continuazione da destra a sinistra tramite la navetta, il suo vero scopo è però quello di far avanzare perpendicolarmente a essa la realizzazione del tessuto. Questo scopo non appare nel semplice transitare del filo da una parte all'altra dei suoi lati, non appartiene all'evidenza del suo moto, piuttosto alla sua conoscenza, alla comprensione di cosa stia avvenendo tramite quel movimento.  

       Difatti è solo comprendendo il vero processo che è in atto, che si può sapere dove quel filo stia andando realmente. Il senso della trama nel muoversi da un'estremità all'altra del telaio, non è il medesimo in cui avanza la realizzazione del tessuto. Il senso di realizzazione del tessuto è, come dicevo, orientato perpendicolarmente rispetto alla trama, ed è costituito dalla moltitudine dei fili dell'ordito. Essi appaiono quasi immobili sul telaio, se si esclude il loro lieve ondeggiare al fine di permettere l'intrecciarsi dei fili, tuttavia è nel loro corso che si realizza quel senso.

       Il rifrangersi dell'acqua era dunque solo un effetto secondario, come dire: il gioco di una trama il cui scopo non stava mostrandosi ai miei occhi? 

       Fui assorto da interrogativi di questo genere che lasciai quel luogo per dirigermi verso casa.

       Se quella era la trama, mi chiedevo: l'ordito dov'era? Quello non poteva collocarsi nel fiume, perché in esso nasceva solo qualcosa, perché il fiume mostrava solo un fenomeno in atto. Questo fenomeno, come il filo zigzagante di un telaio, non indicava nulla dell'orientamento costitutivo di ciò che su quel telaio si stava realizzando. L'ordito del fiume non era dunque solo nel fiume, ma nella complessità dell'evento al quale avevo assistito, o meglio, partecipato. 

       Se non ci fosse stato il mio desiderio di comprendere il mondo, forse non mi sarei nemmeno fermato ad ammirare quei raggi di luce riflettersi sulla superficie dell'acqua, con i loro mille riflessi così affascinanti. Avrei gettato un occhio al fiume, probabilmente in modo distratto, e se non fossi stato troppo assorto dai miei pensieri, nella migliore delle ipotesi avrei semplicemente gustato la piacevolezza di quell'attimo, senza il bisogno d'interrogarlo così a fondo. 

       Queste considerazioni diedero perciò vita a una seconda pista d'indagine: che l'ordito potesse allora trovarsi nascosto in me? Se

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