Le sette vite di Sebastian Nabokov - Secondo corso di lettura creativa
By Franco Mimmi
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Le sette vite di Sebastian Nabokov - Secondo corso di lettura creativa - Franco Mimmi
Franco Mimmi
Le sette vite di Sebastian Nabokov
Secondo corso di lettura creativa
Pro captu lectoris habent sua fata libelli
(Terenziano Mauro, "De litteris, De syllabis, De Metris")
The subject of a novel is not the plot. Who remembers
what happened to Lucien de Rubempré in the end?
(Graham Greene, A Burnt-Out Case
)
PRIMA LEZIONE
Corso e Ri-Corso
Sono lieto di constatare che vi siete iscritti in tanti al secondo corso di lettura creativa, addirittura c’è qualcuno che l’anno scorso non c’era, vediamo: uno, due, tre... Caspita, ventotto, di cui otto nuovi! Sono sicuro che i pochi mancanti, avendo già appreso nel primo corso molti dei trucchi contro i quali vi mettevo in guardia, si saranno lanciati con sprezzo del pericolo nella scrittura e adesso stanno scalando le classifiche dei best sellers. Capace che l’anno prossimo li troverete qui al posto mio a spiegarvi il segreto del successo che quel coglione di professore si era rifiutato di svelare ma loro, per fortuna, erano stati abbastanza furbi da capirlo - e carpirlo - lo stesso.
Quel coglione di professore vuole ripetervi, di quanto vi disse l’anno scorso, solo pochi ma sentiti concetti. Il primo è che questo corso serve solo a ciò che dichiara, ovvero a imparare ad analizzare la creatività degli autori oggetto del corso, perché questa è la lettura creativa. Il secondo è che, anche se imparare a leggere è l’unico modo per imparare a scrivere, questo non è un corso di scrittura creativa perché un corso di scrittura creativa è solo un ossimoro: nessun corso riuscirà mai a fare uno scrittore di chi non è uno scrittore. Ripeterò dunque con George Steiner: Per quanto ne sappiamo, non c’è alcuna chiave pedagogica per dischiudere la creatività
.
E adesso passiamo al materiale di studio. L’anno scorso, come sanno quelli di voi che frequentarono il corso, analizzammo, e anzi investigammo, il romanzo sconosciuto di un autore sconosciuto: Entropia, di Giorgio Ulivò, che ci dette occasione per alcuni excursus nel mondo della letteratura oltre che per seguire l’autore nei meandri secolari di una storia familiare, quella dei nobili Del Botto: un chiarissimo esempio di come la vita e l’universo tendano all’entropia ovvero alla confusione. A chi partecipa per la prima volta quest’anno consiglio la lettura delle dispense di quel corso, che sono state pubblicate sotto il titolo, appunto, di Corso di lettura creativa. Sono ammesse le fotocopie ma con discrezione.
La scelta dell’anno scorso, Entropia, è una sorta di iperromanzo sulle orme di Georges Perec e di Italo Calvino. Quest’anno ci occuperemo invece di un testo che ci permetterà di scavare in una vera e propria miniera letteraria: i romanzi contenuti nei romanzi. Chi ha gridato il metaromanzo? È stata la signorina laggiù, caschetto Louise Brooks come Lulù nel Vaso di Pandora, tragica incarnazione della donna fatale, alunna nuova e desiderosa di mettersi in luce e ha ovviamente ragione perché il metaromanzo è, ci dice la Treccani, una opera letteraria che ha come argomento un romanzo o un romanziere che lo scrive. È un campo sterminato, con precedenti non illustri ma illustrissimi: qualcuno ci mette dentro addirittura la seconda parte del Don Chisciotte della Mancia, perché in essa Miguel de Cervantes si riferisce spesso e volentieri al libro L'ingegnoso gentiluomo che Alonso Fernández de Avellaneda aveva scritto in concorrenza alla prima parte del Don Chisciotte cervantino. Forse esempio più calzante ancora è il Tristram Shandy di Laurence Sterne, che si fa oggi rientrare tra i metaromanzi perché, mentre è in corso d’opera – un’opera che dura parecchie pagine per descrivere solo un giorno -, presenta molte riflessioni sui processi narrativi e sulla natura del romanzo. Vero è che questo libro, di cui tutti dovrebbero avere una copia sul comodino, di fatto non è classificabile e non per nulla è stato pure definito antiromanzo.
