Il rumore delle foglie cadute
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About this ebook
Sono tutte foglie cadute, silenziose e immote. Fino al soffio del vento, al suono dei passi che le calpesta e le risveglia.
L’antologia di racconti brevi contiene:
• Buongiorno signor Mavi…
• L’errante Cavaliere
• Ti aspetterò nel pomeriggio
• La vita di Malaerba
• Quello che resta
• La grande onda
• La leggenda del lupo grigio.
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Il rumore delle foglie cadute - Alberto Camerra
Guerra
1
Buongiorno Signor Mavi…
Fabrizio Mavi non credeva più in nulla. Aveva abbandonato da tempo la religione, dopo aver perduto il lavoro a quarantacinque anni e aver perso i suoi pochi amici. Qualcuno sposato era geloso della moglie, altri preferivano evitarlo per coltivare il proprio orticello.
Il carattere all’apparenza burbero e introverso aveva contribuito a fare di lui un uomo isolato e ignorato.
Anche Nicola, l’ultimo amico rimastogli accanto, si era rivelato un opportunista. Messosi in proprio, intendeva sfruttarne l’onestà facendo perno sul fascino lascivo della stessa consorte; una giovane dai capelli corvini, dal fisico piacente, dalla scarsa vena morale e con un forte ascendente su di lui. Fabrizio stesso decise di tagliare i ponti anche con loro due.
Il fato gli si era accanito contro, e a nulla era servito sperare che la sorte avversa potesse terminare.
Così si era richiuso in se stesso, precipitando in uno stato di apatia da cui non riusciva a risollevarsi.
«La depressione è una brutta bestia. Una malattia terribile e difficile da sconfiggere: devi lasciarti aiutare» gli ripeteva la madre anziana, appena compresa la situazione del figlio.
Ma le condizioni di salute e l’età avanzata non le permettevano di prendersi cura di lui, come avrebbe voluto.
Il monolocale che occupava, nel quartiere popolare di Verona, diventò un sudario dall’abbraccio stretto e soffocante. Un calvario chiuso in quattro pareti fredde e dall’intonaco fatiscente. Usciva solo per comprarsi lo stretto necessario a sopravvivere. Talvolta mangiando una volta al giorno, talvolta scordandosi di farlo, oppure rinunciando per il basso sussidio che percepiva. I capelli cominciavano a ingrigirsi e a cadere. Tanto che, il viso e gli occhi infossati uniti a una carnagione chiara, gli conferivano un aspetto quasi spettrale che si combinava a una corporatura smilza e dinoccolata.
Somigliava alla controparte maschile di Adelina; la ragazza che ogni giorno lo salutava sulla soglia di casa prima di uscire. Minuta, pallida, lo scrutava dietro i suoi inseparabili occhiali scuri. Vestiva con capi sobri e neri, giacche di una misura più ampia rispetto alla sua taglia, sopra magliette di cotone bianco.
«Buongiorno signor Mavi... le occorre qualcosa? Sto uscendo» si rivolgeva a lui con rispetto e cordialità particolari.
L’unica persona dell’intera palazzina a farlo per qualche strano motivo. Perlomeno così appariva a Fabrizio. Lo riteneva l’ultimo flebile spiraglio di una luce che si affievoliva progressivamente: lui non aveva più nulla da dare, eppure quella ragazza dai capelli corvini, raccolti in chignon, gli dedicava ogni giorno alcuni minuti del suo tempo.
Nonostante il dialogo con la vicina si limitasse a quella singola frase ricorrente, alla quale rispondeva con un cenno negativo del capo e un triste sorriso, il gesto era importante nel lento incedere di giorni opachi e aridi sempre uguali.
Nei pochi istanti dell’incontro, Fabrizio si sollevava dal letto e compiva i pochi passi necessari a raggiungere l’ingresso, richiamato dal trillo del campanello.
Un rituale quasi religioso, che lo scuoteva dal torpore fisico e mentale.
Adelina si era insinuata nella sua esistenza.
Ci era riuscita arrivando in punta di piedi. Il ragazzo iniziò a contare i minuti che lo separavano dalla sua visita, quindi le ore. E, quando questa avveniva, un sapore diverso sostava per qualche tempo nella sua giornata. Un aroma di tranquillità, un gusto di umanità.
Finché la visite di Adelina s’interruppero.
Il primo giorno, Fabrizio rimase seduto sul letto, attendendo invano, trascorrendo una notte quasi insonne. Il mattino seguente lo trovò curvo sul materasso, con le mani a stringere la nuca e lo sguardo a cercare un inesistente spiraglio luminoso dalla porta. Dondolava il tronco con i gomiti appoggiati alle ginocchia, alternando la vista dai piedi all’entrata del monolocale.
Inquieto.
Non poteva accettare che la sua vicina si fosse dimenticata di lui.
Non anche lei.
Era assurdo.
Se soltanto le avessi detto qualche parola... forse...
Meditava preso dall’angoscia di aver commesso qualche inspiegabile mancanza, ripromettendosi che avrebbe assunto un comportamento meno schivo.
Nemmeno con quei nuovi propositi, la ragazza non vide.
Fabrizio prese a camminare nervosamente lungo l’appartamento, attraverso il disordine degli abiti sparsi a terra, sfiorato dalle fasce orizzontali del sole che si affacciava timidamente dalle persiane sulle finestre.
Le è accaduto qualcosa. Deve essere così. Non ci sono altre spiegazioni. Lei non mi abbandonerebbe mai. Mai! Provò a convincersi.
Incapace di tollerare diversamente. L’angoscia del non sapere diventò più forte di ogni altra cosa: Fabrizio s’infilò le scarpe, una giacca sgualcita, e solcò l’uscio di casa.
Disorientato, si rivolse alla signora del