Spagna e America latina
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Alla luce dei rapidi ed epocali mutamenti avvenuti allora nella penisola iberica, questi materiali offrono uno spunto interessante per comprendere meglio come in Spagna si sia concluso e consolidato il ritorno della democrazia e recepiscono alcuni aspetti della cultura letteraria dei Paesi ispanofoni e lusofoni.
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Spagna e America latina - Fabbri Maurizio
2006
ELZEVIRI
INTARSIO LATINO-AMERICANO LETTERATURA
L’impegno e la solerzia, per altro lodevoli, con cui alcuni nostri editori si sforzano di proporre sempre nuove opere di autori latino-americani (o ispano-americani, ibero-americani o amerindiani, come suggerirebbero taluni studiosi più sensibili alla prospettiva etnico-culturale indigena) consentono al lettore italiano di migliorare e approfondire la conoscenza del mondo letterario latino-americano così frammentato e multiforme, ricco di umori, di apporti variati, di contrasti, attraverso opere di poesia e di narrativa che non di rado si rivelano di eccezionale valore artistico, come ben testimonia, se il Nobel ha valore indicativo, l’attribuzione del prestigioso Premio, nel 1945, 1967, 1971, a Gabriela Mistral, Miguel Angel Asturias, Pablo Neruda.
Commetterebbe certo un errore il lettore che si addentrasse nel mondo letterario latino-americano con la superficiale curiosità del ‘turista’ attratto dal fascino dell’esotico e dello straordinario, oppure che si lasciasse prendere da possibili reminiscenze positiviste che assai facilmente potrebbero ritrovarsi nel bagaglio della sua formazione culturale, per giudicare le opere letterarie alle quali si accostasse, ritratto fedele e fonte sicura di conoscenza del temperamento, della mentalità e dei costumi latino-americani, e strumento valido per una interpretazione corretta degli aspetti storici, socio-politici, economici della complessa realtà americana. Ne risulterebbe una visione deformata, tanto maggiormente se si considera che già la scelta di autori e testi risponde il più delle volte a sollecitazioni provocate da eventi politici e sociali.
Sarebbe del pari da evitare la tendenza ad attribuire a una generica e inesistente entità latino-americana quelli che sono aspetti, argomenti, problemi peculiari dei singoli Paesi. Parlare di America Latina in termini unitari ed uniformi significa commettere una inesattezza e compiere un’astrazione: infatti, non esiste una sola America Latina, ma ben diciotto Americhe Latine – o diciannove se si aggiunge il Brasile, appartenente al dominio linguistico lusitano – tanti quanti sono gli Stati indipendenti che compongono il sub-continente americano, dal Venezuela all’Argentina, dal Messico al Cile. Ad essi sono da aggiungere Porto Rico, i territori statunitensi dell’Arizona, California, Nuovo Messico, Colorado, talune isole caraibiche già olandesi, ove si mantengono vive la lingua e la cultura ispaniche. Quindi, diciannove e più realtà politiche, economiche, sociali, culturali, etniche, che presentano innegabili punti di contatto, come la radice culturale spagnola ed europea, ma che sono caratterizzate da situazioni locali assai specifiche, come, per fare un esempio, dimostrano le recenti e note vicende politiche e sociale che hanno interessato alcuni di quei Paesi, come Cuba, Cile, Perù, Bolivia, Argentina.
Tante realtà diverse seppur vicine e somiglianti, tanti mondi di un unico sistema, tante stelle di una stessa costellazione, con piani di collocazione e luminosità differenti. Ma Asturias, così come Rivera, è impastato di miti e concretezze guatemalteche; García Márquez si ispira al mondo incantato e magico del Caribe colombiano; Arguedas racconta l’odissea dei popoli andini; Gallegos si ricollega all’incanto misterioso e fosco dell’Orinoco e dei llanos venezuelani; Carlos Fuentes guarda al Messico ed alla sua rivoluzione; Borges e Cortázar assimilano la storia e la tradizione della natia Argentina; Vargas Llosa ripercorre i malinconici cammini della sua giovinezza peruviana e boliviana; Alejo Carpentier esprime quanto di misterioso e mitico alberga nell’animo e nella storia di Cuba.
E all’interno della produzione letteraria di ognuno di tali scrittori, citati anche perché tra i più tradotti in Italia, si riconoscono chiaramente i momenti diversi di un’evoluzione costante che si manifesta, oltre che nella diversità degli approcci e delle analisi, nella sostituzione di miti, sensibilità, schemi di vita, anche nel mutare delle tecniche e degli impianti narrativi. Ne risulta un intarsio ricco di sfumature e cangiamenti, in continua inarrestabile evoluzione, che giunge ad offrire, senza nulla togliere alla coesione e autonomia dei microcosmi nazionali e nel mantenuto rispetto per la tipicità regionale, una visione d’insieme della problematica dei popoli latino-americani, impegnati ad interrogarsi sulla propria storia, accomunati dall’ansiosa e montante volontà di ricercare le radici più antiche, di ritrovare una identità smarrita, di prendere, appunto, piena coscienza di sé.
INTARSIO LATINO-AMERICANO DOVE IL ROMANZO COMBATTE
In America Latina, la necessaria e indifferibile opera di analisi introspettiva e di identificazione nazionale – che spazia dal recupero della storia e dei miti pre-ispanici all’indagine sociologia – ha trovato nella narrativa uno dei suoi più sensibili e reattivi strumenti di ricerca e di verifica.
Il romanzo, per la sua duttilità e accessibilità, si rivelò il mezzo più idoneo sia per ricercare in profondità all’interno di situazioni locali chiuse, sia per stabilire raffronti e connessioni oppure per individuare, spesso con atteggiamento critico di denuncia, aspetti culturali e sociali estensibili alle diverse realtà nazionali che compongono il vario e complesso panorama geopolitico latino-americano.
Negli anni del primo Novecento, sulla spinta di influenze europee – dal realismo di Pérez Galdós al naturalismo di Zola allo spiritualismo di Tolstoj – e pur non di rado in opposizione ad esse, la narrativa latino-americana assume una più netta fisionomia e mostra quanto fosse avvertita la necessità di osservare se stessi ‘dal di dentro’, di riferirsi alla realtà ambientale nei suoi più diversi aspetti, spesso drammaticamente contraddittori. Temi ricorrenti divennero quelli relazionati alle problematiche più pressanti, in particolare socio-economiche e politiche. Partendo da situazioni locali, non di rado di estremo disagio, e mediante l’evocazione del mondo poco conosciuto degli indios, dei gauchos e dei llaneros, si invocò l’avvento di un mondo migliore, più giusto e più umano, contro l’abbrutimento della fame e dello sfruttamento, la spoliazione delle terre, l’ignoranza e la miseria, contro la violenza della natura e la prepotenza di caciques di paese e di dittatori sanguinari e rozzi.
Sin verso il 1940, gran parte della narrativa latino-americana funzionò da cassa di risonanza all’impegno ideologico e all’ansia riformatrice che animava tanti scrittori, rivelando al mondo quella tremenda lotta che opponeva l’uomo americano alla violenza degli elementi naturali e alla violenza dei potenti, mediante l’insistita contrapposizione schematica ‘sfruttati-sfruttatori’. Tale narrativa – manichea, accusatoria, enfatica, se si vuole – generalmente definita come indigenista e criolla, è densa di problemi umani, tanto individuali quanto collettivi, e in essa la denuncia di mali e ingiustizie sociali avviene soprattutto mediante la difesa appassionata dell’indio, la condanna dei guasti provocati dalla colonizzazione, la lotta contro le ingerenze straniere e la tirannia interna dei caudillos, i dittatorelli avidi e feroci che in una monotona e scontata ripetizione di schemi e di ruoli – da Estrada Cabrera a Batista, da Díaz a ‘papà Doc’ Duval – si sono presentati, con frequenza, sulla instabile scena politica delle giovani repubbliche americane.
L’accoglimento di non pochi suggerimenti offerti dalle esperienze culturali europee d’avanguardia, come l’espressionismo, il surrealismo, l’ultraismo, il cubismo, il futurismo, senza dimenticare la psicanalisi e l’esistenzialismo, favorì il necessario cambiamento, intorno agli anni Cinquanta, della cultura letteraria latino-americana e permise alla narrativa di rinnovarsi, nelle forme e nei contenuti, evitando la stantia iterazione di formule e modelli tradizionali, connessi con la connotazione geografica e sociale, che avrebbe reso concreta l’ipotesi di paralisi creativa irreparabile che tanto preoccupava, allora, i più avveduti critici e scrittori latino-americani, come Luis Munguió e Fernando Alegría. La lezione di Valle-Inclán e di D’Annunzio si fuse con quella di Joyce e Kafka, di Sartre e Proust, Mann, Huxley, Virginia Woolf, D.H. Lawrence, mentre un forte influsso esercitarono, tra i nord-americani, James e Faulkner, Steinbeck, Dos Passos, Caldwell, Saroyan.
Il risultato fu l’apparizione di una narrativa ampiamente rinnovata, come ben testimoniano le più recenti produzioni di Asturias, Fuertes, García Márquez, Carpentier, Cortázar, Lezama Lima, Onetti, Sábato, Rulfo, tra numerosi altri, che si è proposta con piena maturità all’attenzione di lettori e studiosi di ogni Paese. Si tratta di un rinnovamento che non poteva venire se non dopo la conseguita riappropriazione della storia e della mitologia autoctone – con il recupero di culture e lingue obliate o disperse – e la raggiunta conoscenza della complessa realtà etnica e sociale del sub-continente americano. Nelle sue linee generali, essa tende alla rottura degli impacci spazio-temporali, a dilatare la visione panoramica delle vicende narrate, misurandosi con l’irreversibilità del tempo e dell’esistenza umana, non più privilegiando gli aspetti macroscopici della realtà, bensì tentando di cogliere i momenti meno tangibili, meno evidenti della quotidianità e di approfondire la conoscenza dell’animo mediante l’analisi e la ricerca psicologica. Di qui le arditezze stilistiche e le novità tematiche di quanti scrivono ispirandosi al realismo mágico inaugurato da Carpentier e allo sperimentalismo fantastico o neo-realista che ha conquistato tanti altri autori quali Bioy Casares, Anderson Imbert, Benedetti, Edwards, Tovar.
Tuttavia, contro tali tendenze e correnti stanno reagendo, in questi ultimi anni, le più giovani generazioni di scrittori – si possono ricordare Ortuño Mora, Agustín, Skármeta – in cui l’inquietudine personale si fonde con l’impegno sociale e con l’ideologia rivoluzionaria ampiamente professata. Su di loro ha agito in profondità l’influenza dei romanzieri nord-americani appartenenti al variato mondo delle minoranze etniche e religiose più emarginate, da Kerouac a Lowry a Baldwin a Bellow.
Ma sono il Messico e l’Argentina che, fra gli astri che compongono il firmamento letterario latino-americano, paiono brillare con superiore intensità. Cercheremo di spiegarne le ragioni in un prossimo articolo.
INTARSIO LATINO-AMERICANO NELLA TERRA DELL’AQUILA E DEL SERPENTE
È probabile che sia passata quasi inosservata, in Italia, la notizia della morte di Martín Luis Guzmán, avvenuta a Città del Messico nello scorso mese di maggio. Eppure lo scrittore, antico compagno di Pancho Villa, rappresenta una delle figure più valide e significative della narrativa messicana contemporanea ed è stato, con Mariano Azuela, l’iniziatore di quel genere di narrativa che la critica letteraria definisce concordemente come novela de la revolución mexicana
e che, dall’epoca della lotta contro la dittatura instaurata dall’indio Porfirio Díaz, rappresentò per circa tre lustri, esaurendosi intorno agli anni Quaranta, il tema letterario più vitale e diffuso.
Parlare di Guzmán e della sua opera (tra i suoi più convincenti romanzi, El águila y la serpiente, 1928, e La sombra del caudillo, 1929), oltre a porre nel giusto rilievo la personalità ed i pregi dello scrittore, potrebbe rappresentare un valido spunto per parlare del Messico, del suo popolo, della sua storia e cultura, ancora così poco conosciute, in termini che non ricalchino i convenzionali stereotipi turistico-folkloristici, nel nostro Paese. In Italia, in effetti, le occasioni per intrattenersi sul grande Paese latino-americano si contano, fuori dai ristretti ambiti accademici e specialistici, sulle dita di una mano, e non soltanto in senso metaforico, né paiono attivati gli strumenti organizzativi e informativi che solitamente consentono la comunicazione e la cooperazione in campo artistico e culturale. Non risultano operanti istituzioni culturali di quel Paese e neppure associazioni italo-messicane; non circolano riviste e quotidiani messicani ed anche l’accesso alla produzione libraria scientifica e letteraria è laborioso, così come lo è la possibilità di ottenere borse di studio. Nelle nostre Università, non sono previsti insegnamenti specifici, bensì più generiche cattedre di Lingue e letterature ispanoamericane. È presumibile che assai pochi siano i docenti di Lingua e letteratura italiana operanti negli atenei messicani.
In compenso, vivaci e suscettibili di miglioramento sono gli scambi commerciali con i Paesi della CEE, oggetto, tra l’altro, di recenti incontri a Città del Messico tra i rappresentanti della Comunità - tra essi il ministro Colombo – e del Governo messicano. L’Italia è direttamente interessata allo sviluppo di tale cooperazione economica e già da tempo operano in Messico, nei settori dell’industria manifatturiera, chimica, farmaceutica, della gomma e dell’elettronica in particolare, alcuni dei nostri più importanti gruppi industriali, Pirelli, Olivetti, Ciba, ad esempio, come segnala l’economista Aguilar Monteverde nel saggio México: riqueza y miseria. L’auspicabile aggiornamento degli accordi andrebbe incontro alle crescenti necessità della CEE di allargare l’area degli investimenti e delle esportazioni, e gioverebbe al Messico che potrebbe bilanciare, tra l’altro, la massiccia presenza statunitense, suo primo partner commerciale e lo stile di vita del potente vicino..
Il Messico - quasi sessanta milioni di abitanti, una superficie vasta sette volte l’Italia, grandi risorse agricole ed estrattive, con un prodotto interno lordo secondo soltanto al colosso brasiliano - è un Paese ricco di energie e di grandi risorse culturali ed economiche, che si accinge, negli anni del mandato da poco iniziato del neo-eletto Presidente della Repubblica Luis López Portillo, a confermare quella politica di equidistanza e neutralità internazionale che ne aveva fatto uno dei Paesi-guida del Terzo Mondo, ed a proseguire nel programma di riforme interne, avviato già dal precedente Presidente Echevarría, che ha al primo posto la lotta all’analfabetismo e la ricerca della soluzione possibile ai problemi legati alla forte crescita demografica, alla distribuzione dei redditi, al riordino del comparto sanitario, anche se taluni segnali, come l’evidente affaticamento dell’economia, una certa ripresa dell’endemica guerriglia nelle campagne, il moltiplicarsi di scioperi ed espropri, la latente tensione politica e sociale sfociata in atti di protesta clamorosi, come le dimissioni da ambasciatore in Francia del romanziere Carlos Fuentes e il pronunciamiento di un gruppo di intellettuali capeggiati da Octavio Paz e Juan Rulfo, fanno ritenere alquanto difficile la prosecuzione del coraggioso e pur necessario piano di riforme.
In ambito artistico e letterario, il Messico sta vivendo una delle sua stagioni più felici, che lo pongono all’avanguardia, in America Latina, nella poesia, nella narrativa, nel teatro, nella pittura, nella musica, come attestano i riconoscimenti della critica internazionale. Ciò conferma l’avanzato stato del processo di formazione di una ‘cultura messicana’ originale, matura, vitale che, senza indulgere ad assurde tentazioni di radicalismo nazionalista, sappia sottrarsi alle mistificazioni del mimetismo soprattutto europeizzante ed a quel secolare sentimiento de inferioridad
pregiudizievole e deviante, che con lucida fermezza ha denunciato Samuel Ramos nel suo acuto saggio El perfil del hombre y la cultura en México, che tuttavia attende ancora una traduzione italiana.
La visione di alto lirismo che anima la poesia di Octavio Paz, in cui palpita l’affannosa ricerca del senso dell’esistere
, come ha messo in rilievo Giuseppe Bellini, affermato studioso di letterature ispanoamericane, è manifestazione, universalmente nota, dell’elevato grado espressivo conseguito dalla poesia messicana, così come i romanzi di Rulfo, di Fuentes, di Alfonso Reyes, di Salvador Elizondo, per esempio, attestano il successo di lettori e di critica ottenuto ovunque dalla narrativa.
Tra i poeti, narratori, saggisti, commediografi meritano almeno un cenno Rodolfo Usigli, Juan José Arreola, Elena Garro, Gregorio López Fuentes, Fernando del Paso, Carlos Pellicer, Miguel León Portilla, nonché i promettenti esordienti della nuova generazione, come René Avilés Fabila, José Agustín, Elena Poniatowska, Juan Ortuño Mora, José Gorostiza, Bernando Ortiz de Montellano, Carlos Solórzano, Vicente Leñero.
È auspicabile che in un avvenire prossimo, si moltiplichino i contatti e gli scambi di studiosi, di collaborazioni e di pubblicazioni, e si intensifichino le iniziative per ampliare la già proficua collaborazione culturale tra Italia e Messico, ove tra l’altro risiede un’attiva comunità di nostri connazionali, rinsaldando l’amicizia antica tra due popoli che presentano non poche affinità e somiglianze. Dovrebbero essere di stimolo le accoglienze entusiastiche di critica e di pubblico tributate, sul finire dello scorso anno e nella passata primavera, a due importanti manifestazioni artistiche messicane: l’esposizione a Firenze e Milano dei murales di Siqueiros e le danze della Compagnia del Balletto di Città del Messico, che una più attenta e e generosa scelta di tempi ed itinerari avrebbe potuto far apprezzare ad un ben maggiore numero di visitatori.
BLASCO IBÁÑEZ UN RITORNO DAL SILENZIO
Tra qualche mese cadrà il cinquantesimo anniversario della morte di Vicente Blasco Ibáñez, spentosi improvvisamente nelle prime ore del 28 gennaio 1928, nella bella villa di Mentone, protesa verso l’amatissimo Mediterraneo. Scompariva così, a sessantuno anni, per le conseguenze di un’influenza mal curata, una delle figure più originali e vigorose della cultura spagnola contemporanea, cui spetta il non poco merito di aver contribuito a rendere popolare nel mondo il romanzo spagnolo e di aver nel contempo cercato di realizzare una letteratura di massa capace di dare una risposta positiva alle richieste crescenti di acculturazione popolare.
Animato da una volontà indomabile, che costituisce la struttura portante della sua esistenza, Blasco Ibáñez si misurò con gli eventi storici, gravi e forieri di mutamenti profondi, che caratterizzarono, in Spagna, la transizione al ventesimo secolo. Diversamente dalla gran parte degli intellettuali, pensatori e letterati contemporanei, come Unamuno, Baroja, Azorín, Valle-Inclán, che non seppero o non vollero indicare uno sbocco concreto alle tensioni politiche e sociali che, dopo il disastroso conflitto coloniale che l’aveva opposta agli Stati Uniti, nel 1898, rendevano ingovernabile la Spagna trascinandola, in una spirale inarrestabile di disordini e violenze, sino ai terribili eventi della Seconda Repubblica e della guerra civile, Blasco Ibáñez assunse posizione politiche ben definite e pose la penna al servizio degli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità nei quali credeva fermamente e in difesa delle classi meno abbienti.
A Valenza, come capo del Partito repubblicano federalista e poi, a Madrid, nel decennio 1897-1909, come deputato al Parlamento, egli si battè contro la guerra coloniale, la corruzione della Corte borbonica, l’inefficienza di governi e partiti, pagando di persona con la persecuzione poliziesca, il carcere, l’esilio, la sua opposizione ferma e coerente, la sua dedizione alla causa repubblicana. Egli ispirò la sua azione di politico militante e di parlamentare alle teorie politico-sociali di Francisco Pi y Margall, già Presidente, nel 1873, della Prima Repubblica, ed integerrimo patriarca del repubblicanesimo spagnolo, ed alle dottrine del filosofo idealista tedesco Karl Krause che in Spagna avevano assunto carattere politico e culturale dando vita ad un movimento di riforma della società in senso razionalista, etico, liberale che trovò la sua maggiore applicazione in ambito pedagogico, con la creazione della Institución Libre de Enseñanza, scuola laica di livello liceale ed universitario, che si proponeva il rinnovamento della vita intellettuale e civile per mezzo dell’istruzione. Per inciso, è opportuno ricordare che l’Institución, nella quale si formarono poeti, scrittori ed artisti tra i maggiori del primo Novecento, come García Lorca, i fratelli Machado, Dalí, Buñuel, venne forzosamente chiusa nel 1940 e soltanto in questi giorni un provvedimento ministeriale le ha ridato piena libertà d’azione.
Blasco Ibáñez si impegnò a fondo in una serie di iniziative di rilevante significato sociale e culturale: fondò e diresse quotidiani e riviste; creò case editrici; aprì una università popolare pensata e voluta in funzione dell’educazione di massa, aperta ad operai e contadini, gratuita e serale; realizzò imponenti opere di colonizzazione agraria in Argentina ove trovarono lavoro migliaia di braccianti ed operai valenzani. Ma soprattutto, usò le sue eccezionali doti di romanziere per diffondere, con coerenza estrema, l’amore per la giustizia, la democrazia e la pace, e l’avversione per il fanatismo, l’ignoranza e lo sfruttamento. I suoi romanzi, da Cañas y barro a La barraca, Flor de mayo, Arroz y tartana, La Maja desnuda, eccetera, godettero di enorme diffusione, che ancor oggi continua, tanto in Spagna quanto in America Latina, a testimonianza della validità del suo pensiero e della freschezza dello stile. Come si ricorderà, con alcuni di essi vennero realizzati film memorabili, interpretati da divi acclamati come Rodolfo Valentino, che diedero fama universale al loro autore. Si comprendono pertanto i motivi che lo