Uno degli autori più ricorrenti nelle lezioni dell’anno scorso fu il russo naturalizzato americano Vladimir Nabokov, accento sulla prima i e sulla prima o, e ve lo dico perché non gli facciate torto anche voi come quelli che lo chiamavano, a detta di lui stesso, signor Naborkov o signor Nabahkov o signor Nabkov o signor Nabohkov, a seconda delle loro capacità linguistiche
. Ma assai maggiore sarà la sua presenza quest’anno perché suo è il testo che ci farà da guida, e se Entropia era un iperromanzo, quello di Nabokov che sto per proporvi si può definire un iper-meta-romanzo, poiché, detta in poche parole, si tratta di un libro in cui si vuole scrivere un libro per ricostruire la biografia di uno scrittore che ha scritto cinque romanzi di cui almeno uno è di fatto una sua biografia. Alzi la mano chi ha indovinato. Nessuna mano, che dio vi maledica, neanche di quelli che l’anno scorso sono stati da me nutriti a pane e Nabokov. Almeno, in questi mesi avete letto qualcosa di suo? Le Lezioni di letteratura alle quali ci siamo abbeverati? Quattro mani solamente. Un Fuoco pallido, per fortuna, sperando che il giovanotto con abominevole camicia a quadri ma apprezzabile giacca di irish tweed che lo segnala ci abbia capito qualcosa. Lolita, almeno questo lo avrete letto... Cinque mani tutte maschili, e già, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi, meglio non fare supposizioni sconce. Altro? Niente. Che fare? Povere bestie, bisognerebbe ripartire dall’abbecedario, signore perdona loro perché non sanno quello che si fanno, ed è meglio che me ne stia zitto sennò si sentono offesi e mi denunciano pure.
Leggere tutto quanto è contenuto in un romanzo è praticamente impossibile, perché è impossibile rintracciare tutto ciò che l’autore ha voluto metterci (talvolta lo è persino per l’autore stesso, talvolta i pensieri hanno sdoppiato il loro significato senza che lui se ne accorgesse), e a questo materiale si aggiunge quello che ogni lettore ci mette di suo, non importa se a torto o a ragione perché il lettore, non dovendone quasi mai discutere con l’autore, di fatto ha sempre ragione (soprattutto se il libro lo ha comprato). Nel romanzo che sta per cadervi tra capo e collo il compito è ancora più difficile, perché si tratta di un libro in cui tutto è almeno doppio, dal protagonista all’autore che è addirittura triplo: infatti Vladimir Nabokov si sdoppia nello figura di uno scrittore che a sua volta viene riflesso dal narratore che è per giunta suo fratellastro e vuole scrivere un libro su di lui.
È il momento di svelare l’arcano: si tratta del romanzo intitolato The real life of Sebastian Knight, ovvero La vera vita di Sebastian Knight, di cui evidentemente ignorate l’esistenza e che avete una settimana di tempo per acquistare e leggere con estrema attenzione e per prepararvi a rileggerlo con ancora maggiore attenzione, perché si tratta, ha scritto il grande esperto nabokoviano Charles Nicol, del libro più congenialmente destinato alla rilettura di qualsiasi romanzo che io conosca
. C’è pure chi lo ha definito "la parodia di una detective story", e visto che Nabokov affermava di detestare quel tipo di storie, ed era proclive a non perdonare ciò che detestava, anche quella è una definizione plausibile. Ma soprattutto si tratta, io credo, di un vertice nella produzione nabokoviana, al di sopra di libri suoi assai più noti, e se vi metto in mano questa gioia non è perché pensi che ne siate meritevoli ma perché pochi libri contengono tanti libri come questo e si prestano perciò al nostro scopo.
