Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Fino alla Fine dei Giorni
Fino alla Fine dei Giorni
Fino alla Fine dei Giorni
Ebook852 pages13 hours

Fino alla Fine dei Giorni

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

…quella che voglio raccontare è la storia della mia vita,

la vita che mi apparteneva tanto tempo fa e che adesso non è più.

E’ un passato che sento lontanissimo e remoto,

eppure vivissimo.

E’ la storia della mia infanzia felicissima eppure dolorosissima.

Fatta di vita e composta di morte.

L’infanzia immortale dei miei dodici anni.

Una storia che sa di occulto ed orrore, di demoni ed inferno;

una storia di bambini divenuti mostri, posseduti da una sete di sangue diabolica.

Si vestono di scuro -dark- come usa dire la moda.

Ma dietro l’apparenza da eccentrici bambini che amano l’occulto e l’orrido,

i fantasmi e la paura, si cela qualcosa di mostruoso…
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateMar 29, 2016
ISBN9788867825080
Fino alla Fine dei Giorni

Related to Fino alla Fine dei Giorni

Related ebooks

Fantasy For You

View More

Related articles

Reviews for Fino alla Fine dei Giorni

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Fino alla Fine dei Giorni - Atropo

    Atropo

    Fino alla Fine

    dei Giorni

    EDITRICE GDS

    Atropo Fino alla fine dei giorni ©EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel. 02 9094203

    e-mail: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it

    Collana ©OMBRE & MISTERI

    Illustrazione in copertina di ©Mirko Ennas

    Progetto copertina di ©Iolanda Massa

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI. Ogni riproduzione, anche parziale, è rigorosamente vietata e sarà perseguita ai sensi di legge.

    Il presente romanzo è frutto della fantasia dell’Autore. Ogni riferimento a fatti, luoghi, persone realmente esistenti e/o esistite è puramente casuale.

    At my darkest side

    …fino alla fine dei giorni:

    quando le nostre anime si riuniranno,

    i nostri occhi torneranno a vedere la luce,

    le nostre essenze ricominceranno a vivere.

    Fino ad allora aspettami,

    amore mio.

    Fino alla fine di questi giorni tremendi

    che ancora ci separano.

    Il telefono squilla: tre suoni decisi che rimbombano nel silenzio muto della casa. Sono le sei e trenta del mattino e non li sento, visto che dormo profondamente.

       Gli squilli si interrompono di botto; dopo pochi attimi riprendono, ancora più insistenti. Si elevano alti per altre due volte, poi più nulla. Non mi accorgo di niente e continuo a dormire.

    Asia, sono nuovamente dove sai. Appena senti questo messaggio raggiungimi. Ho paura…ho tanto freddo…Ho bisogno di te. Ti amo

    Per un crudele gioco del destino, senza realmente volerlo, negai l’aiuto al ragazzo che amavo, condannandolo ad una fine atroce e precipitando me stessa all’inferno.

    Fu l’ultima volta che udii la sua voce parlarmi.

    Prologo

    E il vento si leverà, amor mio,

    e spazzerà via la mia tristezza…

    (Stephen King - Shining)

    Ciò che la Morte toglie 

    l’Eternità

    rende immenso

    La mia storia prende avvio da un incontro avvenuto fra i banchi di scuola: da allora vissi gli anni più travagliati e sofferti di tutta la mia vita, ma il ricordo magico e struggente che conservo nel cuore non si è mai perso, confuso fra le nebbie del tempo che scorre.

    Ogni volta che rammento quel viso, quell’espressione dolce e triste insieme, mi si riempie l’animo di infinita tenerezza nostalgica. Così quella che voglio raccontare è la storia della mia vita, la vita che mi apparteneva tanto tempo fa e che adesso non è più. È un passato che sento lontanissimo e remoto, eppure vivissimo. Se chiudo gli occhi lui è qui e il suo ricordo mi accarezza lieve, una sensazione pura ed intensa anche a distanza di tempo.

    È la storia della mia infanzia felicissima eppure dolorosissima. Fatta di vita e composta di morte.      L’infanzia immortale dei miei dodici anni.

    Parte prima

    L’incontro

    …e inaspettatamente,

    Di colpo,

    Nel bel mezzo della mia vita

    Giunse.

    E sconvolse, annullò, capovolse tutto.

    …a volte vorrei morire

    E risvegliarmi polvere

    E correre nel vento come granello sottile

    Libero nell’aria

    Fino a svanire per sempre.

    capitolo uno

    Un nuovo anno scolastico non viene mai accolto con gioia da una ragazzina svogliata e poco interessata allo studio come me. Figurarsi poi se si tratta di una nuova scuola, con compagni nuovi e sconosciuti, insegnanti mai visti e tutte le barbe possibili al seguito!

    Mancava meno di un mese all’inizio delle lezioni e già ero seccata all’idea di ricominciare. Mi consolava solo la vicinanza della mia amica del cuore, che proprio lì aveva frequentato la prima media: era l’unica cosa bella di quel mutamento sgradito! Finalmente tornavamo a stare insieme nella stessa classe, com’era stato fin dalle elementari. Proprio Desdemona mi aveva convinto a cambiare istituto e ad iscrivermi in quello dove stava lei: sempre più spesso, dopo i primi mesi da neo studentessa delle Medie, aveva preso a parlarmi di un ragazzino particolare, uno studente di una prima di sezione diversa dalla sua. Credo ne fosse innamorata, folgorata fin da subito: era troppa la foga con cui me ne parlava, assillandomi praticamente ad ogni incontro, che non poteva essere altrimenti!

    Lo descriveva alto, scuro di capelli e con due splendidi occhi blu; non dava confidenza ma lei era ugualmente convinta che fosse un tipo tosto. Era persino dark, e questo non poteva non interessarla, vista la nostra sconfinata passione per tutto ciò che è horror. Non gli aveva mai parlato, non lo conosceva affatto se non di vista, ma era certa che presto sarebbe diventato il suo ragazzo! Io l’ascoltavo un poco divertita: a me i ragazzi non interessavano particolarmente, ancora non pensavo all’idea di un fidanzato; mi sentivo troppo piccola e insicura…e poi la mamma, se l’avesse saputo, mi avrebbe uccisa! Tuttavia finii con l’appassionarmi talmente alle sue chiacchiere che cominciai a tempestarla di domande. Passò l’anno e, contro le più rosee prospettive, non finirono assieme. Anzi, neanche si parlavano!

    Così, quando l’anno dopo mi consigliò di cambiare, cominciai a soppesare seriamente la proposta e, se dapprima mi mostrai titubante, in seguito la curiosità finì col convincermi definitivamente. Conoscere quel ragazzino tosto che le piace: l’idea aveva del bizzarro!

    Ben presto ne parlai in casa e riuscii a spuntarla. A quell’epoca avevo dodici anni e tutta la vita davanti: non intendevo certo perdere tempo dietro a noiosi volumi densi di argomentazioni pesanti! Mia madre non era dello stesso avviso e preferiva sorvolare su queste mie inclinazioni; pertanto aveva acconsentito volentieri a cambiarmi di scuola, convinta che la vicinanza di un’amica d’infanzia non potesse che ben dispormi anche verso lo studio.

    Quel mattino non ne volevo proprio sapere di ricominciare ad andare a scuola. Mi svegliai svogliata e stizzita, alle sette in punto col trillo insopportabile della sveglia che mi martellava negli orecchi. Mi preparai distrattamente e feci colazione in perfetto mutismo, suscitando non poche preoccupazioni in mia madre che mi osservava contrariata. Alle otto ero già fuori di casa, diretta verso il luogo delle torture. Mi trascinavo stancamente, con la netta convinzione che da quel giorno sarebbe ricominciato l’inferno di un nuovo anno scolastico! Incrociai diversi ragazzi nel cortile dell’istituto e mi chiesi se fra loro vi fosse anche il misterioso tosto di Desdemona. Smisi di fissarli e mi ritirai in un luogo appartato, fra gli alberi del giardino. Non conoscevo nessuno e mi sentivo in imbarazzo; Desdemona non era ancora arrivata e cominciai ad aspettarla con impazienza crescente. Quando suonò la campanella imprecai mentalmente e mi avviai verso l’imponente ingresso che pareva ghignarmi contro.

    L’aula era grande e luminosa, con quattro file ordinate di banchi puliti: presi posto al centro, l’unico non ancora occupato. Mi vedevo gli occhi dei miei nuovi compagni addosso: probabilmente si conoscevano già tutti e ora quell’intrusa destava la loro curiosità.

    Ero piccola di statura, minuta e coi capelli rame intenso: erano quelli, lo sapevo, il vero problema! Mi avrebbero resa evidente anche fra mille persone! Li odiavo con tutta me stessa! Fissai il banco e non vi staccai più gli occhi finché non giunse il professore. Paradossalmente, proprio quel giorno, Desdemona arrivò con qualche minuto di ritardo. Si sedette al mio fianco con un sorriso disarmante e non seppi dirle niente.

    «Ebbene ragazzi, eccoci qui. Noto che ci sono dei visi nuovi: faremo subito le presentazioni. Innanzitutto, per chi non mi conosce, io sono il vostro professore di Matematica, Otto Hafner.»

    Vi fu uno scroscio di applausi e Desdemona mi spiegò che quel professore era molto stimato. Chissà perché a me non pareva tanto simpatico!

    «L’hai visto? Oddio che emozione! L’ho saputo solo oggi» sussurrò la mia amica in quel momento.

    «Ho visto chi?!»

    «Lui… c’è lui… proprio dietro di te!»

    Non feci in tempo a voltarmi che l’insegnante mi apostrofò: «Tu, per esempio, con quegli splendidi capelli rossi. Sei nuova, vero? Perché non ti presenti ai compagni?»

    Restai impietrita al mio posto, fissandomi le mani. Non ero molto sveglia; anzi, a dirla tutta, ero davvero timida. Una risatina sarcastica mi giunse da dietro alla chiara maniera da scherno.

    «Su, alzati in piedi e dì come ti chiami, da dove vieni…» seguitò il professore simpatico. Lo guardai con astio: pressoché calvo, occhietti azzurri come fessure, bassi occhiali sulla punta del naso…

    Deglutii più volte e mi sollevai. Non avevo scampo. Parlai e la mia voce risuonò fiacca e sottile: «Il mio nome è Asia… Asia Ware. Sono nuova, vengo dall’Istituto Schnitzler.»

    «Bene, Asia» mi sorrise l’insegnante, accomodante e gentile. Cercava di mettermi a mio agio ma non vedevo l’ora di poter tornare a sedermi. «Siedi pure. Abbiamo poi un ragazzo… laggiù, proprio dietro Asia» continuò. Ma io quasi non sentivo. Guardavo stupita Desdemona, che intanto si era voltata completamente e fissava gli occhi alle mie spalle.

    «Ah, vedo che sei una faccia conosciuta!»

    Il rumore sordo e continuato di una sedia trascinata con poco garbo faceva un gran baccano ed una voce erompeva sopra il silenzio fattosi di colpo pregno: «Credo di essere già noto in questa scuola…»

    Non compresi pienamente il senso di quelle parole e il mutismo serioso che pareva suscitare su compagni e professore; mi voltai per vedere chi avesse parlato.

    «Comunque, sono Karl Klose e arrivo dalla 1^ C»

    Lo guardai incuriosita: era abbastanza alto, aveva i capelli corti e scurissimi, occhi blu con intense sfumature viola, una strana, contraddittoria espressione triste e sorridente insieme…

    Incontrò il mio sguardo e sorrise timidamente; mentre mi strizzava l’occhio sussurrò: «Ciao, nuova

    Chissà perché sentii di arrossire come una stupida; senza una parola tornai a voltarmi. La fastidiosa risatina mi investì nuovamente.

    «È venuto qui per me!» esclamò Desdemona concitata.

    «Ma cosa stai dicendo?»

    «Karl! Il ragazzo di cui ti parlo sempre! È venuto per stare in classe con me!»

    Sorrideva beata e non me la sentii di contraddirla. Non feci commenti e mi limitai a guardare senza interesse la lavagna lontana. A me quel Karl proprio non piaceva e non lo trovavo affatto interessante come asseriva la mia amica.

    Durante l’ora di lezione mi voltai un’altra volta a sbirciare quel ragazzo: forse volevo comprendere cosa lo facesse tanto interessante agli occhi di Desdemona. Sedeva imbronciato al suo posto, un braccio sul piano e l’altro sotto, intento a grattar via con un taglierino un poco di vernice dal bordo. I suoi occhi fissavano attenti la lama che scorreva con fatica, concentrati come su un’operazione fondamentale.

    Indossava un maglione nero col collo alto, sfilacciato e slabbrato alle maniche; al collo portava una lunga catena di metallo scuro che terminava con un pendente a forma di croce con pietre nere. Guardai sotto al banco ed individuai i suoi jeans scoloriti pieni di strappi sulle ginocchia, dove la pelle chiara traspariva fra le stoffe lacere; ai piedi calzava pesanti anfibi. Tornai a fissarlo in viso: aveva la carnagione tanto chiara che pareva si fosse truccato con la cipria bianca, due occhiaie violacee e dell’ombretto nero sulle palpebre. Rimasi interdetta: sapevo che Desdemona avesse gusti particolari, ma quel ragazzo mi pareva davvero un po’ troppo fuori dal comune. Persino, portava lo smalto nero sulle unghie! Evidentemente era dark. In quel momento alzò gli occhi e li fissò sui miei; tornò a sorridermi con quell’espressione contrastante.

    «Ehi, nuova: hai bei capelli, da vera strega!»

    «Che te ne pare, allora?». Desdemona mi apostrofò di colpo, destandomi dai miei pensieri. La guardai accorgendomi che non avevo afferrato il senso delle sue parole.

    Sbuffò contrariata, imprecando con le mani sollevate al cielo: «Ma insomma! È tutto il giorno che mi tieni il broncio… e non mi hai nemmeno detto ancora nulla di lui.»

    La guardai affranta: non sapevo cosa rispondere e non volevo certo dirle ciò che realmente pensavo di quel ragazzo.

    «Sei arrabbiata perché stamane sono arrivata tardi?»

    «No, scusami. Sono un po’ sovrappensiero, oggi. In realtà sono scocciata perché la scuola è ricominciata! Accidenti, un altro anno… ancora un altro anno! Non vedo già l’ora che tutto abbia fine!»

    Desdemona scoppiò in una risata divertita. Mi voltai a guardarla: era più alta di me, scura di capelli e con due splendidi occhi blu notte; era graziosa e determinata. Avevo sempre invidiato la sua natura espansiva ed allegra, insieme ai suoi capelli neri che rilucevano di infiniti riflessi corvini alla luce del sole.

    Ci interessavamo entrambe di cose occulte, di paure, leggende, fantasmi: tutto ciò destava da tempi immemorabili la nostra attenzione più viva; avevamo un’intera collezione di film dell’orrore, di libri horror e fumetti oscuri. Era il nostro mondo, forse un po’ per esorcizzare il nostro malessere per gli orrori della Terra. Avevo sempre considerato la mia amica come una parente stretta delle figure demoniache che alimentavano i nostri sogni.

    «Vedrai che quest’anno sarà tutto diverso e verrai a scuola con tanta passione». Mi strizzò l’occhio maliziosa ma io non mi trovavo affatto d’accordo. La scuola era una noia. Sempre e comunque. Cosa poteva mai farmela accettare?

    «Allora, ti piace Karl?»

    «Ehm… sì. Mi pare adatto. Un po’ particolare, forse.»

    «Particolare?! L’hai guardato bene? È bellissimo! E poi, l’hai notato?»

    «Cosa? Il fatto che sembra atteggiarsi a leader

    Desdemona mi fissò compiaciuta. Compresi che già a primo sguardo avevo colto un importante particolare su quel ragazzo.

    «Già, ma non solo. Hai notato come si veste?»

    «Sì: è tutto nero.»

    «Quanto lo adoro! È la nostra passione… ma nemmeno ti sei accorta di me…»

    La guardai interdetta.

    «Non hai notato un piccolo mutamento per farmi notare.»

    Fissai Desdemona: al suo collo riluceva una catenina d’argento con un pendente a forma di croce.

    «L’hai messa per lui?»

    «Ah-ah, per far colpo! È già un anno che lo punto ma non sono mai riuscita a scambiare nemmeno due parole. Forse così otterrò di più. Magari stavolta è quella buona e presto potrò finirci assieme.»

    «Ti piace così tanto?» mi uscii di bocca; ma subito mi pentii.

    «Perché, a te non piace?»

    «No, non è quello…»

    «E allora? Per me è semplicemente favoloso! Oh, Asia: non capisci proprio nulla di ragazzi, tu!»

    Seguitammo a camminare in silenzio fino a che dovemmo separarci. Non riuscivo a capire cosa l’avesse attirata nell’aspetto di quel ragazzino sinistro. A me proprio non piaceva. Non mi diceva niente di niente. Poteva pure interessarmi il fatto che lui, probabilmente, avesse i nostri stessi gusti ed interessi; poteva essere divertente. Tutto qui. Però non lo trovavo così speciale.

    Tuttavia continuai a pensare a quel suo sguardo contrastante per tutto il giorno. Le sue parole mi rimbombavano continuamente fra i pensieri, indelebili. Persino quando fui al caldo del mio letto, al buio nella mia cameretta, mi tornò in mente.

    La mattina successiva mi recai a scuola col bus e mio fratello, come al solito. Incrociai Desdemona nel cortile e subito la avvicinai. Di primo sguardo notai il suo abbigliamento: giacca nera, lunga gonna nera, scarponi neri… persino gli orecchini erano neri! Rimasi di sasso.

    «Desdemona, ciao. Sei tutta nera…»

    «Sht! Non fiatare e guarda laggiù!» fu la sua risposta.

    Seguii il suo dito proteso e individuai un gruppo di tre ragazzi fermi contro il muro del caseggiato scolastico. Se ne stavano in cerchio a parlare concitati, raccontandosi qualcosa.

    Non mi parve di riconoscere qualche compagno della mia nuova classe, ma sicuramente fra loro c’era anche quel Karl. Se ne stava con la schiena contro la parete, un braccio teso verso il muro e l’altro ripiegatovi contro, le gambe dritte al suolo. Indossava lo stesso identico maglione del primo giorno, con quella croce nera, senza alcuna giacca. Aveva cambiato pantaloni con degli altri jeans, stavolta senza strappi. Lo fissai a lungo, incuriosita: guardava l’amico che aveva davanti con occhi interessati, sorridendo di tanto in tanto.

    A quel punto la campanella prese a suonare all’impazzata, come l’urlo della sirena dei pompieri quando scoppia un incendio. Il gruppo si sciolse e i ragazzi presero a dirigersi verso l’ingresso. Io e Desdemona li seguimmo in silenzio, limitandoci a fuggevoli occhiate eloquenti. Ad un tratto Karl si voltò di scatto, quasi ci avesse sentite. Fissò gli occhi prima sulla mia amica, poi su di me, insistentemente. Restò a guardarmi intensamente per diversi secondi, facendomi provare un forte imbarazzo.

    «Ciao» disse semplicemente, un grande sorriso sulle labbra.

    Vidi la mia amica sciogliersi come neve al sole e rispondergli a monosillabi.

    «Tu non mi saluti, nuova?» mi apostrofò.

    Rimasi impietrita, non aspettandomi quella richiesta. I suoi amici presero a ridere divertiti, dandosi spintoni e manate come sciocchi. Poi si voltarono e ripresero a salire le scale.

    «Ho capito, sei timida… fa niente. Comunque ti sta bene davvero, l’azzurro» e con una strizzatina d’occhio si unì ai compagni.

    Rimasi a bocca aperta, senza sapere cosa dire mentre Desdemona mi tempestava di domande inutili.

    Fissavo il mio bel vestito azzurro e non capivo. Già dalla prima ora avevo chiesto di poter andare al bagno e adesso stavo ben cinque minuti chiusa dentro. Feci mente su come mi stesse addosso quel vestito e mi domandai se davvero mi calzasse tanto bene. Era un lungo abito che aveva comprato mia madre nonostante le mie continue proteste per preferirgli qualcosa di diverso. Non mi era mai piaciuto: con quel cintino di stoffa e quelle maniche a sbuffo sapeva di ridicolo abitino da bambola! Purtroppo per me, alla mamma era invece apparso fin da subito adattissimo ai miei dodici anni! Mi contemplai contro il vetro allungato della finestra: mi sentivo ridicola! Eppure su quel ragazzo aveva fatto colpo!

    Procedevamo lungo le vie del centro, dirette ad un negozio dove vendevano abbigliamento giovanile. Generalmente mia mamma pretendeva che andassi con lei per rifornirmi l’armadio, ma la mamma di Desdemona era più permissiva e le aveva messo in mano una somma perfetta per rimediare qualche nuovo capo.

    Entrammo e cominciammo a guardarci intorno, fra abiti ed accessori di ogni foggia e tipo. La mia amica diceva che la madre le aveva accordato il permesso di fare da sola, proprio come un’adulta! Ah, come la invidiavo! Mia madre non mi avrebbe mai accordato una simile fiducia! Sosteneva che ero ancora troppo piccola per poter scegliere degli abiti con il senno necessario.

    «Guarda questo: è perfetto!». Desdemona indicò un abito lungo, col collo alto e le maniche a campana. Le brillavano gli occhi mentre lo accostava al corpo.

    «Ti piace?»

    «Sì, non è brutto. Però è tutto nero» protestai. Non mi aveva ancora detto dell’intento di far pulizia fra i vecchi capi del suo armadio. Cominciavo a capire cosa potesse spingerla a tanto…

    «È per lui che lo fai, vero?» chiesi d’impulso.

    Mi fissò con determinazione, facendomi intendere che non avrebbe accettato alcun consiglio. Aveva già deciso: «Voglio essere come lui. Voglio esserlo per lui. Credi forse che non noti queste cose?»

    Non commentai, tanto sarebbe stato inutile. Mentre si dirigeva verso il camerino, mi allontanai per dare un’occhiata fra gli scaffali. Notai a quel punto una stretta vetrina in cui erano esposti diversi accessori. Mi avvicinai curiosa, accostando le mani a campana per vedere meglio: c’erano polsini, cappellini, bandane; poi orecchini, collane ed un’infinità di anelli. Soppesai lo sguardo su ognuno, fino a che i miei occhi catturarono una lunga corda nera al cui termine un pendente a forma di croce argentata faceva spicco su tutto. La croce era molto grande, lavorata a rilievo, con una pietra scura al centro dei bracci. La fissai per lungo tempo, fino a che la voce di Desdemona mi richiamò.

    Mi allontanai di scatto, scossa dall’interesse morboso per quell’oggetto.

    «Che ne pensi?» mi chiese quando la raggiunsi. Aveva indossato il nuovo abito e ora si beava compiendo giravolte su se stessa. Devo ammettere che quel vestito le donava davvero, facendo risaltare i suoi splendidi capelli scuri. La croce sul petto riluceva ammiccando alle luci elettriche dei neon, catturando il mio sguardo.

    «Stai benissimo!» le dissi con un sorriso sincero.

    In tutta risposta Desdemona mi abbracciò con trasporto: «Pensi che Karl mi noterà, domani? Mi farà un complimento?»

    Non sapevo cosa rispondere, ma le dissi ugualmente che quel ragazzo non poteva non notarla, così abbigliata.

    «Dovresti diventare dark anche tu, sai? Insieme potremmo fare tanto» mi consigliò sorridendo.

    «Lo sai che la mamma non approverebbe mai!». In realtà non era la paura della mamma a farmi allarmare a quell’idea. Era una paura ben diversa. La paura di lui.

    «Pensaci prima di dare risposte affrettate. Potresti sempre ingannarla, tua madre» mi sussurrò complice.

    «No, non se ne fa niente. E poi lui piace solo a te.»

    Desdemona non replicò e tornò dentro lo spogliatoio. L’immagine di quella croce d’argento tornò a profilarsi nei miei pensieri; la scacciai via seccata. Non sarei mai cambiata per quel ragazzo! Eppure non riuscivo a togliermi dalla testa quella collana oscura.

    Arrivammo a scuola trafelate, sudate nei nostri abiti troppo pesanti per quella giornata di sole. Desdemona indossava il nuovo vestito e non vedeva l’ora che Karl la notasse. Io avevo indossato nuovamente il mio ridicolo vestito da bambola: mi vergognavo profondamente di questa decisione, ma quel giorno mi ero svegliata convinta e, nonostante mi sforzassi, non ero riuscita a domare quell’intenzione insensata.

    Ci guardammo intorno alla ricerca del gruppetto dei tre ragazzi che ci interessavano; li notammo poco distanti, al solito posto lungo la fiancata dell’edificio scolastico.

    «Eccoli lì! Su, andiamo» mi incitò Desdemona tutta allegra. La seguii in silenzio e mi appostai con lei su una panca di pietra a guardarli come due sciocche.

    Riconobbi da subito Karl: spiccava fra gli altri come fosse incandescente eppure, notai, erano tutti interamente vestiti di nero! Indossava una felpa con cappuccio, che teneva calcato sul viso come se volesse celarlo agli sguardi. La croce sul petto era invisibile, occultata dalla lunga zip. Aveva rimesso i jeans strappati e gli scarponi pesanti. Lo vidi gesticolare, ma non riuscii a udire ciò che diceva.

    «E se gli passassimo davanti con noncuranza?» mi domandò Desdemona.

    «…a che scopo?» risposi senza distogliere gli occhi dal gruppetto.

    «Così… per vedere come si comporta…se ci nota»

    «Va bene. Proviamo.»

    Ci alzammo senza far rumore, perfettamente mute. Sentivo che il mio cuore cominciava ad accelerare sconsideratamente i battiti.

    «Quando saremo abbastanza a portata, mi raccomando, comincia a parlare spedita e a voce alta» consigliò la mia amica con sguardo sornione.

    Mi chiesi cosa avrei potuto mai dirle di tanto sensato da poter parlare quasi gridando per farmi sentire; ma non feci in tempo a pensarci che già mi ritrovavo sotto agli occhi del gruppetto. Presi a fissarmi i piedi come una stupida, mentre Desdemona mi dava lievi gomitate per segnalarmi di cominciare. Volsi gli occhi al suo viso e invece in quel momento incrociai lo sguardo di quel ragazzo: mentre passavamo aveva alzato gli occhi su di noi, restando a guardarci quasi stupito, con un’espressione meravigliata. Il suo viso incorniciato dal cappuccio nero risaltava come neve sui monti scuri e i suoi occhi scintillavano mesti e splendidi.

    Provai un colpo al petto, del tutto simile ad una sensazione di smarrimento e paura. In quel momento considerai che fosse il ragazzo più bello che avessi mai conosciuto. Mi buttai a fissare il suolo, percorrendo il lastricato a grandi falcate e distanziando di qualche passo la mia amica. Ero profondamente scossa dai miei stessi pensieri. Cosa mi stava succedendo? Karl era il ragazzo che piaceva a Desdemona!

    Mentre la mia amica mi raggiungeva correndo, sussurrandomi irata che avevo mandato all’aria il suo bel piano, ci giunse alle spalle la sua voce: «Ehi, streghe!»

    Entrammo a scuola correndo e andammo a rifugiarci nel bagno. Dopo quella frase nessuna delle due aveva più parlato ed entrambe avevamo avuto la stessa intuizione di scappare e trovare riparo.

    «Asia, cosa combini?»

    «Scusami…non so cosa mi è preso. Ho avuto paura.»

    Desdemona mi fissò interrogativa. Forse non riusciva a comprendere appieno la mia assurda agitazione.

    «Comunque neanche tu hai avuto il coraggio di rispondergli» la investii sulla difensiva.

    «Certo! Ma io ho la mia tattica. Fuggire e farmi adulare. Farmi rincorrere e desiderare. Funziona sempre.»

    La guardai contrariata. Non era più facile parlargli, visto che lei non era di certo timida quanto me?

    «Se voglio che la situazione si sblocchi devo fare così. Capirà che mi interessa, vedrai.»

    «Se lo dici tu…»

    «Non hai sentito cosa ha detto? Ci ha chiamate streghe

    Non feci in tempo a replicare: la campanella col suo insopportabile squillo prese a suonare per l’ultima volta, intimandoci che dovevamo entrare in classe. Ci avviammo in silenzio, ciascuna chiusa nei propri pensieri. Personalmente, quella parola non mi pareva poi troppo un bel complimento.

    In classe trovammo Karl intento a scarabocchiare sulla lavagna insieme ad un altro compagno. Indossava ancora il cappuccio sugli occhi ed era tutto concentrato sul gesso bianco che tracciava un segno dietro l’altro con mano ferma. Aveva disegnato diversi mostri terrificanti con espressioni minacciose e sangue che fuoriusciva attraverso i denti aguzzi. Lavorava con espressione seria, quasi estraniato dal mondo circostante: in quel momento, provai fortissimo l’impulso di volerlo conoscere di più. Subito scacciai questi pensieri e mi avviai al mio banco, lasciando Desdemona incantata a fissarlo.

    «Klose, alla lavagna!». La voce stridula del professor Hafner rimbombò come un eco nell’aula silenziosa come una tomba. Tutti sapevano che quel mattino ci sarebbe stata interrogazione di matematica e fra i miei compagni non volava una mosca.

    Mi voltai appena per sbirciare alle mie spalle: il povero sfortunato era rimasto come impietrito al suo posto, forse non si aspettava di essere chiamato. Era passata appena una settimana dall’inizio delle lezioni scolastiche e forse adesso pensava di essere stato preso di mira dall’insegnante o di essere segnato dalla mala sorte. Lo sentii imprecare qualche incomprensibile maledizione, per poi alzarsi rumorosamente dal banco.

    «Forza, fagli vedere!» lo incitò Desdemona.

    Lo vidi rivolgerle un sorriso talmente sereno da risultare totalmente disarmante; poi si allontanò verso la cattedra.

    «Alla lavagna, per favore» gli intimò l’insegnante. Karl eseguì senza fiatare. Lo guardai sconsolata, compatendolo appieno: la matematica era la mia materia più ostica e di certo non invidiavo né biasimavo quel ragazzo, benché non mi piacesse per niente.

    «Allora, hai studiato?» chiese l’uomo alla cattedra, come se mettersi sui libri già da Settembre fosse la cosa più semplice e naturale del mondo.

    Karl lo guardò con espressione impassibile: «… un po’»

    Sorrisi a quella risposta. Dov’era finita adesso, tutta la sua precedente spavalderia?

    «Io pretendo molto, lo sai, no?»

    Il mio compagno annuì con convinzione; essendo pratico di quella scuola forse conosceva di già il curriculum educativo del professore.

    «Innanzitutto abbassa quel cappuccio dal viso, che non siamo ad una mascherata. E poi ripetimi un po’ cosa ti ricordi di ciò che ho spiegato tre lezioni fa.»

    Osservai che Karl in un unico, rapido gesto, faceva scivolare noncurante sulle spalle la cuffia del golfino, rivelando a tutti la sua capigliatura; subito dopo alzava gli occhi al cielo, come a voler chiedere l’aiuto di qualche essenza fantasma; fissò poi gli occhi a terra e prese a parlare, sciorinando la regola richiestagli con qualche incertezza e frequenti pause di riflessione. Il professore intervenne più volte, correggendo e migliorando l’esposizione.

    Karl in quei frangenti restava zitto, senza cercare giustificazioni ulteriori. Questo suo atteggiamento mi stupì: avevo immaginato un ragazzino spavaldo che rispondesse a tono, che cercasse di salvare il salvabile. E invece avevo davanti un compagno dall’indole timida e dimessa, con un’espressione quasi smarrita.

    Il professor Hafner gli chiese una dimostrazione pratica. Notai che Karl incespicava, dimostrando che non aveva studiato proprio benissimo, e molto spesso il gesso quasi tremava fra le sue lunghe dita dalle estremità laccate di nero.

    «Male, non sai un bel niente! L’avevo detto che pretendo serietà fra i miei studenti! Sapevate che avrei interrogato proprio oggi! Quattro, Klose. Forza, a posto.»

    Restai di sasso davanti alla severità eccessiva dell’insegnante: avrebbe potuto mettergli almeno la sufficienza stentata, considerando che non aveva di certo fatto scena muta! Il mio sfortunato compagno tornò al posto con espressione incolore.

    «Quanto è stronzo quello!» gli sussurrò Desdemona mentre prendeva posto. Lo vidi sorriderle con una scrollata noncurante di spalle.

    «Fa niente» rispose con voce atona.

    Mi voltai a fissarlo, non senza stupore nello sguardo.

    «Sei dispiaciuta anche tu, nuova?»

    Mi girai di scatto al mio posto, vergognata della mia sfacciataggine.

    «Non preoccuparti. So come fronteggiare le storture della vita» fu la sua strana risposta.

    Durante la ricreazione mi diressi decisa verso il bagno. Avevo lasciato Desdemona a spiare quel gruppetto di tre ragazzi impossibili: a dire il vero ero stufa dei continui appostamenti estasiati della mia amica, dei suoi continui sospiri, delle sue inutili fantasticherie su quel ragazzo che a tutto pareva interessarsi fuorché a noi due. Eppure ne aveva di occasioni per avvicinarci! E invece niente, se ne stava a chiacchierare tranquillamente coi suoi due oscuri amici poco raccomandabili e neanche ci degnava di nota! Anzi, forse si rivolgeva a noi solo per deriderci e scherzare malignamente e Desdemona ci cascava come una sciocca!

    Uscii dal gabinetto e mi sciacquai il viso. Guardai il mio riflesso alle vetrate: i miei capelli, il mio sciocco abito azzurro. Provai l’impulso di levarmelo, di stracciarlo e gettarlo nel water. Com’ero sciocca! Quel ragazzino stava facendo andare fuori di testa anche me! Mi allontanai a passo spedito, decisa a tornare dalla mia amica e proporle di fare un giro per la scuola. Nell’androne d’ingresso ai bagni, che era unico per maschi e femmine, invece lo incontrai. Ricordo che si fermò appena, mutando il suo sguardo da profondamente serio ad un’espressione radiosa. Si era rimesso sul capo quel cappuccio nero e ora, così vicini, i suoi occhi risaltavano quanto mai evidenti e sorridevano con lui, illuminandolo tutto.

    «Ehi, nuova!»

    Lo fissai, incapace di parlare. Solo pochi attimi prima avevo coraggio sufficiente per riuscire a cantargliene quattro… e ora!

    «Vedo che indossi ancora l’abito azzurro. Mica male: sei proprio carina!»

    Restai a fissarlo sgomenta e profondamente imbarazzata, realizzando con orrore che l’intero mio volto prendeva fuoco all’istante. In quel momento mi sentii completamente stupida per aver avuto il coraggio di indossare nuovamente quel vestito dopo ciò che era già successo.

    Prese a ridere divertito, lanciandomi occhiate eloquenti. Prima che accadesse l’irreparabile mi allontanai in tutta fretta, decisa a ricongiungermi al più presto a Desdemona. Di sfuggita vidi che era rimasto fermo a guardarmi.

    Decisi di non far parola con Desdemona di ciò che era successo al bagno, perciò avrei continuato a comportarmi come niente fosse per tutto il tempo. In realtà i miei pensieri tornavano ineluttabilmente a quella frase, sconvolgendomi e disorientandomi al contempo.

    Sei proprio carina!

    Ciò che più mi sconvolgeva era il fatto che lui piacesse a Desdemona… e invece pareva avere ben altri interessi…

    L’immagine della croce argentata nel negozio di prezzi al ribasso tornò prepotentemente a martellarmi i pensieri, mandandomi in totale confusione.

    La ricreazione non era ancora finita e io giravo come una pazza alla ricerca di Desdemona. Visto che l’oggetto dei suoi sogni si era spostato per andare al bagno, aveva probabilmente deciso di cambiar aria, andando a cacciarsi chissà dove. Sconsolata, rientrai in classe dopo diversi minuti di infruttuose ricerche. La trovai proprio lì, accostata al banco di Karl ed intenta a chiacchierarci allegramente! Dunque ci era riuscita, alfine. Il suo piano pareva avesse funzionato davvero! Non sapevo se essere felice o meno; se piangere o ridere.

    Decisi di ignorarli entrambi e mi sedetti al mio posto, composta e diligente come niente fosse. Le loro voci, tuttavia, mi giungevano nitide agli orecchi, cosicché potei sentire cosa si dicessero. Parlavano di disegni e di mostri.

    «Asia, guarda che bravo!»

    La voce di Desdemona mi obbligò a voltarmi. Non ne ero molto convinta, né avevo voglia di stare a sorbire il loro idillio; decisi comunque di far buon viso. Mi voltai e mi sporsi ad osservare là dove Desdemona indicava: sul banco c’erano diversi fogli bianchi, ma molti erano interamente disegnati e colorati; campeggiavano immagini di mostri terrificanti, lotte furiose, artigli, denti aguzzi, sangue. Erano bei disegni, realizzati con indubbia bravura; non potevo che ammetterlo, anche se un po’ mi costava. Gli stessi soggetti, poi, erano ciò che di più avevo da sempre preferito.

    «Belli, no?» continuò con enfasi la mia amica. «Li ha fatti tutti quanti Karl. Non male per avere dodici anni, vero?»

    Osservai i fogli, poi spostai rapidamente lo sguardo su Desdemona che mi sorrideva incoraggiante; poi ancora guardai l’autore di quei disegni: adesso mi fissava con un’espressione di grande aspettativa, quasi temesse che potessi giudicarli brutti. Aveva le guance lievemente imporporate come se si vergognasse di me, del mio giudizio. Mi rammentò lo sguardo atterrito di un ragazzo che aspetta impaziente e timoroso il voto dal suo professore. Restai di sasso: non lo facevo capace di tanto!

    Annuii convinta, profondamente affascinata: «Sono praticamente perfetti!» sentenziai alla fine, dopo che mi fui convinta di aver trovato le parole migliori da dirgli.

    «Bravo davvero. I tuoi mostri sono fatti benissimo!»

    «Non sono mostri… sono demoni» mi corresse con un sorriso. Poi alzò gli occhi a guardarmi, mentre il rossore scemava dal suo viso facendolo tornare pallido come sempre.

    Restammo a fissarci per diversi secondi, in perfetto silenzio, finché Desdemona parlò: «Sono proprio belli! Ma dì un po’: come fai a disegnarli così bene? Ti ispiri a qualcosa, prendi spunto da qualche film o immagine…». La mia amica si sporse ancor più verso di lui, fin quasi a sfiorargli i capelli col viso; sorridendogli si sedette al suo fianco. Mi fissò con aria complice, come a dirmi:

    Hai visto? Guarda adesso cosa succederà.

    Cominciavo a sentirmi strana e, soprattutto, un’intrusa. Avevo voglia di voltarmi e smetterla di impicciarmi dei fatti loro. Ma quei disegni e soprattutto il loro autore parevano calamite che mi attirassero continuamente a se…

    La voce di Karl mi riportò al presente: «Non mi ispiro a niente. Semplicemente li vedo e poi li disegno.»

    «Li vedi?! Vedi demoni in casa tua?» chiese civettuola la mia amica, fingendo sorpresa e timore.

    «Magari!» esclamò lui per niente impressionato. «No, li vedo la notte. Poco prima di addormentarmi. Mi balzano davanti emergendo dalle nebbie oscure dei miei pensieri confusi e mi guardano come se volessero provocarmi. Ma io non li temo e continuo a fissarli finché scompaiono e mi addormento. A volte sono tanti: emergono come tanti flash fotografici, uno dietro l’altro… uno più terrificante dell’altro; è facile, al mattino, riuscire a ricordarli e disegnarli.»

    «Oh, ne vorrei tanto uno!»

    «Davvero? Sarei ben felice di regalartelo. Scegli pure quello che vuoi, quello che ti piace di più». Karl sistemò sul banco i suoi disegni, in modo che Desdemona potesse vederli tutti quanti.

    In quel momento provai nei suoi confronti un pizzico d’invidia. Abbassai gli occhi per paura che quel brutto sentimento trapelasse dal mio viso. Desdemona mi guardò con aria complice, sorridente: si vedeva che era alle stelle!

    «Prendo questo» esclamò poco dopo. Rapida, volsi gli occhi a guardare: aveva scelto l’immagine più cruda e violenta fra tutte.

    «È quello che preferisco anch’io» eruppe Karl a quel punto, contento. «L’ho anche firmato.»

    Non sapendo cos’altro fare mi voltai, i pensieri confusi e il morale a terra. Mentre le loro risate si univano diventando subito un unico suono tremendo per i miei orecchi, mi scoprii fortemente gelosa.

    «Lo appenderò in cameretta!» diceva Desdemona con voce argentina.

    La campanella decretava la fine della ricreazione e mentre la professoressa di Lettere entrava in classe, io mi sentivo morire.

    Era già trascorsa mezz’ora di lezione quando la forte pressione di un dito sulla spalla mi riscosse dal mio torpore sonnolento. L’insegnante spiegava incomprensibili quanto pesanti regole grammaticali e io la ascoltavo appena, canticchiano mentalmente le mie canzoni preferite. Ogni tanto buttavo l’occhio su Desdemona che continuava imperterrita a contemplare il disegno del suo amato come fosse un’icona. Aveva disposto il libro di grammatica a mo’ di leggio, fingendo che stesse seguendo con attenzione: alla professoressa doveva risultare davvero credibile! E invece sulla facciata aveva collocato il disegno, cosicché potesse osservarlo continuamente senza problemi.

    A quel tocco inaspettato sulla spalla mi voltai appena: era lui.

    «Tu, nuova, non lo vuoi un mio disegno?» chiese tutto serio, il tono di voce lento ma grave.

    Lo guardai stupita, non sapendo cosa rispondergli. Annuii, ma mi sentii subito sciocca.

    «Lo sentivo» mi disse Karl con un grande sorriso.

    «…comunque ho un nome…» sussurrai a fior di labbra.

    «Oh, lo so. Ware… Asia Ware.»

    «Asia soltanto può bastare.»

    Restò a fissarmi, una strana luce negli occhi. Quello sguardo mi turbò e feci per voltarmi. La sua voce mi bloccò: «Ok, Asia Ware. Adesso mi metto all’opera per te.»

    Mi voltai, giusto in tempo per evitare che l’insegnante mi vedesse. Sbirciai Desdemona e la trovai ancora concentrata sul suo bel disegno. Sorrisi felice: presto anch’io avrei avuto il mio demone da adorare!

    Quando passarono le due ore di Lettere ed in classe entrò la professoressa di Lingua mi voltai. Ero curiosa di sapere cosa stesse facendo Karl. Lo trovai tutto intento a disegnare: gli occhi fissi sul foglio, l’espressione concentrata e vigile, la punta della lingua fra le labbra, la mano sinistra che tracciava velocissima i segni dell’immagine che aveva in mente.

    «Ehi, non guardare! Che sorpresa è, altrimenti?» mi investì contrariato, coprendo col braccio il disegno.

    Arrossii e mi voltai. Finsi di interessarmi alla lezione, giunsi persino a prendere appunti, ma i miei pensieri erano tutti per lui e per il disegno che doveva regalarmi. Cominciai a scarabocchiare sul quaderno, riempiendo intere pagine di segni e scritte.

    Ad un quarto d’ora dalla fine delle lezioni un nuovo tocco sulla spalla mi obbligò a voltarmi. Col cuore che batteva impazzito lo guardai: sorrideva radioso mentre mi porgeva un foglio ripiegato in due. Guardai il foglio bianco, poi Karl.

    «È tuo. Spero ti piaccia»

    Annuii e mi voltai; non avevo il coraggio di guardare quel disegno, quasi temevo ciò che vi fosse rappresentato o scritto. Lo tenni in grembo a lungo, finché la professoressa ci annunciò di cominciare a prepararci per uscire. Allora lo cacciai fra le pagine del libro di Lingua, che poi infilai velocemente in borsa.

    Discendevo le scale della scuola in compagnia di Desdemona quando qualcuno mi arrivò alle spalle, piombandomi addosso come volendomi dare deliberatamente uno spintone. Mi girai con sguardo di pietra, decisa a protestare, ma la voce mi morì in gola quando mi accorsi che era stato proprio Karl.

    Mi fissò con occhi duri e delusi, velati da un sottile, struggente dispiacere: «…ci ho messo tutto me stesso. Spero ti piaccia!»

    Senza aggiungere altro prese a correre rapido verso il cancello dell’istituto, finché scomparve fra la folla di studenti. Invano Desdemona mi tempestò di domande, incuriosita da quello strano dialogo fra noi. Ma ero ben intenzionata a tenere il segreto tutto per me.

    Quando fui a casa mi chiusi in cameretta, mi tolsi lentamente lo zaino e lo posai a terra. Mi tremavano le mani e il cuore batteva impazzito come se avessi corso a lungo quando cominciai a slegare il cordino che serrava la borsa. Sospirai e afferrai il volume di Lingua. Lo fissai, poi presi a sfogliarne velocemente le pagine finché trovai ciò che cercavo: quel disegno. Chiusi forte gli occhi e mentre lo afferravo, li riaprii: sul foglio sottile trasparivano le linee scure del disegno. Pian piano lo spiegai.

    Di colpo comparve l’immagine: un imponente demone oscuro, con un lungo mantello nero col colletto rivoltato verso l’alto; indossava una veste nera con una grande croce rossa sul petto, nel pugno stringeva un lungo bastone che sembrava di metallo, che terminava con una punta acutissima. Il volto era reso davvero abilmente: capelli corti e scuri, espressione severa e determinata, la pelle candida e gli occhi ombreggiati di nero sulle palpebre; occhiaie violacee come fosse un cadavere, sangue che sgorgava dagli occhi e dagli angoli della bocca. Pareva intento a lottare contro un avversario appena accennato, involontariamente o deliberatamente lasciato in bianco. Al centro del foglio, in alto quasi fosse il titolo, una scritta:

    L’Angelo della Morte

    In basso, sul lato destro, una frase:

    L’Angelo della Morte scende dal cielo

    a ghermire le anime dannate

    e condurle all’Inferno

    Poco oltre, una dedica:

    Ad Asia Ware, KK

    Restai a lungo incantata a fissare quel disegno splendido: mille emozioni mi turbinavano nell’animo, scaldandomi cuore e pensieri come una dolce carezza. Non riuscivo a capire cosa mi stesse accadendo, ma mi sentivo benissimo, e mi piaceva…

    L’immagine di quel demone era così forte e violenta da riuscire a sconvolgermi ed affascinarmi al contempo. Sembrava che Karl avesse ritratto se stesso. Volsi gli occhi al soffitto, a trovarvi conforto.

    «Vienna è grandissima… Chissà lui dove abita»

    Quella notte, sdraiata sul letto, fissavo il soffitto della mia cameretta fiocamente illuminato dai raggi lunari che entravano dalla finestra. Volutamente non avevo abbassato le tapparelle, non avevo sonno. Pensai a lui, a quell’espressione triste e felice insieme…alla sua voce…ai suoi capelli…ai suoi occhi; a quanto era bello con quel cappuccio nero calcato sul viso. Mi vergognai di questi pensieri: Karl piaceva a Desdemona e io dovevo starne fuori! Non potevo comportarmi come una sciocca, fantasticare sul ragazzo che le piaceva, credere a chissà cosa. Non potevo farle questo! Non dopo la forte amicizia che ci legava fin da bambine!

    Devo smetterla di pensare a lui! Devo togliermelo dalla testa! Lui non mi piace nemmeno!

    Mi alzai e mi accovacciai davanti al comodino; aprii lentamente l’ultimo cassetto e fissai ciò che vi avevo nascosto: quel disegno. Lo rimirai a lungo, sorridendo piacevolmente; poi tornai a coricarmi. L’Angelo della Morte stava sotto al mio cuscino.

    Due giorni dopo, durante la ricreazione, sedevo con Desdemona a chiacchierare fuori dalla classe: il gruppetto di ragazzi che ci interessava si era spostato altrove, lasciandoci a fissare il muro come due ebeti.

    «Che dici, li seguiamo?» propose la mia amica.

    «Non mi va. Vai tu, se vuoi.»

    «Ok. Restiamo qui a parlare. Tanto torneranno.»

    E invece quelli non vennero più e noi ci spostammo in un'altra classe, la terza A, dove la mia amica conosceva diverse ragazze. Cominciarono a parlare di maschi e mi sentii fuori posto, visto che nessuna mi rivolgeva la parola e visto che non avevo proprio niente di interessante da raccontare.

    «Vado al bagno» sussurrai a Desdemona. Si girò appena, annuendo col capo in segno d’intesa.

    «…poi mi trovi in classe». Ma lei si era già voltata, completamente assorta nei discorsi futili delle sue amiche più grandi. Mi allontanai mesta, un poco infastidita: quel dannato ragazzino stava quasi arrivando a dividerci! E dire che eravamo sempre state amiche per la pelle e mai uno screzio aveva rovinato la nostra bellissima intesa! Adesso, invece, per uno stupido ragazzo dark…!

    Entrai in classe con passo deciso, intenzionata a prendere i fazzoletti dallo zaino, quando lo vidi. Ero dell’umore più cupo e vedermelo lì davanti non mi fece certo un bell’effetto. Se ne stava seduto sul balcone di una delle tre grandi finestre, i piedi ripiegati sul termosifone; teneva i gomiti posati sulle cosce, le mani penzolanti fra le gambe. Come entrai, neanche avessi fatto rumore o urlato per richiamarlo, alzò gli occhi su di me, fissandomi intensamente col mento quasi posato sul petto. Rimasi di stucco a guardarlo: quegli occhi ipnotici mi scrutavano profondamente, quasi a volermi carpire l’anima. Aveva uno sguardo tristemente dimesso: era dannatamente bello! Mi spaventai; col cuore in subbuglio feci dietrofront e uscii. A passi svelti mi diressi al gabinetto, con l’intento più vivo di fuggire da quell’oscuro ragazzino.

    Ad un tratto, mentre varcavo l’uscio, percepii una presenza alle mie spalle, poi una mano mi serrò con forza il polso, trascinandomi subito dopo dietro la porta d’ingresso al bagno delle ragazze. Lì, insieme alla porta, il muro formava un angusto nascondiglio, visibile soltanto a chi si recasse all’ultimo wc lungo la parete.

    Era lui! Lo fissai sgomenta, un poco atterrita. Mi aveva spinta con le spalle contro la parete, il polso ancora serrato come in una morsa nella sua mano; l’altro mio braccio era libero. Col braccio destro puntato sulla parete sbarrava la strada alla mia sinistra; mi si era parato davanti e mi sovrastava con la sua stazza. Si era curvato sul mio volto, così vicino che i nostri nasi quasi si sfioravano. Mi guardava con espressione decisa, lievemente velata di apprensione. Non sapevo come comportarmi e avevo paura.

    «…mi fai male…» mormorai con voce strozzata, evidentissimo emblema del mio stato d’animo.

    «Che ne pensi? L’Angelo della Morte: l’hai guardato, alla fine?» mi chiese velocemente, fissandomi dritto negli occhi. Aveva sottilissime, tenere efelidi spruzzate a casaccio sulle guance. «Ti piace?» seguitò.

    Ecco perché mi guardava in quel modo! L’avevo ferito nell’orgoglio, tenendolo sulle spine per due interi giorni! Voleva sapere cosa pensassi del disegno che mi aveva regalato.

    Mi sforzai di sorridere: «Sì, è molto bello. Davvero». Cercai di parlare con voce ferma e tranquilla, invece mi accorsi di avere un tono tremante. Non riuscii a capire se lui se ne fosse accorto.

    Seguitò a fissarmi imperturbabile, poi si sciolse in un sorriso disarmante: «Ci tenevo troppo a fartelo avere, non poteva non piacerti.»

    Mi lasciò libera e si allontanò. Prima di uscire da quel bagno dove non avrebbe potuto neanche mettere il naso, si voltò e tornò a guardarmi sorridente: «Sono contento.»

    Mi strizzò l’occhio complice, lanciandomi contemporaneamente un bacio a schiocco. Con una risatina se ne andò, lasciandomi di sasso, completamente rossa come un peperone maturo.

    capitolo due

    Desdemona era andata dalla nonna, quella sera, per cui ero sola. Eccettuata lei, non avevo stretto molte amicizie: spesso me ne stavo in disparte, timorosa di rompere il ghiaccio. Così, a fine Settembre ancora non avevo fatto amicizia con nessuna e se non c’era Desdemona non sapevo proprio con chi uscire. Tuttavia quel giorno mia madre mi accordò ugualmente il permesso di andare a fare un giretto. Le avevo raccontato la bugia che dovevo incontrare la mia amica giù in piazza e lei ci era cascata in pieno senza troppe domande.

    La mia mamma era una bella signora di quarant’anni, rossa di capelli come me; non era cattiva, tutt’al più davvero severa: forse ciò era dovuto al fatto che per gran parte dell’anno dovesse educarmi lei sola, visto che mio padre stava fuori per mesi interi. Papà faceva il marinaio sulle navi di linea tedesche e a casa tornava per brevi periodi soltanto. Avevo un fratellino di nove anni, Tommy, col quale non andavo affatto d’accordo: ogni volta bisticciavamo per ogni nonnulla e fra noi era perenne guerra aperta.

    Erano le diciotto in punto quando uscii di casa. Avevo detto alla mamma che non mi sarei allontanata troppo, giusto per prendere una boccata d’aria; dopo un’ora sarei stata di ritorno. Tutte bugie: sapevo bene cosa volevo fare quella sera, ma oltre a non poterlo certo dire alla mamma non avevo nemmeno il coraggio di ammetterlo a me stessa.

    Camminavo a testa bassa, il cuore che batteva all’impazzata, i pensieri che vorticavano neanche dovessi commettere un efferato omicidio. Giunsi a destinazione dopo una mezz’ora di camminata, avevo il fiatone e mi tremavano le mani. Mi diedi della sciocca ma cominciai a guardare ciò che mi interessava: la vetrina era illuminata a giorno e diverse persone si muovevano all’interno come formiche indaffarate attorno al nido. Dall’uscio proveniva un’assordante musica rock che mi faceva ballare inconsapevolmente anche senza volerlo.

    Cavai il portafogli dalla tasca e controllai l’interno: avevo un biglietto e delle monetine, frutto dei risparmi sottratti ai soldi per la merenda. Mi domandai se sarebbero bastati. Deglutii e mi incamminai. Giunta davanti al vetro lucido che riportava incessantemente la mia immagine riflessa, accostai le mani a coppa e osservai fingendomi interessata a ciò che vi era esposto. Restai diversi secondi, poi mi allontanai. Percorsi l’intero isolato combattuta fra mille pensieri: entrare o meno, comprare o meno, giusto o sbagliato, sciocchezza o necessità, vivo desiderio o malvagità pura…

    Presto tornai al punto di partenza. Mi fermai a pochi passi dall’ingresso del negozio e fissai la strada: le auto sfrecciavano strombazzando, volti e persone confuse col metallo delle carrozzerie; sfavillio di luci ai semafori, pedoni, animali al guinzaglio… la vita di città ferveva, io pensavo. Chissà lui in quel momento dov’era, cosa stava facendo… Volevo essere perfetta: era giusto o mi stavo annullando? No, per lui questo ed altro! Forse lo amavo…

    Cacciai indietro questi assurdi pensieri e mi mossi. Sarei entrata e avrei fatto ciò che dovevo. Ciò che mi tormentava da tempo, dal giorno in cui Desdemona aveva comprato quell’abito nero per lui.

    Tornata a casa mi chiusi a chiave in cameretta. Non avevo ancora svolto il pacchetto del mio acquisto, non ne avevo il coraggio. Mi buttai invece a frugare dentro all’armadio, alla ricerca di qualche capo adatto. Recuperai un maglioncino di lana bouclé con bottoni sul petto e una gonna lunga fino alla caviglia, una maglia aderente col collo alto smanicata e gli scarponi robusti coi lacci bicolore. Mi spogliai dei vestiti che indossavo e mi vestii coi nuovi, scarpe comprese.

    Mugugnai mentre mi guardavo allo specchio lungo la facciata dell’armadio: i miei capelli ramati spiccavano come fuoco contro il nero delle stoffe; l’insieme non era male anzi, mi scoprii soddisfatta. Quell’aspetto mi dava sicurezza, mi sentivo quasi un’altra! Persino, potevo far colpo! C’ero già riuscita col ridicolo abito da bambola…

    Mi avvicinai al letto e afferrai l’involto con l’acquisto della sera: il monile di metallo argentato. Fortunatamente i soldi erano stati sufficienti, anche se avevo speso tutto ciò che possedevo; però adesso quella collana era mia e potevo sentirmi come Desdemona! Aprii il fermaglio e la indossai, poi mi contemplai nuovamente allo specchio: ciò che vedevo mi riempiva di gioia! Mentre la mamma mi chiamava per apparecchiare la tavola, il cuore batteva furioso, già pensando al mio ingresso in classe!

    Quella notte non riuscii a chiudere occhio, combattuta fra il vestirmi di nero l’indomani oppure continuare come avevo sempre fatto. Non riuscivo a decidermi, provavo un vago senso di inadeguatezza, di timore, di vergogna persino. Mi addormentai che era già l’alba e quando la sveglia trillò acuta alle sette in punto mi alzai a fatica, pensando che non ne avrei fatto mai nulla. Anche quel giorno avrei indossato la roba di sempre. Quel ragazzino non poteva farmi fare ciò che non desideravo!

    Una settimana dopo mi destai di buon’ora e cominciai a preparare il mio piano: non potevo farmi vedere conciata in quel modo da mia madre, che ero certa mi avrebbe ricondotta in camera a cambiarmi dopo una bella sculacciata. Fortunatamente Tommy non stava bene e quel giorno non sarebbe andato a scuola: la mia buona stella pareva sorridermi! Mi sarei cambiata in ascensore, bloccandolo temporaneamente per operare il mutamento d’abiti. Quando fui all’interno del marchingegno che da sempre mi incuteva terrore, pigiai con forza sul tasto di stop. La cosa si fermò con un sobbalzo, facendomi trasalire: ci mancava solo che dovessero liberarmi di lì con lo zaino traboccante di abiti scuri! Cominciai a spogliarmi velocemente, cacciando tutto nella mia povera borsa già strapiena degli stupidi libri di scuola. Quando fui finalmente pronta mi osservai allo specchio piccolo e rotondo.

    Non male pensai soddisfatta. Mancava solo l’ultimo tocco, ma dovevo fare in fretta se non volevo che qualcuno notasse l’ascensore bloccato e chiamasse un tecnico all’istante. Frugai nell’astuccio ed estrassi ombretto, cipria, matita e rossetto: non potevo uscire con la mia faccia pulita da bambina buona! Ripensai all’Angelo della Morte di Karl: ecco, mi sarei ispirata proprio a lui, per confezionare il mio tipo di trucco! Passai il colore nero sulle palpebre, fino a che mi parve di avere gli occhi pesti; misi poi la cipria su tutto il viso, ma il risultato mi fece pensare ad un mascherone. Con la matita nera tracciai il contorno degli occhi, facendoli risaltare: la sfumatura grigia dell’iride spiccava come mare in tempesta, con un effetto che mi pareva demoniaco, portatore di male. Sorrisi radiosa: non poteva non notarmi!

    Per ultimo passai il rossetto sulle labbra: avevo scelto la tonalità che mi era parsa più adatta possibile, preferendo un rosso cupo tendente al nero. Il risultato mi strabiliò, tanto che quasi urlai. Adesso ero diventata un’altra: Asia era uscita dal guscio.

    Giunsi a scuola col cuore in gola, tremante, accaldata. Mi guardai intorno alla ricerca di Desdemona, ma probabilmente non era ancora arrivata. Scorsi un gruppo di compagne della mia classe che parlottava fitto fitto in circolo, ridendo di chissà cosa. Credevo che il vestirmi diversamente mi avrebbe dato la forza di essere più espansiva e invece mi accorsi di essere rimasta quella di sempre: paurosa e timida, incapace di avvicinarsi e fare dialogo. Affranta mi allontanai, trovando posto sulla solita panchina dove con Desdemona spiavamo il gruppetto di ragazzi fra cui c’era lui. Quel giorno il muro della scuola era vuoto. Non c’erano neanche loro. Oh, forse era meglio. Non avrei avuto il coraggio di appostarmi e guardarli, col rischio che mi notassero tutta sola, per di più vestita in quel modo. Cominciai ad attendere impaziente l’arrivo della mia amica, già temendo che il destino mi avesse nuovamente giocato un brutto scherzo.

    Era più di un quarto d’ora che attendevo. Desdemona non era ancora arrivata. Guardai l’orologio: le 8:20. Fra meno di cinque minuti la campanella avrebbe cominciato a suonare. Sospirai affranta: e io che volevo mostrarle il mio nuovo look, sapere cosa ne pensasse, osservare i suoi occhi che immaginavo pieni di stupore. Accidenti! Avrei dovuto attendere la ricreazione. Praticamente un tempo lunghissimo!

    Quel giorno non c’erano neanche i ragazzi: chissà perché il destino era così crudele, con me. D’improvviso percepii accanto un fruscio. Sobbalzai col cuore in gola e mi spostai di lato ad osservare. Alla mia sinistra un ragazzo stava scivolando sulla mia stessa panchina, provenendo dallo schienale. Era Karl! Sgranai gli occhi incredula, la voce che mi moriva in gola. Ancora una volta sentii di arrossire come una stupida.

    «Asia Ware: che sorpresa!»

    Avevo le tempie pulsanti, il cuore impazzito e i sudori freddi. Avevo terrore di aprir bocca e balbettare.

    «Oggi sei diversa! Di un po’, che è successo?» e giù risatine. Intanto aveva smesso di scivolare sul cemento della spalliera e adesso si era seduto di fianco, addossandosi a me fino a toccarmi con la gamba.

    Mi guardò fisso in faccia, quella strana luce negli occhi che gli avevo già visto, un sorrisetto furbo sulle labbra. Ricambiai lo sguardo intimidita, senza replicare.

    Allungò un braccio e mi cinse le spalle: «Cosa ti è successo?» tornò a chiedermi. «Non c’è la tua amica?»

    «Oggi no… cioè, non è ancora arrivata.»

    «Ah. Sei sola, allora.»

    Lo guardai: indossava nuovamente quel maglione consunto col collo alto e sul petto la croce scura riluceva da contrasto. Era talmente vicino che potevo sentire il suo profumo di lavanda misto a detersivo per lavatrice. Mi imbarazzai profondamente.

    Osservai i suoi occhi truccati di scuro, le iridi blu-viola che brillavano colme di meraviglia, le piccole efelidi che gli picchiettavano le guance. Il vento giocava coi suoi capelli del colore del nulla, facendoli ondeggiare leggeri. Era bellissimo!

    «Sei la strega più bella di tutta la scuola! E scusami se continuo a puntarti.»

    La sua voce mi riportò al presente, facendomi trasalire. Lo fissai sgomenta e allarmata.

    «È così, non lo dico solo per adularti. Lo penso sul serio» replicò con noncuranza, come se stesse facendo un complimento ad un’altra persona. Si alzò in tutta fretta e prese a camminare verso l’ingresso della scuola, le mani sprofondate nelle tasche dei jeans.

    «Ehi, Asia Ware… guarda che fra un po’ suona.»

    Il trillo della campanella eruppe furioso interrompendo l’incanto del nostro incontro, lasciandomi a fissarlo mentre si allontanava.

    Desdemona apprezzò moltissimo il mio mutamento, ripetendomi più volte che avevo gusto e intuito e che ero persino più carina di lei!

    «Lui che ti ha detto?»

    Ecco, la domanda che tanto avevo temuto era arrivata. Dovevo parlare o tacere? Come l’avrebbe presa? Si sarebbe arrabbiata e magari non mi avrebbe più rivolto la parola. Quel giorno era nuovamente venuta a scuola in ritardo e dunque non aveva presenziato al nostro incontro e non sapeva niente. Potevo anche dirle una bugia. Una bugia coi fiocchi. O tacerle completamente tutto.

    «…non so. Forse non mi ha nemmeno notata» balbettai a disagio.

    «Ci ha sempre guardate che mi sembra davvero strano. È la prima volta che vieni a scuola vestita così!»

    «Che vuoi che ti dica!» replicai con una scrollata di spalle. «Vuol dire che di me non gli importa nulla. Del resto chi gli interessa sei tu, no?»

    Desdemona mi guardò per un istante, ancora dubbiosa. Vedevo l’incertezza nei suoi occhi e un po’ di preoccupante perplessità. «Sarà! Ma io ho visto che ti guarda.»

    «Mamma, posso prendere l’elenco telefonico?»

    Mia madre si voltò a guardarmi interdetta. Forse non riusciva a capire cosa me ne potessi mai fare di quel grosso volume tutto nomi ed indirizzi. Con una risatina replicò: «Guarda che lì non troverai di certo i compiti facilitati!»

    Non risposi e continuai a fissarla con l’elenco in mano.

    «Prendilo pure» mi disse tornando ad occuparsi dei fornelli.

    «Lo riporto subito a posto. Mi serve per una cosa.»

    Radiosa mi chiusi in camera. Con mani tremanti cominciai a scorrere le pagine: C, D… G, H… I, J… K…

    «K! Ecco, dev’essere qui». Voltai ancora i fogli sottili con un persistente odore di petrolio. Subito trovai ciò che cercavo: col cuore in gola cominciai a scorrere i nomi.

    «È un nome di origine tedesca, di certo non ce ne saranno molti in città». Leggevo mormorando a voce bassa, mentre la musica melodiosa del mio gruppo preferito riempiva la mia stanza con le sue note grandiose.

    «Eccolo qui… Klose

    Come prevedevo, c’erano appena una decina di Klose in tutta Vienna. Fra quelle persone, certamente, c’era anche lui. Cominciai a scorrere il dito sui nomi: due erano medici, un altro un’impresa edile, una concessionaria d’auto, un negozio per animali. Decisi di escluderli tutti quanti; non credevo possibile che fossero ciò che cercavo. Mi concentrai sui restanti cinque; due dei nomi erano donne: una rispondeva al nome di Claudia Smith Klose, l’altra era una certa Ruth Klose. Non mi convincevano, ma decisi ugualmente di tenerle. Trascrissi tutti e cinque i nominativi coi relativi indirizzi su di un foglietto e me lo misi in tasca. Poi controllai il borsellino: ricordavo di possedere qualche monetina…forse ce l’avrei fatta! Richiusi l’elenco con un tonfo ed uscii dalla stanza.

    «Mamma, sto andando a casa di Desdemona a fare i compiti!» gridai afferrando lo zaino.

    «Mi raccomando: studiate e non fare tardi. Alle sette e mezzo ti voglio qui.»

    «Sì, non ti preoccupare!» urlai già fuori dal portone.

    Correndo per le vie della città mi diressi verso una cabina telefonica che fosse abbastanza lontana da casa. In realtà non dovevo andare da Desdemona a fare i compiti: era semplicemente una scusa per poter uscire e fare ciò che volevo, ciò che mi martellava in testa da giorni!

    Non erano ancora le quattro del pomeriggio; avrei passato le ore telefonando, poi sarei rientrata. Tutto sarebbe filato liscio come olio. Raggiunsi la cabina alle 16:10. Mi ci infilai dentro tutta sorrisi, anche se in realtà il mio cuore cominciava a battere impazzito. Cavai dalla tasca il foglio coi nomi e lo sistemai sul telefono, poi cominciai ad inserire le monetine: avevo credito sufficiente per chiamare almeno tre di quei numeri ma forse, con un po’ di fortuna, avrei potuto raggiungerli tutti quanti. Fissai il primo numero: le mani tremavano convulsamente, il cuore sembrava impazzito; mi sentivo agitata, nervosa, ma sentivo che dovevo farlo. A cosa mi avrebbe portato non lo sapevo nemmeno io; cosa volevo davvero non lo sapevo ancora. Sentivo che dovevo chiamare e conoscere dove lui abitasse, vedere la sua casa. Non avevo detto niente nemmeno a Desdemona.

    Composi il primo numero; attesi impaziente che qualcuno rispondesse. E se avesse risposto proprio lui? Questa ipotesi mi sconvolse. Riattacco, semplice! Tanto riconosco la voce e ottengo comunque ciò che voglio.

    L’attesa fu lunga tanto che temetti di aver fatto un buco nell’acqua, con quel primo numero. Stavo per riattaccare, quando una profonda voce d’uomo parlò: «Hallo»

    Lasciai passare qualche attimo; camuffando la voce mormorai: «…c’è Karl?». Sembravo una stupida! Una stupida maleducata e scortese! Mi maledissi all’infinito: se era suo padre avevo fatto la figura dell’idiota!

    «Chi?! No, non c’è nessuno con quel nome. Credo che abbia sbagliato numero» e l’uomo riattaccò senza troppi complimenti.

    Esalai un sospiro, manco avessi scampato un incendio. Meglio così. Uno di meno! Mi concentrai sul numero successivo.

    «Buonasera. Karl è in casa? Sono un suo amico» domandai col tono camuffato e più gentile che riuscii a tirar fuori.

    «No…

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1