Del romanzo sono state pubblicate in Italia due edizioni. La prima nel 1948, dall'editore Bompiani e con la traduzione di Giovanni Fletzer (dove Sebastian è Sebastiano, ma noi adotteremo la versione inglese del nome), ed è quella sulla quale soprattutto mi baserò. Sono sicuro che potrete trovarne copie nei negozi di libri usati o in internet. La seconda nel 1992 dall'editore Adelphi, con la traduzione di Germana Cantoni De Rossi e una prefazione di Giorgio Manganelli, con gli sprazzi di grande intelligenza che furono caratteristica di quello scrittore forse più che non la sua opera narrativa in sé. Chi possa leggere in inglese cerchi l’edizione con la prefazione del critico Michael Dirda, che va al cuore del testo come prova questa frase: E come distinguiamo il vero dal falso, l’autentico dall’apparente? Queste domande sono al centro della narrativa nabokoviana...
Ovviamente le risposte non sono facili, già a partire dal titolo del libro, perché, se ci pensate, quel real life è indubbiamente ben tradotto con vera vita, e vera e reale sono di fatto sinonimi, ma al tempo stesso si avverte una sfumatura di differenza come tra una cosa e un essere vivo, tra uno stato e un’esistenza, e verrebbe da dire che reale è più vero di vero. Ma queste sono percezioni quasi subliminali, avremo modo di tornarci sopra. A martedì prossimo, dunque, quando la signorina laggiù, sì, proprio luisbruks che era così ansiosa di mettersi in luce, scherzavo signorina, mi dica come si chiama davvero, ah, le piace luisbruks? aggiudicato, luisbruks ci dirà per sommi capi di che cosa parla il libro. Niente proteste, gli altri, e non preoccupatevi: ci saranno occasioni di brutte figure per tutti.
Ma prima di lasciarvi, vorrei segnalarvi come la polemica sui corsi di scrittura più o meno creativa ora tanto di moda, sia i corsi sia la polemica, fosse già stata avviata e di fatto sarcasticamente risolta da Nabokov nel 1939 e proprio nel libro oggetto del nostro corso. Ci confessa infatti l’io narrante:
Né oso immaginare la sua reazione se avesse appreso che, prima di iniziare la sua biografia, il suo fratellastro (la cui esperienza letteraria s'era limitata fino allora a una o due traduzioni inglesi richieste da una fabbrica d'automobili) aveva deciso di seguire uno di quei corsi 'siate scrittori', pomposamente annunciato su una rivista inglese. Sì, lo confesso - non che mi penta. Il signore che, per un compenso ragionevole, avrebbe dovuto fare di me un rinomato scrittore - in realtà si dette gran pena per insegnarmi ad essere timido e aggraziato, impetuoso e frizzante, e se risultai un allievo senza speranza – benché egli fosse troppo gentile per ammetterlo - fu perché sin dall'inizio ero stato ipnotizzato dalla perfezione di una novella che egli mi aveva spedita come esempio di quello che i suoi allievi erano capaci di fare e mettere in commercio. Tra le altre cose conteneva un malvagio cinese che grugniva, una coraggiosa ragazza con occhi color nocciola e un pezzo di ragazzone pacifico le cui nocche diventavano bianche quando qualcuno insisteva a dargli fastidio. Eviterei di ricordare questa penosa faccenda, se non fosse per far notare come ero impreparato per il mio compito e a quali estremi mi portasse la sfiducia in me stesso. Quando infine presi la penna in mano ero ormai pronto ad affrontare l'inevitabile, il che è un modo come un altro per dire che ero deciso di tentare e di far del mio meglio.
Ma qui Nabokov non resiste alla tentazione di abbandonare la burla per dire pane al pane e così continua: